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Autore: Dira_    17/09/2013    15 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XXVIII
 
 
 
When you have a connection with someone, it really never goes away
You snap back to being important to each other because you still are.
(Orange is the New Black)
 
 
13 Luglio 2028
Ministero della Magia, Ufficio Auror. Mattina.
 
Ama non era ancora riuscita a capire se l’Inghilterra le piacesse o meno. Nel dubbio, pensava fosse una gran seccatura.
Non era interessata a scatti di carriera, né credeva nel grande sogno della cooperazione magica internazionale, per cui non trovava che aver preso una stanza in un albergo Babbano vicino al Ministero per poter aprire tutti i giorni gli occhi sul clima uggioso locale fosse poi così emozionante.
Tuttavia l’ufficio Auror era interessante: a partire dalla persona che lo dirigeva, il famoso Harry Potter, l’uomo che aveva sconfitto la morte per ben due volte, fino al fatto che fosse l’eccellenza delle forze di polizia magiche di tutta Europa.  
Dopotutto detengono la percentuale di maghi oscuri arrestati più alta del continente.
“Spero che ti troverai bene qui, Ama” La apostrofò il Sergente Weasley dopo esser venuto ad accoglierla all’entrata. “Siamo gente alla mano e la squadra di mio nipote James è composta da ragazzi in gamba.”
“Mi è stato detto.” Rispose cercando di mostrarsi cordiale mentre lo seguiva lungo gli stretti cubicoli che dividevano la sala operativa; essendo amico di sua madre non voleva essere scortese, ma la infastidiva essere considerata una ragazza prima che un agente.

E so riconoscere il tono di chi mi considera così.
“Se hai qualche dubbio o preoccupazione vieni pure da me.” Disse infatti il mago con tono paterno. Probabilmente gli ricordava sua figlia.
“Non credo ce ne sarà bisogno.” Lo seccò senza troppi sensi di colpa. Non riusciva a non ricordare come gli fosse sembrato sin troppo contento di vederla sostituire Sören.
Prince …
Era preoccupata per lui, ovviamente, anche se aveva cercato di tenere un comportamento professionale durante la sua sparizione.  
Quando l’aveva chiamatoa suo ritrovamento, le era sembrato molto più sereno rispetto a come l’aveva lasciato ed era stata contenta di scoprire che sarebbe rimasto a Londra fino alla scadenza del suo visto.
Lily Potter ha mantenuto la sua promessa. L’ha rimesso in piedi.
Non ci voleva un genio per capire che era lei la misteriosa ragazza di cui Prince si era innamorato.
È bella, intelligente senza però essere aggressiva … Il genere di ragazza per cui gli uomini perdono la testa, mia cara Ama.
Accantonò quel pensiero quando arrivò al cubicolo della squadra.
“Ragazzi, l’avete già conosciuta, comunque lei è Ama Gillespie e sarà il vostro nuovo agente di collegamento.” Venne presentata. Ama riconobbe e salutò con un cenno della testa Scorpius Malfoy e Robert Jordan mentre si presentò con un sorriso al moro in maniche di camicia rimboccate – immaginava che avendo tutti quei tatuaggi sentisse il bisogno di mostrarli – che doveva essere James Potter.
Non assomiglia molto a suo padre. Deve aver preso dal lato Weasley della famiglia.
Il ragazzo non ricambiò il sorriso. “Zio, quanti ancora ne dovremo cambiare?” Si lamentò senza degnarla di uno sguardo. “Senza offesa bella, ma dover spiegare tutto da capo…”
Il sergente aprì bocca per rispondere, ma Ama lo interruppe: sua doveva essere la mossa. “Mi permette?” Poi si rivolse al ragazzo. “Forse sei stato male informato, sono stato il vostro contatto su suolo americano. Seguo il caso sin dagli inizi. E il mio nome non è bella, ma Ama o ancora meglio Sergente Gillespie.” Sottolineò e non fu una sua impressione, vide Malfoy soffocare un ghigno.

Potter arrossì e abbasso lo sguardo. Conosceva ragazzi simili; era un ridimensionarsi fisico che iniziava dal crollo delle spalle. C’era sempre un margine di miglioramento in quelli come loro.
Non sono cattivi … solo pieni di testosterone.
“Mi scusi Sergente.” Borbottò lanciando un’occhiata all’occhiata severa dello zio. “Non era mia intenzione mancarle di rispetto.”
“L’agente Potter è giù di morale perché gli manca Sören.” Interloquì Malfoy. C’era sempre un pacificatore in una squadra e il biondo dai lineamenti sottili doveva essersi guadagnato quel ruolo.
“Che cavolo dici?!” Sbottò l’altro con aria orripilata. “Chiudi quella ciabatta Malfoy!”
“Capisco che la sua estromissione dal caso non vi abbia reso felici.” Rispose tranquilla. “Tuttavia le contingenze lo hanno reso necessario. Spero potremo lavorare bene assieme.”

Il Sergente Weasley le scoccò un’occhiata d’approvazione di cui avrebbe volentieri fatto a meno. “Bene ragazzi, conoscete la consegna. Voglio un rapporto sulla mia scrivania per il fine settimana, okay Jamie?”
“Sissignore!”   
Quando il mago più anziano se ne fu andato, Ama seppe di avere l’attenzione e la curiosità dei tre auror completamente su di sé. Era ora di entrare in scena. “Ho letto l’ultimo rapporto…”
“L’ho scritto io!” La interruppe Malfoy con l’aria di chi voleva ricevere dei complimenti. “Sai, Potty è analfabeta.”
“Ma vaffanculo.” Fu la risposta poco offesa. Potter le rivolse un’occhiata e poi parve decidere di tenderle una mano. “Sergente, qualsiasi cosa esca dalla bocca di questo cretino, a meno che non riguardi un caso, non è da prendere in considerazione.”

“Lo terrò a mente.” Rispose a tono rimediando una serie di sorrisi. Sapeva come stimolare il cameratismo se voleva.
E qui è il caso che lo faccia. Sono un’intrusa e vado a scombinare degli equilibri già formati.
“Penso che, dati gli ultimi sviuluppi, dovremo concentrarci su Sophia Von Hohenheim.” Osservò tirando fuori dalla propria borsa una serie di fascicoli ridotti, che poi distribuì ai tre. “Io e l’agente Estevez abbiamo scavato a fondo nel suo passato … sfortunatamente non abbiamo trovato molto.” Esordì con una smorfia; c’era da aspettarsi che la strega fosse un fantasma come lo era stato il fratello.  
Quella famiglia è uno scrigno di cui si è persa la chiave.
A conti fatti, Thomas Dursley e Sören erano gli unici a vivere alla luce del sole.
Malfoy aprì il fascicolo e gli occhi saltarono rapidi da una riga all’altra. “Ehi, è giovane!” Esclamò. “Quarantadue anni … e Sören quanti ne ha? Venticinque, ventiquattro?”
“Ventiquattro.” Corresse Jordan. “Quindi lo ha avuto a quanto? A diciotto anni?” Fischiò colpito. “Appena diplomata!”
“Non ha mai frequentato un Istituto magico.” Spiegò. “È stata educata in casa e non ha frequentato circoli Purosangue fino a che non si è sposata.”
“Con Elias Prince, il padre di Sören.” Le fece eco Malfoy. “Però … Potty, non mi hai raccontato tutta quella storia pazzesca sul fatto che il tizio fosse lo zio del Preside Piton?” Si rivolse a lei. “Sai, Severus Piton … uno degli eroi della battaglia di Hogwarts. Non era uno studente però. Il padre di Sören quanti anni aveva?”

“Era un vecchio.” Disse senza mezzi termini Potter, girando la sua cartellina così che potessero vederla – un po’ inutilmente – tutti. C’era una foto ritagliata da un quotidiano, che lei e Rico avevano scovato dopo aver passato un pomeriggio a spulciare tra le principali testate giornalistiche tedesce. Ritraeva una giovanissima Sophia Von Hohenheim in abito da sposa, al braccio di un mago segaligno e dall’espressione austera. “Questo tizio deve avere tipo cento anni più di lei! Ugh.” Lanciò un’occhiataccia a Malfoy. “I matrimoni tra Purosangue sono folli.”
“Ehi, non guardare me, i miei genitori hanno due anni di differenza!” Si difese l’altro un po’ seccato.
“Elias Prince era un alchimista noto in certi ambienti, ma in disgrazia a causa di vicissitudini familiari.” Li riportò in argomento. Aveva la netta impressione che per quei due fosse facile uscire dal seminato. “Von Hohenheim deve aver combinato il matrimonio con sua sorella per tenerselo al fianco. Non mi stupirei se avesse collaborato al progetto Demiurgo originario.”
Malfoy annuì e lanciò un’occhiata alla foto nel suo fascicolo. “Sören assomiglia un sacco a suo padre, eh? Stessa faccia e stessi occhi.”
“È vero.” Commentò sentendosi un po’ a disagio.

Stiamo pur sempre parlando dei suoi genitori.
Non doveva essere l’unica a pensarlo perché Jordan si schiarì la voce. “Era coinvolta in quello che facevano marito e fratello?” Chiese. “Qua non vedo nessun capo d’accusa o imputazione.”
“Perché è incensurata. Secondo le nostre indagini e fonti non ha mai partecipato né all’attività della Thule né a quelle del fratello. Ad oggi risultava morta da dodici anni.”

“Dodici anni nel nulla…” Considerò meditabondo Malfoy. Sembrava aver qualcosa in mente e a sentire i i suoi superiori – si era informata, sì - era il creativo del gruppo, quello con le idee. “Ci dev’essere un motivo per cui dopo dodici anni è voluta uscire allo scoperto. Voglio dire, è stata beccata da una telecamera di sicurezza di una banca … Per una persona che ha fatto di tutto per far perdere le proprie tracce mi sembra un errore grossolano, no?”
“Secondo me la stiamo vedendo da un’ottica sbagliata.” Interloquì Jordan. Le sue valutazioni psicologiche – sì, aveva guardato anche quelle, e quindi? – parlavano di un’intelligenza riflessiva come della capacità di saper intervenire al momento giusto mediando trai caratteri esplosivi di Potter e Malfoy. Sarebbe stato un alleato prezioso.
“Cioè?” Chiese dandogli la sua completa attenzione.
“La vera domanda è … da quanto non si sta nascondendo? Il fatto è che l’abbiamo trovata solo per via di John Doe. Nessuno l’ha mai cercata.”
“Da quando è morto Von Hohenheim, no?” Si inserì Potter. “Da quel che ci ha detto controllava la vita della sorella a tal punto da darla in sposa ad un tizio che voleva lavorasse per lui. Morto perché continuare a nascondersi?” 
Ama considerò la cosa e si trovò d’accordo. “Rimane allora da chiarire come sia venuta in contatto con il Camaleonte e l’intera faccenda del Demiurgo. Secondo la sua biografia si è sempre disinteressata dell’attività di famiglia … Cos’è cambiato?”
Potter schioccò le labbra con aria saputa. “Motivo più vecchio del mondo. Soldi. Se l’intero progetto non fosse andato in vacca … beh, pensate a quante camere blindate ci si possono riempire con gli introiti di una simile roba messa in commercio!”
“Sempre che il fine ultimo fosse la messa in commercio.” Replicò Malfoy poco convinto. “Ragazzi, stiamo parlando di qualcosa che rende un mago una specie di Bolide assassino … Nessun Ministero sano di mente autorizzerebbe la vendita o la somministrazione di una roba del genere. E non sto parlando solo del nostro, super-conservatore.” Si voltò verso di lei. “In America  siete aperti, ma così tanto?”
“No, non direi.” Confermò. “Anche se non avesse gli effetti collaterali che sta dando, una simile innovazione sarebbe accolta con enorme cautela.” Scosse la testa. “Ottenere un brevetto alla luce del sole e in tempi brevi sarebbe difficile.”
“Facciamo due calcoli.” Esordì Malfoy. “Sono anni che ci lavorano, dato che Sören era il paziente zero. Adesso però hanno dato una bella accelerata visto tutta la gente che si è ammalata … Stanno facendo le cose in grande. Credo abbiano, e scusate l’espressione, il pepe al sedere. Perché?”

Non si era sbagliata, il biondo era la mente del gruppo anche se il comando operativo era nelle mani di Potter.  
“Qualcuno ha comprato il siero.” Realizzò di colpo, ispirata dalle parole dell’altro. “O meglio, qualcuno ha comprato la ricerca sul siero.”
Malfoy schioccò le dita, con un sorriso trionfante. “Per questo hanno potuto fare le cose in grande … sperimentazioni, strumenti e l’affitto di un capannone con tanto di incantesimi protettivi. Adesso hanno i soldi. E credo ne servano un sacco per questo genere di roba, no?”

“I beni dei Von Hohenheim sono stati devoluti al Ministero tedesco. Lei non avrà niente, se non quello che è riuscita a portar via dodici anni fa … e il Camaleonte non può avere simili fondi, anche se ha camera blindate sparse ovunque. Sì, qualcuno ha finanziato il progetto Demiurgo. Si aspetterà dei risultati.”
“Già, ma non avrà un granchè, no?” Ribattè Potter confuso. “Il siero si è rivelato una schifezza … fa esplodere le persone!”

Ama esitò, mordendosi un labbro. “Staranno di certo cercando un modo per contrastarne gli effetti collaterali come stiamo facendo noi. Ci sono state altre visite di John Doe al San Mungo?”
“Non sotto i nostri occhi.” Fu pronto ad assicurare Potter. “Abbiamo messo delle telecamere di sorveglianza nelle camere delle persone malate e ci sono agenti a piantonarle giorno e notte. Stesso discorso vale per gli ingressi e il laboratorio di analisi e pozioni.”
Riflettè velocemente. “Quante persone si sono ammalate fin’ora e quante sono state portate al San Mungo?”
“Tutte quelle che si sono presentate dopo l’annuncio della Gazzetta e sono state scoperte con i sintomi sono state ricoverate. Sono circa una ventina.” Contò Jordan. “Più Henry Price e il nostro sergente, Liam Flannery. Ventidue quindi.”
“A cosa stai pensando Ama?” Chiese Malfoy mentre una ruga di preoccupazione gli solcava la fronte. Quando smetteva di sorridere il viso gli si trasformava facendolo sembrare quasi duro.
“Sto pensando che non vorranno chi si è ammalato … Hanno di certo i loro pazienti. Quel Reynard per esempio … Tutti quelli che non abbiamo noi, li hanno loro. Per questo non hanno tentato di rapire nessuno al San Mungo. Non gli servono. Sto pensando che invece potrebbero volere chi ha sviluppato un decorso della malattia diverso.”
“Il pipistrello!” Esclamà Potter prima di correggersi ad una sua occhiata perplessa. “Cioè, Prince … Prince è il paziente zero e l’unico tutt’ora immune.” Aggrottò le sopracciglia. “Significa che è in pericolo?”

Malfoy fece una smorfia. “Non necessariamente … Il fatto è che non sappiamo quanto del progetto originario conoscano. Non sono alchimisti, qualcun altro lavorerà alla parte scientifica della faccenda. Potrebbero aver trafugato la ricerca ed averla usata senza sapere del primo esperimento. Dopotutto è stato il San Mungo a scoprire che Sören era coinvolto e solo perché ha rischiato di essere infettato da Price.”
“Sì, ma stiamo parlando di sua madre … Come fa a non saperlo?” Obbiettò James incredulo.

Ama si scambiò un’occhiata con gli altri due, capendo che nutrivano gli stessi dubbi. “Non ha mai parlato di lei.”
“Non è che si ammazzi di chiacchiere.” Considerò Potter con una smorfia. “ Dobbiamo interrogarlo.” Alle occhiate che ricevette – quella di Malfoy prometteva anche il lancio di un oggetto contundente – alzò le mani in segno di difesa. “Cazzo, neanche a me piace l’idea, okay? Mi sembra di fare il bullo o roba del genere … ma che alternative abbiamo? È l’unica persona al mondo che conosce i colpevoli!” 

Ama ci mise poco a decidere il da farsi. “Gli parlerò io, ma non qui e non come agente. Interrogarlo come un civile o peggio … un sospetto … non sarebbe opportuno.”
“Sarebbe uno schifo.” Concordò Potter prima di dare una gomitata a Malfoy che lo fissava con un ghigno divertito per Dio sa quale motivo. Sembravano una vecchia coppia sposata. “Cerca di farti dire quel che sa sulla tizia. Più inquadriamo il personaggio meglio è.”

Malfoy annuì. “Intanto noi cerchiamo di capire se questo finanziatore esista e chi diavolo sia.”
 
****
 
Il Paiolo Magico. Mattina.
 
Sören si svegliò con un peso sul petto. Preoccupato che si potesse trattare di un malore fece scivolare la mano in direzione della cassa toracica, salvo trovarvi … capelli. Lunghi. E rossi.
Abbassando lo sguardo quasi lo rischiò, quell’infarto, quando notò che abbracciata a lui, dormiente, c’era nientemeno che Lily.

Cosa …
Erano entrambi vestiti, e quella era la notizia migliore che il suo povero cervello, sovraccarico di confusione e di sonno, potesse dargli.
Erano vestiti ma erano entrambi nel suo letto, alla locanda; con fatica ricordò come la sera prima l’amica avesse insistito per accompagnarlo, salvo finire per fermarsi per un the. Si erano messi a parlare sul letto dopo che Lily si era lamentata della scomodità delle poltrone e ricordava di aver chiacchierato con lei fino a tardi, di cose importanti come di nulla. Ad un certo punto, quando le tazze erano vuote e la notte ormai inoltrata, aveva cominciato a sentire le parole pesanti, così come le palpebre.
E poi mi sono addormentato. Quindi è rimasta con me?
A quanto sembrava sì: Lily indossava ancora il vestito estivo della sera prima, mentre le scarpe erano abbandonate ai piedi del letto.
Deve essersi addormentata anche lei …
Infastidita dal suo muoversi, o forse dal cambiamento del ritmo del suo respiro – ora era sveglio e piuttosto agitato – l’altra mandò un mugugno e gli si incollò addosso con più tenacia.
Per tutti gli Inferi.
Per fortuna Milo non si vedeva da nessuna parte e, a giudicare dal letto intoccato, non si era neppure preso il disturbo di tornare. Sospirò, aggiustando il peso dell’altra in modo che entrambi fossero comodi.
Cerchiamo di rimandare il momento imbarazzante principino?
Quello e il fatto che in effetti stesse bene con il corpo morbido e caldo dell’amica accanto; gli era capitato di rado di svegliarsi con una donna nel proprio letto, avendo sempre preferito incontri occasionali con ragazze il cui unico scopo della serata era divertirsi.
Senza contare che non sono materiale a cui dormire accanto. Ho incubi e grido.
Quella notte invece era trascorsa tranquilla nonostante la giornata orrenda; aveva dormito come un bambino.
Perché c’era Lilian.
Sorrise, permettendosi di sfiorarle i capelli profumati di fiori e di sole con le labbra. Lily emise un secondo mormorio incoerente facendo scivolare la propria gamba nuda tra le sue.
Era ora di alzarsi.
“Lily.” La chiamò scuotendola piano per la spalla. “Lily, svegliati.”
Tutto quello che ottenne fu uno sbuffo che gli spedì una scarica di solletico e altro in svariate, scomode, parti del corpo. Da quant’è che non entrava in intimità con una donna?
Troppo.
“Lilian.” Ripetè con fermezza. “Ho bisogno di alzarmi.”
L’altra finalmente aprì gli occhi, squadrandolo assonnata. “Che buffo.” Sentenziò. “Dormi con il balsamo per capelli addosso?”
Indeciso se scuotere la testa, alzare gli occhi al cielo o rassegnarsi al fatto di doverla spostare di peso preferì rispondere. “No. Ieri sera mi sono addormentato senza aver tempo di prepararmi per la notte.”
“Ah, già! Un momento parlavi con me di poesia provenzale e quello dopo russavi.” Sbadigliò districandolo finalmente dalla presa – piuttosto ferrea c’era da dire – in cui l’aveva avvolto. Sembrava perfettamente a suo agio nel suo letto, anche a piedi nudi, arruffata e assonnata. Era bellissima ed evidentemente irraggiungibile.
Non prova il minimo imbarazzo. Mi considera una specie di fratello putativo.
La cosa lo sconfortava quanto confortava. Era possibile? “Io non russo.” Trovò comunque giusto puntualizzare.
Lily gli servì un sorrisetto adorabile che gridava ‘a cinque anni se venivo ignorata davo fuoco alle cose’. “Sbavi sul cuscino però, lo sai?”
“No, non lo faccio.” Si passò una mano dietro la nuca, trovandola fastidiosamente appiccicosa. Aveva bisogno delle proprie abluzioni mattutine in maniera disperata, ma lo stesso doveva valere per Lily. “Hai bisogno di farti la doccia? Abbiamo il bagno privato, se vuoi.”
“No, me la faccio a casa.” Sbadigliò di nuovo. “Scusa se ti ho occupato il letto. Ho pensato di chiudere gli occhi per cinque minuti e racimolare le forze per Smaterializzarmi, ma poi… bam! Crollata.” Fece un gesto vago, mettendosi a sedere e stiracchiandosi. “È comodo però.”
“Sì, lo è e comunque non c’è problema, non sei una compagna fastidiosa.”
Si sarebbe mangiato la lingua non appena ebbe pronunciato la frase, essendo l’epitome della fraintendibilità. Da come Lily lo guardò divertita doveva essere arrossito. “Anche tu sei un ottimo compagno di letto!” Trillò allegra.

Mi sta prendendo in giro. Grandioso.
Ma quella mattina, forse per la sveglia da infarto, forse il desiderio di non fare sempre la figura dell’idiota alle prime armi, non era disposto a cedere. “Scommetto lo dici a tutti gli uomini con cui dormi assieme.”
Lily spalancò gli occhi e per un momento ebbe paura di aver esagerato prima che scoppiasse a ridere. “Ren!” Esclamò portandosi una mano al cuore nella maniera un po’ teatrale che la contraddistingueva. “Mi sento offesa nella mia fragile e ingenua femminilità!”
“Ingenua non è un termine che ti attribuirei.” Sorrise di rimando, parando con un braccio il cuscino che gli arrivò addosso. “E non sei fragile.” Aggiunse. “Non lo sei mai stata.”
Lily gli diede un colpetto sulla spalla, scuotendo la testa. “Come fai a dire cose tanto carine e tremende nel giro di due frasi?” Ma gli occhi le ridevano, quindi andava bene.

“Faccio del mio meglio.” Replicò alzandosi in piedi perché stava diventando difficile rimanere nello stesso spazio dell’altra senza volerla toccare. L’abbraccio della sera prima aveva sbloccato qualcosa e adesso gli riusciva difficile gestire il desiderio di stringerla di nuovo a sé.
È fidanzata. Con Scott Ross. Ti vede come un amico, come un fratello. Falla finita.
Lily lo imitò, raccogliendo le scarpe e saltellando per infilarsele. “Meglio che vada, i miei pensano che sia ancora in Scozia, ma ho davvero bisogno della mia doccia e di un paio di vestiti puliti.”
Sören annuì, cercando di stirare la povera camicia dell’uniforme con le dita, ma senza successo: Milo l’avrebbe ucciso per averci dormito dentro. “Allora ti accompagno…”
Un Gufo interruppe le sue parole e scusandosi con un cenno della testa andò ad accoglierlo alla finestra; portava con sé un grosso pacco che aveva l’aria di aver attraversato notevoli distanze e anche un paio di temporali. Capì subito di cosa si trattava.
È arrivato.
“Ti lascio alla posta.” Gli comunicò Lily già sul ciglio della porta. “Ci sentiamo stasera?”
“No, aspetta.” La fermò liberando il gufo dalla consegna e pagandolo con un paio di falci. “Il pacco è per te.”
L’altra battè le palpebre confusa. “Per me? Ma non aspetto niente!” Lesse qualcosa nella sua espressione perché si illuminò. “È un regalo per me?” Non gli lasciò il tempo di aprire bocca. “È da parte tua? Grazie!”
“Sì, è per te, sì è da parte mia.” Ripetè paziente, non riuscendo a reprimere il divertimento quando cominciò a girargli attorno eccitata come una bambina. “Dovresti evitare la Legimanzia con un Occlumante. Rischi un’emicrania.”
“Sciocchezze, non stavi neanche tentando di nasconderlo, sei troppo compiaciuto!” Ribattè mostrandogli la lingua. “Che cos’è?” Gli prese la scatola dalle mani e cominciò a disfarla con efficace decisione. “Il mio compleanno non è adesso, lo sai sì?”

“Non ho bisogno di un compleanno per farti un regalo spero.” Rispose senza pensarci troppo e fu sorpreso quando Lily lo guardò di sbieco ed arrossì.
… perché?
“Naturalmente non ti serve. Amo essere ricoperta di regali!” Replicò e Sören pensò di esserselo sognato.
 
Un ragazzo che ti faceva un regalo era sempre una cosa carina. Un ragazzo come Sören, che era capace di dormire con una ragazza tutta la notte senza per questo metterle neanche troppo accidentalmente le mani addosso era da sposare.
Il mio cavaliere. Beata chi se lo prende.
Non quella Gillespie però, eh.
Oltretutto quella mattina  non aveva i suoi soliti muri addosso; forse perché era sveglio da poco, forse perché la sera prima si era sfogato dopo settimane di repressione emotiva e calci nel sedere.
Qualsiasi cosa fosse, Lily gli leggeva nello sguardo quanto fosse felice di averla lì. E le piaceva, la cosa. Anche troppo, Rossa.
Diede uno strattone alla ceralacca della scatola e fece quasi saltar fuori il regalo; lo prese tra le dita, incuriosita. Era un cerchio fatto di fili intrecciati, contornato di piume di quella che sembrava un’aquila e pezzi di legno e perline. Era particolare e aveva un’aria … magica.
Sören parve intuire la sua confusione. “È un acchiappa-sogni.” Le si affiancò. “Ha una storia curiosa … è di origine indiana, forse di una delle tribù del nord-america. Gli indiani hanno tentato di convincere i Babbani che sia poco più che un insegna o una decorazione, ma nella cultura americana ha preso tutt’altro ruolo.”
“Acchiappa i sogni?” Intuì.

“Secondo i Babbani sì. La rete all’interno del cerchio di legno serve ad intrappolarli e se buoni, a mandarli verso il filo di perline.” Lo seguì con un dito, mostrandogli la fila di pietruzze colorati e lucenti.
“E quelli cattivi?”
“Nelle piume di aquila. Non li fanno uscire e scompaiono alla luce del giorno.” Fece un mezzo sorriso. “Magari è una leggenda sciocca, ma non trovi sia simile a quello che succede quando estraiamo i ricordi per vederli in un Pensatoio? Ho pensato che un guardiano simile potesse esserti utile.”
Lily sentì qualcosa pungerle negli occhi e potevano benissimo essere lucciconi; Sören non aveva preso sottogamba quello che gli aveva detto. Sören non gli aveva fatto un regalo carino che poteva sfoggiare.

Sören le aveva fatto un regalo per proteggerla.  
Cavolo, se è da lui.
Ripose l’acchiappasogni nella scatola e si voltò per abbracciarlo stretto. Era bello sentirlo subito ricambiare senza esitazioni. Non ci fu comunque bisogno di ringraziarlo, perché Sören non era uno scemo, capiva. La capiva.
“Si intona alla perfezione con i colori della mia stanza.” Ridacchiò per darsi un tono, anche se non servì a granchè dato che l’altro gli passò il proprio fazzoletto con l’aria di chi non se l’era bevuta. “Comunque non è una scusa per mollare i nostri allenamenti, vero?”
Sören scosse la testa. “No.”  Inarcò un sopracciglio in una maniera che segnalava piuttosto chiaramente quanto dietro la cortesia e gentilezza da cavalier servente ci fosse anche altro. “Sei talmente testarda che non avrei il coraggio di lasciarti nelle mani di Dionis.”
“Sono testarda con chi è più testardo di me!” Replicò, serrandosi poi la scatola al petto. “Ma grazie. Davvero.”

Sören le sorrise. “Non c’è di che.”
Lily abbassò lo sguardo per prima, intuendo che non era il caso di rimanere fermi a guardarsi in silenzio. “Allora … ci vediamo.” Si schiarì la voce. “E non andartene da nessuna parte.”
“No, resto qui.” Rispose tranquillo. “Almeno fino alla scadenza del mio visto.”
“Troveremo il modo per farti riavere quell’indagine.” E di questo era sicura, inequivocabilmente tale.

In fondo servirà a qualcosa che sia la figlia del capo dell’Ufficio Auror, no? Pressioni, ricatti emotivi?
Morgana, come mi sento Serpeverde.
Tom e Al sarebbero stati fieri di lei. Sören in compenso fece una smorfia. “Lily, non voglio che tu vada da tuo padre e gli chieda di farmi di nuovo entrare in squadra.”
“Ma…”
“Non è così che voglio lavorare.” La fermò. “Voglio lavorare al caso perché i miei superiori pensano che sia la persona adatta, non perché qualcuno ha fatto delle pressioni.” Scosse la testa. “Apprezzo l’idea, ma preferirei tu non lo facessi. Troverò un altro modo per riprendermelo.”
Onesto e retto Ren …

C’era qualcosa di adorabile, irritante e insieme affascinante nel modo in cui l’altro non era disposto a scendere a compromessi. In ogni caso, era una cosa che rispettava. “Va bene.” Annuì. “Ad Hogwarts saresti stato un perfetto Tassorosso, sai?”  
L’altro aggrottò le sopracciglia, ma si rasserenò al cambio d’argomento. “Mi risulta che la tradizione vuole che certe famiglie finiscano tutte nella stessa casa, e i Prince erano tutti a Serpeverde.”
“Beh, mica detto, guarda mio fratello Al! Tutti Grifondoro e lui il ragazzo immagine di Serpeverde!” Scosse la testa. “Fidati, sei un Tasso.”
Sören scosse la testa, facendo per dire qualcosa, ma fu interrotto dallo squillo secco del proprio cellulare. Lo prese dallo scrittoio e gli lanciò un’occhiata che non riuscì a decifrare.

Ed ecco tornati i muri.
“Devo rispondere, è Ama.”
Ama. La chiama per nome ed è una sua superiore?

Milo quindi aveva ragione: c’era del tenero e forse non era unilaterale.“Niente di preoccupante, vero?”
Scosse la testa con un lieve sorriso. Era contento della chiamata? “No, credo voglia solo assicurarsi che stia bene. Il messaggio di ieri non deve averla convinta.”
Era contento della chiamata.
“Fa’ pure!” Esclamò con entusiasmo. “Devo andare comunque, sul serio, prima che mi diano per dispersa e non è proprio il caso che accada, ti pare? Ti chiamo questo pomeriggio per decidere un piano d’azione e anche il prossimo allenamento. Salutamela!” Non gli diede il tempo di rispondere che infilò la porta e tirò dritto per le scale.
Wow, non avevo mai detto tante parole senza respirare. Imbarazzante. L’ho praticamente aggredito.
Riflettendoci, avrebbe dovuto essere grata all’agente americana di averle dato modo di congedarsi senza indugiare troppo nello strano imbarazzo che si era insinuato nelle ultime battute della conversazione.
Non le era grata per niente.
 
Sören rispose al telefono con la distinta sensazione che qualcosa di poco piacevole fosse accaduto. Certe sensazioni facevano parte del suo lavoro.
Anche quando non sono in servizio.
“Ama.” Salutò comunque cercando di suonare cordiale. “Buongiorno.”
L’altra fu veloce a sospirare segnalandogli come non si fosse sbagliato. “Ehi. Come stai?”

“Bene … meglio.” Si corresse. “Va meglio.”
“Hai già fatto colazione? Perché sto uscendo adesso dal Ministero ed avrei bisogno di parlarti.”
“A proposito del caso?” Non ci girò attorno. Lui e Ama non avevano il tipo di rapporto che portava ad offrire inviti a colazione tanto naturalmente.

Specie visto ciò che è successo alla festa per la tua partenza.
“Sören, mi dispiace … so che hai bisogno…”
“Ama, non c’è problema, se posso collaborare lo faccio volentieri.” La fermò perché era stanco di esser trattato con la delicatezza riservata ad un malato terminale. Lily era l’unica che non l’avesse fatto.

Mi ha picchiato.
Sorrise al ricordo. Concordarono così un punto di ritrovo e di trovarsi sul posto di lì a mezz’ora. Chiusa la chiamata sospirò; aveva bisogno di una doccia, vestiti puliti e di tutta la calma che Lily gli aveva lasciato.
 
****

Diagon Alley, mattina.
 
Ama aveva sempre adorato sua madre; nonostante la morte di suo padre e il dolore che ne era conseguito era riuscita a tirarla su da sola, lavorando al tempo stesso per farsi un nome all’interno del Dipartimento che non fosse la vedova Gillespie. Ama era fiera di essere la figlia di Eleanor Gillespie e non avrebbe cambiato quel titolo per nulla al mondo.
Per questo non riusciva a non provare disagio all’idea di interrogare Sören a proposito di Sophia Von Hohenheim.
Si tratta di sua madre, dannazione.
Lo vide arrivare alla caffetteria a cui avevano deciso di darsi appuntamento in perfetto orario; era sempre strano vederlo in borghese. Lo faceva sembrare più giovane.
E vulnerabile.
“Ciao.” Salutò impacciata, maledendosi per essere rimasta in uniforme. Ricordava ancora le parole di Lily Potter e per quanto fossero state seccanti, contenevano verità.
Non vorrà vedere un’uniforme.
Nonostante le sue supposizioni, Sören le sorrise tranquillo. “Vogliamo sederci?”
Scelsero così uno dei tavoli fuori e l’altro le scostò la sedia con un gesto naturale.

“Ti hanno mai detto che sei l’unico mago della nostra età a farlo?” Ironizzò e fu contenta di vedere un lampo divertito nello sguardo dell’altro.
“Sì, più volte, ma non mi importa … Mi è stato insegnato che una donna merita certe attenzioni.” Replicò prima di sedersi accanto a lei. Non guardò il menù e tirò invece fuori le sigarette, accendendosene una.
Ama capì che non aveva intenzione di aspettare così andò dritta al punto. “Abbiamo fatto delle indagini su tua madre …” Non vi furono reazioni particolari e sperò che fosse un buon segno.
“ … ho bisogno di farti delle domande. Se non ti senti a tuo agio, lo capisco e…”
“Come ti ho detto, voglio collaborare.” La stupì. La stupiva sempre notare quanto l’altro fosse in controllo della propria emotività, ma in quel momento sembrava davvero tranquillo. Rassegnato, in parte, ma non gli si agitava nulla nello sguardo, nulla che parlasse di sofferenza.

Cos’è riuscita a fare Lily Potter?
Era invidiosa: chiunque riuscisse a dare serenità ad un uomo in quel modo doveva essere una strega ambita.
“Temo però di non poterti essere di grande aiuto.” Soggiunse dando un tiro alla sigaretta e buttando il fumo dal lato opposto al suo. “Io e mia madre abbiamo vissuto vite parallele finchè non è …” Si fermò e fece una smorfia. “… finchè non ha finto la sua morte.”
“Avevi dodici anni, vero?”
“Sì, ero studente a Durmstrang.” Annuì. “La notizia della sua morte non mi colse impreparato … era ammalata da tempo. Mio zio diceva che la mia nascita aveva indebolito la sua salute.”
Quel figlio di puttana gli dava la colpa della malattia di sua madre?!

Si controllò a stento mentre l’altro continuava. “Certo, adesso mi chiedo se fosse vero o fosse solo una messinscena per preparare la sua sparizione.” Girò un paio di volte l’anello che aveva al dito; glielo aveva visto far spesso durante i casi più ostici e doveva essere il suo modo di tenere le mani occupate. “Dopotutto l’unico modo per sfuggire al controllo di mio zio e ai tentacoli della Thule era la morte.”
“Frequentava John Doe quando eri bambino?”
Sören aggrottò le sopracciglia. “Johannes era sempre in casa nostra, ma mia madre aveva un’intera ala del castello dedicata solo a lei e non usciva mai. Era raro che avesse contatti ad eccezione dei Guaritori e delle sue cameriere.”
“Adesso però stanno lavorando assieme.” Gli fece notare, indicando con un cenno la propria ordinazione alla cameriera. Sören ordinò un caffè allo stesso modo e ripresero a parlare non appena la ragazza se ne fu andata. “Collaborando, almeno.”
“Sì, ma non so quali siano i rapporti tra loro due … non li ho mai visti assieme.”

Ama si morse un labbro: doveva immaginare che Sören non avesse molte informazioni.
Non pensavo però così poche.
“Tua madre è mai sembrata interessata alle attività di tuo zio?”
“No. Come ho detto, usciva di rado dai suoi appartamenti.” Schiacciò la sigaretta nel posacenere quando arrivò la colazione e attaccò il bricco del caffè senza toccare il resto. “Mio zio non permetteva scendesse quando avevamo ospiti.”
“Perché?”

La guardò preso in contropiede prima di realizzare qualcosa e sorridere amaro. “Odiava non avere controllo sulle persone che lo circondavano e mia madre…” Si lasciò andare sulla sedia, fissando assorto la tazza di caffè scuro. “Aveva un’indole drammatica. La mettevano in crisi le piccole cose … mio zio sosteneva che la malattia avesse minato anche la sua psiche.” Scosse la testa. “Anche questa poteva però essere benissimo una recita. Comunque, non voleva averla attorno.”
“Ma tu potevi visitarla, vero?” Quella non era una domanda pertinente al caso ma non era riuscita a frenarsi dal farla.  

“Potevo, sì.” E non aggiunse altro. Ama capì che non era il caso di scavare in quella direzione e cambiò strada.
“Pensi che sappia che sei il paziente zero?”
“Dubito. Immagino sappia degli esperimenti che mi sono stati fatti, ma non credo sappia quali.”
“E il Camaleonte?”
“Era un tirapiedi. Alto nella scala gerarchica perché era alle dirette dipendenze della mia famiglia, ma un tirapiedi, nient’altro. Non ha mai capito nulla di Alchimia o Magia Oscura.”
“Quindi come hanno trovato le ricerche del siero?”
“Non ne ho idea.” Rimase pensieroso per poco prima di rispondere; era evidente che quella domanda se la fosse già fatta. “Immagino che abbia avuto accesso a parte di esse quando mio zio era ancora vivo e le abbia trafugate.” Fece un sorriso sarcastico. “Sarebbe da lui.”
“Quindi credi che ci sia qualcuno ad aiutarli?”

“È probabile. Johannes non è un leader, è un gregario. Ha bisogno di qualcuno da seguire e se mia madre non ha le conoscenze operative va da sé che le hanno cercate altrove.”
“Dove?”
“Non lo so.”

Ama rimase in silenzio assorbendo le informazioni che aveva appena ricevuto. Alla fine sospirò. “Dovremo metterti sotto sorveglianza … per la tua stessa incolumità.” Aggiunse quando lo vide adombrarsi.  
Sören la guardò poi così lungo che fu costretta a frenare la lingua per non chiedergli di piantarla. Riusciva a metterla in imbarazzo come pochi maghi al mondo. “Sì, lo capisco.” Disse infine bevendo un altro sorso di caffè. “Vi comunicherò i miei spostamenti giornalieri ogni mattina.”
“Perfetto.” Convenne passandogli il taccuino; aveva capito che prima diceva le cose all’altro meglio era. “Intanto inizia da quelli di questo pomeriggio.”

Sören battè le palpebre, poi fece un mezzo sorriso. “Grazie.”
“ … per cosa?”
“Per preoccuparti.” Sembrò imbarazzato quanto lei mentre prendeva la penna cominciando a scrivere. “So che ieri facevi parte delle ricerche, me l’ha detto Lily.”
“Non volevo ti mettessi nei guai.” Rispose brusca. Ancora quella ragazzina di mezzo. Decise di giocare in attacco, perché era ciò che era più brava a fare. “È lei, vero? La strega di cui sei innamorato.”
Sören alzò lo sguardo di scatto, con un’espressione di puro panico dipinta in volto. “Chi te l’ha detto?”
Mio Dio, è così trasparente.

“È chiaro da come ne parli.” Scrollò le spalle. “E dal fatto che ieri mi ha quasi Schiantata quando le ho detto di farsi da parte.”
Vederlo avvampare fu la capitale conferma. A volte le sembrava di avere a che fare con un ragazzino ai primi anni di scuola e non con un ex-sicario di un’organizzazione spietata. Forse, da un lato, era così.

“È fidanzata con un ragazzo di Glasgow.”
Oh.

Quella era la prima buona notizia della giornata. “Mi dispiace.” Dissimulò. “Non hai mai provato a dirle cosa provi?”
Sören sembrava stare sui carboni ardenti, ma doveva essere ancora in modalità interrogatorio dato che le rispose automaticamente. “C’è troppa storia tra di noi … A volte le persone che desideri non sono quelle giuste per te. E viceversa, tu non sei giusto per loro.”

“Sì, conosco la sensazione.” Era la prima volta che parlavano così apertamente e Ama pensò che non era male. Erano entrambi persone chiuse, non c’era dubbio, ma Milo aveva ragione: si somigliavano. “Quindi progetti di rimanerle fedele fino alla fine dei tuoi giorni?” Sapeva di non aver peli sulla lingua ma sembrava che quel tipo di approccio funzionasse con la ritrosia naturale dell’altro.
“In che senso?”

“Non parlo di rapporti occasionali … parlo di una relazione vera, con qualcun altro. Non dirmi che non ci hai mai pensato!”
Sören la guardò esitante. “Per essere in una relazione bisogna essere innamorati della persona con cui la si ha ed io…”
“Sì, questo l’ho capito.” Lo bloccò. “Ma le relazioni si costruiscono giorno per giorno. Anche iniziando da un primo appuntamento.”

Forse non era il momento adatto per tirar fuori quel genere di idee. O forse sì; distrarlo dalla sua situazione era la cosa migliore da fare, quello che avrebbe dovuto fare un’amica.
Ed io non sarò la tua Lily, ma non sono poi da buttare.
Quando vide che il messaggio non era giunto a destinazione, sbuffò. “Prince, ti sto chiedendo di uscire.” Un ennesimo rifiuto sarebbe stato umiliante, ma non era mai stata tipa da arrendersi alla prima difficoltà.
L’altro la guardò come se fosse appena sceso da un albero dopo una piena durata anni. “Ma la sera della mia partenza hai detto …”
Uomini.
“La sera della tua partenza ero ubriaca e mi avevi appena rifiutata. Avevi colpito il mio amor proprio.” Gli fece notare pragmatica. “Pensi che a qualcuno del Dipartimento importerebbe se uscissimo assieme? Basta che non lo sbandieriamo ai quattro venti.” Inarcò le sopracciglia sentendo il cuore battere spiacevolmente. “Certo, sempre che tu ne abbia voglia.”
Sören le piantò di nuovo addosso quei maledetti occhi scuri; forse in certi contesti era pure piacevole, ma al momento la facevano sentire una cretina. “Posso pensarci?” Le chiese. “Al momento non sono in grado di prendere decisioni sulla mia vita personale.”
Quello poteva capirlo. Annuì. “Non metterci troppo però. Non tutti hanno la tua tenacia nelle relazioni.”  

Sören le sorrise, alzandosi in piedi e scostandole la sedia per farla passare. “Te lo prometto.”
Era già qualcosa.
 
****
 
Londra, San Mungo.
Mattina.

 
“Dovrei essere lì dentro.”
Ted si rendeva conto di aver ripetuto quella frase almeno una ventina di volte negli ultimi dieci minuti, ma non riusciva ad impedirsi di farlo. Fortunatamente con lui, fuori dalla porta e in attesa che i servizi sociali finissero di parlare con Benedetta, c’era una persona che sembravano capir bene la sua ansia, e per questo lo lasciava giustamente cuocere nel suo brodo. Sua nonna.

Lanciò quindi un’occhiata alla strega, che pareva persa nei suoi pensieri. “Nonna, quanto pensi che ci metteranno?” Mugugnò regredendo definitivamente allo stadio di un cinquenne fastidioso.  
“La valutazione psicologica di un bambino può essere lunga, specialmente se riguarda una bambina timida come Ben. Non mi è sembrata una chiacchierona.” Osservò pacata. “E no ragazzo, per la ventesima volta, non potevi entrare lì dentro. Devono valutare come ha reagito a quello che ha passato e come sta affrontando le novità e devono farlo senza una persona che possa influenzarla.”
“Ha solo sei anni.”
“Quindi sa parlare.” Gli fece notare stringendogli il polso con affetto; era grato che fosse venuta a tenergli metaforicamente la mano. Si rendeva conto di non farcela da solo, e lo realizzava ogni volta che James andava al lavoro.

Sono davvero così debole?
Non aveva mai reagito bene alle situazioni inaspettate e tutta quella faccenda l’aveva colpito come un fulmine a ciel sereno. Cercare aiuto negli altri non gli sembrava sbagliato ma, ancora, le sue percezioni erano completamente fuori assetto.
“Dovrai pensare a costruirle qualcosa di simile alla Stamberga Strillante.” Lo riscosse. “Per i giorni di Plenilunio.”
“È ancora piccola … la sua forza e resistenza non sono quelle di un Mannaro adulto.” Obbiettò. “Per adesso basterà una porta molto robusta e sbarre alle finestre.” Fece una smorfia. Non gli piaceva l’idea di rinchiudere una bambina così piccola in un luogo simile ad una prigione, per quanto avrebbe fatto di tutto per non farlo sembrar tale. “Con James abbiamo pensato di usare delle barriere magiche, ma i Mannari sono piuttosto resistenti alla magia e c’è il rischio che non reggano.”

Sua nonna annuì. “In quella casa enorme avete abbastanza stanze per darle sia una camera sia un rifugio.”
“Sì, non è il caso che sia lo stesso posto. Non voglio che pensi che …” Scosse la testa, passandosi una mano trai capelli. “… non so neanche come Lunastorta gestiva il Plenilunio con lei.”
“Le stava vicino, probabilmente.” Fece un sorriso breve, dandogli un’altra stretta al braccio. “Alla fine è tutto qui, ragazzo. Ben ha bisogno di qualcuno che le voglia bene.”
“Lo so.” E già gliene voleva. Era terrorizzato dall’intera faccenda, ma non riusciva a non sentire una piccola stilla di felicità all’idea di non essere più l’unico Lupin rimasto al mondo. Ben condivideva con lui parte dei geni di suo padre.  

Riuscirò a farlo bastare per esserle utile?
Guardò lo Specchio Comunicante per vedere se dall’ultimo messaggio che si era scambiato con il compagno era arrivato altro.
Starà lavorando, piantala di fare la mogliettina ansiosa.
James era una roccia in mezzo ad un mare in tempesta e non riusciva a farne a meno.
Ed ha il suo lavoro e i suoi doveri. Falla finita.
Sua nonna, non volendo, indovinò il percorso dei suoi pensieri. “Jamie passa?”
“Se riesce … a quanto pare hanno cambiato l’agente di collegamento americano, sai, per il caso congiunto a cui stanno lavorando.”
“Quello che occupa perennemente la prima pagina del Profeta? Il Demiurgo? Il caso dell’anno.” Rispose con un sorrisetto. “C’è da non crederci … non avrei mai pensato che quella zucca vuota avrebbe finito per diventare un membro responsabile della nostra comunità.”
“James è sempre stato una persona responsabile.” Ritorse protettivo. “Per le cose importanti.”
Sua nonna sbuffò, dandogli una pacca sulla spalla quasi volesse concordare senza dirlo ad alta voce. “Sono contenta che ci sia lui.” Disse poi. “Vi fate del bene a vicenda, Teddy, ed è questa la cosa più importante … è quello di cui ha bisogno quella ragazzina.”

Ted le sorrise di rimando, stringendole la mano che gli aveva porto; sua nonna era un’eremita per indole e storia familiare, ma quando era il momento c’era sempre.
La porta della stanza di Ben si aprì e quando ne uscì fuori l’assistente sociale e Flynn Linn – presente come funzionario dell’ufficio Mannari – scattò in piedi e non se ne vergognò affatto.

“Professor Lupin.” Lo apostrofò l’uomo con un sorriso cordiale. Non riuscì comunque a tranquillizzarlo: non aveva mai visto di buon occhio quella figure, avendoci avuto a che fare un paio di volte ad Hogwarts a causa di qualche studente con una situazione familiare difficile. Quello di Assistenza Sociale era un ufficio sorto dopo la caduta di Voldemort e anche se in linea teorica era uno sportello per la gioventù in difficoltà, in pratica era spesso una spina nel fianco di Hogwarts e dei genitori. 
“Ben come sta?”
“Sta bene, Lupin, stai sereno.” Rispose Flynn con un sorrisetto. “È diventata una chiacchierona, eh?”
Ted sospirò di sollievo, felice che la bambina non si fosse bloccata di fronte ad uno sconosciuto, specie considerando che il suddetto doveva valutarne le capacità sociali.
“Benedetta è una bambina molto intelligente.” Disse l’uomo facendo sparire dentro la borsa una serie di pergamene. “Sono certo che imparerà in fretta la nostra lingua.”
“Significa…” Non voleva dirlo ad alta voce, diviso tra la speranza e il terrore che la portassero via.

“Voglio dire che, valutando il caso, il vostro grado di parentela, la situazione familiare che ha in Italia e il fatto che le si sia già affezionata, la scelta sensata è affidarla alle sue cure.” L’uomo fermò il suo tentativo di ringraziarlo alzando una mano. “Questo non significa che la procedura d’adozione sarà immediata. Ci sarà un mese di prova, dove vi visiteremo settimanalmente, concordando un giorno e con la possibilità di visite a sorpresa. Nei prossimi giorni, con l’aiuto della Dottoressa Flynn, eseguiremo una perizia sulla vostra casa e i dintorni, per essere sicuri che sia l’ambiente ottimale per far crescere Benedetta.”
“Certo, non c’è problema.” Fu veloce ad assentire. Avrebbe tollerato persino uno di quei funzionari insopportabili perennemente in soggiorno pur di portarla a casa. “Significa che … posso portarla con me?”

“Non appena il San Mungo deciderà per le sue dimissioni.” Convenne il mago. “Si ricordi di concordare l’appuntamento con il nostro ufficio per questa settimana.”
Si salutarono e Flynn, prima di andarsene lo prese da una parte. “Splendore, lo sai che adesso devi spiegare alla piccoletta perché viene a casa con te, vero?”
“Sì, ovvio e…”
“Devi dirgli di suo padre.”
Non c’era accusa nel tono della strega ma era chiaro che si era aspettata di vedere Benedetta già informata. Inspirò, annuendo. “Sì, avrei dovuto dirglielo, ma ho passato tutto ieri a venire a patti con il fatto che la avrò nella mia vita da oggi in poi.” Fece un sorriso mesto. “Mi sto comportando come un idiota, me ne rendo conto.”
“Nah, come un padre novello.” Gli strizzò l’occhio. “Ricordati solo che non devi mirare a sostituire tuo fratello, okay?”

“Okay.”
Ora viene la parte più difficile.

Avrebbe voluto essere miglia da lì, ma l’istinto di correre via non poteva fermarlo dal fare quel che era giusto. Non più. Sua nonna gli si avvicinò una volta che entrambi i ministeriali furono andati via. “Vuoi che venga dentro con te?”
Scosse la testa. “No, è una cosa che devo fare da solo. Ho tergiversato troppo a lungo … è ora che Benedetta abbia le sue risposte.”

 
****
 
Londra, Ministero della magia, Dipartimento di Cooperazione Magica Internazionale
Ufficio Internazionale della Legge Magica, Ora di pranzo.
 
Michel sobbalzò quando sentì un discreto bussare alla porta. Considerando che i suoi nervi erano di nuovo  in uno stato pietoso, avrebbe dovuto aspettarselo.
“Avanti.” Disse la sua collega senza preoccuparsi dell’occhiata linciante che le lanciò; ormai aveva imparato ad ignorarlo come un ragazzino fastidioso ed umorale.
E non ha tutti i torti, mio buon Mike.
“Permesso!” Salutò Albus. Lo sorprese: non si sarebbe aspettato una sua visita a breve, considerando che l’aveva ignorato doverosamente dopo l’ultima chiamata ricevuta. “Buongiorno Hilary!” Salutò con un gran sorriso la megera, che come al solito pareva felicissima di potersi rifare gli occhi su uno dei suoi amici.
Loki, Sy e Al … Le piacciono giovani.
“Ciao Mike.” Lo salutò infilandosi le mani nelle tasche con aria imbarazzata. Doveva aver intuito che la chiamata fatta per Prince era il pomo della discordia, ma sapeva alla perfezione come ammorbidirlo; lo dimostrava il fatto che per una volta si fosse vestito in maniera coordinata e fosse entrato con l’espressione più adorabile del suo repertorio.
Piccola serpe manipolatrice …
“Sono occupato, hai qualcosa da dirmi?” Replicò sostenuto, che un minimo di dignità doveva mantenerla.  
“Sì, chiederti scusa.” Andò subito dritto al punto, sedendosi di fronte alla scrivania. “Mi rendo conto di aver oltrepassato una linea con la chiamata per Sören e … scusa?” Si morse appena un labbro. “Lo sai come divento quando viene messa in mezzo la mia famiglia.”
“Da quando Prince è parte della tua famiglia?”

Si strinse le spalle. “È parte di quella di Tom.”
Già. Dovevo immaginarlo.
“È vero, sono cugini.” Asserì distratto, fingendo che i documenti sulla sua scrivania avessero tutta la sua attenzione. Era improbabile che l’amico ci credesse, ma tanto valeva mantenere la facciata.
Beh, visto che ci sei e Al sembra tanto informato su Prince … Sfrutta la cosa, dopo pranzo deve chiamarti Ethan Scott.
“Tom finalmente lo ha riconosciuto come tale?” Chiese quindi.
“Dice di no, ma secondo me sì.” Fece un mezzo sorriso. “Si preoccupa per lui … a modo suo, ovvio, però ne è incuriosito. E sai com’è Tom quando diventa curioso…”
“Di solito qualcuno rischia la propria incolumità…”

“Piantala!” Ridacchiò, rilassandosi sullo schienale della sedia. “Anche Sören comunque … beh, lo pensavo una persona un po’ diversa. È più portato al contatto con le persone di quanto credessi. Si è fatto amico Scorpius…”
“E di chi non è amico Scorpius?”
Al fece spallucce. “Sì, ma anche il resto della squadra lo ha preso a benvolere, così come mio padre. Persino Jamie pare esserci rimasto male quando è stato estromesso dal caso.” 

Michel alzò lo sguardo dalle carte. “A questo proposito, come sta reagendo alle notizie?”
“A parte il fatto che è scappato per quasi dodici ore? Lily dice che è scosso, ma che ha deciso di rimanere e riprendersi il caso.”
“Davvero?”

Al annuì. “Pare che l’abbia presa molto sul personale.” Si strinse nelle spalle, giocherellando con i lacci della felpa monocromatica che indossava – un po’ larga, quindi certamente di Tom. “È comprensibile … del resto è coinvolta sua madre che si è finta morta per anni.”
“Per questo motivo dovrebbe starsene lontano.”

Al scosse la testa. “Per questo vuole rimanere.” Inarcò le sopracciglia. “Ma tu queste cose, come suo collegamento ministeriale, non le sai?”
“Io e Prince abbiamo rapporti strettamente professionali.” Replicò tranquillo. “Non siamo amici … di certo non si confida con me come può farlo con tua sorella.”
Al fece una smorfia, grattandosi la nuca con aria pensosa. “Sono tornati ad essere fodero e bacchetta, quei due …”
“Sviluppi romantici in vista?”

Certo che Prince è monotematico … e a quanto pare, anche la piccola Potter.
“Nah, Lils è pazza di Scott.” Lo liquidò per poi alzarsi in piedi e battere leggermente le nocche sul tavolo. “Dai, basta chiacchiere … ti porto a pranzo fuori!”
“Ho da…”
Al si esibì in uno di quei suoi sorrisi radiosi, da dipinto preraffaellita a cui era assolutamente impossibile resistere, almeno per quanto lo riguardava. “Non accetto un no come risposta.”
“Sei fastidioso.” Riuscì a borbottare prendendo la giacca e facendo cenno alla propria collega che usciva. “Perché mi circondo di gente fastidiosa?”

Lo prese a braccetto e gli mostrò la lingua. “Mi pare ovvio. Perché adori essere infastidito.”
 
Albus sapeva come ammorbidirlo. Portarlo nel suo bistrot preferito nella Londra Babbana e ottenere il tavolo migliore grazie ad una serie combinata di sorrisi e occhiate incantevoli al proprietario per poi annunciare che il pranzo era offerto da lui … beh, era avere in mano la chiave del suo cuore.  
“Sai come viziarmi pulcino.” Dichiarò vinto mentre spiegava il fazzoletto sulle ginocchia. “Sei perdonato.”
Al non nascose la sua soddisfazione. “Sono stato bravo, eh?”

“Sei un manipolatore nato e ne rivendico la paternità.”
“E ne hai tutto il diritto” Gli sorrise squadernando il menù. “Dai, ordina tutto quello che vuoi!”
“Posso ordinare te?” Lo stuzzicò ed era divertente vederlo avvampare nonostante tutti gli anni di indefesso e infruttuoso corteggiamento.

Quando si dice avere il cuore da un’altra parte … Dursley lo tiene ben stretto nelle sue grinfie.
Ma era una cosa con cui era venuto a patti da tempo, e non faceva più così male. Al si schiarì la voce, lanciandogli poi un’occhiata di sottecchi. “Come va con Milo?”
Fare una smorfia fu automatico. “Non ne ho idea …” Non gli andava di parlare di quello, ma non poteva biasimare Albus per essere curioso.
Gli hai fatto capire che sei preso da quel dannato idiota. E da quanto non eri preso così da qualcuno?
“… pensavo ci fossimo avvicinati ieri. Abbiamo passato il pomeriggio assieme e … abbiamo parlato.” Sfogliò distratto le pagine del menù. “Gli ho raccontato di mia nonna.”
“Non racconti a nessuno di tua nonna!” Aggrottò le sopracciglia. “Neanche a me.”
Michel sbuffò. “La tua gelosia è deliziosa quanto sospetta pulcino, ma sì, è vero.” Si sentiva uno sciocco ad essersi lasciato andare; Milo non aveva neanche pensato di ricambiarlo, preferendo scappare per andare a cercare quella spina nel fianco che era Prince. “Ho seguito quel tuo stupido consiglio… sull’aprirmi quando sentivo che avevo davanti la persona giusta. Non ha funzionato.”  

Al lo sguardò con aria stupita. “Sì, sembra proprio una cosa che direi … ma quando te l’ho detto?”  
“Quando pensavi che fossi innamorato di Mael.”
“Ma è stato anni fa!”
“Ho una buona memoria.” Ritorse imbarazzato.

Sì, mi ricordo dei consigli che mi dai anche se sembra che non ti ascolti. Stupido Potter.
Al gli sorrise, per fortuna senza dir niente. Apprezzava la sua capacità di esser discreto talvolta.
Raramente.
“E quindi?” Lo incalzò sorseggiando il vino poco convinto: non l’avrebbe mai portato nel meraviglioso mondo dell’alcool Babbano, purtroppo. Al era nato e sarebbe morto mago. “Lui che ha fatto?”
“Mi ha ascoltato, non ha ricambiato.”  
Al rimase in silenzio per qualche attimo e quando arrivarono le portate fissò la propria ordinazione con ancora più concentrazione. Non si rendeva conto di aver ormai assunto la stessa capacità di Dursley di sembrare inquietante quando era assorto. “Devi insistere.” Se ne uscì infine. “Deve aver avuto una storia personale assurda, se è finito a fare da assistente a Sören. E prima ancora era uno dei servitori di Von Hohenheim … voglio dire, non so cosa facesse prima, ma penso abbia imparato a tenersi stretti i suoi segreti. Non deve aver avuto una vita facile.”
Da stella dei teatri a sguattero … Direi proprio di sì.

Bevve un sorso di vino. “Per questo non vuole parlarmene. Non crede ne valga la pena, forse.”
“Le decisioni altrui non sono mai definitive … è una questione di ammorbidire la sua volontà, no?” Fece un sorrisetto furbo. “E tu sei un corteggiatore straordinario, mio buon Mike.”
“Se si tratta di portare qualcuno tra le lenzuola.” Ammise sentendosi carente ed odiando la sensazione. “L’unica persona che ho tentato di corteggiare seriamente è finita nelle braccia di un sociopatico.” Frecciò. Al per tutta risposta gli mise una mano sulla sua e strinse la presa, guardandolo con occhi pieni di affetto e facendolo sentire ridicolo e vulnerabile al tempo stesso. “Mike, sei una persona meravigliosa. Milo si deve ritenere un uomo fortunato ad avere la tua attenzione … e se ancora non lo capisce, lo capirà. Dimostragli che può fidarsi di te.” Gli lasciò una mano e dedicò la sua attenzione al piatto. “Corteggialo sul serio.” Inarcò un sopracciglio. “Michel Zabini è o non è la definizione vivente di charmant?”

 
Albus aveva ragione. Michel, tornato dal pranzo e dalle chiacchiere che si erano fatte poi più frivole, rifletteva su quanto gli era stato detto. Doveva corteggiare quel maledetto tedesco cocciuto. Non avrebbe ottenuto niente, neppure nel lungo periodo, se non gli avesse dato ad intendere che le sue intenzioni erano serie.
Lo sono davvero? Con un Magonò?
Era quello che gli avrebbe detto suo padre. O meglio, era quello che gli avrebbe ordinato di non fare Blaise Zabini per non gettare imbarazzo sulla loro famiglia.
Perché i matrimoni continui, i tradimenti e i figli illegittimi invece danno prestigio, vero?
Fece una smorfia sedendosi alla scrivania; no, non avrebbe lasciato che la sua sin troppo spesso ipocrita educazione avesse la meglio su quello che voleva.
Ed io voglio Emil. Emil e i suoi segreti.
“Zabini, c’è una chiamata via fuoco magico per lei.” Lo avvertì uno dei Fuochisti. Doveva aver bussato ma era talmente assorto da non averlo sentito. “Dall’America.” Aggiunse. 
Ethan Scott. Puntuale.
A volte se ne dimenticava; varcata la soglia di quell’ufficio quello che voleva doveva esser messo da parte. Momentaneamente.
 
****
 
San Mungo. Pomeriggio.
 
James non aveva mai capito se era lui ad esser bravo coi ragazzini, o erano i ragazzi a riconoscerlo come suo pari – secondo Lily la seconda opzione era quella valida. Ad ogni buon conto Benedetta era una bambina, e non aveva quindi trovato difficile connettere con lei quando finalmente erano riusciti a parlare la stessa lingua; un paio di giocattoli e svariate marche di dolciumi avevano portato ad un bel po’ di chiacchiere e sorrisi nelle ore che era riuscito a ritagliarsi dal lavoro per venirla a trovare.
Ma una cosa era rimpinzarla di dolci e farla ridere facendo esplodere apposta un Mazzo Bum, un’altra era arrivare al San Mungo e scoprire che Ted le aveva detto di suo padre.
E che cazzo si fa in questi casi?
“Non riuscivo a farla smettere di piangere… alla fine si è addormentata.” Sussurrò il compagno, pallido ed esausto di fronte alla stanza, in attesa che l’infermiera del piano finisse la visita quotidiana.
James lo abbracciò d’istinto, sperando di non bagnarlo con il giubbotto fradicio di pioggia. Non che poi avesse così importanza visto come l’altro lo ricambiò con forza. “Ehi, nessuno si aspetta che tu possa consolarla su questa cosa, okay?” Borbottò contro la sua spalla. “L’importante è che non la porteranno via chissà dove. Che starà con noi e … tutto il resto. Si riprenderà.”
La sto imbroccando? Cazzo, sto dicendo cose che hanno un senso?
Perché era dalla sera in cui era morto il dannato Lunastorta che pregava Merlino di non dire cazzate.
“Non sono riuscito a dirle che verrà a vivere con noi, Jamie … Mi sembra assurdo dirglielo in questo momento. Ma devo.” Inspirò  staccandosi e guardandolo come se fosse il centro del suo mondo. Faceva un po’ girare la testa, ma non l’avrebbe deluso. “Mi daresti una mano? Con te parla volentieri.”
Certo, perché le racconto cavolate.

Il suo mestiere non era parlare ai ragazzini, era combattere maghi oscuri. Ma avrebbe improvvisato, decise. “C’è un modo giusto per dirglielo?”
Ted scosse la testa. “Se c’è vorrei tanto conoscerlo…”  
In quel modo non sarebbero andati da nessuna parte. Gli diede così una pacca sulla spalla ed inspirò coraggio assieme all’ossigeno. “Andiamo lì dentro e basta, okay? Qualcosa da dire ci verrà in mente … e guarda!” Mostrò una scatola di gelatine Tuttigusti più uno. “Ho i rinforzi!”
Tutta la sua convinzione si sciolse quando vide Benedetta, raggomitolata tra le lenzuola come la prima volta che l’aveva vista. Sperò di non essere tornati al punto di partenza, perché Ted non avrebbe retto, non una seconda volta. Si schiarì quindi la voce e si sedette sulla sedia accanto al letto. “Ciao pulce.” La apostrofòò con il nomignolo che le aveva dato durante la loro prima, vera conversazione. La bambina aveva gli occhi chiusi, ma a giudicare da come era sobbalzata appena non stava dormendo. “Ehi, mi dispiace per il tuo papà e … beh, so che non hai una gran voglia di chiacchierare…” Lanciò un’occhiata incerta al compagno e quello gli fece cenno di andare avanti. “… ma va bene, perché siamo noi a doverti dire una cosa. Basta che ascolti, okay?”
Un piccolo cenno di assenso lo rincuorò abbastanza da provare le prime parole che gli vennero in mente. Andar dritto al punto del resto era la sua specialità. “Il ragazzo, qui, ti ha detto che è tuo zio, giusto? Beh, indovina un po’ … verrai a vivere con lui e con me.”
Ben aprì gli occhi, avendo evidentemente assorbito l’informazione. “A casa vostra?”

“Ti aspetta una cameretta nuova di pacca, pulce.” Confermò prima di rilanciare. “Spero che ti piaccia il rosso, perché l’ho dipinta come piaceva a me.”  
“Il rosso è okay.” Quello che adorava dei ragazzini era la capacità straordinaria di riprendersi. Benedetta infatti si tirò a sedere squadrandoli con gli occhi spalancati. “E ce l’avete il giardino?”
Lui e Ted ridacchiarono, scambiandosi un’occhiata che praticamente urlava sollievo. Non si era reso conto di aver trattenuto il respiro fino a quel momento, e probabilmente lo stesso doveva esser per l’altro. “Abbiamo una  foresta, pulce.” Sogghignò. “Tutta da esplorare!”
“Non tutta.” Ribattè Ted scoccandogli un’occhiata ammonitrice. “Solo una piccola, sicura, parte.”
Ben non parve dargli retta. “Adesso?” Chiese invece suonando eccitata. “Possiamo andare adesso?”

“Non appena i Guaritori ci diranno che puoi uscire.” Vedendola rabbuiarsi Ted le passò una mano trai capelli. Era un gesto in cui era bravissimo e Ben parve goderselo tutto. “Solo un paio di giorni … promesso.”
“Okay.” Annuì, sembrando scivolare di nuovo nella malinconia. James però aveva ancora una carta da giocare per distrarla e quando tirò fuori la scatola di gelatine, ridotta in tasca fino a quel momento, Ben fu lesta a sgranare di nuovo quei suoi grandi, meravigliosi, occhioni. “Le gelatine!”

Non deve essere stata un granchè viziata. Beh, si può sempre rimediare.
“Sì nanetta, sono le gelatine di cui ti ho parlato.” Replicò mettendole la scatola in grembo e godendosi il modo in cui la fece a pezzi. “Pronta a provarle? Guarda che hanno davvero tutti i gusti.”
Benedetta scrutò la scatola con aria pensierosa e poi, coraggiosamente, prese una gelatina verde ficcandosela tutta in bocca. “Menta!” Annunciò e non c’era da sbagliarsi, era aria di sfida quella che aveva assunto. “Ora voi.”
… mi sa che non è la brava e educatissima bambina che Teddy pensa.
“Hai sentito Lupin? A te l’onore!” Ghignò tirandolo a sedere sul letto; non sapeva assolutamente nulla di stadi del dolore e come farli superare ad una bambina di sei anni – avrebbe chiesto a Lily - ma non stavano andando tanto male se Benedetta si era distratta a sufficienza dal riuscire a sorridere, no?
Ted doveva pensare la stessa cosa perché gli strinse la mano in mezzo alle lenzuola, in un grazie silenzioso. Poi prese una gelatina e se la ficcò in bocca rapido. La smorfia che fece fu eloquente. “ Il giallo avrebbe dovuto mettermi in allerta…” Mormorò. “… è cerume.”
James non aveva la minima idea se stessero agendo nel modo giusto, ma diversamente da Teddy, non passava tutte le notti a chiederselo. In fondo, Benedetta aveva bisogno di una famiglia.
E lo diventeremo, cazzo.
Era certo che fossero già sulla buona strada.
 
****
 
Da qualche parte nel Lancashire…
 
A volte capitava che la sua regina rimanesse troppo tempo chiusa in casa e questo esacerbava la sua naturale irrequietezza; vederla infatti con lo sguardo perso nella brughiera selvaggia che si stendeva al di là della proprietà era palese sintomo di quanto il suo animo fosse in tempesta.
Non aveva mai capito Sophia, nonostante l’avesse desiderata dalla prima volta che aveva posato lo sguardo sulla sua bellezza acerba e insofferente. Non capire i suoi desideri però non significava dover trattenere i suoi.
Saggiò quindi con le mani la vita esile, baciandole il collo e tastandone le pulsazioni con la lingua. Subito le dita sottili della donna gli strinsero una manciata di capelli, dandogli una scarica di delizioso dolore.
“Johannes, oggi non sono dell’umore.” Sibilò con un tono che era lo specchio di quello del defunto fratello: velluto sopra un maglio d’acciaio. “Non toccarmi.”
Per tutta risposta la voltò bruscamente, facendo collidere le labbra con le sue. Si aspettò il morso e rispose con altrettanta passione. Fu allontanato da una spinta e da uno sguardo che sprizzava irritazione come quello di un gatto feroce. “Ho capito.” Sogghignò facendo un passo indietro. “Chiedo scusa.”
L’altra fece una smorfia. “Hai notizie o sei venuto solo ad infastidirmi?”

“Vi ho portato notizie.” Confermò. “Siete dell’umore per ascoltarle?”
“Ti ascolto.” Ribattè allungandosi su una poltrona e facendo cenno verso il servizio da the. Obbediente le versò una tazza e gliela portò, sedendosi poi su uno sgabello vicino.
“Non tutte le cavie in nostro possesso hanno conclamato il virus.” Esordì. “Tuttavia, mi duole informarvi  che sono tutti positive ai marker della malattia. Sono i tempi di incubazione che variano … I Pozionisti pensano che sia dovuto alle capacità magiche che, come sapete, variano da persona a persona. Quello che è certo è che diventano contagiosi non appena la malattia si conclama.”
“Non mi porti nulla di risolutorio, quindi.” Riassunse per lui, sorseggiando la bevanda. “Non abbiamo ancora un modo per rendere il Demiurgo stabile.”   
“No, mia signora.” Confermò con un sospiro impaziente; aveva lavorato giorno e notte per recuperare le cavie e portarle in quel buco perso nella campagna inglese. Il tutto con i dannati auror alle calcagna.

E con il fiato dei nostri benefattori sul collo…
Non avrebbe mai pensato che avrebbe finito per rimpiangere Von Hohenheim e le sue manie di segretezza e controllo: agire in prima linea era ben più faticoso.
E pericoloso.
Sentì la mano della sua donna sfiorargli il viso. “Povero il mio giullare… Non sorridi più?” Lo vezzeggiò con un sorriso sarcastico. “Lasci il mio letto freddo, la notte. Quanti pensieri devi avere…”
“Se non riusciamo a stabilizzare il siero in tempi brevi finiremo le scuse con cui tener buoni i nostri clienti … Stanno diventando impazienti.” Sbottò alzandosi in piedi e prendendo a marciare per il salotto. “… e non sono maghi che amano veder le proprie camere blindate alleggerirsi.”
“Hai sentito il nostro caro amico americano?”

“Non ancora.” Fece una smorfia. “Si fa attendere.”
“Come sempre…” Quel giorno sembrava che volesse farlo innervosire a bella posta ed era una cosa che faceva solo quando era di umore orribile.

E a nessuno piace un Von Hohenheim di cattivo umore. Può solo peggiorarti la giornata.
Dominò quindi la propria irritazione e tornò a sedersi, prendendole la mano tra le sue, ed esibendo il suo sorriso migliore. “Mia Regina, qualcosa vi infastidisce … Ogni vostro desiderio non è un ordine per me? Non ve l’ho forse dimostrato? Ditemi…”
“Voglio uscire.” Lo interruppe. “Ho passato la mia intera gioventù dietro una finestra. Non mi sono liberata di Alberich per questo.”
Sorrise divertito; così era semplicemente innervosita dall’immobilità forzata di quelle lande desolate. A quello, per fortuna, poteva porre rimedio. “Perché non me l’avete detto subito? A pochi chilometri da qui c’è una città dal pittoresco nome di Cokeworth che…”
“Voglio andare a Londra.”

“A Londra?” Non potè trattenersi dal suonare sorpreso. “Non trovate sia pericoloso per la vostra…”
“Prima o poi gli auror e Sören scopriranno che sono ancora viva, sempre che non l’abbiano già fatto.” Tagliò corto liberandosi dalla sua stretta ed alzandosi in piedi. “Voglio vedere Londra e tu mi ci porterai.”
Non gli restò che annuire. “Come desiderate.”

Il bussare lieve alla porta li fece voltare entrambi. “Signor Doe, Signore … c’è una chiamata per lei via fuoco Magico, Signore!” Esclamò l’Elfo domestico, che avevano trovato ad attenderli assieme ad un’altra decina una volta preso possesso del maniero. Sophia li detestava, disgustata dal loro aspetto, ma avevano il pregio di essere discreti e leali fino all’ottusità.
Molto meglio della feccia Magonò.
“Mia Signora, credo che il nostro amico abbia appena deciso di farsi vivo. Vi devo lasciare.” Le baciò la mano e si accomiatò seguendo l’Elfo.
Londra.
Se lo sentiva nelle ossa: sarebbe stata una sgradevolissima rottura di palle.
 
****
 
Note:

E i due cattivi entrano un po’ più nell’azione. Che ne pensate? :D
Qua la canzone del capitolo.
  
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