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Autore: taisha    17/09/2013    5 recensioni
Nella 4x18 Katherine ha mostrato un barlume di umanità,di speranza,ha dimostrato di non aver più voglia di fuggire,vuole solamente essere libera di vivere come meglio crede,non ha più voglia di vivere all'ombra,non vuole più aver paura di Klaus.
Vuole vivere con Elijah,essere la sua compagna.
Lei vuole essere se stessa,specchiandosi nei suoi occhi scuri.
Quegli stessi occhi scuri,che più di cinquecento anni fa,le hanno forse mostrato per primi il vero affetto.
L'amore puro e semplice.
La storia si dirama tra New Orleans e New York intrecciando le vite dei due e di altri personaggi.
Potranno ritornare ad amarsi dopo tante difficoltà?
Genere: Dark, Erotico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elijah, Hayley, Katherine Pierce, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lo sai, più si cerca di semplificare le cose più si complicano. Ti crei delle regole, innalzi muri, allontani le persone, menti a te stessa e ignori i tuoi veri sentimenti.
Ma questo, non significa semplificare le cose.








 


"E' sicura di volerlo vendere?" L'agente immobiliare in perfetto completo scuro e cravatta orribilmente abinata, era dinanzi a lei.

Era rimasta sulla soglia dell'appartamento. Troppi ricordi erano racchiusi in quel luogo. Si guardò intorno, rimanendo in piedi al centro dell'ingresso.

Ricordava esattamente il primo giorno che aveva messo piede in quel meraviglioso appartamento.

Lui l'aveva comprato per lei. Era di sua proprietà, era stato una sorta di regalo per quella che avrebbe dovuto essere la loro vita insieme, era il loro nido d'amore.

Peccato che quel nido si fosse bruciato. E fosse andato completamente in polvere.

Sospirò stanca e finalmente si decise di raggiungere quell'omucolo irritante al centro del grande salone, sfilò gli occhiali da sole scuri e lo osservò. "Si. Gliel'ho già detto. Si sbrighi a trovare un offerta, voglio sbarazzarmene il prima possibile." Inforcò dinuovo con un gesto di stizza gli occhiali e lo sorpassò.

Sentiva come ovattata la voce di quell'uomo alle sue spalle mentre si allontanava verso la cucina, avrebbe dovuto sentirlo perfettamente grazie ai suoi sensi da vampiro eppure la sua mente era troppo occupata a ricordare per prestarci attenzione.

Quante mattine avevano fatto colazione seduti alla grande isola al centro della cucina moderna?

Katherine accarezzò la superficie dell'isola con indosso un sorriso amaro. La ferita del suo cuore era ancora aperta, non poteva ignorarlo. Eppure prima si sarebbe sbarazzata di tutto quello che le ricordava lui e prima sarebbe potuta andare avanti.

Osservò fuori dalle grandi vetrate il terrazzo che le permetteva di vedere lo skyline dell'isola di Manhattan. Tante sere si era stretta a lui su quel terrazzo, quante notti insonni a parlare di tutto, quante promesse sussurrate l'una sulle labbra dell'altro. Quanto amore espresso in sole due parole?


Scosse la testa facendo ondulare i boccoli castani freschi di piega e si voltò verso quel tale, George Harris , che aveva appena varcato la soglia della cucina con un sorrisone ebete sul viso.

"Abbiamo già un offerta signorina Pierce. Un acquirente di Los Angeles." La osservò sorridendo stupidamente e la vampira non potette che sollevare gli occhi al cielo sospirando.

"Bene." Fu l'unica risposta che fuoriuscì dalle sue labbra rosse rubino. Senza pensarci troppo aprì il mobiletto dei vini e tirò fuori una bottiglia di vino rosso.
"Non crede che dovrebbe lasciare tutto com'è?" George la osservò sollevando un sopracciglio. "I nuovi inquilini sono interessati ad una casa ammobiliata e perfetta." Rise leggermente osservando la ragazza mora.

Quell'uomo stava parlando troppo. Katherine appoggiò la bottiglia sull'isola e si avvicinò a lui,  lo vide indietreggiare e quindi gli afferrò la faccia paffuta. Incatenò i suoi occhi ai suoi e sussurrò.

"E' finito il tuo lavoro quì, torna in ufficio e chiamami quando la trattativa sarà conclusa, stupido umano." La pupille dell'uomo si allargarono e tutto quello che fece fu annuire come un automa.

"Bene." Sorrise acida la vampira. Allontanò malamente il viso dell'uomo e tornò alla bottiglia di vino.

"Arrivederci signorina Pierce, la aggiornerò io. Buonagiornata." Sorrise non troppo sincero e si allontanò verso l'ingresso.

Dopo poco l'unico rumore che la vampira udì fu quello della porta principale che si chiudeva.


Finalmente era sola.


Sospirò socchiudendo poco gli occhi e afferrò la bottiglia, la aprì e si allungò a prendere un grosso bicchiere dal mobile. Era pur sempre casa sua quella, anche se per poco, poteva fare tutto quello che le pareva per quel poco tempo che le rimaneva.

Si versò del liquido rosso nel grosso bicchiere e raggiunse l'enorme salone bianco, i divani, il grande tavolo di mogano dove solitamente lui si accomodava a leggere il giornale o a lavorare. Era tutto al solito posto.

Era rimasto tutto come l'avevano lasciato.

Si accomodò stancamente sul divano perdendosi nei suoi pensieri.

Lo sguardo fisso sullo skyline della città di New York. Il vento che leggero muoveva le lunghe tende di seta bianche. E il bicchiere di vino rosso tintinnava tra le sue mani ingioiellate.

Lo sguardo perso nel vuoto e la mente completamente libera.

Katherine era ritornata dinuovo a New York, aveva deciso di andarsene da quella maledetta città che era New Orleans. Era stato necessario. Non avrebbe mai voluto allontanarsi da lui, eppure l'aveva fatto. Non per amore o per altro, per stessa.

Aveva pensato a se stessa. Alla sua felicità.

Lui non aveva fatto altro che logorarla in quei mesi, fare a pezzetti il suo cuore e passarci sopra con le sue costosissime scarpe laccate.

"Lasciami andare." 

Per un attimo la vampira si ritrovò a chiudere gli occhi, poteva rivivere quella mattinata come se fosse stata solo la mattina precedentemente. E invece erano passati già 30 giorni.

Un mese.

Un mese dannato e infelice.

Per lei. Per il suo cuore di donna innamorata.

Per la piccola Katerina, che piangeva inconsolabile in un angolo sperduto del suo cuore.

Ci aveva ragionato su per interi giorni, la loro storia non avrebbe avuto mai pace, serenità, felicità.

Lei lo sapeva benissimo , per quanto fossero da tempo legati da qualcosa di misterioso e nello stesso tempo bello e doloroso. Non poteva funzionare. Quel qualcosa toglieva ad entrambi il senno e la capacità di ragionare.

Era un amore dannato il loro.

Riaprì piano gli occhi e poggiò la testa al candido schienale del divano. Sospirò stanca prendendo poi un sorso dal bicchiere di vino che stringeva tra le mani.

Avrebbe voluto poter essere soggiogata.

Avrebbe voluto poter cancellare tutto.

Ma purtroppo non aveva nessun diritto di scelta.

Era la memoria a decidere per lei.

E a volte, i ricordi possono far più male della realtà.







Il sole era quasi del tutto calato a New Orleans. Lasciando spazio alla notte e alla sua compagna luna. I grattacieli della città moderna si accendevano piano, uno ad uno.

Il lavoro lasciava spazio al divertimento, la città moderna si spegneva per dar spazio alla vecchia città, quella fatta di baretti e localini stracolmi di gente e musica jazz.

Due tocchi sulla porta di mogano scura. "Signor Mikaelson, se non le dispiace, io andrei a casa." Una giovane donna fece capolino nello studio elegante e silenzioso.

Gli occhi scuri di Elijah si sollevarono da alcune scartoffie per osservare la ragazza che sorridente lo fissava con un numero indeterminato di fascicoli tra le mani. Annuì semplicemente. "Certo Michelle.Va pure." Appoggiò la penna costosa sulla scrivania e sospirò. "Mi dispiace averti trattenuta. Passa una buona serata."  Finì la frase con un sorriso educato, distogliendo poi lo sguardo dalla sua segretaria e dedicandosi nuovamente alle carte.

La brunetta sorrise e annuì. "Grazie, buona serata anche a le, Mr Mikaelson." 

La porta si chiuse delicatamente e fu solo allora che gli occhi di Elijah si sollevarono dinuovo sulla porta. Sospirò pesantemente e si stropicciò gli occhi.
Quanto tempo era che non faceva una sana dormita e non si nutriva?

Sospirò pesantemente e stancamente si stiracchiò sulla poltrona di pelle nera. Appoggiò la testa ad essa e diede una veloce occhiata al rolex sul polso destro.

Le undici.

Anche quella giornata aveva lavorato così tanto, da perdere completamente la cognizione del tempo. Non aveva voglia di pensare, era stanco.
Era un mese che non la vedeva, che non aveva notizie di lei. Non sapeva neppure dove fosse. Sapeva solo che l'appartamento era in vendita.
Il loro appartamento.

Lei aveva deciso di disfarsene come se si trattasse di roba vecchia. Non l'aveva nemmeno avvisato, ma infondo come avrebbe potuto?

Dopo quella mattina a casa sua, aveva tutte le ragioni di questo mondo per restare in silenzio e il più lontano possibile da lui. Voleva tutelarla, proteggerla e invece non aveva fatto altro che allontanarla e ferirla ancor di più.

Aveva letteralmente cercato di chiuderla in una prigione che seppur dorata, restava comunque una prigione.

L'originale si allentò la cravatta, sbottonando anche i primi due bottoni della camicia chiara. Si passò una mano tra i capelli ormai corti finendo poi con lo stropicciarsi gli occhi. Se avesse ancora una volta ripensato a tutta quella faccenda, il suo cervello sarebbe andato in fumo.

Per quanto lei fosse lontana, per quanto rimandasse indietro i suoi pensieri. Lei rimaneva lì. Ancorata ai suoi pensieri, riusciva a vedere ancora i suoi occhi pieni di lacrime che lo imploravano di lasciarla andare, le mani tremanti che stringevano i manici della valigia scura, i capelli in disordine e guance arrossate.

Quelle lacrime.

Quelle gli tormentavano l'anima.

Si alzò dalla sedia girevole ed elegante avvicinandosi al suo mini bar, afferrò l'ampolla di cristallo contenente il liquido ambrato e se ne versò un bicchiere, non due dita come faceva di solito, ma un bicchiere pieno fino alla metà.

Prese un grosso sorso e ne versò dell'altro, l'alcool l'avrebbe aiutato a non pensare a quegli occhi da cerbiatto che gli offuscavano ogni ragione.
Avrebbe potuto essere felice, avrebbe.

Scaraventò il bicchiere contro la parete e strinse i pugni.


Maledetto orgoglio,maledetta ragione, maledetto onore.


I do not believe in love, Katerina

Cinquecento anni fa le aveva detto di non credere nell'amore. Quale bugia era più grande di quella?

Lui ci credeva eccome, credeva in loro, in quell'amore celato dietro ogni sguardo, sorriso, parola.

Dopo secoli, erano riusciti ad aversi. E dopo altrettanti secoli, lui aveva rovinato tutto.



Se fossimo più coerenti saremmo alla ricerca della felicità sapendo che non può appartenerci. Se avessimo più cuore saremmo alla ricerca di quell'amore e non solo del contorno. Se usassimo di più il cervello saremmo noi stessi in qualunque circostanza, senza per questo privarci del gusto di apparire. Se il buon senso prevalesse in noi, vivremmo con la consapevolezza che solo una meta è uguale per tutti, ed è quella finale. A cosa serve allora rendersi la vita difficile se è già complicata così com'è.



Il silenzio parve fin troppo pesante in quella stanza e lui si sentiva troppo solo.

Doveva sapere qualcosa di lei, anche se minima, doveva sapere.

Si avvicinò alla grande vetrata e fissò lo skyline di New Orlens in silenzio. Le idee si affollavano nella sua mente, alternate da ricordi e stralci di momenti felici.


Restò con lo sguardo fisso sulla città per alcuni minuti fino a quando non spalancò impercettibilmente gli occhi.

Come aveva potuto non pensarci prima?!

Katerina non gli avrebbe mai permesso di riavvicinarsi a lei, ma ciò non gli impediva di incaricare una persona per avvicinarsi a lei e sapere come stava.
Un accenno di sorriso si formò sulle sue labbra piene e afferrò il cellulare dalla tasca dei pantaloni eleganti. Fece scorrere veloce la rubrica fino a quel nome.

Sorrise compiaciuto e avviò la chiamata. Attese per qualche secondo fino a quando una voce roca e divertita non gli rispose.

"Sarebbe il caso di dire 'chi non muore si risente?' O suonerebbe troppo ironico?" Una risata divertita spinse l'originario a ricambiare quell'ilarità.

"Mi fa piacere saperti divertito dalla mia chiamata." L'originale sorrise.

Un risolino ironico. "Come potrei non esserlo, mio lord?" L'interlocutore marcò volontariamente l'ultima parola. "Sono sempre al suo servizio. Il grande capo chiama, io rispondo!"

Elijah sorrise e fissò lo sguardo sulla città dinanzi a se. "Ho bisogno di te, Andrew."

Un attimo di silenzio calò dall'altra parte della cornetta. "Come posso aiutarti, amico mio?"

Le luci veloci delle auto sfrecciavano sulle strade sotto di lui, il cielo ormai nero come i suoi occhi brillava attraverso le sue stelle. Elijah alzò lo sguardo a fissarlo mentre con un sorriso spiegava le direttive al suo interlocutore.








Un raggio di sole illuminò il suo viso ancora addormentato, una sensazione di calore si dffuse rapidamente su tutto il suo volto obbligandola così a portare una mano a coprirsi gli occhi.

Aprì lentamente gli occhi castani e sospirò, un altra mattinata stava per iniziare.

Un altro mattino senza pensieri. Un altro giorno nella sua eterna vita.

Sospirò stanca e si sollevò aggiustando i ricci ribelli. Sbadigliò svogliatamente e appoggiò i piedi fuori dal letto a baldacchino, osservò intorno a lei la sua nuova stanza.

Aveva preso quell'appartamento in via momentanea. Voleva lasciare il paese, magari tornare in Bulgaria. Costruire una vita lì, dove un tempo era davvero felice.

Si alzò e con ancora in testa mille pensieri si allungò a distendere la schiena ancora intorpidita dalla notte. A piedi scalzi raggiunse il bagno svestendosi velocemente del leggero pigiama.

Voleva passare l'intera giornata tra boutique e negozi.

Quale miglior terapia antidepressiva era la shopping-therapy??



Inforcò gli occhialoni scuri e uscì dall'elegante palazzo al centro di Manhattan. Sorrise e chiamò un taxi, nonostante il lauto pasto che un ragazzone le aveva 'gentilmente' offerto ieri notte, il suo vivere i primi anni 80 nella grande mela l'aveva resa una newyorkese perfetta. 

Aveva bisogno di caffeina di primo mattino.

Pagò più del dovuto il taxista pachistano e scese dall'auto gialla appoggiando al suolo i suoi tacchi 12. Aggiustò elegantemente la chioma riccioluta ed entrò in uno dei suoi caffè preferiti, proprio di fronte Central Park. 

Adorava guardare l'attività mattutina della sua città seduta dietro le grandi vetrate del caffè.

Si accomodò ad un tavolino abbastanza distante da tutti gli altri e ordinò il suo caffè lungo con latte di soia. Dopo svariati minuti immobile a fissare fuori sospirò stancamente afferrando la borsa. Tirò il suo Cosmo dalla Balenciaga scura e si addentrò nella lettura senza prestare attenzione a quello che succedeva intorno a se.



Lo scacciapensieri suonò leggermente all'apertura della porta d'entrata e una figura robusta entrò all'interno del caffè.

Un uomo, apparentemente sulla quarantina restava immobile sotto l'arco della porta, gli occhi coperti da dei rayban scuri e le mani in tasca. Il ciuffo scuro e la barba incolta gli rendevano il viso di un fascino particolare, quasi senza tempo.

Il sorriso appena accennato era più un ghigno divertito che un vero e proprio sorriso quando puntò gli occhi su una persona di preciso.

Su di lei.

Sfilò quasi teatralmente gli occhiali e scosse la testa fissandola.

Era rimasta proprio uguale all'ultima volta che l'aveva vista. I riccioli scuri le ricadevano intorno al viso in modo squisito e le labbra, appena imbronciate, la rendevano sensuale anche inconsapevolmente.

Era la Katerina Petrova che ricordava, Elijah aveva ragione. Era rimasta la stessa eterna ragazzina, capricciosa e bellissima.



Katherine era completamente assorta nella sua lettura, non si accorse minimamente di quello sguardo scuro che la fissava.

Afferrò il bicchierone stracolmo di caffè e lo portò alle labbra, era completamente immersa ad approfondire il perchè della fissa delle donne di frignare per amore.Sospirò e lesse con attenzione l'articolo.

Sospirò ancora scuotendo la testa, doveva smettere di leggere quelle cose.Non era un adolescente che credeva a qualsiasi cosa fosse scritta su di un giornale, si era ridotta persino a fare i test.

Ok, stava male. 

"Non dovresti leggere certe cavolate sai." Una voce mascolina e roca arrivò alle sue orecchie.

Era fin troppo familiare.

Sollevò improvvisamente lo sguardo e i suoi occhi castani si spalancaro, quasi avesse visto un fantasma.

Ma quello non era un fantasma, quello che aveva dinanzi era persino peggio.

Appoggiato ad una mano e con un sorriso smagliante l'uomo dinanzi a lei sussurrò malizioso.

" Zdravei, Katerina." Un sorriso colmo di malizia mista a ironia la investì.

Lui.

Tra tutti, proprio lui.

La vampira si ritrovò a stringere la rivista tra le mani, dopo un attimo di sorpresa e rabbia riacquistò la padronanza di se . Sollevando lo sguardo fiero di sempre su di lui.

"Non è stato difficile trovarti, bambolina." L'uomo sorrise afferrando il suo decaffeinato e portandolo alle labbra.

"Andrew Thomas Wood, tra i suoi tanti lacchè ha mandato proprio te a cercarmi. Dopo così tanti secoli si fida ancora ciecamente di te." Strafottente la vampira inchiodò gli occhi scuri a quelli dell'uomo. "Mi meraviglio di te. Non ti stanchi mai di essere il suo cagnolino?"







Un sorriso sghembo comparve sul viso spigoloso del vampiro."Onorato di essere ancora tra i tuoi ricordi, my lady." Sventolò un dito in segno di 'no' dinanzi a se e rise leggermente. "No, devo dirti Katerina. Mi è mancato il tuo essere così acida." Osservò la ragazza dinanzi a se con fare spocchioso e sorrise. 









Katherine appoggiò entrambe le mani sul tavolo e fece per alzarsi. "A mai più, Andrew."

Il vampiro fu molto più veloce e le si parò dinanzi. "Non così in fretta, Katerina."

Osservò quel vampiro pieno di se paratosele dinanzi e sospirò stizzita. "Non è più quello il mio nome." Solo lui può chiamarmi così, avrebbe voluto dirgli ma non lo fece.

Andrew portò le mani nelle tasche dei jeans scuri e sorrise, fece finta di pensarci e le disse. "Giusto, è Katherine. E' così che ti fai chiamare adesso." Lo disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

La Pierce lo osservò e gli sputò addosso tutta la sua ostilità. "Vattene Andrew. Non sono più la giovane ragazzina capricciosa che conoscevi. Non sono Katerina da molti secoli ormai." 

Quale bugia più grande avrebbe potuto dire dopo quella?

Lui per tutta risposta le afferrò il polso e la attirò a se. "Sai benissimo perchè sono quì, non essere ostile, tesoro. Lui vuole sapere come stai. Se sei ancora viva o se ti sei suicidata per amore." Rise leggermente. "Io potrei ucciderti con una mano sola, sono più vecchio e esperto." La guardò negli occhi e le sussurrò. "Non farmi diventare cattivo, Katerina."

Occhi negli occhi.

Flashback di vite passate.Corpi sangunanti al suolo.Vecchi e giovani uomini senza vita.Tracce di guerra e puzzo di sangue nell'aria. Tutto merito suo.

Andrew Thomas Wood non lasciava nulla al caso o incompiuto, radeva tutto al suolo come solo un grande stratega sa fare.

Ma le fila le tirava lui, l'originario.

Andrew era molto più maligno e terribile di quanto desse a vedere, per questo lui l'aveva scelto come cane da guardia. Elijah commissionava e lui eseguiva. Proprio come un ottimo cane da guardia.

Suo amico fidato, l'originale si fidava di quell'uomo dallo strano ciuffo giovanile e dal pizzetto. Era stato un ottimo combattente nel 1400 ed era stato altrettanto bravo con le pistole molti secoli dopo.

Una perfetta macchina da guerra con l'aggiunta di canini appuntiti e sensi supersviluppati.

"Lasciami." Sussurrò Kath a denti stretti. "Non ho voglia di sentire cos'hai da dire. Quello che lui vuole. Non mi interessa." Sentiva le lacrime premere per uscire.

Elijah l'aveva mandato per controllarla e forse riportarla da lui.Ma adesso si sentiva tutt'altro che al sicuro.

L'altro mollò improvvisamente la presa, si aggiustò il giubbotto di pelle scura e inforcò gli occhiali scuri. "Non voglio farti del male Katerina. Cerca solo di non farmi arrabbiare." Sorrise acquistando una calma improvvisa e un aria canzonatoria.

"Odio veder le donne piangere, lo sai." Le accarezzò improvvisamente una guancia, su cui involontariamente era scesa una lacrima cristallina.

"Le donne forti come te non piangono." Le sorrise.

La vampira scosse la testa, allontanadosi da lui.

"Che vuoi da me Andrew. Dimmelo. Sei venuto a fare il babysitter per conto suo?" Lo guardò dritto negli occhi.

L'altro la osservò per svariati secondi e poi sussurrò. "Lui vuole che tu sia al sicuro, che non ti succeda nulla. Nonostante tutto quello che avete passato lui ci tiene a te."

Kath spalancò gli occhi scuotendo la testa. Adesso lui le voleva bene?! Da quando?!

Lo sorpassò senza degnarlo nemmeno di uno sguardo. "Vattene e digli che so badare a me stessa." Si voltò un ultima volta."Anzi no, digli di andarsene al diavolo."

La vampira strinse forte il manico della propria borsa scura di pelle e a passo deciso si affrettò verso casa. Lasciandosi alle spalle ancora una volta Elijah.
Nonostante lei facesse di tutto per non pensarci più, per scacciarlo dai suoi pensieri e dalla propria vita eccolo che ritornava prepotentemente. Spalancava le porte del suo cuore e le scombussolava la sua calma apparente.



"Lui ti rivuole con se, Katerina. E' preoccupato per te, honey." La voce roca del vampiro alle sue spalle la colpì come uno schiaffo in pieno volto.
Come congelata si fermò improvvisamente pochi metri più avanti, strinse gli occhi. Non poteva. Non poteva dirle questo, non poteva continuare a ferirla. Non glil'avrebbe concesso.

Non più.

"No." Una risposta secca e acida fuoriuscì dalle labbra rosse della vampira.

Si voltò di scatto verso Andrew fissandolo negli occhi. A mento alto e con sguardo fiero inchiodò i suoi occhi cioccolato a quelli scuri di lui che la osservava con il suo solito sguardo beffardo.

"Te lo ripeto Andrew. Non mi interessa. Di te, di lui, delle sue dannate parole." Strinse forte i pugni e continuò cercando di non lasciarsi andare a quelle lacrime che ormai reclamavano con forza di fuoriuscire dai suoi occhi. "Ho badato a me stessa per più di 500 anni. Senza di lui. Posso sopravvivere senza un babysitter ancora per molto." Si voltò di scatto sperando in una sua resa e invece il suo polso sottile venne catturato dalla presa forte e decisa del vampiro.

"Potrò anche riferirgli quello che mi hai detto ragazzina. Ma sappi che io, in quei tuoi occhioni, ho letto la verità. Parole che non mi hai detto." Ancorò i suoi occhi a quelli di lei e continuò. "Potrai mentirmi con la voce ma quelli, non hanno mai saputo mentire." Le sorrise vittorioso vedendo sul volto di lei mutare espressione.







La vampira cercò di divincolarsi dalla sua presa."Lasciami andare Andrew! Adesso!" 

"Non piangere, bambina." Le sorrise lasciandole finalmente il polso.

Kath portò le mani al volto, senza nemmeno accorgersene le lacrime avevano iniziato a scendere copiose sul suo viso liscio.

"Riferirò ad Elijah quello che mi hai detto e quello che invece mi hai celato." Facendole l'occhiolino le porse un fazzoletto bianco di lino. "Ci vediamo in giro, honey." 

Lei afferrò il fazzoletto con un moto di stizza e distolse lo sguardo da quel vampiro che la conosceva fin troppo bene. Confidente e amico fidato dell'unico amore della sua vita era stato sempre presente anche per lei , anche quando era stata considerata solamente come un agnello sacrificale.

"Non ti libererai facilmente di me." Le voltò le spalle , salutandola con la mano. La sua figura scomparse ben presto confondendosi tra la gente nella affollata mattinata neyorkese. 



Strinse forte tra le mani il fazzoletto di lino bianco e si sciolse in quel pianto che aveva trattenuto troppo. Intorno a lei c'erano migliaia di persone eppure in quel momento si sentiva la persona più sola di questo mondo.

Le mancava una parte importante di se, la parte di se che la rendeva una persona migliore, la parte di se che la faceva sentire amata e protetta.

Per quanto volesse negarlo, lui le mancava sopra ogni altra cosa e Andrew aveva ragione. I suoi occhi non avevano saputo mentire quando le aveva detto che era in pensiero per lei, per un attimo aveva intravisto uno stralcio di cielo azzurro in quelle nubi che attanagliavano il suo cuore. Per un attimo avrebbe potuto perdonarlo.

Scosse la testa agitando i suoi riccioli e prese un grosso respiro. Per quanto fossero anime gemelle, erano incompatibili.

Troppo testardi.

Troppo fieri di se.

Troppo egoisti.



Troppo innamorati.











Angolo autrice!! ^__^

Ehilàààà genteeee!! Okok, so di essere in un ritardo ALLUCINANTE e per questo vi chiedo di essere gentili e di tirarmi "dolcemente" tutti i pomodori che avete preparato per me! Eheh
C'è stato un pò di casino nella mia vita nell'ultimo periodo e questo ha influito sulla pubblicazione del capitolo.Lo ammetto, a volte non ho avuto voglia di scrivere, non ero ispirata e per evitare di mettere su carta cavolate, ho aspettato.
Spero che il nuovo capitolo vi piaccia, la situazione è ancora critica fra i nostri due innamorati ma anche se distanti si vogliono. Infondo l'amore è bello proprio per questo no?Ti fa struggere e disperare ma non perde mai la sua bellezza. Sono per gli amori struggenti e questo lo avete notato benissimo! xD
In questo capitolo c'è la comparsa di Andrew, consigliere fidato e amico del nostro caro originale.Vista la mia ossessione\amoresconsiderato per Mr Robert Downey Jr gli ho voluto dare il suo volto.Spero non vi dispiaccia l'aggiunta del nuovo personaggio, un pò come un angelo custode proteggerà la nostra Kath e sarà gli occhi\orecchie del nostro originale in attesa dell'incontro fatidico tra i due piccioncini! =D



Come al solito ringrazio tutti\e coloro che hanno atteso con pazienza il nuovo capitolo della storia!Un abbraccio forte a tutte voi!!
Come sempre , inoltre, vi invito a lasciare un commentino se vi va!Mi fa sempre piacere sapere cosa pensate dei miei scleri mentali! xD
Ci risentiamo presto!

Un bacione, Tay.


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