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Autore: CassandraLeben    22/03/2008    14 recensioni
Bene, questa è la seconda storia che pubblico. Per quanto io sia viva e vegeta, i sentimenti descritti sono veri, reali. In parte storia autobiografica, spero possa piacervi anche solo un pochino. L'ho scritta con il cuore in mano. a chiunque volesse leggerla, grazie in anticipo. Se commentate mi farete felice. Ciao
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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È così strano stare qui. Sentire il vento tra i miei capelli lunghi. Il freddo che penetra nel mio corpo e la pioggia che mi sferza il volto. Il buio della sera avvolge ogni cosa. La luce dei lampioni non riesce a illuminare il mio corpo. Non c’è altro suono se non quello della pioggia e dei tuoni.

Mi sporgo un po’ dal guard-rail e osservo la scarpata.  

Amore, mi manchi.

Mi sporgo ancora un po’.

                                          Amore, perché?

Ormai sono in punta di piedi e faccio presa con le braccia per sporgermi ancora un po’ di più.

Amore, pesavo avrei avuto paura e invece… sento l’adrenalina scorrere nel mio corpo e darmi coraggio…

amore mio… mi manchi.

Ormai anche il bacino è oltre la barriera che delimita la strada.

Ormai è quasi fatta.

Improvvisamente passa un’auto e illumina la zona. Sicuramente mi avranno vista.

Ecco, sento che si sono fermati. Stanno venendo a vedere cosa succede.

 Devo fare in fretta.

Scavalco.

Sono sul ciglio della strada.

Le mie mani sono strette sul guard-rail di ferro mentre io mi protendo in avanti.

I piedi sono ormai sul limitare della scarpata.

Delle voci spaventate dietro di me.

Vogliono chiamare aiuto. Cercano di parlarmi.

Una sola voce potrebbe farmi cambiare idea.

Quella voce però so che non chiamerà mai più il mio nome.

Che senso ha vivere quando si è stati privati del nostro unico motivo di vita?

Amore, fra poco non sarai più solo

Saremo di nuovo insieme.

Mi sei mancato tanto… Così tanto…

Qualcuno cerca di toccarmi.

Mi sporgo ancora di più e lascio la presa.

Sono in equilibrio tra la vita e la morte e il vento mi spinge in avanti.

Spalanco le braccia e in un attimo tutto sfuma.

La paura, la solitudine, il dolore.

Tutto svanisce in questo mio ultimo attimo di vita.

Tutto passa velocissimo.

Sto urlando. Mi sono portata  le mani sul volto, cercando di proteggermi.

Ed ecco. Sto sbattendo sulla parete della montagna.

Dolore.

La testa sbatte.

Sangue.

Dolore.

Più niente.                                  

Amore. Eccomi…

mi sei mancato...

 

 

 

 

 

Eravamo così felici. Eravamo così giovani…

Perché il mondo è così? Senza un perché?

È vero, sono passati quattro anni ma nulla è cambiato. Nelle foto mi guardi sorridente.

Provo rabbia. Mi hai mentito. Hai detto che saresti rimasto con me per sempre. Hai detto che saremmo stati felici.

PERCHE’  mi hai mentito? Perché? Perché?...

Perché non hai lottato? Perché mi hai lasciato?

Perché te ne sei andato? Perché sei morto?

 

Il dolore mi invade e piango, urlo e piango. E questo dolore mi sfianca. Piango fino a che non ho più forza. Rimango nel letto senza neanche riuscire a dormire… soffro troppo…


Il giorno del tuo funerale ti ho visto. Nella bara. Fermo. Immobile. Morto.

Eri così buono, altruista, gentile…

Ti amavo così tanto…

Perché quello stronzo non sì e fermato. Perché non ti ha soccorso?

Sei rimasto a morire qui, solo.

Su questa stessa strada, su questa stessa curva.

Il tuo sangue che imbrattava tutto. Quando sono venuta in ospedale respiravi ancora.

Perché non hai lottato?  Perché non ti è stato concesso di invecchiare?

Perché proprio tu?

 

Non dimenticherò mai quella telefonata. Dopo giorni di agonia.

-pronto?-

-Pronto. Sono io… lo hai saputo? È morto. Mezz’ora fa…-

-Ah, ho capito…-

Tu tu tu tu tu tu tu tu tu

 

Erano le cinque di mattina di quello che sarebbe stato un bellissimo giorno di sole.

Tu amavi il sole…

Venni da te verso le sei e mezza.

Ti abbracciai che eri ancora nella camera dell’ospedale.

Eri morto.

Era tutto vero… ed io ero lì a guardarti.

Ti guardavo ma non vedevo niente.

Per quanto mi riguarda, la mia vita finì nel momento in cui entrai in quella stanza e il peso della consapevolezza si abbatté su di me impedendomi di respirare.

 

Il giorno del tuo funerale c’era un sole bellissimo che riscaldava ogni cosa…

Quando ti portammo al cimitero… io osservavo la tua bara di legno. Non l’ho toccata al cimitero.

Nella camera mortuaria ti ho abbracciato. Ma tu eri duro sotto le mie dita tremanti.

Ti seppellirono sotto tre metri di terra.

 Vangata dopo vangata, la terra coprì il tuo nome sulla bara.

Minuto dopo minuto, quello che eri stato veniva sepolto, e con te il mio cuore.

Non ti avrei più rivisto.

Non ti avrei più riabbracciato.

Non sarei più stata io.

 

Tutti mi dissero di farmi forza, di reagire. Di farlo per te… tu però non c’eri più. Che senso aveva tutto per me? Nessuno.

Passai quasi un anno senza neanche rendermi conto di me stessa. Il mio dolore era così grande che dovevo obbligarmi a fare le cose più normali.

Ero triste e si vedeva, ma ciò non impedì a chi mi era intorno di comportarsi in maniera orribile nei miei confronti. Pian piano imparai a seppellire il mio dolore.

In fondo tutti mi ripetevano che era solo questione di tempo. Che avrei trovato qualcuno in grado di farmi felice.

Il problema era che io lo avevo già trovato, e lo avevo anche già perso.

Davanti a me non c’era altro che solitudine, isolamento.

Nascosi il ricordo di te in una parte della mia anima.

Facevo finta di essere felice, spensierata… da quando sei morto non è trascorso neanche un giorno in cui non ti abbia pensato, in cui non ti abbia amato.

Quando sentivo che la tristezza mi stava per assalire, la ricacciavo indietro.

Pensavo ad altro. Rimandavo il problema.

 

A volte però cedevo al tuo ricordo.

Piangevo per ore ed ore.

Stavo male.

Smisi di mangiare.

Ti sognavo, ti amavo, ti aspettavo. Sapevo che non saresti mai tornato da me ma continuavo, in una parte irrazionale della mia mente, a sperare di vederti aprire la porta di casa mia e abbracciarmi forte.

Ogni sera da quando sei morto ti auguro buona notte.

A te che, freddo, giaci abbandonato in un cimitero.

Sono passati 3 anni 9 mesi 27 giorni da quando te ne sei andato. Da quel terribile lunedì.

 

Sono qui, amore mio, perché so che non può andare avanti così.

La mia vita è già finita. In questo stesso punto, quando a te è stata rubata la tua.

 

Ti amavo. Ti amo.

Litigavamo, ridevamo, ci amavamo.

A me però cos’è rimasto?

Tu sei il mio ricordo più bello.

Conservo le tue magliette. A volte le annuso e mi immagino di averti vicino.

Riascolto le nostre registrazioni.

Ho tenuto il pacchetto di cioccolatini che mi regalasti poco prima di morire…

Ho tenuto tutto. Tu però non ritornerai mai a riprenderti ciò che è tuo…

Non mi restituirai mai il mio cuore.

Amore mio… poiché tu non puoi venire da me, sarò io che ti seguirò.

Aspettami amore, sto arrivando.

 

Ed eccomi. Sul ciglio della scarpata. Un respiro profondo.

Un po’ di coraggio e in un secondo capisco di essere morta, prima ancora che il mio corpo si schianti sulla roccia.

Sono morta e sto volando da te. Giù per questa gola profonda.

In fondo, dove scorre il fiume, mi pare di vederti sorridermi.

Chiudo gli occhi e intorno a me sento il vuoto. Mi sono buttata e il tempo si è fermato per poi scorrere più veloce del dovuto.

 

 

E in attimo

                  sono morta.

 

 

Tutto è finito e il mio cuore non batte più mentre annego nel mio sangue.

                                                                                                                      Morta.

  
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