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Autore: hiromi_chan    18/09/2013    9 recensioni
Un drago decaduto propone una sfida a Merlin e Morgana: il primo dei due che riuscirà a portargli il cuore umano di un Principe dei Draghi si vedrà esaudito un desiderio come ricompensa. In occasione del duello si aprono nuovamente le porte che collegano il regno della magia con la Terra. Merlin si lancia nella sfida per poter mettere piede nel mondo delle misteriose creature umane e dare una svolta alla sua vita, mentre Morgana ha in serbo dei piani più oscuri.
L'ignaro Arthur, erede al trono inglese, viene coinvolto nella gara come bersaglio diretto. Ma come possono gli stregoni, che per natura non conoscono l'amore, riuscire a catturare un cuore umano che palpita e prova emozioni? E se poi Morgana decide di fare le cose in modo letterale e di riportare a casa quel cuore su un piatto d'argento, cosa farà Merlin?
Era profondamente egoista, l'amore degli esseri umani. Pretendeva di possedere il cuore dell'altro, pretendeva di possederlo tutto, alienando da esso qualunque altra cosa non appartenesse a quel sentimento.
[Merthur]
ATTUALMENTE IN REVISIONE.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Drago, Merlino, Morgana, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Capitolo quattro: Riflesso

 

 

 

In un riflesso, aveva detto Gaius, è contenuto il segreto dell'universo. Sta tutto lì: se ci riesce di capire davvero il significato del concetto di “riflesso”, se ci riesce di inoltrarci sul serio nel mistero e di tirare, dentro di noi, il filo giusto per sciogliere la matassa... allora si può comprendere davvero cosa significhi avere un cuore da creatura magica o averne uno da essere umano.

“Un riflesso è qualcosa di uguale e opposto allo stesso tempo. Se in uno specchio rivedi la tua immagine, di sicuro riconosci i tuoi occhi chiari, i capelli ricci e corti, ti identifichi nella tua postura e dici 'quello sono io'. Ma gli occhi azzurri del Merlin nello specchio non sono effettivamente quelli del Merlin che sta dall'altra parte. Così i suoi capelli non sono davvero quelli di Merlin, la postura non è del vero Merlin ma è dell'immagine di Merlin. Il tuo riflesso nello specchio non sei davvero tu: è la tua immagine. Tu sei il vero te stesso. Ma la tua immagine? È qualcosa di completamente illusorio.”

In quel momento, Merlin non sapeva dire quanto potesse essere illusoria la faccia sorridente che gli veniva restituita dal finestrino dell'auto. Sapeva, però, che gli importava ben poco a chi effettivamente appartenessero le pupille sgranate e l'espressione illuminata dal ghigno incontenibile.

Se erano del vero lui stesso o se stava solo rimirando una mera immagine priva di significato, che cosa importava? Di certo la sua eccitazione non poteva definirsi un'illusione.

La veridicità del suo riflesso in un taxi era la cosa meno interessante, considerando che quello stesso taxi lo stava portando a spasso per Londra.

Quando lui e Gaius, camminando, avevano iniziato a inoltrarsi nella zona più strettamente urbana, il panorama era cambiato drasticamente.

Folla di persone, rimbombi casuali, nell'aria tuoni di strane intensità (“clacson”, aveva detto Gaius), e quell'odore di cottura che gli faceva pizzicare il naso (“Una bancarella di fish and chips. Ti va? No?”), e quella giovane che era sbucata affianco a Merlin e gli aveva ficcato tra le dita un foglio colorato (“Non ci serve nulla, cara. Saldi? No, non siamo interessati. Merlin, non allontanarti, per l'amor del cielo!”).

Merlin si era trovato dentro un pallone di sfumature e ritmi attraenti, e sarebbe stato un peccato perdersi anche solo un briciolo di ciò che lo circondava. Quindi aveva provato a immagazzinare quanto più poteva, facendo scattare la testa di qua e di là, ruotando sul posto come un'ape che non sa bene su quale fiore dedicare le proprie attenzioni e vola dappertutto.

Alla fine Gaius, piuttosto esasperato, gli aveva infilato nella mano sinistra le buste con i prodotti da giardinaggio, mentre la destra l'aveva presa saldamente nella sua, guidando Merlin per la strada.

In questo modo, ogni volta che lo stregone aveva sobbalzato alla vista di qualcosa di sconosciuto o aveva tentato di seguire un gruppetto di umani dall'aspetto interessante, l'altro l'aveva strattonato riportandoselo a fianco.

“Insomma ragazzo, non fare storie! Sono il tuo mentore, la tua guida in questa terra. Secondo te saprò dove portarti oppure o no ?” gli aveva detto.

La storia del mentore aveva colto Merlin di sorpresa, e, a quanto pareva, pure lo stesso Gaius.

Quando, qualche giorno prima, l'uomo si era ritrovato sotto la porta di casa una lettera con i sigilli reali della Signora del Lago, era rimasto pietrificato per un po' senza decidersi ad aprirla.

“Era da così tanti anni che non ricevevo neanche il più piccolo dei segnali dell'esistenza del Regno... tanto che quasi me n'ero dimenticato” aveva detto a Merlin con una strizzata d'occhi.

Lui non gli aveva chiesto altro in merito. Poteva solo immaginarsi cosa significasse riavere indietro qualcosa che ti ricordava della tua vita passata, qualcosa che ti veniva a bussare alla porta dopo vent'anni.

Solo in un secondo momento, comunque, Gaius aveva aperto la missiva.

In quella gli veniva illustrata la venuta nel Mondo Riflesso di due stregoni in competizione in un duello del drago. E soprattutto, Gaius, in quanto amico della corte reale e veterano dell'universo terrestre, veniva investito del ruolo di guida tra gli umani per Merlin di Ealdor.

“Il mio compito è aiutarti a muoverti per il meglio tra le creature opposte ed indicarti la strada giusta per imparare a capirle” aveva detto a Merlin, tirandolo per il gomito in modo che evitasse un palo della luce. “Non riuscirai ad afferrare il cuore di nessun umano se non saprai bene che cosa significa avere un cuore umano.”

“Insomma, conosci il tuo nemico” aveva scherzato lo stregone.

Il più anziano invece gli aveva risposto con serietà. “Puoi giurarci. Direi che il contenuto della missiva reale era piuttosto simile a 'insegna al ragazzo a riconoscere i percoli che il nemico gli cela, così da non farlo cadere nel tranello dell'umanità'. Il che, secondo il mio modesto parere, è una sciocchezza totale.”

“Perché lo dice, Gaius?”

L'occhiataccia che gli aveva riservato non era stata d'aiuto a Merlin per chiarire la situazione.

“Lasciamo perdere, per ora” aveva concluso quindi l'altro, un po' seccato.

Dopo poco il sole aveva iniziato a tramontare, e il mentore aveva optato per un modo più rapido per dare a Merlin l'idea della realtà londinese: un giro panoramico per la City in taxi.

Inutile dire che gli avvisi preventivi di Gaius erano stati più che inefficaci; Merlin si era quasi messo a saltare quando si era avvicinato per la prima volta a un'automobile, tastandola per bene mentre gli girava tutt'intorno.

E poi ci erano saliti dentro, l'aggeggio si era messo in moto e il ragazzo aveva affondato le unghie sulla tappezzeria del sedile, gridando divertito dal rombo del motore.

L'autista aveva continuato a fissarlo stranito per tutto il tempo (“Ha qualche problemino, sa...” gli aveva detto Gaius), ma a Merlin non era importato un bel niente.

Adesso, che il delirio filosofico del suo nuovo maestro avesse un'applicazione pratica, gli importava ancora meno.

“Mi stai seguendo, Merlin?” lo richiamava ogni tanto la voce di Gaius. “Riassumendo, ciò che tu hai sempre considerato essere il tuo riflesso non lo è affatto. Ma allora qual è il vero riflesso di uno stregone? Tu sai bene che gli stregoni conoscono i segreti della natura e la verità che sta dietro alle cose. Dunque la verità che sta dietro alla magia mi sai dire che cos'è?”

Ridestato improvvisamente dalla domanda diretta, Merlin staccò il naso prima premuto sul finestrino solo per balbettare qualche suono incerto a Gaius.

“Dove potrai mai trovare la verità che sta dietro alla magia?” ripetè il mentore, muovendo le mani per esortarlo a rispondere.

Merlin scimmiottò il gesto per prendere tempo, cercando nella testa una risposta che non arrivava. “Ehm...”

“Insomma, dove siamo adesso?”

“Nel... ah! Nel Mondo Riflesso!” esclamò forte.

Gaius gli portò un indice sulle labbra, facendogli segno di parlare piano. Poi entrambi si voltarono lenti lenti verso l'autista, che, esasperato, inarcò le sopracciglia dallo specchietto e decise di concentrarsi esclusivamente sulla guida.

“Proprio così, la chiave sono gli esseri umani!” bisbigliò Gaius con entusiasmo. “Loro sono il vero riflesso degli stregoni. Se riesci a vedere dentro uno di loro, riesci a vedere dentro di te.”

Per la prima volta da che Gaius aveva iniziato a filosofeggiare sulle teorie che legavano i due mondi, l'attenzione di Merlin venne solleticata per davvero.

Certo, con la coda dell'occhio cercava ancora di tornare al paesaggio che scorreva fuori – avevano appena passato una torre orologiaia enorme!

Ma Merlin sentiva che alcune di quelle parole stavano rimanendo ingarbugliate nei fili della sua coscienza, e lui le lasciava fare. Doveva trattarsi di qualcosa di meritevole, se era riuscito a distrarlo un po' dalle meraviglie architettoniche degli uomini.

“In questo caso non si tratterebbe affatto di guardare un'immagine allo specchio, come ti dicevo prima” continuò Gaius. “Gli esseri umani sono vivi, reali; l'umanità è l'esatto opposto del mondo magico, e non c'è niente di illusorio in ciò. Ma allo stesso momento, l'umanità è la metà mancante che completa uno stregone. Perché uno stregone è privo di umanità per natura. Capisci questi due concetti?”

Merlin strinse le labbra. Un po' il discorso lo afferrava, ma era piuttosto difficile rimanere concertato su una vaga teoria quanto fuori c'era la vita che gli sussurrava suadente all'orecchio di aprire lo sportello e buttarcisi in mezzo.

La sua espressione si fece contrita, e Gaius gli sembrò più avvilito di prima.

Questo lo faceva sentire leggermente in colpa; non avrebbe voluto far sembrare che Gaius avesse parlato all'aria fino a quel momento.

L'uomo aveva messo le mani in tasca con rassegnazione, ma prima che Merlin tentasse di minimizzare sul proprio scarso livello d'attenzione, Gaius di colpo si illuminò. “Sta' a sentire!” scattò. “Due metà diverse, ma che fanno parte dello stesso insieme. Due cose lontane tra loro, ma fatte della stessa pasta. Umanità e stregoneria sono un po' come...” E, lasciando la frase volutamente in sospeso, tirò fuori dalla tasca una monetina di rame. “Come due facce della stessa medaglia!”

La mano di Merlin galleggiò fino a raggiungere la moneta che stava incastrata lì, tra il pollice e l'indice di Gaius. Era visibile solo una faccia piatta, un po' arrugginita sui bordi. Lo stregone sfilò piano il piccolo oggetto dalle dita del mentore.

Fino a mezzo secondo prima, Merlin era stato sicuro di essere unico al mondo; anzi in due mondi, lui, con le sue stranezze, con le sue capacità, unico e solo – solo, solo, solo.

Lentamente, si rigirò nel palmo la moneta fino capovolgerla per vederne l'altra faccia. Era così strano ritrovarsi ora, a distanza di un battito di ciglia, trasformato in uno spicchio appartenente a un tutto. E se quindi lui non era che la testa, significava che da qualche parte esisteva un'essenza umana nata per fargli da croce? “Oh, questo... questo sì che è...”

Com'era? Tutto quello, com'era, cosa significava? Cosa voleva dire essere in due? Voleva dire che una metà esisteva, c'era, era là da qualche parte nel Mondo Riflesso, dispersa forse tanto quanto era disperso lui...

In due.

Merlin e...

“Questo è...”

I suoi occhi vagarono nello spazio, le pupille si persero nell'orizzonte oltre quello che vedeva dal finestrino, arrivando lontano fino a sfiorare sponde che Merlin non aveva neppure ancora toccato, montagne sulle quali non si era ancora arrampicato, rifugi nei quali non aveva ancora trovato riparo.

“Ragazzo, tutto bene? Cosa stai fissando?”

Ma adesso avrebbe potuto trovarli, avrebbe potuto trovarli davvero! Le sponde aspettavano lui – loro, e così pure scalare una montagna sarebbe stato meno faticoso in due, e una casa non sarebbe mai stata troppo stretta, anche se ad abitarci fossero stati in due.

“Questo è... wow!” si animò Merlin, nella voce ancora una traccia di intontimento, come se qualcosa di pesante gli si fosse appena schiantato sopra. “Sul serio, davvero, wow!” esclamò.

Vertiginosamente fu colpito dall'urgenza di ululare alla città. Allora trafficò febbrile con la manovella che stava sullo sportello, come aveva visto fare prima a Gaius, e, riuscito ad abbassare il vetro, mise fuori la testa. L'aria lo schiaffeggiava ma il suo sorriso cresceva con entusiasmo, e “Merlin, per l'amor del cielo” rideva Gaius, ma Merlin gridava come un bambino: “WOOOOH!”

“Merlin... sì, è molto divertente ma adesso basta, metti via le mani da lì, magari pure la testa.”

“Gaiuuuuus! Voglio salire fino in cima!”

“A cosa?”

“A quella bellissima torre orologiaia che abbiamo appena superato!”

“Il Big Ben? Temo che non sia possibile, mio caro. Ma se ti piacciono le altezze, potresti fare un giro sul London Eye, guarda, si vede là.”

“Se la ruota è così enorme, non oso immaginare come sarà il mulino.”

“Ah, ah!... Sul fatto che è una ruota ci hai preso, però.”

 

 

ʘ

 

 

Arrivarono alla residenza della famiglia reale che il sole era ormai tramontato. Per strada avevano mangiato una delle cose più squisite che Merlin avesse mai provato (si chiamava pizza, non l'avrebbe dimenticata tanto facilmente).

Il palazzo irradiava magnificenza: l'ingresso principale era preceduto da una breve scalinata, che ricordò un po' a Merlin l'aria rigida e sacrale di certi templi dei sacerdoti visitati da piccolo – c'erano persino delle colonne. L'aspetto della facciata non incuteva però timore, quanto piuttosto una certa reverenza elegante. Il tutto era ammorbidito dal chiarore dei marmi che riluceva tenue anche se immerso nella sera. Cancelli pesanti ma lavorati in uno stile armonioso chiudevano l'entrata.

Gaius si fece riconoscere dalla sicurezza, garantendo per Merlin quando le guardie lo fulminarono squadrandolo malissimo per gli abiti che indossava. Il mentore lo presentò con indifferenza come il suo “innocuo nipote”.

Circumnavigando il palazzo per una strada di sassolini artificiale, abilmente mascherata agli angoli dei cancelli, si raggiungeva la dependance occupata da Gaius. Stava nascosta nel lato interno, invisibile da fuori l'ingresso della dimora principale. Anche se questa era comunque immersa in un prato curato e circondata da un abbraccio di alte siepi dall'aspetto smagliante, la casa di Gaius precedeva l'entrata alla vera zona verde, come il rifugio di un guardaboschi si affaccia alla macchia.

“E laggiù, a destra, guarda, si vede la serra delle rose” disse Gaius a Merlin, guidandolo in giro con soddisfazione. “Sono sicuro che ti piacerà, è una meraviglia... il mio orgoglio personale.”

Merlin diede una rapida occhiata intorno: il verde si espandeva per quella che giudicò una spropositata quantità di chilometri. “Se tu sei il giardiniere, significa che devi occuparti di tutto questo?”

“Come se le mie ossa me lo permettessero! No, non sono l'unico giardiniere. Ma sono il solo che ha un'abitazione qui. Principalmente mi occupo delle serre e del roseto, ogni tanto do una mano anche col labirinto.”

La testa dello stregone scattò così in fretta verso l'altro che sentì uno scricchiolio sospetto provenire dal suo collo.

“Sì, c'è pure un labirinto, ma quello lo vediamo domani. È meglio ammirarlo con la luce del sole. Comunque... più avanti ci sono le residenze della servitù, quindici minuti a piedi da qui. Quelli lassù, invece, quei balconi in stile vittoriano... già, tu non sai cosa significhi vittoriano” brontolò Gaius, e poi mise le mani in faccia a Merlin e gli girò la testa in alto a sinistra. “Quelle sono le stanze del principe Pendragon. Si affacciano qui... guarda caso.”

La casa di Gaius non era proprio adiacente al palazzo. Tuttavia Merlin riusciva a vedere bene, oltre i finestroni, i lunghi tendaggi di un rosso opaco che ornavano le stanze di Arthur. “Che fortuna averlo così vicino” commentò caustico con una smorfia.

Il mentore gli mise un braccio attorno alle spalle e lo condusse alla porta della sua abitazione. Dopo aver armeggiato goffamente con le chiavi e aver usato un paio di espressioni che lo stregone non conosceva ma che lo fecero ridere comunque, Gaius riuscì a far scattare la serratura.

Merlin entrò e ciò che vide lo fece subito sentire a suo agio: più che in una casa, sembrava che Gaius vivesse in un vero laboratorio dove il disordine conviveva pacificamente col resto. Un'unica grande stanza al piano terra, zeppa di mensole infilate in ogni angolo e cariche di libri, era adibita a cucina e soggiorno. C'erano parecchi fogli volanti, e Merlin non poteva esserne sicuro, ma qualcosa gli diceva che anche nel mondo degli umani non era il massimo lasciare sul tavolo una busta di terriccio mezza aperta, stravaccata sopra una fila di cocci colorati.

“Non fare caso a quelli. Sto sperimentando una nuova serie di incroci tra piantine grasse, ho scoperto una varietà piuttosto curiosa di una famiglia che... mh. È di vitale importanza che restino lì sul tavolo, è il punto migliore da dove filtra la luce e... la colazione domattina penso che la faremo in piedi.”

“Non si preoccupi” sorrise Merlin. “Già mi piace molto qui, davvero.”

“Perfetto. Inizia a darmi del tu, comunque. In genere non si parla in modo formale al proprio zio” ammiccò Gaius.

Lo stregone ghignò. “Per la notte potrei sistemarmi anche sul pavimento tra una pianta e l'altra. Sono abituato a dormire per terra.”

“Oh, no, no no no no!”

Gaius si affrettò a raggiungere una porta che stava in fondo al salone, accanto a una libreria di mogano; la aprì rivelando una piccola scalinata di pietra grigia.

“C'è una sola stanza al piano di sopra. Ora la uso come ripostiglio, ma una volta era la camera da letto. Possiamo risistemarla per te. Non è tanto grande, ma dovrebbe andar bene.”

Merlin ondeggiò sul posto, un po' stupito.

Una stanza tutta sua.

Non ce l'aveva mai avuta nemmeno nella loro casa di Ealdor. Buffo che poco prima di partire avesse valutato di chiedere come desiderio a Kilgharrah proprio una stanza.

L'altro lo incoraggiò a seguirlo per dare un'occhiata, brontolando poi che adesso avrebbe dovuto risistemare la luce delle scalette o Merlin si sarebbe rotto l'osso del collo a scendere di lì al buio.

“Posso risistemarla in un attimo con la magia, credo” propose lui, per rendersi utile.

“No! Merlin, no. Ascolta...” Gaius gli piantò con decisione le mani nodose sulle spalle, guardandolo in modo tremendamente serio. “Regola numero uno per vivere tranquillamente nel Mondo Riflesso, ricordi?”

“Non si va a sbandierare in giro la propria magia” cantilenò Merlin.

Il mentore annuì con vigore. “Meglio evitare di usarla per le piccole cose. Meno rischi di metterti nei guai e meglio è.”

Lo stregone storse la bocca, poco convinto. Quanto poteva sbagliare a lanciare un incantesimo utile e semplice? L'avrebbe fatto alla svelta, ed era veramente impossibile che qualcuno lo beccasse in flagrante dentro casa di Gaius.

Regalò comunque all'uomo un sorriso rassicurante e convinto, uno di quei sorrisi prefabbricati che ogni tanto gli riuscivano particolarmente bene.

Poi si affacciò con curiosità al cataclisma di roba che invadeva la stanzetta: non si vedeva nemmeno più dov'era il letto, e l'armadio era completamente oscurato da una serie di attrezzi da lavoro impilati l'uno sull'altro. Merlin tornò a stuzzicare il mentore. “Anche adesso insisti con la storia del non usare la magia? Nemmeno per riordinare questo disastro?”

“Soprattutto per quello! Pensa se qualcuno dovesse venire e vedesse che la stanza è di tutto punto svuotata e pronta.”

“Ma...”

“Prima iniziamo e prima avrai il tuo letto disponibile, Merlin!”

Lo stregone roteò gli occhi al soffitto... e fece male, poiché la mossa gli fece notare le ragnatele che lo decoravano, e la lista delle pulizie da fare si allungò.

Così i due iniziarono a dedicarsi a tutta una serie di ammassamenti, spazzolamenti, spostamenti e spolveramenti vari. Era chiaro che non avrebbero potuto finire tutto in una volta; allora si accontentarono di sistemare il letto, parte dell'armadio e di liberare un passaggio per poter per lo meno entrare agilmente nella camera.

Quando Merlin si asciugò la fronte annaspando, pronto a buttarsi sul plaid a quadri offertogli da Gaius, l'uomo lo guardò con una pietà un pizzico divertita. “Mi dispiace dirtelo, ma la nottata sarà ancora lunga per te.”

E quella fu proprio la nottata più lunga che Merlin avesse mai vissuto. Gaius infatti decise di ignorare bellamente le sue proteste sulla stanchezza per lo scombussolamento della giornata e per le pulizie. Era più importante, aveva detto, imparare il prima possibile quanto più poteva sul Mondo Riflesso, per non trovarsi impreparato di fronte agli imprevisti. “Non ce la farai mai a immagazzinare in una volta tutte le nozioni che avresti se fossi un comune ventenne umano. Ma come ho già detto...”

“Prima iniziamo e prima avrò finito” mugugnò Merlin, l'entusiasmo sbiadito in una bolla di sapone.

Non era mai stato un ragazzo pigro. L'unica cosa che faceva mal volentieri erano le faccende di casa, e non era molto ordinato, questo sì. Ma l'iniziativa non gli era mai mancata, e se qualcuno, due giorni prima, gli avesse proposto un corso rapido di “umanologia”, Merlin avrebbe accettato di buon grado.

Però due cose erano anche vere: la prima era che a lui piaceva fare tutto in fretta, e la pazienza non era mai stata una sua virtù.

La seconda, per ironia, era che non esistevano magie per poter apprendere velocemente.

Ma... c'erano quelle per poter leggere velocemente. Quindi, quando Gaius se n'era andato a dormire lasciandolo, in modo piuttosto sfacciato, con un suo brutto pigiama grigio topo da indossare e con la prima (e un brivido gli era sceso giù per la schiena) di una serie di pile di “compiti” da fare entro la settimana, Merlin si era messo all'opera.

In fondo Gaius gli aveva detto di fare il più in fretta possibile, no?

La prima nottata nel Mondo Riflesso perciò Merlin la passò quasi tutta in bianco, leggendo con una magia velocizzante opuscoli, manuali, libretti d'istruzione, riviste d'attualità, menù di ristoranti cinesi, italiani, messicani... insomma, materiale di ogni tipo che riguardasse gli uomini, e i londinesi in particolare.

Non fu strano che alle sei del mattino si ritrovò a scivolare per lo sforzo in uno scomodo dormiveglia, due libri appoggiati sulle ginocchia e la guancia schiacciata contro il muro.

I suoi pensieri sconnessi erano popolati da attrezzi tecnologici, nozioni geografiche e storiche basilari, hamburger con varie salse. Nuotavano con noncuranza tra famosi spezzoni di film, riferimenti casuali alla cultura popolare, strani accessori da ragazza, titoli e ranghi nobiliari e... tra tutto spiccava un asino reale che lo fissava, le labbra arricciate come unico elemento a spezzare l'armonia del viso marmoreo.

Era il principe Arthur Pendragon che, svettandolo, lo guardava. E lo faceva con l'interesse con cui Merlin aveva guardato le ragnatele appese all'angolo del muro: blanda sorpresa nel realizzarne la presenza, l'idea di come eliminarle che inizia a spuntare dalle pupille strizzate.

Teneva pure le braccia incrociate al petto con un fare a metà tra il pratico e il seccato – aveva addosso una maglia con le maniche a tre quarti, ed erano piuttosto grandi, i suoi avambracci. Merlin non li aveva notati l'altra volta, forse perché era stato troppo impegnato a non farsi picchiare, o forse perché adesso era veramente impossibile non notarli, anche se non ne capiva il motivo. Era strano, doveva ammetterlo, sognare tra tutto proprio gli avambracci di Arthur Pendragon. Specialmente se quello nel frattempo non faceva che continuare a squadrare Merlin, adesso con tanto di sopracciglia inarcate.

Il dettaglio curioso era che se ne stava a braccia conserte appoggiato lì, nel vano della finestra che rientrava nella parete, quasi fosse stato in posa.

Il sole filtrato dal vetro lo colpiva sulla nuca, così da formare attorno alla sua persona tutto un contorno di luce soffusa. Ma quando Arthur ondeggiò appena sul posto, un raggio picchiò direttamente gli occhi di Merlin,

che dovette schermarsi il viso con la mano. Attraverso le fessure delle dita e a discapito del chiarore offuscato, emergevano comunque le iridi di Arthur. E persino in sogno erano... erano...

“Maledettamente blu” mugugnò lo stregone.

“È mezzogiorno.” La voce di Arthur era stata un affondo dritto nel cervello di Merlin. “Se io sono già sveglio, perché diamine tu non lo sei?”

Se fino a quel momento avrebbe potuto continuare considerarlo un sogno, il commento seguente che gli venne sferzato addosso (“pigiama orribile, comunque”), fece mettere Merlin seduto di scatto.

Esaminò veloce la situazione mentre il cervello iniziava a carburare: i libri che aveva sulla ginocchia erano aperti miseramente per terra, le pagine tutte piegate. Era passato dal poggiare la schiena alla spalliera e la guancia al muro allo stendersi completamente sul letto. Nel sonno era pure riuscito a coprirsi col plaid a quadri. Piuttosto abile. “Mi ero addormentato” dedusse con la voce impastata.

“Lo vedo” annuì Arthur, e tutto nel suo tono piatto e nelle labbra imbronciate gridava “sarcastico”.

“Che ci fai qua?” grugnì Merlin, seguendo un istinto primordiale di auto difesa che gli suggeriva di attaccare prima di venire attaccato.

Il che era... strano. In genere non si comportava in modo scorbutico. Era quel presuntuoso che gli stimolava l'acidità.

Intanto la faccia del suddetto presuntuoso si era rabbuiata seriosamente, e Merlin realizzò, alzando il mento, che al signorino non piaceva il tono col il quale gli si era rivolto. Tentò allora un'applicazione delle nozioni sull'etichetta di quel mondo che aveva imparato nella notte.

“Cioè, voi... come mai... siete qua?” si corresse, moderando il tono.

“Sono venuto a darti il benvenuto” E un ghigno enorme fiorì sul volto squadrato di Arthur.

Per un breve attimo, Merlin si chiese se fosse serio. Poi si diede mentalmente dello stupido; impossibile che un tipo del genere conoscesse altre buone maniere oltre quelle che dovevano venire usate con lui.

“Gaius ha detto che resterai qui per un po' di mesi, e mi è venuta un'idea. Un'idea geniale. Sono venuto per comunicartela” continuò il principe, tutto compiaciuto. “Se vuoi rimanere, di qualcosa ti dovrai pur occupare. Non avrai mica pensato di fare da zavorra a tuo zio per la tua intera permanenza?”

Eccola là, la trappola. Merlin si fece guardingo.

“Non temere, mi sono già adoperato per trovare la soluzione più adatta a te. C'è un lavoretto, adeguatamente retribuito, per cui tu dovresti avere proprio le credenziali giuste.”

Le sopracciglia scure dello stregone si alzarono mentre Arthur tamburellava le dita sull'avambraccio, sorridendo per qualcosa che lui vedeva e Merlin no, ma che doveva trovare decisamente divertente.

“Allora?” lo incalzò.

“Starai alle mie dipendenze.”

Nel caso fosse stato quello il pensiero che tanto divertiva Arthur, allora sì, Merlin doveva convenire, era in effetti esilarante. Perché, lui, alle sue dipendenze? Andiamo, no! ... Giusto? “E chi lo dice che lo devo fare?” gli chiese quindi incredulo.

Arthur allargò un po' le braccia, i palmi aperti verso l'alto. E quella faccia, oh, quella faccia da schiaffi... “Lo dico io!” Come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo. “Sono il figlio del re e si fa come dico io.”

Merlin si grattò la testa con furia. Magnifico! Era arrivato in un altro mondo solo per passare dallo status di stregone potenzialmente più potente del regno allo status di potenziale servitore di un principe. Una retrocessione bella e buona.

Tuttavia... non si poteva negare il risvolto sorprendentemente utile della faccenda. Arthur Pendragon era il Principe dei Draghi, l'uomo al quale lui o Morgana avrebbero portato via il cuore. Per quanto fosse assurdo per Merlin associare alla sua personalità tronfia la voce rotta che aveva ascoltato chiedere aiuto dal Regno della Magia, doveva ammettere che in effetti sembrava proprio appartenere a lui. La riconosceva.

Inoltre, Merlin era riemerso dalla sua ombra e la coincidenza sarebbe sembrata incredibile... se solo non avesse chiesto esplicitamente al Diamante del Giorno di trovargli la strada per poter raggiungere il Principe dei Draghi. Dunque il potere del Diamante era stato tale da portarlo direttamente da Arthur stesso.

E Gaius aveva anche detto che in fondo si doveva conoscere il proprio nemico – il proprio bersaglio, in questo caso. Quale occasione migliore poteva esserci per restargli appiccicato e studiarlo se non quella di lavorare per lui?

“Non puoi tirarti indietro” continuava intanto a ciarlare Arthur. “Gaius era pienamente d'accordo e l'ho già mandato a spargere la voce a tutta la servitù. Gli ho detto di dire in giro che Dumbo, il nuovo arrivato...” (Merlin, che adesso sapeva abbastanza da poter cogliere il riferimento impietoso alle sue orecchie, se le coprì sdegnato), “... Dumbo è il valletto personale del principe e d'ora in poi si occupa di tutto quello che lo riguarda: pulizia delle stanze del principe, assicurarsi che gli abiti del principe siano sempre apposto, commissioni varie per il principe, dall'andargli a prendere un bicchiere d'acqua al pulirgli il fango dalla suola delle scarpe” contò sulle dita ostentatamente. “Tutto quanto. Se qualcosa va storto o non soddisfa completamente il principe, la responsabilità è interamente del valletto.”

Merlin boccheggiò; a che prezzo terrificante aveva ottenuto la sua opportunità! “Questo... questo non è un lavoro, è una vendetta personale per l'altra volta! Altro che 'sono in grado di ammettere quando ho torto'!” si scaldò.

In tutta risposta, il ghigno di Arthur si fece palesemente vorace, come se il ragazzo fosse stato affamato del sapore della dolce vendetta. “Vedo che non sei così stupido come sembri, sai, te lo concedo.”

Con quello Merlin decise che non avrebbe retto oltre; Principe dei Draghi o no, non gli avrebbe permesso di parlargli in quel modo. Non si era mai fatto mettere i piedi in testa da nessuno, figurarsi da individui del genere.

Tuttavia, sembrò che avesse calcolato male quanto equilibrio iniettare nelle gambe, perché la destra gli si intrecciò chissà come con la sinistra, per conto suo. Era anche probabile che il suo rapido alzarsi non fosse stato agevolato dallo sforzo che aveva fatto infilandosi così in fretta tante nozioni in testa la notte passata. O, semplicemente, Merlin appena sveglio era più un esempio di stordimento che di brillantezza.

Qualunque fosse stata la causa, il risultato fu che lo stregone inciampò prima sui propri piedi, e poi, per riprendersi, finì sopra una scarpa di Arthur, scaricandoci sopra il suo peso col tallone.

Arthur, tra un'imprecazione, ebbe la prontezza di riflessi necessaria per sorreggere Merlin saldamente per una spalla.

“Oh!”

“Ehiii-accidenti-Merlin!”

“Scusate” balbettò lui, affrettandosi a staccarsi dalla solida fisicità di Arthur.

Il principe alzò comicamente le mani in aria, facendo due passi indietro. “Cavolo! L'altra volta ho pensato che tu fossi un po' fatto, ma adesso devo dedurre che è semplicemente una tua caratteristica, essere fuori fase.”

Merlin si schiarì la gola, lisciandosi la maglia del pigiama grigio topo che improvvisamente sembrava gli si fosse ristretta addosso. “Mi sono appena svegliato” disse, una giustificazione che somigliava più a una polemica.

“Fatto follie tutta la notte con Gaius?”

Fu naturale replicare all'ironia con l'ironia – si stava instaurando un certo meccanismo, notò Merlin. “Abbiamo festeggiato alla grande il mio arrivo in città.”

“Gaius non ce lo vedo molto a festeggiare fino a tarda notte. E nemmeno tu mi sembri particolarmente un tipo da party selvaggio.”

Merlin rispose a quello sguardo supponente con uno scettico.

“Non c'è bisogno che cerchi delle scuse, Gaius mi ha detto tutto, so come hai passato la nottata.”

Lo stregone si immobilizzò sul posto. Che cosa gli aveva detto Gaius – possibile che gli avesse rivelato sul serio come stavano le cose – ma se non aveva fatto altro che ripetergli la regola numero uno – quindi andava bene spiattellare in faccia la verità alla preda del duello – tipo ehi ciao lo sai che la magia esiste e che qualcuno ti strapperà il cuore e tu morirai – e poi Arthur, Arthur, Arthur come l'avrebbe presa?

“Insomma, una passione è una passione, si capisce” blaterò il principe. “Ma andare persino in giro con indosso abiti che sembrano direttamente usciti da Dungeons and Dragons... non ti vergogni nemmeno un po?”

Merlin buttò fuori l'aria sonoramente.

E solo allora si rese conto che aveva trattenuto il respiro.

“Sbuffare non ti sarà utile. Comunque sia, assicurati di non farmi più assistere a scemenze simili. Non posso farmi vedere in giro con un valletto vestito come un esaltato.”

“Perché... avete intenzione di portarmi in giro con voi?”

Arthur scosse le spalle, tornando ad appoggiarsi con noncuranza al vano della finestra interno al muro. “Nella mia vita ho sempre sentito la necessità di avere intorno un portaborse. Ma di sicuro non andremo da nessuna parte fintanto che non ti vedrò con addosso qualcosa di decente. Non ti farò indossare subito l'abito tradizionale dei valletti di corte solo perché non ho voglia di attirare attorno a me ulteriore attenzione...”, poi la sua espressione si illuminò perfidamente, “... considerando che quelle tue parabole sono già abbastanza visibili per conto loro.”

Merlin fece per coprirsi di nuovo le orecchie, ma grazie agli dèi l'istinto gli fermò le dita all'altezza dei lobi. L'idea di aver preservato l'orgoglio anche con un gesto piccolo come quello (si trattava di non dare soddisfazione ad Arthur) lo fece sentire un leone. Per evitare altre tentazioni, incrociò le braccia al petto, incatenando così le proprie dita.

“Il cappello della divisa ufficiale ti starebbe a pennello, però” continuò sovrappensiero il biondo.

Di sicuro si trattava di un copricapo del tutto ridicolo. “Grazie della premura” rimbeccò Merlin. Stava iniziando a inquadrare i processi mentali che Arthur seguiva. Non era poi così complicato stargli dietro nei battibecchi e rispondergli a tono, anzi, gli riusciva in automatico... Arthur era un po' un sempliciotto.

Un bambino capriccioso che si diverte come un matto a giocare al padrone.

Come se gli avesse letto nel pensiero, il principe confermò a Merlin il giudizio che si stava facendo su di lui a mano a mano che la conversazione proseguiva. “Fatti portare in giro da Gaius a vedere il palazzo. Entro oggi devi saperti orientare bene. Quando mi servirai ti chiamerò, e allora dovrai scattare subito ed essere da me in due minuti, capito?” fece, imperioso.

Merlin digrignò i denti. Il fatto che stesse imparando a trattare con lui non lo rendeva di sicuro meno irritante. “E se non dovessi farcela a raggiungervi entro due minuti?”

Allora Arthur staccò la schiena dalla parete per avvicinarsi a Merlin, piegandosi verso di lui. “Oh, non temere, le conseguenze dei tuoi ritardi le scoprirai da solo” disse, inarcando le sopracciglia significativamente.

Merlin, che a entrare in argomento non ci teneva, svicolò di lato. “Come fareste a farmi venire da voi ogni volta che volete, lo posso sapere?”

Arthur si mise tutto diritto, alzando la testa per guardarlo dall'alto in basso – non gli riuscì molto bene, l'effetto si perse perché in piedi e così vicini i due ragazzi avevano la stessa altezza.

“Dammi il tuo numero” ordinò comunque.

Numero... numero... diverse montagne di informazioni assorbite da libretti d'istruzione comparvero davanti agli occhi di Merlin. Ah, intendeva il numero di contatto di cellulare! Però... di quello lui, ovviamente, non disponeva.

Si morse quindi il labbro e disse semplicemente: “Non ho un cellulare”.

Arthur se ne stette zitto per due secondi buoni. Poi aprì la bocca, la richiuse, e arricciò le labbra di lato – lo faceva quando pensava a qualcosa? Si, di sicuro era un gesto che faceva quando stava pensando intensamente a qualcosa, accompagnato da quell'espressione vacua da dodicenne confuso.

Un dodicenne confuso con gli avambracci grandi e la presa salda e sicura. Che idiota! Merlin trattenne a stento una risata sonora.

“Non lo capisco molto, questo tuo senso dell'umorismo” disse Arthur.

“No, davvero, io...” disse lo stregone, schiarendosi la voce per tornare serio. “Non ho mai avuto un cellulare.”

A quel punto il tono del biondo si fece palesemente scandalizzato, come se Merlin avesse appena commesso un crimine enorme a viso scoperto. “Gaius aveva detto che eri vissuto in campagna, e a vederti hai proprio l'aspetto di un triste emarginato, ma... fino a questo punto? Come hai fatto finora a contattare le persone di cui avevi bisogno?”

“Andando direttamente a chiamarle e parlandoci faccia a faccia?” Merlin si strinse nelle spalle, sincero, e la risposta pronta zittì Arthur per un attimo.

Solo per un attimo, però, perché si riprese in fretta. “Fatti dare il cellulare di Gaius, per oggi. E vedi di procurartene uno tuo prima che puoi. Dio, che caso disperato.”

Detto questo, si voltò verso la porta e Merlin si mise in attesa della sua uscita di scena piuttosto ansiosamente: Arthur Pendragon andava somministrato a piccole dosi.

Il principe però si era fermato, pensosamente impegnato a rimirare il caos della stanzetta. “Spero che non sia questa la concezione che hai dell'ordine” disse, indicando il perimetro dell'intera zona.

Merlin fece un sorriso tirato. In realtà la sua idea di ordine era molto peggio, anzi, proprio non esisteva. “È solo ancora tutto in fase di...” allargò le braccia, cercando le parole, “... aggiustamento.”

“Sarà meglio per te che sia vero.”

Merlin lo considerò come un congedo, e in effetti Arthur scese in fretta i gradini, lanciò una parola di saluto a Gaius che era in cucina e se ne andò, lasciando lo stregone ancora con le braccia per aria.

 

 

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Merlin trovò Gaius intento a trafficare con le sue piantine che occupavano tutto il tavolo. Lo sguardo fermo, chirurgico quasi, con cui operava, gli fece per un attimo pensare a quel suo professore di pozioni dei tempi della scuola.

L'uomo lo sentì arrivare e lo salutò con un bel sorriso. “Vuoi fare colazione o data l'ora preferisci pranzare?” gli disse.

Merlin rise. “Colazione, grazie. Allora, vi siete divertiti a spettegolare su di me, tu e sua Altezza Testa di Legno?”

Gaius si piegò tutto sui vasi colorati. “Per mangiare serviti pure da solo. Guarda nel frigo, o nella credenza, o un po' ovunque, non sono sicuro di ricordare dove ho messo le tazze l'ultima volta. Per quanto riguarda Arthur, mi aveva chiesto il perché dei tuoi strani vestiti, così gli ho detto che sei un fanatico di fantasy e roba medievale” disse semplicemente.

Merlin scoppiò a ridere, passando la mano lungo la credenza per captare con la magia qualcosa di suo gusto. “Ecco perché ha nominato Dungeons and Dragons? Cioè, tipo... gli hai detto che sono un fissato di giochi di ruolo?”

“E collezioni anche miniature” lo informò il mentore.

Merlin scosse la testa, aprì un'anta di legno e individuò in un colpo solo una tazza e un pacco di biscotti, afferrando poi il cartone del latte accanto al lavello. “Sei andato piuttosto nel dettaglio per esserti semplicemente inventato una scusa su due piedi” disse a Gaius, ammirato.

“E tu sei andato piuttosto nel dettaglio con quel riferimento ai giochi di ruolo. Non è che avrai usato qualche trucchetto per aiutarti a studiare? E anche adesso, che cos'hai appena fatto lì con la credenza?”

“Assolutamente niente” mentì Merlin, immergendo il viso nella tazza.

“Ho gli occhi anche dietro la schiena, sai. Comunque, in realtà ieri notte mentre tu baravi spudoratamente (non farlo mai più o mi arrabbierò sul serio), ho preparato per te diversi scenari da usare come scuse in varie occasioni, tanto per restare sul sicuro.”

Merlin si appoggiò al bancone della zona cucina, sentendosi a suo agio, sentendosi grato nei confronti di Gaius. “Sei proprio notevole” gli disse sincero.

“Non per niente sono il tuo mentore” disse l'uomo al terriccio. “E ora, fila a cambiarti! Stamattina sono andato a procurati un po' di vestiti adatti a questo mondo.”

I pantaloni stretti e la maglia nera a maniche corte erano certamente adatti a quel mondo, ma la sua immancabile sciarpa rossa, che fosse stata di moda oppure no, Merlin decise di tenersela.

 

 

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Per prima cosa, Gaius portò Merlin al cospetto del re.

All'inizio lo stregone aveva opposto resistenza (“Mi stai portando a conoscere il padre della persona alla quale dovrei sottrarre il cuore?!”). Gaius però aveva insistito: Merlin non poteva restare lì se prima non si presentava ufficialmente al re. Era come il superiore del superiore del suo superiore. E se fosse stato alle dipendenze di Arthur, l'avrebbe visto spesso, quindi meglio presentarsi prima.

Alla fine, la cosa si rivelò meno ostica del previsto. Anzi, Merlin non era nemmeno sicuro che re Uther l'avesse visto sul serio. Chino su una scrivania stra piena di documenti nel suo enorme studio ufficiale, il re aveva salutato Gaius con un breve cenno della mano. Poi aveva degnato Merlin di una rapida occhiata, ma il ragazzo aveva fatto in tempo solo a ingoiare un po' d'aria che il re aveva restituito la sua attenzione al lavoro.

“È un tipo molto impegnato” disse poi Merlin al suo mentore, mentre quello lo portava a spasso per il palazzo.

“Lo è sul serio.”

Passarono velocemente a salutare nelle cucine e in un paio di altri ambienti della servitù, e per una buona oretta fecero su e giù per i corridoi, in modo che Merlin potesse prendere dimestichezza con l'ambiente. La cosa non sarebbe stata facile per nessuno, dato che la struttura dei corridoi si ripeteva in modo regolare e ogni zona al di fuori delle stanze sembrava a Merlin uguale all'altra – pure alcune stanze si assomigliavano paurosamente, a dirla tutta.

Alle pareti, quadri spropositati di nobili dalla faccia altezzosa e a volte pure un po' lugubre; sul pavimento, tappetti rosso scuro; tende dello stesso colore a coprire i finestroni delle camere.

Alla fine a Merlin venne il mal di testa. Le cose non migliorarono quando Gaius gli fece conoscere parte del personale della tenuta: facce e nomi dopo nomi dopo nomi che Merlin non era sicuro sarebbe riuscito a memorizzare... mai. Si risolse di salutare e sorridere educatamente a tutti, ma qualcuno che gli rimase impresso ci fu: gli unici altri due giovani della servitù, i figli del cuoco Gwen ed Elyan.

Appena saputo del nuovo arrivato, avevano voluto subito fare la sua conoscenza. Merlin e Gaius, al termine del loro giro, se l'erano trovati seduti a gambe incrociate fuori dalla porta di casa, che li aspettavano con un sorrisone di benvenuto.

A Merlin piacquero subito; non appena strinse loro la mano, sentì provenire da entrambi la stessa vibrazione positiva e solare. Sembravano avere quattro o cinque anni più di lui al massimo, ma l'aspetto maturo strideva completamente col loro comportamento da fratellini in amichevole lite perenne.

“Finalmente abbiamo trovato il nostro quarto uomo per i tornei alla Play!” esordì Elyan, dandogli una pacca sulla spalla. “Sei invitato ufficialmente a tutti i nostri incontri di partite clandestine, d'ora in poi puoi venire ogni volta che vorrai. Anzi, devi!”

“La fa passare per una gran cosa” rise Gwen, guardandolo di sbieco, “ma si tratta solo di un gruppo di ragazzini competitivi che si scaldano per un nonnulla.”

Intanto che Merlin li faceva accomodare sulle sedie che non erano occupate da qualche vaso, Elyan sbuffò sonoramente alla sorella. “È per questo che non è divertente giocare con te” le disse. “Comunque, Merlin, ci riuniamo sempre nello studio piccolo dell'ala nord. Vieni, ne vale la pena, davvero: Leon è una schiappa, sua Maestà il principino invece è più tosto, ma non è un avversario impossibile da battere.”

Merlin ci rimase di stucco. “Viene anche... il principe?”

Elyan si strinse nelle spalle con noncuranza. “Sì. Lo so che suona strano che un reale frequenti la servitù, e che a prima vista è un gran pallone gonfiato...”

“Oh sì, concordo” lo interruppe Merlin, convinto.

“L'hai già conosciuto?” gli parlò sopra Gwen.

Elyan le tappò la bocca con la mano, ignorando poi le sue proteste divertite. “... Ma è un tipo apposto, Arthur, sai” concluse. “Resterai sorpreso. Diventa antipatico solo quando inizia a perdere per due volte di fila.”

“Dice così perché non hai visto cosa fa lui quando perde” disse Gwen, liberandosi dalla mano del fratello e bloccandogliela dietro la schiena.

“Dice così perché non sai cosa fa lei! Gwen è il baro più mostruosamente scaltro del mondo. Quando giochiamo a carte avrebbe la capacità di fregarci a ogni mano, e invece ogni tanto lascia vincere apposta sua Altezza reale Chiappe d'Oro.”

“Elyan!” lo rimproverò la ragazza, ma Merlin notò che rideva ed era un po' arrossita.

“Cosa? Mi sto solo limitando ad usare il soprannome suggeritomi dal duca Gwaine. Oh, quello è un tipo forte, Merlin. Lo conoscerai, girano spesso qui intorno, gli amici del principe. Davvero non si direbbe, perché sono nobili e tutto il resto, ma è gente simpatica. Il preferito di mia sorella è il duca Lance, però... ogni tanto lascia vincere a carte pure lui. Chissà perché, ma le cartoline che manda dall'Africa sono sempre indirizzate a Gwen e mai a me...”

A questo punto Gwen era era vistosamente arrossita, e aveva preso a tormentarsi un ricciolo nero che le ricadeva di lato. Lo stregone la studiò con curiosità: era un segnale d'amore, l'imbarazzo, vero? Quindi Gwen amava questo Lance, oppure...

“Lascialo perdere” disse poi Gwen a Merlin, sopprimendo il tentennamento in modo sorprendentemente veloce. “Elyan si sente tradito solo perché lui detiene il record di partite perse di fila e non l'ha mai superata.”

Merlin rise, sincero. “Vuol dire che hai trovato un degno avversario con cui competere per il titolo di peggior giocatore, Elyan.”

Oh, di sicuro non avrebbe mai imparato in tempo tutte le regole di quei giochi, e usare di nuovo una magia per leggerle velocemente era fuori discussione (gli sarebbe esploso il cervello per le troppe informazioni!).

“Questo ragazzo mi piace, sorellina” disse Elyan soddisfatto.

In quel momento si sentì scoppiare dal nulla un rumore continuo, una melodia dalle note strane e un po' fastidiose. Merlin si guardò intorno, sentendo il suono provenire da vicino ma senza capire dove fosse la fonte. Gwen frugò nella borsa, mormorando “Non è il mio”.

“Merlin, che fai, non rispondi?” sorrise Elyan.

“Oh!” si illuminò lui. Il cellulare di Gaius! Si toccò le tasche dei pantaloni, facendo sgusciare fuori il telefono.

Sul display vide la scritta “Principe Pendragon”. Non sapendo bene cosa aspettarsi, premette il pulsante verde e si avvicinò l'oggetto all'orecchio, tenendolo saldamente con due mani. “Ehm...”

“Vieni nelle mia camera, ho trovato una cosa da farti fare” disse la voce di Arthur. Anche se più metallico, il tono era sempre infarcito di quella neutralità perentoria – voleva una cosa, voleva che venisse fatta, se lo aspettava come fosse stato scontato, quindi nemmeno si sforzava tanto nel comandarla. “E Merlin?”

“Sì?”

“Vieni immediatamente!”

 

 

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Per come l'aveva messa Arthur, riordinare tutto il suo armadio prima dell'ora di cena era di importanza capitale. Merlin avrebbe dovuto svuotarlo, riorganizzare tutti gli spazi, piegare bene gli abiti e mettere via quelli che andavano puliti.

Era passata un'ora e lui era ancora incagliato alla fase dello svuotare.

Nel frattempo, Arthur se ne stava seduto alla scrivania, intento a scrivere chissà cosa. Ogni tanto Merlin lo guardava con la coda dell'occhio per lanciargli una stoccata odiosa, ma veniva ignorato; Arthur era troppo concentrato a grattarsi la testa o a mordicchiare la punta della penna. Sembrava la versione più placida e svogliata del re all'opera che aveva visto prima.

Alla fine il Principe lo beccò mentre lo stava fissando in un momento in cui la sua esasperazione aveva raggiunto un picco piuttosto alto. Merlin sgranò gli occhi e chiuse la bocca di scatto, ma si riprese subito e trovò qualcosa da dirgli. “Non c'è la minima possibilità che voi veniate a darmi una mano, vero?”

Arthur alzò le sopracciglia con poca convinzione. “Il concetto di cosa sia un valletto deve esserti poco chiaro” gli disse.

Merlin prese una felpa rossa e la buttò sul letto con mal grazia, scaricandoci la sua frustrazione. Se avesse potuto usare la magia, quello non sarebbe stato affatto un problema. “Sono sicuro che un valletto non sia esattamente uno schiavo personale” disse, stendendo la felpa per cercare di capire come piegarla.

“Già, ma un valletto è uno che si occupa delle cose del suo signore” Arthur sottolineò signore, “quando lui non può.”

“Non potete almeno darmi delle direttive su come sistemare la vostra roba?”

“Ovvio che no.”

Merlin scoppiò in una singola risata stanca. Quasi non serviva più esasperarsi con uno che dava per scontato la sua superiorità con una tale naturalezza.

“Ovvio che no. E che cosa fate, intanto? Vi prendete il vostro tempo per rilassarvi?” disse alla felpa, accartocciandola apposta.

“Lavoro, Merlin. Non lo vedi? Sto lavorando” disse laconico Arthur, tornando a mordicchiare la penna. Fino a quel momento non aveva staccato gli occhi dal foglio che per qualche attimo; forse si stava dando da fare su serio.

Merlin allungò lo sguardo, ma da lì non riusciva a vedere cosa il principe stesse scrivendo – ovviamente la stanza era più grande di tutto il soggiorno di casa sua a Ealdor. “Fatemi vedere” disse allora, oltrepassando il letto.

Arthur lo guardò, le pupille strette, e mise su la sua miglior faccia da dodicenne pensieroso. Per un attimo a Merlin sembrò che lo stesse valutando, e in quel modo, in piedi davanti alla scrivania, si sentì stranamente scoperto.

“Non te ne intendi di scrivere discorsi, vero?” chiese il principe, piatto. “No, come potresti...” aggiunse, prima che Merlin avesse il tempo di rispondere. “Che hai da fissare tanto? Fila a finire il tuo lavoro!”

Merlin digrignò i denti, tornando verso il mucchio di panni abbandonato ai piedi dell'armadio.

Arthur era un tipo apposto, aveva detto Elyan. Merlin sarebbe rimasto sorpreso, aveva detto.

Ora l'unica cosa che lo sorprendeva era come stesse riuscendo a trattenersi dal far diventare gli occhi d'oro e scaraventare Arthur fuori dalla finestra.

 

 

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“Il pensiero di sottrargli il cuore è diventato improvvisamente più allettante” disse Merlin a Gaius mentre trangugiava della zuppa fredda.

Era riuscito a tornare alla dependance solo tre ore dopo. Sistemare quell'armadio era stata un'impresa titanica alla quale il principe non si era nemmeno degnato di assistere fino alla fine – a un certo punto era andato a cenare, lui.

Merlin era stato tentato di fargli sparire misteriosamente un paio di camice, ma poi aveva realizzato che le conseguenze sarebbero ricadute su di lui in ogni caso, quindi aveva rinunciato.

Gaius aveva riso bonariamente quando Merlin gli aveva raccontato le sue disavventure, e l'aveva consolato offrendogli un piatto di una zuppa che, per quanto fosse di dubbia composizione, restava pur sempre cibo.

Ma adesso il mentore s'era fatto serio – ogni tanto lo faceva, si oscurava in modo così repentino da risultare spiazzante. “Perché portargli via il cuore ti sembra più allettante?” gli disse, abbandonando le sue piante grasse.

“Perché... è un idiota!” balbettò Merlin. Si ritrovò a cercare le parole giuste per descrivere che razza di asino fosse ai suoi occhi il principe adesso che ci aveva passato insieme una giornata.

Con sorpresa, trovò che non era cosa facile; non riusciva a spiegarsi. Forse perché il grado di stupidità di Arthur era superiore alla norme e non era ancora stato creato un vocabolario adatto a descriverlo.

“Ti vedo in difficoltà” intervenne Gaius. Poi prese un respiro profondo. “Lo sai che cosa succederà dopo che Arthur verrà privato del suo cuore?”

“Morirà!”

Oh.

Merlin aveva preso fiato per dirlo, l'aveva quasi sputato – perché? La sua voce era suonata così avvilita anche alle sue stesse orecchie – perché?

Si affrettò allora ad aggiungere qualcosa, per spiegare meglio a Gaius, a se stesso, quello che voleva dire – ma che cos'era che stava tentando di dire, che cosa stava pensando? “Non sto dicendo proprio che si meriti... che si sia meritato di diventare il bersaglio mio e di Morgana” farfugliò, bloccandosi in tempo prima di dire “morire”, che ora era una parola così strana – insomma, non sembrava adatta. “Non lo conosco abbastanza da poter pensare una cosa del genere” aggiunse, agitandosi sullo sgabello. “Ma mentirei, Gaius, se ti dicessi di non avere la sensazione che... che esistano persone molto migliori di lui, e che si meritino questo destino molto meno di lui, perciò, non lo so... ora non mi impensierisce più così tanto la storia del duello.”

“Quindi non avrai alcun problema a rubargli il cuore?” incalzò l'uomo. “Nessun problema di nessuna sorta a vederlo morire per la vostra gara?”

Lo sgabello improvvisamente tentennò, oppure era stato Merlin a muoversi tanto da farlo oscillare, non ne era sicuro. “È... una persona arrogante!” ingoiò a vuoto lo stregone. “Insomma, è un idiota davvero, Gaius! Anche Morgana aveva detto di averlo sentito dire solo cose cattive e sgarbate.”

“Dimmi, Merlin, pensi di poter dire con sicurezza che una persona sia deprecabile dopo averla appena conosciuta?” Gaius si era espresso piano, sottilmente, non come se avessero parlato della vita di un ragazzo, ma come se fossero stati un alunno e il suo insegnante preferito che chiacchieravano del più e del meno dopo la lezione. “A volte non è neppure possibile esprimere un giudizio sicuro su una persona dopo che la si conosce da una vita.”

Merlin guardò Gaius, rapito. La casa era immersa nei colori opachi e nei suoni addormentati della sera, e il mentore, nell'ombra, sembrava così vecchio. Forse era per questo che ogni tanto s'impensieriva; Merlin doveva ricordarsi che Gaius aveva vissuto due esistenze: prima era stato un mago come lui, poi aveva ceduto il suo cuore diventando umano a tutti gli effetti.

Doveva saperne, di cose. Doveva averne viste parecchie, doveva aver provato tanto.

Quanta vita.

Era esattamente per questo che Merlin non lo capiva del tutto.

“C'è una cosa che è fondamentale che tu comprenda se vuoi orientarti bene in questo mondo, Merlin” disse Gaius, snocciolando le parole lentamente, valutandone il peso. “Non funziona così; non puoi pensare di capirci con uno schiocco di dita. Il cuore degli esseri umani è fatto di tanti strati. Non è solo tutto bianco o tutto nero.”

A quelle parole trillò, nella testa di Merlin, una vocina pronta a ricordargli qualcosa: alla fine della loro rissa mancata, Arthur aveva chiesto scusa per il suo comportamento. L'aveva ammesso come se gli fosse costato piuttosto caro e si era mangiato le parole, e tutt'ora gli stava dando un lavoro per prendersi una rivincita. Ma si era scusato comunque.

Merlin si guardò le scarpe, aggrottando le sopracciglia. Altro che imparare le regole dei giochi o assimilare le informazioni sul Mondo Riflesso. Trovare la chiave di lettura degli esseri umani, quello sì che era difficile.

“Non ti sto rimproverando, bada bene” continuò Gaius. “Volevo solo farti capire che sono proprio tutti i livelli emotivi in cui sono stratificati gli uomini a rendere arduo per gli stregoni rapportarsi a loro.”

E poi Gaius si bloccò, come congelato dalle sue stesse parole. “Dopo tutti questi anni” bisbigliò, “avevo scordato com'era essere uno stregone. Come si ragionava... cosa non si provava.”

Merlin, per un attimo, si sentì destabilizzato. Lentamente, stava iniziando a registrare il tutto da un altro punto di vista.

Ma adesso? “Tu che faresti, al posto mio?” chiese al mentore, non sapendo seriamente quali conclusioni trarre da quel discorso.

Gaius tornò alla sua sedia, la trascinò goffo davanti a Merlin e gli diede una pacca sul ginocchio. “Hai la mente aperta per essere uno stregone. Così stranamente aperta, direi anzi. Stai andando bene” lo incoraggiò. “Stai andando alla grande. Molto meglio di come mi sarei comportato io.”

Il ragazzo assunse un'aria interrogativa.

“È piuttosto... curioso, sai, tenere questa conversazione con te” farfugliò l'altro. “In teoria non dovrebbe importartene proprio un bel niente di ciò che ha in serbo il destino per Arthur. Ed è per questo che hai la mente aperta: dovresti star pensando solo al modo per appropriarti del suo cuore. Qualunque stregone farebbe così... anche io l'avrei fatto. Al posto tuo, se il mio mentore avesse contestato il mio modo di vedere la vita qui, gli avrei risposto di chiudere quella boccaccia da vecchia ciabatta.”

Merlin rise, spezzando l'insolita tensione che permeava l'aria. Ma c'era qualcosa che non andava del tutto bene; si sentiva diverso, molto più appesantito di prima.

“Ah, catturargli il cuore? Quarant'anni fa non avrei battuto ciglio all'idea. Che pena... povero ragazzo.”

Quell'ultima frase non era suonata come un consiglio da adulto. Merlin era sicuro si fosse trattato di un pensiero scappato per sbaglio dalla bocca di Gaius. Ma a chi si fosse riferito, a chi avesse dedicato la sua pena, Merlin non poteva dirlo.

 

 

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Quella notte Merlin provò per parecchio tempo a prendere sonno, ma senza alcun successo. Assurdo, perché la giornata era stata ancora più piena della precedente. Tuttavia, ogni volta che chiudeva gli occhi, non facevano che venirgli in mente stupide riflessioni sugli esseri umani.

Possibile che fossero così strani, così pieni di contraddizioni? E quanti potevano mai essere, quei loro dannati livelli?

Poi c'era Arthur, l'emblema dell'impenetrabilità umana.

Arthur.

Al pensiero della sua espressione da pesce lesso, Merlin ruggì di sconforto, tirandosi su seduto.

Dalla finestra della sua stanza poteva vedere il finestrone di quella del principe, illuminato dal chiarore della luna. Lo stregone si sistemò nella rientranza del muro per schiacciare la faccia contro il vetro, pensando.

Fino a quel momento Arthur era stato un vero imbecille nei suoi confronti, ma a detta di Gaius, Elyan e Gwen, c'era molto di più in lui. Solo che Merlin si chiedeva cosa fosse esattamente, questo “di più”.

Certo, le cose erano diverse se pensava che da quella stessa bocca erano potute uscire le parole che aveva udito nel Regno della Magia.

Era un grosso punto interrogativo, Arthur Pendragon. Magari si comportava differentemente a seconda di chi aveva intorno. Magari con Gaius e i suoi amici, per quanto potesse sembrare improbabile, era uno zuccherino.

Ma allora qual era il vero Arthur? Se solo Merlin avesse potuto vederlo in altre occasioni, in situazioni diverse, forse ci avrebbe capito qualcosa in più.

Ma... ma poteva farlo!

“Posso farlo, questo, accidenti!” esclamò, toccandosi la fronte con la mano.

Subito volò a rovistare nelle cose che aveva gettato alla rinfusa dentro l'armadio. Trovò la sacca che aveva portato da casa, cercò frenetico e dopo poco tirò fuori vittoriosamente la mano stretta a pugno sul Diamante del Giorno.

In fondo quell'oggetto gli aveva mostrato la strada per raggiungere il Principe dei Draghi, quindi tanto valeva tentare di vedere se funzionava anche in quel modo.

“Mostrami dove si trova adesso Arthur” soffiò Merlin.

Una macchia colorata prese a sbocciare sulla superficie della pietra; a mano a mano i colori si dividevano e i contorni delle cose prendevano una forma più netta. Presto Merlin fu in grado di distinguere lo studio del re che aveva visto quel pomeriggio.

Uther stava ancora dietro la scrivania; l'espressione inconfondibilmente adirata, le mani artigliate sui braccioli, emanava un'imperiosità tale da sembrare che fosse seduto direttamente sul trono.

Arthur stava in piedi, le mani incrociate dietro la schiena.

“Che cosa ti avevo detto?” disse il re in tono glaciale.

Merlin rabbrividì: era la calma prima della tempesta. Faceva paura.

“Era appena uscito l'ennesimo articolo scandalistico. Ti avevo semplicemente chiesto di restartene buono in casa finché non si fossero calmate le acque” continuò freddamente il re. “E invece vengo a sapere solo adesso che ieri sei comunque voluto uscire.”

“Papà...” iniziò Arthur.

“Mi hai disubbidito!” tuonò allora il re. “Te ne sei andato a East End con Gaius senza dire niente a nessuno! E portandoti dietro solamente Leon!”

“La scorta non era necessaria” disse a voce bassa il principe. “Ma è andato tutto bene, nessuno mi ha riconosciuto” aggiunse veloce.

“Non è una buona scusa, questa! Poteva succedere di tutto! Una semplice sciocchezza basta per metterti nei guai, lo capisci? Un passo falso è sufficiente, la stampa ingigantisce la notizia e la tua reputazione, la reputazione della famiglia reale, crolla!”

“Sono solo uscito un po', non ci sarebbe stato niente da ingigantire!” protestò Arthur, ma sempre immobile davanti alla raffica di parole di suo padre. “Non ce la facevo a rimanere chiuso qui.”

“Per l'amor del cielo, Arthur, un po' di autocontrollo...” Uther si sorresse stancamente la testa appoggiando i gomiti sul tavolo, il tono placato. “Solo questo ti manca, l'autocontrollo. Non puoi dire che ti manchi altro.”

“Invece sì” disse Arthur, la voce improvvisamente roca. “Non capisci, non so che cosa fare qui! Anzi, lo sai benissimo che non so cosa fare di me stesso.”

Re Uther sospirò esasperato, come se il figlio con cui stesse parlando avesse avuto sei anni. “Torniamo di nuovo su quest'argomento? Cos'è, allora preferiresti entrare in esercito?”

Arthur non rispose, ma il lungo silenzio e la faccia che fece dissero di sì al posto suo.

Il re allora si alzò di botto, tornando al tono di comando. “Ne abbiamo già parlato molte volte, sai che cosa ne penso e la risposta sarà sempre no.”

“Perché?” disse Arthur, accorato, avvicinandosi al padre per toccargli il braccio. “Sarei bravo, non ti farei vergognare, saresti fiero di...”

“No, perché lo dico io! E adesso basta.” Il re scartò suo figlio e uscì dallo studio, sbattendosi dietro la porta.

Il principe rimase dentro, fermo. Fu allora che Merlin si piegò sul Diamante che teneva tra i palmi, avvicinandosi con tutto il suo corpo, con tutto se stesso.

E lo riconobbe, lo vide chiaro e tondo sul volto duro, ferito di Arthur: quel senso vacuo di insoddisfazione di chi non sa ancora cosa vuole, ma sente un bisogno pressante da assecondare, una sete da scoprire che anela e teme allo stesso tempo.

“Voglio andarmene da qui” aveva detto una volta Merlin, sul tetto di casa sua.

Era stato il giorno in cui aveva rovinato la bancarella del pesce al mercato a causa di un incantesimo che non era riuscito a controllare. Quel giorno in cui si era scusato, se n'era tornato verso casa un passo dopo l'altro, veloce, sempre più veloce – se l'era filata.

Quella volta in cui, quando aveva avvistato la forma familiare del suo nido, con la sua porta col pomello d'ottone e la finestra rotonda, Merlin aveva avuto una gran voglia di non fermarsi, di continuare avanti come se non l'avesse vista.

Come se casa sua gli fosse sfuggita e, in qualche modo, non fosse stata più sua. Perché era certo che le pareti sarebbero state così strette addosso a lui.

E, non sapendo cos'altro fare, era salito sul tetto, la brezza estiva che gli pizzicava il collo in una notte senza stelle. Ginocchia strette al petto, il capo nascosto tra le spalle, “Voglio andarmene da qui”. Basta.

Ora invece era Arthur Pendragon a stare in piedi, ritto contro una stanza dalle mura strette tutte esclusivamente attorno lui. Si era voltato andando alla finestra e Merlin lo vedeva di schiena, immobile ma inquieto.

Il suo collo forte era piegato dal disappunto – strano pensare che qualcosa avesse la capacità di far abbassare la testa al principe. Eppure d'improvviso sembrava talmente diverso, quasi come...

“Non ha senso stare qui così.”

Come un'immagine speculare a quella di Merlin. Qualcosa che, misteriosamente, era insieme uguale e opposta a Merlin.

“Mi sento soffocare.”

Proprio come se avesse riconosciuto in lui un'ombra di se stesso, per un attimo appena... solo per un attimo, gli era sembrato di veder baluginare nell'essenza di Arthur il riflesso di se stesso.

 

 

 

~

 

 

 

 

 

Salve di nuovo! Siamo giunti al quarto capitolo...e intanto per me sono giunti gli esami ç_ç

Non a caso la parte iniziale del discorso di Gaius, il “delirio filosofico”, l'ho scritta in preda a un vero delirio dopo una sessione di studio di estetica...capitemi ç_ç

Comunque, per queste forze di causa maggiore non credo che riuscirò a mettere mano al nuovo aggiornamento prima della fine del mese; quindi ho pensato di lasciare questo capitolo più lungo degli altri, per facilitarvi un po' l'attesa fino alla prossima volta.

Ma dato che è uscito lunghissimo, ci ho messo il doppio per scriverlo, quindi non so quanto sia stato conveniente per voi in termini di attesa xD

Prima di darvi un paio di delucidazioni, una cosa che avevo dimenticato di scrivere la volta scorsa:

gli occhiali con le lenti arancioni che Arthur indossava li ho inseriti come puro omaggio a tutte le mitiche foto di Bradley a spasso per il set in costume con gli occhiali da sole xD scommetto che anche Arthur se li metterebbe sempre, se potesse!

Invece, per quanto riguarda questa volta...

Confesso che nello scrivere la scena di Merlin che si sveglia trovando Arthur che lo fissa da sopra, all'idea di potermi beare della visione celestiale del Principe appena sveglia, stavo sbavando io anche per Merlin *_*

Poi, una precisazione che ci tenevo a fare: quando Gaius parla con Merlin a proposito del destino di Arthur e dice “che pena, povero ragazzo”...qui sta pensando a ben tre persone: ad Arthur, ovviamente, contro il quale il destino è stato molto crudele.

Poi al se stesso del passato, poiché anche Gaius è stato uno stregone incapace di percepire l'amore e la disgrazia, e realizzare questo gli fa pena. E per lo stesso motivo, si riferisce pure a Merlin, ritenendolo inconsapevole dell'orrore che sarà il prezzo del duello (anche se in realtà non è proprio così, e infatti Merlin ha molti più dubbi di quanti non dovrebbe).

 

Ancora una volta ringrazio tanto i miei lettori e tutti quelli che hanno inserito la fiction tra le seguite, preferite e ricordate. Invece a coloro che recensiscono dico direttamente...vi amo ç_ç perché mi motivate molto a proseguire quando trovo delle difficoltà nello svolgimento della storia. Quindi vi ringrazio ancora per il supporto, e vi lascio il link per alcune canzoni che mi hanno ispirato per la stesura della fiction <3

 

 

Angolino Soundtrack (cliccate sul titolo della traccia)

Generale: Mirrors - Justin Timberlake

Melodia per Merlin: I Am From... (Tamra the Island OST)

Merlin e Morgana nella Caverna dei Mille Giorni: Martha Jones Theme (Doctor Who OST)

Il passaggio del Lago Avalon: Under the Sea (Tamra the Island OST)

Melodia per “Riflesso”: The letter that never came (Lemony Snicket OST)

   
 
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