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Autore: FALLEN99    18/09/2013    1 recensioni
Bianca Snow ha 17, i capelli neri come ali di corvo, la pelle bianca come la neve e le labbra scarlatte come il sangue. Quando sua madre muore assassinata, la soluzione che l'arcigna matrigna le propone, è quella di spedirla in un isolato collegio nel sud della Cornovaglia.
Bianca non ne è felice, ma farebbe qualsiasi cosa pur di scappare al dolore che continua a contrassegnare la sua vita.
Quando incrocia gli occhi magnetici di Carter, Bianca capisce che tutto ciò in cui credeva prima non ha più senso.
Fra oscuri presagi, sangue, tradimenti, e una tormentata storia d'amore, Bianca capirà che alle volte, bisogna lottare per ottenere il proprio lieto fine.
*Dal testo*
Il corpo di Carter premeva imponente sul mio, imprigionandomi sensualmente contro il muro alle mie spalle.
Ogni parte del mio corpo era invasa da un desiderio di lui così potente da lasciarmi senza fiato...
La passiona mi scorreva veloce nelle vene.
Le sue dita affusolate erano chiuse come candidi rami su una mela scarlatta, rossa e invitante come il più prelibato dei frutti.
-Mi vuoi, Bianca?
Annuii.
La voce di Carter era una carezza gelida sulla mia pelle.
- Un morso e sarò tuo, Bianca. Per sempre.
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Due.
 

«Bianca, tesoro, cosa ci fai su quell’albero?» la voce cortese e dolce di mia madre mi arrivò alle orecchie trasportata dalla tiepida brezza di inizio estate in una tenue carezza.
Mi riscossi dai miei pensieri e fissai il mio sguardo su di lei, sorridendole come solo una bambina di quattro anni poteva fare.
«Sto guardando.» dissi con aria vaga.
Stranita, Alyssa mi guardò, pensierosa, le braccia incrociate in grembo e la lunga gonna della vestaglia turchese che sfiorava dolcemente gli effimeri fili d’erba del giardino dietro casa nostra.
Sul suo volto pallido quanto il mio si potevano intuire i segni di una notta passata a piangere; gli occhi ambrati erano rossi e gonfi, e due evidenti occhiaie le risaltavano scure sotto uno sguardo stanco.
«E che cosa, piccolo cervo? Sono solo sei di mattina…»
Una sensazione di calore mi irradiò il cuore, avvolgendolo nelle sue brame di assoluto benessere.
Adoravo quando mi chiamava piccolo cervo, mi faceva sentire protetta e sempre al sicuro.
Ogni volta dalle sue labbra rosee usciva quella parola, sentivo che niente poteva accadermi, che lei sarebbe sempre stata lì con me, il suo abbraccio vigoroso era una promessa ad aiutarmi e difendermi da qualsiasi pericolo mi si avvicinasse.  
Evidentemente, non sapevo quanto tenaci fossero quei pericoli e quanto avrebbero cercato di strapparmi ciò che amavo.
«Come si chiama quella riga laggiù?» le chiesi ignorando di proposito la sua domanda, indicando una linea soffusa che divideva il cielo dai tetti delle case.
Mamma seguì la traiettoria del mio dito e, dopo aver fissato per qualche istante quella retta, un sorriso genuino, molto raro da quando papà se ne era andato di casa, le illuminò il volto.
Non seppi come interpretare quel fatto inaspettato; d'altronde a soli quattro anni e mezzo non si riesce a comprendere molto degli adulti, considerati una razza lontana anni luce da noi.
«Quella, tesoro, non è una riga qualunque.» cominciò in tono premuroso, il vento tiepido che le smuoveva i capelli raccolti in una pigra coda di cavallo.
«Quella è una linea speciale, Bianca, dove il cielo il sole si getta quando cala la notte. È il suo rifugio segreto, il posto dove nessuno può trovarlo e dove lui si sente davvero al sicuro.»
Una domanda mi sorse in simultanea alla sua risposta.
Prima che potesse scivolarmi fuori dalle labbra, decisi di fermarla, pensando che fosse frivola o stupida, ma mamma, con un sorriso incitante, cancellò ogni mia preoccupazione.
«E perché il sole si nasconde?» domandai, attenta alla risposta che Alyssa fra qualche istante mi avrebbe dato.
Prima di rispondere, però, un’ombra le oscurò lo sguardo. Rabbrividii, nemmeno la notte in cui papà aveva fatto le valigie per andarsene l’avevo mai vista balenare nei suoi occhi.
«Perché la notte gli fa paura, Bianca.» mi rispose, la voce enigmatica e lo sguardo perso in chissà quali ricordi del suo passato, così lontani che io non potevo nemmeno immaginare.
«Di cosa ha paura, mamma? Dei mostri cattivi?»
Mi sistemai più comodamente su ramo su cui ero appollaiata, sistemando meglio la schiena sul tronco grosso e spesso del tronco della betulla.
Poggiai l’orecchio su di esso; percepivo la linfa scorrere rapida e andare a risanare le radici.
Sin da quando ne ho ricordo, quella era una cosa che mi aveva sempre rilassata, come se, sentendo la vita nelle cose che mi circondavano, mi sentissi per qualche strana ragione viva anch’io, e non segnata dalla pesante separazione dei miei genitori.
Mi irrigidii nella mia posizione. Mamma non aveva ancora parlato, e il silenzio che si era creato era una tenaglia che strideva ogni secondo di più e mi arpionava la gola.
Deglutii, ma il nodo che mi aveva stretto la gola non accennava a scomparire.
«Mamma, tutto bene?» la mia voce era un flebile sussurro, timoroso di aver interrotto il flusso impazzito dei suoi ricordi.
«Sì, tesoro, non ti preoccupare.» mi rassicurò, ma il tono assente non lo fece per niente.
Un’auto sfrecciò veloce nella strada, l’aria che si trascinò dietro mi sferzò la faccia.
«Esattamente, Bianca, il sole ha paura dei mostri. Ma non dei mostri che pensi tu, quelli brutti e rivoltanti, i mostri del sole sono l’esatto opposto.
Belli, radiosi, e sempre pronti ad aiutarlo, i suoi nemici più temibili sono i suoi amici. Perché, mi chiederai, ma la risposta che ti sto per dare non la comprenderai ora, solo in futuro lo farai.» s’interruppe per alcuni attimi; l’atmosfera era tesa come una corda di violino, così tirata che sarebbe bastata anche una sola parola a sproposito per spezzarla.
Mi appiattii, ansiosa, sul tronco alle mie spalle; le labbra di mamma erano un pozzo di verità troppo pericolose da comprendere.
«Perché proprio dietro chi ti sta vicino, si nasconde il tuo potenziale assassino. La gente mente, Bianca, la gente finge di esserti amica per poi pugnalarti vigliaccamente alle spalle.
Viviamo in un mondo dove la fiducia può essere letale, Bianca.
Devi stare molto attenta, a chi ti sta attorno, promettimelo.»
Annuii, non sapendo che quell’affermazione avrebbe segnato per sempre la mia vita.
Mi svegliai di soprassalto, un sapore impastato che mi invadeva la bocca. Il soffitto sopra di me era di un brillante color lavanda, così femminile da darmi il voltastomaco ogni volta che lo guardavo.
Odiavo qualsiasi cosa fosse sbarazzina o vagamente vistosa; la bellezza era qualcosa da cui mi tenevo a debita distanza.
Mi tirai faticosamente a sedere, le membra intorpidite dal ricordo così vivido del sogno che avevo appena lasciato.
L’immagine del viso preoccupato di mia madre mi invase la mente come proiettata in primo piano; i suoi occhi erano lame che mi pizzicavano la pelle, troppo intensi e pieni di ricordi da poter affrontare.
Scossi la testa e la scacciai violentemente dalla mia mente.
In un lungo sospiro di frustrazione dovuto alla continua pressione a cui ero vincolata in quei giorni grigi e bui, scostai le lenzuola dalle gambe.
Il freddo fu una stretta di ghiaccio sulla mia pelle.
Rabbrividii e mi affrettai ad avvolgermi nella confortante vestaglia che era appesa al fianco del mio letto.
Un abbraccio di calore mi riscosse, riscaldandomi le membra.
Infilai le ciabatte, e, quando alzai lo sguardo, incontrai la mia immagine riflessa allo specchio.
I capelli erano un groviglio di liquirizia sulla mia testa, così fitto e ingarbugliato da sembrare un nido d’uccello.
Pesanti occhiaie mi segnavano gli occhi ambrati, mentre la pelle, bianca e cadaverica come latte, era sudata e disidratata, simbolo della cura di me stesso che avevo in quel periodo.
Mi osservai minuziosamente, anche ridotta in quello stato assomigliavo troppo a mia madre.
Le mia labbra, sottili linee scarlatte sotto il mio naso leggermente all’insù, erano identiche alle sue, come il resto di me.
Era frustrante guardarsi e vedere lei, che non c’era più.
Sembravo il suo ricordo sbiadito, un’eco lontana e distorta di ciò che era, ed era come se la sua immagine vivesse attraverso di me.
Fui scossa da un fremito di rabbia.
Io ero io, non volevo essere lei! osservarmi mi rammentava fin troppo intensamente quanto fosse bella in qualsiasi situazione, una cosa che mi mancava terribilmente.
In uno scatto iroso afferrai la veglia e la scagliai contro lo specchio, che si frantumò in mille frammenti di vetro che si sparpagliarono per la stanza.
Ora, migliaia di occhi identici ai suoi mi fissavano. Una sensazione opprimente mi attanagliò le ossa.
Se il mio obiettivo era quello di non doverla vedere più, non l’avevo proprio raggiunto.
Per quanto mi sforzassi, la vedevo in ogni parte di me, e dimenticarla era come chiedere ad un bambino di rinunciare al suo gioco preferito.
In diciassette anni il dolore aveva cercato di inghiottirmi in tante occasioni, e, quella volta, dovevo amaramente constatare che ci stava riuscendo.
Il perché? Non avevo più voglia di lottare.
Quella consapevolezza mi fendette la mente come una stilettata di ghiaccio.
Senza accorgermene, stavo singhiozzando, lacrime fredde come l’acciaio mi scivolavano lentamente sulle guance, rigandole come lame che volevano incidermi sulla pelle il mio dolore.
Ero annientata da tutto ciò che mi ricordasse mia madre. Me compresa.
Scivolai inerte a terra, rannicchiandomi. Il dolore era una bolla che mi isolava dal resto del mondo, lasciandomi in balìa di me stessa.
Qualcuno bussò alla porta. Mi riscossi, seppur di poco.
Sollevai lentamente le testa, i capelli ricci mi ricaddero come un sipario di velluto davanti agli occhi.
«Bianca? Tutto bene lì dentro?» la voce di mio padre era marcata dalla preoccupazione.
Tentai di rantolare qualcosa come risposta, ma la bocca era secca come terra bruciata.
«Ho sentito dei rumori, non è che hai rotto lo specchio? Posso entrare, tesoro?»
Anche se gli avessi risposto negativamente, sarebbe entrato comunque, tanto valevo non sprecare il già poco fiato che avevo.
Non appena la porta si aprì in un fastidioso cigolio, la sagoma di mio padre comparve sulla soglia della stanza.
Quando il suo sguardo si fissò su di me, gli occhi quasi gli schizzarono fuori dalle orbite per lo spavento.
La sua mascella cominciò a vibrare, come succedeva tutte le volte che vedeva qualcosa di imprevisto.
Nemmeno il tempo di un respiro ed era già accanto a me, il suo istinto paterno, dopo diciassette anni che lo conoscevo, aveva per la terza volta preso il sopravvento.
«Bianca…cosa…?» farfugliò cingendomi con un abbraccio caldo e avvolgente.
Cercai la voce per rispondergli, ma ogni energia che avevo dentro era stata come prosciugata.
Le sue mani grandi e forti cominciarono a lambirmi il volto in dolci e maldestre carezze, che cancellarono anche se di poco la sensazione di abbandono che sentivo pulsarmi nelle vene.
Mi abbandonai alla sua stretta, incapace di resistervi.
La sua barba grattava lievemente sulla mia guancia, mentre le sue dita affusolate mi asciugavano le lacrime.
«Cosa ti è successo? Bianca, parlami!» in uno scatto vigoroso mi girò verso di lui, costringendomi a guardarlo.
I suoi occhi a mandorla non erano mai stati così vivi.
Quando ciò che volevo dire mi apparì chiaro nella testa, lo lasciai uscire dalla mia bocca senza il minimo sforzo.
 «Voglio andarmene.» la mia voce era seria e grave.
Un fruscio di seta fece convergere la mia attenzione sulla porta della stanza, dove Dorothea, i lunghi capelli color caramello raccolti in uno crocchia severa e l’inconfondibile vestaglia di seta che le cadeva elegantemente lungo i fianchi, mi scrutava, imperturbabile.
La sua voce fu una frusta nelle mie orecchie.
«Ogni tuo desiderio è un ordine.»





Angolo autore:
Buenas tardes!
Guten Abend!
Goodevening!
#scleri dopo aver avuto quattro ore a suola di spagnolo,tedesco, inglese e italiano u.u
Mettendo da parte i miei scleri linguistici, cm vi è sembrato il capitolo?
Ho descritto bene il sogno/ricordo di Bianca?
Io ce l'ho messa tutta nel cercare gli errori di ortografia, se ce ne sono degli altri mi spiace u.u
Ringrazio i recensori e chi ha messo la storia fra le preferite
Al possimo capitolo
F
 
   
 
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