5.
Prigioniero
Neville ebbe almeno la
delicatezza di non rientrare. Fu Remus Lupin, il suo
ex insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, a liberarlo dalla sua prigionia,
invitandolo fuori. Draco lo guardò con rabbia e
sospetto, domandandosi quanto, in silenzio o solo con un breve contatto
mentale, Paciock gli avesse rivelato, quanto
quell’uomo sapesse. Non c’era traccia di sorriso sulle sue labbra, e
quell’aspetto bonario e pacato che gli ricordava addosso era scomparso,
sostituito da una trasandatezza se possibile ancora maggiore di quella di un
tempo, accompagnata da un grigiore cupo e solitario che incuteva quasi timore.
Lo sguardo del giovane
era rancoroso e collerico, pregno di risentimento e odio, ma Lupin non si
scompose più di tanto: lo invitò fuori con un gesto della mano, illustrandogli
brevemente le regole dell’accampamento e spiegandogli che non sarebbe potuto
scappare – soffermandosi, con dovizia di particolari, sulle conseguenze di una
sua eventuale fuga, che terminavano tutte con una terribile e dolorosissima
morte.
Una volta terminato il
suo discorso, però, gli sorrise, in quel modo che gli era appartenuto
tantissimi anni prima, e nella linea delle sue labbra sottili e secche, tra le
pieghe di quel viso costellato di cicatrici, Draco
rivide l’insegnante che molti, a Hogwarts, avevano
amato. Non certo lui, troppo occupato a badare all’aspetto esteriore, troppo
attento ad escogitare un’altra cattiveria per infliggere danno a qualcuno;
troppo intento a spiare quella ragazza che ora, con uno sguardo libero da
rancore o dispiacere ma colmo di quella curiosità limpida che da sempre la
contraddistingueva, lo osservava con intensità.
Hermione spese solo qualche istante in quella silente contemplazione,
affatto imbarazzata dallo sguardo impudente del ragazzo fisso su di lei. Un
minuto, poi tornò alle sue occupazioni: raccogliere la legna, procurare cibo,
medicare le ferite di Ginny e degli altri alleati.
A Draco
non rimase altro da fare se non allontanarsi, mettere quanti più chilometri
possibili tra lui e la ragazza e ignorare bellamente gli sguardi colmi di
livore e astio che gli altri gli scoccavano, senza timore di farsi scoprire in
accese discussioni su quanto fossero orribili le sue azioni, efferati i suoi
crimini, opinabili le sue scelte.
Era strano, e sciocco,
per non dire assolutamente imprudente, che lui, da prigioniero, fosse libero di osservare, toccare, camminare
lungo le stesse strade che percorrevano i suoi aguzzini.
Quello che loro
chiamavano quartier generale, si accorse con poco stupore, non era altro che
uno sciatto agglomerato di tende ordinate alla rinfusa o casupole improvvisate
con legni marci e gonfi d’umidità. Il pozzo che avevano costruito al centro
dell’accampamento aveva l’unico scopo di raccogliere l’acqua piovana, ma la sua
reale funzione era un mistero persino per lui: a che pro utilizzare quella
costruzione, quando un semplice “Aguamenti” sarebbe stato sufficiente a dissetarli? La
risposta che si diede, le mani in tasca e un ghigno sul volto, era tanto idiota
quanto superba, in pieno stile Malfoy: nessuno di
loro era capace di eseguire un incantesimo basilare come quello, perché, in
caso contrario, non avrebbero speso tempo ed energie per costruire una
struttura inutile.
Draco superò il pozzo con un lungo passo, storcendo il naso
davanti ai profili fatiscenti e rozzi delle tende logore e sudicie che
fungevano da abitazioni.
A dispetto di ciò che
pensava lui e tutta la sua banda di folli assassini, l’Ordine della Fenice era
molto più numeroso di quanto si potesse pensare. Non che quella masnada di
vecchi e bambini malnutriti potessero in qualche modo dar loro del filo da
torcere – non li considerava nemmeno un pericolo – ma durante quegli anni di
guerra pensava che il Signore Oscuro ne avesse decimati molti di più. Lo aveva
fatto, senz’altro, ma per ogni morto c’erano almeno dieci vivi.
Ed eccoli lì, fieri e
combattivi, ad aiutarsi l’un l’altro in faccende banali e quotidiane come
accendere il fuoco per scaldarsi, o in quelle più rischiose e complicate come
il procacciare cibo per sé e per gli altri – missioni di pace, o di guerra, nel
tentativo di sopravvivere o di vincere.
Draco li studiò a lungo.
I primi giorni rimase
nascosto all’ombra di un ulivo che protendeva le sue fronde su un laghetto
naturale la cui superficie cominciava a venarsi di ghiaccio. Li guardava da
lontano chiedendosi quale artificio li legasse tanto indissolubilmente da
spingerli a collaborare senza ricevere in cambio nient’altro che un sorriso;
per quale motivo si aiutassero tra di loro se non c’era paura nei loro sguardi
né terrore a guidare e motivare le loro azioni. Aveva dimenticato la complicità
dell’amicizia e, ora, la gentilezza di un gesto spontaneo o la curva di un
sorriso sembravano esse stesse magie, eredità di un mondo di cui aveva scordato
l’esistenza e che credeva sparito, e invece trovava, con stupore, ancora in
piedi, come l’ultimo granello di un universo che non aveva intenzione di
scomparire.
Di tanto in tanto,
qualcuno si avvicinava per lavare i panni o le vecchie pentole sbreccate. Lui
cercava di ignorarli, loro lo evitavano, ma senza dimenticarsi di scoccargli
occhiate colme d’odio. Draco non poteva nemmeno
biasimarli del tutto: lui, la sua famiglia, i suoi alleati, avevano fatto cose
orribili, sterminato senza pietà la popolazione magica e non, mietuto vittime,
distrutto famiglie.
Quanti di loro aveva
ferito?
Ne aveva riconosciuto
uno, in particolare. Un ragazzo che aveva più o meno la sua età, ma a cui
mancava un braccio. Era sicuro di essere lui l’artefice di quell’amputazione;
qualcosa, nel suo sguardo, glielo suggeriva. Qualcosa, nei suoi ricordi, urlava
e chiedeva il suo tributo. Draco era certo che
l’avrebbe pagato.
***
Hermione impilò con cura l’ultimo ciocco di legno in cima alla
piccola torretta che avevano appena finito di creare, poi spostò lo sguardo su
Neville che, il volto paonazzo, si era appena passato una mano sulla fronte per
detergere il sudore.
La ragazza emise un
lungo respiro, gli occhi ostinatamente fissi sull’amico.
« Che cos’hai visto? »
chiese limpidamente, senza mai staccare gli occhi dal volto del giovane. Era
una domanda che le ronzava in testa da troppo tempo. Per mille volte l’aveva
scacciata e se l’era tolta dalla mente, evitando lo sguardo di Neville o
cercando di trovare occupazioni migliori che non fossero saziare la sua
irrefrenabile curiosità. Quella volta, però, proprio non riuscì a frenare la
lingua: le parole le sfuggirono dalla bocca prima di avere il tempo di
ingioiarle.
Neville le scoccò
un’occhiata a metà tra il divertito e il dispiaciuto, prima di rispondere.
« Non capisco di che
parli »
Hermione emise uno sbuffo spazientito, infastidita da quella plateale
menzogna: Neville poteva anche essere un impavido condottiero, ma non era
capace di mentire.
« Nella testa di Malfoy » precisò con pedanteria. « Cosa hai visto? » Il suo
sguardo si fece più penetrante e attento, concentrata com’era a non perdere
nemmeno una delle sue reazioni.
Neville chinò il capo
ed emise un lungo sospiro, poi si strinse nelle spalle.
« Poca roba » replicò
lui, stranamente vago nella risposta, ma per nulla impacciato. La giovane
strega scosse il capo, come a voler chiedere di più, ma dalla bocca non le uscì
alcun suono. Era una richiesta silenziosa, la sua, una pretesa delicata ma che
aveva molto della ragazzina che Neville aveva conosciuto a scuola, con quel suo
candore delicato ma deciso. Ciononostante, non aveva intenzione di rivelarle
niente. Non lo aveva fatto con nessuno, e non perché dovesse qualcosa a Malfoy, o perché lo rispettasse, quanto piuttosto per
l’affetto che lo legava a Hermione e Ron, per il timore che l’impatto con quella nuova, assurda
realtà destabilizzasse entrambi più di quanto fosse lecito. Non era sicuro di
aver preso la scelta giusta, e talvolta si domandava se avrebbe dovuto dire
qualcosa, magari solo accennarla, gettarla quasi per scherzo nel bel mezzo di
un discorso.
Quando ne aveva parlato
con Luna, senza mai dire chiaramente come stavano le cose, lei aveva risposto
che la verità, qualsiasi verità, somigliava a una pietra che viene lanciata nel
bel mezzo di un lago. La pietra scompare subito, affonda in pochi istanti, ma
lascia segni indelebili del suo passaggio: cerchi che increspano la superficie
dell’acqua e che continuano ad allargarsi fino a raggiungere la riva, allagando
le sponde con una tenacia piccola e crudele.
Neville aveva capito
poco di quelle parole, ma sapeva che ogni azione ha conseguenze, perciò aveva
taciuto.
Da un lato, gli
dispiaceva dover mentire alla sua migliore amica; dall’altro, però, sapeva che
era la cosa giusta da fare. Lo sguardo che lui e Malfoy
si erano scambiati alla fine di quella lotta silenziosa che avevano sostenuto
per giorni era stato come un suggello: avevano siglato un patto. Lui l’aveva
costretto alla resa, l’altro l’aveva invitato al silenzio. Il risultato era una
strana forma di tacito rispetto a cui entrambi guardavano con stupore e
sospetto.
« Hai detto che è
innocuo. Perché? » L’insistente voce di Hermione
venne incrinata da una punta di panico che gli fece crepitare la pelle.
« Perché non ci farà
del male »
« Come fai a esserne
sicuro? »
« Sono sicuro »
« C’entra qualcosa il
fatto che mi ha salvata per due volte? »
Neville si fermò
all’improvviso, il passo che lo stava conducendo verso la sua tenda sospeso a
metà da una sorpresa che non era nemmeno poi così intensa come si aspettava. Quella
ragazza era sempre stata troppo intelligente, troppo perspicace, per poterle
nascondere qualcosa. La sua esitazione fu per Hermione
una conferma sufficiente, e anche se lui si affrettò a scuotere il capo lei
comprese perfettamente che c’era qualcosa di vero nella sua intuizione.
« Neville » lo
richiamò, una sfumatura di preoccupazione ad oscurarle il volto.
« Hermione,
ti fidi di me? » Lui la guardò negli occhi, con una determinazione che lei gli
aveva letto addosso solo negli istanti prima di una battaglia. Annuì piano, con
timore, ma senza la minima esitazione.
« Allora non farmi
domande a cui non posso rispondere »
Prima di voltarle le
spalle, non riuscì a trattenere un sorriso. Hermione
non sapeva perché, ma, più che esserne rassicurata, si sentì ferita e
inquietata da quell’ombra sul volto dell’amico. Istintivamente, il suo sguardo
si spostò verso il lago.
Gli occhi mercuriali di
Draco erano pozzi senza fondo, insondabili e superbi,
ma in qualche modo adombrati da una sfumatura di sospetto che somigliava
pericolosamente a rabbia. La sua mascella vibrava impercettibilmente, il corpo
teso come una corda di violino. Guardava Neville con supponenza, e solo quando
il ragazzo scomparve dentro la sua tenda i suoi occhi, acuti e pungenti, si
spostarono lentamente su Hermione, senza mai perdere
quell’ombra scura, inquietudine segreta che lei non riuscì a comprendere. Non
poté fare a meno di pensare a quanto desiderasse conoscere la verità.
***
La guerra li aveva
cambiati tutti, in modo impercettibile ma inequivocabile. Lo capiva dagli
scatti nervosi delle mani, dalla vacuità degli sguardi attenti e sempre
all’erta, dai sussurri disperati e sospettosi di una confessione di nascosto.
Lo capiva ogni volta
che qualcuno tornava da una delle loro strane missioni suicida, scarmigliato e
con l’espressione sconvolta di chi ha visto in faccia il dolore. Lo capiva ogni
sera, quando, come una litania, ripetevano i nomi delle vittime e dei caduti,
dei defunti, dei cari che avevano perso, degli amici scomparsi mai trovati.
Erano cambiati.
Eppure, erano sempre
loro.
Draco li guardava con una punta di invidia, quando, stretti
intorno al fuoco come un saldo anello indistruttibile, si facevano forza con un
semplice sguardo o un sorriso di nascosto.
E la risata di Hermione tintinnava limpida al di sopra delle altre, la sua
voce risuonava più alta di quella dei suoi compagni e, in qualche modo, il suo
viso era illuminato dalle fiamme in modo diverso, come se quella luce fosse
riservata a lei soltanto.
E lui, in disparte, la
guardava con un desiderio che gli corrodeva lo stomaco e che lo faceva sentire
prigioniero più di quanto non fosse.
Lo avevano liberato da
catene o carceri, non era rinchiuso in segrete né costretto da corde, eppure,
mai come allora Draco si era sentito recluso,
soffocato da quella sensazione che si acuiva ogni volta che uno sguardo castano
cadeva su di lui quasi per sbaglio. Averla accanto era una maledizione peggiore
di qualsiasi morte.
« Tu non vieni? »
Draco sussultò, preso alla sprovvista da quella voce che non si
aspettava di udire. I suoi occhi, primi fissi su Hermione,
seduta a moltissimi metri di distanza, si spostarono su quella figura
allampanata che sbucava dall’ombra, illuminata solo a intermittenza dalle
fiamme del grande falò che avevano acceso al centro dell’accampamento.
« No »
Il ragazzo non poté
fare a meno di notare che le mani di Paciock erano
sporche di terra, le unghie incrostate di polvere umida e fango e il viso
stranamente paonazzo.
Neville intercettò il
suo sguardo. Chinò il capo ed emise un sospiro amaro, prima di parlare,
mostrandogli le mani quasi come fossero un trofeo insanguinato.
« Si chiamava Micheal Corner. Era un nostro compagno di scuola, un Corvonero » disse piano, con voce atona e monocorde. « È
stato colpito da una Maledizione, non so chi sia stato, non sono riuscito a
vederlo » Il timbro divenne più asciutto, calò di un’ottava e vibrò, per poi
tornare di nuovo fermo, irremovibile in quella freddezza fallace.
Draco lo guardò con le sopracciglia corrugate.
« Ti aspetti che dica
che mi dispiace? » sibilò, gli occhi ridotti a due punte di spillo lucenti
nella semioscurità.
La luce della luna
illuminava solo metà del viso di Draco, ma Neville
riuscì comunque a intravedere il puro disgusto che gli arricciava le labbra.
« Ci sono voluti
ottantatré colpi di pala per scavare la sua tomba » disse lui, come se l’altro
non avesse mai parlato. Il biondo sbuffò. I suoi occhi si posarono sul lago,
che luccicava quietamente, quasi la sua superficie fosse accesa da centinaia di
piccoli diamanti. Tacque, con l’indifferenza della viltà e il distacco dei
vincitori.
Poi fu il turno di
Neville di sospirare.
« Vieni vicino al
fuoco. Fa freddo qui » disse soltanto, prima di allontanarsi con passi misurati
e precisi, senza più attendere una risposta. Draco
dovette fare un enorme sforzo per non guardarlo andar via. Solo quando si fu
allontanato strinse con forza i pugni.
***
Hermione si avvicinò cauta, il corpo esile avvolto da un maglione
sformato che era stato il regalo di Natale di Molly, in un tempo in cui il
Natale esisteva ancora e permetteva persino lo scambio di doni. Le braccia
strette intorno a sé nel tentativo di trovare in quel piccolo gesto un calore
che difendesse anche dalla paura, si affacciò per cercare di spiare il volto
del giovane, impegnato in gesti che lei riconosceva solo perché si era sempre
applicata in quel tipo di magie.
« Stai cercando di lasciarti morire
di fame? » esordì con un sorriso incerto ma amichevole sul volto.
Gli occhi di Draco
erano immobili, fissi sulle acque ormai ghiacciate di quel lago che era
diventato il suo rifugio. La sua espressione si indurì quando la vide arrivare
e i suoi gesti divennero meccanici, ma lui tacque ostinatamente.
« Molly mi ha detto che non hai
toccato cibo da quando sei qui » continuò la ragazza. Si era fermata a pochi
metri da lui, e lo fissava dall’alto, stretta nel suo grande maglione color
melanzana. Nonostante i suoi vestiti fossero molto più larghi, Draco riusciva a immaginare senza alcuno sforzo ogni forma
del suo corpo. « Tieni » Hermione si sporse verso di
lui, tirando fuori da chissà quale piega del suo maglione due grosse mele
verdi. Lo stomaco del ragazzo mugolò, ma lui cercò di ignorare quella
sensazione fastidiosa. I suoi occhi si piantarono dritti in quelli della
giovane strega all’improvviso, con forza.
« Non cercare di fare la gentile
con me, Granger » ringhiò ostile, arricciando le
labbra come una belva che mostra i denti per difendersi dal predatore che ha
dinnanzi. Hermione roteò gli occhi e sospirò.
« Non c’è di che, Malfoy » Il suo tono era fortemente impregnato di
sarcasmo. « Perché devi essere sempre
così insopportabile? » Hermione si chinò leggermente
e poggiò le due mele che gli aveva appena porto accanto a lui, ai piedi
dell’albero. Draco la osservò con la coda
dell’occhio, e non poté fare a meno di respirare profondamente nel tentativo di
trattenere dentro di sé pensieri e bisogni: le mani piccole di Hermione, il profilo dritto di Hermione,
le labbra rosee di Hermione, Hermione,
che era una tentazione sufficiente senza che lei gli fosse accanto.
« E tu perché cerchi di piacere
sempre a tutti? » ribatté lui caustico, inchiodandola con lo sguardo. Lei
rimase immobile, la testa voltata verso di lui e il corpo ancora piegato, a
guardarlo ora con una punta di ostilità dietro quel tentativo di tregua ormai
chiaramente fallito. Non poteva comprendere quanto rancore, quanta amarezza,
quanto dolore ci fosse dietro quell’affermazione che, più che un insulto, era
una constatazione, la dichiarazione di quella gelosia acuta e colpevole che lui
avrebbe dovuto a tutti i costi sopprimere. Draco lo
capì immediatamente e si morse la lingua, ma troppo tardi, mentre lei alzava il
mento con fierezza, come a volersi difendere con quello sguardo determinato che
forse faceva più male di tutto.
« Che ti piaccia o no rimarrai qua
per molto tempo. Credo che sia ora che cominci ad abituarti » disse Hermione con freddezza, facendo un passo indietro.
« A cosa? » sibilò il ragazzo con
espressione ostile e minacciosa.
« A socializzare. A collaborare.
Tutti devono fare la loro parte qui » Anche il viso della giovane strega, ora,
era una maschera di distacco, ma dietro il velo opaco di uno sguardo
indifferente v’era una traccia di dispiacere che lo sorprese. Sembrava ferita
dalla sua reazione, in qualche modo. Forse sperava davvero in qualcosa – cosa, Draco se lo sarebbe chiesto per sempre.
« Sono un prigioniero, Granger » le ricordò con pungente sarcasmo.
« Sì » Hermione
annuì duramente « Un prigioniero, non un ospite » precisò piccata. Poi, senza
attendere una replica, puntò la bacchetta contro il suolo: dalla punta della
sua arma strisciarono fuori piccole lingue di fuoco violetto che si raccolsero
ai piedi del ragazzo, sprigionando un piacevole tepore. Mentre gli voltava le
spalle, Draco ebbe la sensazione che la sua
condizione fosse cambiata solamente nell’ultimo secondo.
Mi trovate qui: Eloise.