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Autore: Eloise_Hawkins    19/09/2013    7 recensioni
La guerra non si è ancora conclusa: mentre Harry Potter cerca disperatamente gli ultimi Horcrux, Voldemort conquista Hogwarts, ora sua roccaforte. La popolazione magica vive nel terrore, nascondendosi in piccoli gruppi e cercando di sopravvivere nonostante le continue incursioni dei Mangiamorte.
In questo clima di terrore e violenza, l’Ordine della Fenice, o almeno ciò che ne rimane, come la creatura da cui prende il nome tenta di risorgere dalle sue ceneri, accogliendo sotto la sua ala protettiva chiunque ne abbia bisogno ma, soprattutto, chiunque sia disposto a combattere.
Hermione Granger milita tra le fila del Bene, prima combattente in ogni battaglia. La sua concentrazione, però, vacilla quando Draco Malfoy, pur avendola riconosciuta nonostante il suo travestimento, la lascia libera di scappare. Perchè? E cosa nasconde lo sguardo grigio di quel ragazzo?
La guerra è ormai alle porte: un'ultima possibilità, una sola speranza, per chi nella vita ha fatto solo scelte sbagliate. E, forse, per chi ha ancora la possibilità di commetterle.
Ispirato a "Espiazione", di Ian McEwan
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Luna Lovegood, Neville Paciock, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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5.





Prigioniero

 

 





Neville ebbe almeno la delicatezza di non rientrare. Fu Remus Lupin, il suo ex insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, a liberarlo dalla sua prigionia, invitandolo fuori. Draco lo guardò con rabbia e sospetto, domandandosi quanto, in silenzio o solo con un breve contatto mentale, Paciock gli avesse rivelato, quanto quell’uomo sapesse. Non c’era traccia di sorriso sulle sue labbra, e quell’aspetto bonario e pacato che gli ricordava addosso era scomparso, sostituito da una trasandatezza se possibile ancora maggiore di quella di un tempo, accompagnata da un grigiore cupo e solitario che incuteva quasi timore.

Lo sguardo del giovane era rancoroso e collerico, pregno di risentimento e odio, ma Lupin non si scompose più di tanto: lo invitò fuori con un gesto della mano, illustrandogli brevemente le regole dell’accampamento e spiegandogli che non sarebbe potuto scappare – soffermandosi, con dovizia di particolari, sulle conseguenze di una sua eventuale fuga, che terminavano tutte con una terribile e dolorosissima morte.

Una volta terminato il suo discorso, però, gli sorrise, in quel modo che gli era appartenuto tantissimi anni prima, e nella linea delle sue labbra sottili e secche, tra le pieghe di quel viso costellato di cicatrici, Draco rivide l’insegnante che molti, a Hogwarts, avevano amato. Non certo lui, troppo occupato a badare all’aspetto esteriore, troppo attento ad escogitare un’altra cattiveria per infliggere danno a qualcuno; troppo intento a spiare quella ragazza che ora, con uno sguardo libero da rancore o dispiacere ma colmo di quella curiosità limpida che da sempre la contraddistingueva, lo osservava con intensità.

Hermione spese solo qualche istante in quella silente contemplazione, affatto imbarazzata dallo sguardo impudente del ragazzo fisso su di lei. Un minuto, poi tornò alle sue occupazioni: raccogliere la legna, procurare cibo, medicare le ferite di Ginny e degli altri alleati.

A Draco non rimase altro da fare se non allontanarsi, mettere quanti più chilometri possibili tra lui e la ragazza e ignorare bellamente gli sguardi colmi di livore e astio che gli altri gli scoccavano, senza timore di farsi scoprire in accese discussioni su quanto fossero orribili le sue azioni, efferati i suoi crimini, opinabili le sue scelte.

Era strano, e sciocco, per non dire assolutamente imprudente, che lui, da prigioniero, fosse libero di osservare, toccare, camminare lungo le stesse strade che percorrevano i suoi aguzzini.

Quello che loro chiamavano quartier generale, si accorse con poco stupore, non era altro che uno sciatto agglomerato di tende ordinate alla rinfusa o casupole improvvisate con legni marci e gonfi d’umidità. Il pozzo che avevano costruito al centro dell’accampamento aveva l’unico scopo di raccogliere l’acqua piovana, ma la sua reale funzione era un mistero persino per lui: a che pro utilizzare quella costruzione, quando un semplice “Aguamenti” sarebbe stato sufficiente a dissetarli? La risposta che si diede, le mani in tasca e un ghigno sul volto, era tanto idiota quanto superba, in pieno stile Malfoy: nessuno di loro era capace di eseguire un incantesimo basilare come quello, perché, in caso contrario, non avrebbero speso tempo ed energie per costruire una struttura inutile.

Draco superò il pozzo con un lungo passo, storcendo il naso davanti ai profili fatiscenti e rozzi delle tende logore e sudicie che fungevano da abitazioni.

A dispetto di ciò che pensava lui e tutta la sua banda di folli assassini, l’Ordine della Fenice era molto più numeroso di quanto si potesse pensare. Non che quella masnada di vecchi e bambini malnutriti potessero in qualche modo dar loro del filo da torcere – non li considerava nemmeno un pericolo – ma durante quegli anni di guerra pensava che il Signore Oscuro ne avesse decimati molti di più. Lo aveva fatto, senz’altro, ma per ogni morto c’erano almeno dieci vivi.

Ed eccoli lì, fieri e combattivi, ad aiutarsi l’un l’altro in faccende banali e quotidiane come accendere il fuoco per scaldarsi, o in quelle più rischiose e complicate come il procacciare cibo per sé e per gli altri – missioni di pace, o di guerra, nel tentativo di sopravvivere o di vincere.

Draco li studiò a lungo.

I primi giorni rimase nascosto all’ombra di un ulivo che protendeva le sue fronde su un laghetto naturale la cui superficie cominciava a venarsi di ghiaccio. Li guardava da lontano chiedendosi quale artificio li legasse tanto indissolubilmente da spingerli a collaborare senza ricevere in cambio nient’altro che un sorriso; per quale motivo si aiutassero tra di loro se non c’era paura nei loro sguardi né terrore a guidare e motivare le loro azioni. Aveva dimenticato la complicità dell’amicizia e, ora, la gentilezza di un gesto spontaneo o la curva di un sorriso sembravano esse stesse magie, eredità di un mondo di cui aveva scordato l’esistenza e che credeva sparito, e invece trovava, con stupore, ancora in piedi, come l’ultimo granello di un universo che non aveva intenzione di scomparire.

Di tanto in tanto, qualcuno si avvicinava per lavare i panni o le vecchie pentole sbreccate. Lui cercava di ignorarli, loro lo evitavano, ma senza dimenticarsi di scoccargli occhiate colme d’odio. Draco non poteva nemmeno biasimarli del tutto: lui, la sua famiglia, i suoi alleati, avevano fatto cose orribili, sterminato senza pietà la popolazione magica e non, mietuto vittime, distrutto famiglie.

Quanti di loro aveva ferito?

Ne aveva riconosciuto uno, in particolare. Un ragazzo che aveva più o meno la sua età, ma a cui mancava un braccio. Era sicuro di essere lui l’artefice di quell’amputazione; qualcosa, nel suo sguardo, glielo suggeriva. Qualcosa, nei suoi ricordi, urlava e chiedeva il suo tributo. Draco era certo che l’avrebbe pagato.

 

***

 

Hermione impilò con cura l’ultimo ciocco di legno in cima alla piccola torretta che avevano appena finito di creare, poi spostò lo sguardo su Neville che, il volto paonazzo, si era appena passato una mano sulla fronte per detergere il sudore.

La ragazza emise un lungo respiro, gli occhi ostinatamente fissi sull’amico.

« Che cos’hai visto? » chiese limpidamente, senza mai staccare gli occhi dal volto del giovane. Era una domanda che le ronzava in testa da troppo tempo. Per mille volte l’aveva scacciata e se l’era tolta dalla mente, evitando lo sguardo di Neville o cercando di trovare occupazioni migliori che non fossero saziare la sua irrefrenabile curiosità. Quella volta, però, proprio non riuscì a frenare la lingua: le parole le sfuggirono dalla bocca prima di avere il tempo di ingioiarle.

Neville le scoccò un’occhiata a metà tra il divertito e il dispiaciuto, prima di rispondere.

« Non capisco di che parli »

Hermione emise uno sbuffo spazientito, infastidita da quella plateale menzogna: Neville poteva anche essere un impavido condottiero, ma non era capace di mentire.

« Nella testa di Malfoy » precisò con pedanteria. « Cosa hai visto? » Il suo sguardo si fece più penetrante e attento, concentrata com’era a non perdere nemmeno una delle sue reazioni.

Neville chinò il capo ed emise un lungo sospiro, poi si strinse nelle spalle.

« Poca roba » replicò lui, stranamente vago nella risposta, ma per nulla impacciato. La giovane strega scosse il capo, come a voler chiedere di più, ma dalla bocca non le uscì alcun suono. Era una richiesta silenziosa, la sua, una pretesa delicata ma che aveva molto della ragazzina che Neville aveva conosciuto a scuola, con quel suo candore delicato ma deciso. Ciononostante, non aveva intenzione di rivelarle niente. Non lo aveva fatto con nessuno, e non perché dovesse qualcosa a Malfoy, o perché lo rispettasse, quanto piuttosto per l’affetto che lo legava a Hermione e Ron, per il timore che l’impatto con quella nuova, assurda realtà destabilizzasse entrambi più di quanto fosse lecito. Non era sicuro di aver preso la scelta giusta, e talvolta si domandava se avrebbe dovuto dire qualcosa, magari solo accennarla, gettarla quasi per scherzo nel bel mezzo di un discorso.

Quando ne aveva parlato con Luna, senza mai dire chiaramente come stavano le cose, lei aveva risposto che la verità, qualsiasi verità, somigliava a una pietra che viene lanciata nel bel mezzo di un lago. La pietra scompare subito, affonda in pochi istanti, ma lascia segni indelebili del suo passaggio: cerchi che increspano la superficie dell’acqua e che continuano ad allargarsi fino a raggiungere la riva, allagando le sponde con una tenacia piccola e crudele.

Neville aveva capito poco di quelle parole, ma sapeva che ogni azione ha conseguenze, perciò aveva taciuto.

Da un lato, gli dispiaceva dover mentire alla sua migliore amica; dall’altro, però, sapeva che era la cosa giusta da fare. Lo sguardo che lui e Malfoy si erano scambiati alla fine di quella lotta silenziosa che avevano sostenuto per giorni era stato come un suggello: avevano siglato un patto. Lui l’aveva costretto alla resa, l’altro l’aveva invitato al silenzio. Il risultato era una strana forma di tacito rispetto a cui entrambi guardavano con stupore e sospetto.

« Hai detto che è innocuo. Perché? » L’insistente voce di Hermione venne incrinata da una punta di panico che gli fece crepitare la pelle.

« Perché non ci farà del male »

« Come fai a esserne sicuro? »

« Sono sicuro »

« C’entra qualcosa il fatto che mi ha salvata per due volte? »

Neville si fermò all’improvviso, il passo che lo stava conducendo verso la sua tenda sospeso a metà da una sorpresa che non era nemmeno poi così intensa come si aspettava. Quella ragazza era sempre stata troppo intelligente, troppo perspicace, per poterle nascondere qualcosa. La sua esitazione fu per Hermione una conferma sufficiente, e anche se lui si affrettò a scuotere il capo lei comprese perfettamente che c’era qualcosa di vero nella sua intuizione.

« Neville » lo richiamò, una sfumatura di preoccupazione ad oscurarle il volto.

« Hermione, ti fidi di me? » Lui la guardò negli occhi, con una determinazione che lei gli aveva letto addosso solo negli istanti prima di una battaglia. Annuì piano, con timore, ma senza la minima esitazione.

« Allora non farmi domande a cui non posso rispondere »

Prima di voltarle le spalle, non riuscì a trattenere un sorriso. Hermione non sapeva perché, ma, più che esserne rassicurata, si sentì ferita e inquietata da quell’ombra sul volto dell’amico. Istintivamente, il suo sguardo si spostò verso il lago.

Gli occhi mercuriali di Draco erano pozzi senza fondo, insondabili e superbi, ma in qualche modo adombrati da una sfumatura di sospetto che somigliava pericolosamente a rabbia. La sua mascella vibrava impercettibilmente, il corpo teso come una corda di violino. Guardava Neville con supponenza, e solo quando il ragazzo scomparve dentro la sua tenda i suoi occhi, acuti e pungenti, si spostarono lentamente su Hermione, senza mai perdere quell’ombra scura, inquietudine segreta che lei non riuscì a comprendere. Non poté fare a meno di pensare a quanto desiderasse conoscere la verità.

 

***

 

La guerra li aveva cambiati tutti, in modo impercettibile ma inequivocabile. Lo capiva dagli scatti nervosi delle mani, dalla vacuità degli sguardi attenti e sempre all’erta, dai sussurri disperati e sospettosi di una confessione di nascosto.

Lo capiva ogni volta che qualcuno tornava da una delle loro strane missioni suicida, scarmigliato e con l’espressione sconvolta di chi ha visto in faccia il dolore. Lo capiva ogni sera, quando, come una litania, ripetevano i nomi delle vittime e dei caduti, dei defunti, dei cari che avevano perso, degli amici scomparsi mai trovati.

Erano cambiati.

Eppure, erano sempre loro.

Draco li guardava con una punta di invidia, quando, stretti intorno al fuoco come un saldo anello indistruttibile, si facevano forza con un semplice sguardo o un sorriso di nascosto.

E la risata di Hermione tintinnava limpida al di sopra delle altre, la sua voce risuonava più alta di quella dei suoi compagni e, in qualche modo, il suo viso era illuminato dalle fiamme in modo diverso, come se quella luce fosse riservata a lei soltanto.

E lui, in disparte, la guardava con un desiderio che gli corrodeva lo stomaco e che lo faceva sentire prigioniero più di quanto non fosse.

Lo avevano liberato da catene o carceri, non era rinchiuso in segrete né costretto da corde, eppure, mai come allora Draco si era sentito recluso, soffocato da quella sensazione che si acuiva ogni volta che uno sguardo castano cadeva su di lui quasi per sbaglio. Averla accanto era una maledizione peggiore di qualsiasi morte.

 

« Tu non vieni? »

Draco sussultò, preso alla sprovvista da quella voce che non si aspettava di udire. I suoi occhi, primi fissi su Hermione, seduta a moltissimi metri di distanza, si spostarono su quella figura allampanata che sbucava dall’ombra, illuminata solo a intermittenza dalle fiamme del grande falò che avevano acceso al centro dell’accampamento.

« No »

Il ragazzo non poté fare a meno di notare che le mani di Paciock erano sporche di terra, le unghie incrostate di polvere umida e fango e il viso stranamente paonazzo.

Neville intercettò il suo sguardo. Chinò il capo ed emise un sospiro amaro, prima di parlare, mostrandogli le mani quasi come fossero un trofeo insanguinato.

« Si chiamava Micheal Corner. Era un nostro compagno di scuola, un Corvonero » disse piano, con voce atona e monocorde. « È stato colpito da una Maledizione, non so chi sia stato, non sono riuscito a vederlo » Il timbro divenne più asciutto, calò di un’ottava e vibrò, per poi tornare di nuovo fermo, irremovibile in quella freddezza fallace.

Draco lo guardò con le sopracciglia corrugate.

« Ti aspetti che dica che mi dispiace? » sibilò, gli occhi ridotti a due punte di spillo lucenti nella semioscurità.

La luce della luna illuminava solo metà del viso di Draco, ma Neville riuscì comunque a intravedere il puro disgusto che gli arricciava le labbra.

« Ci sono voluti ottantatré colpi di pala per scavare la sua tomba » disse lui, come se l’altro non avesse mai parlato. Il biondo sbuffò. I suoi occhi si posarono sul lago, che luccicava quietamente, quasi la sua superficie fosse accesa da centinaia di piccoli diamanti. Tacque, con l’indifferenza della viltà e il distacco dei vincitori.

Poi fu il turno di Neville di sospirare.

« Vieni vicino al fuoco. Fa freddo qui » disse soltanto, prima di allontanarsi con passi misurati e precisi, senza più attendere una risposta. Draco dovette fare un enorme sforzo per non guardarlo andar via. Solo quando si fu allontanato strinse con forza i pugni.

 

***

 

Hermione si avvicinò cauta, il corpo esile avvolto da un maglione sformato che era stato il regalo di Natale di Molly, in un tempo in cui il Natale esisteva ancora e permetteva persino lo scambio di doni. Le braccia strette intorno a sé nel tentativo di trovare in quel piccolo gesto un calore che difendesse anche dalla paura, si affacciò per cercare di spiare il volto del giovane, impegnato in gesti che lei riconosceva solo perché si era sempre applicata in quel tipo di magie.

« Stai cercando di lasciarti morire di fame? » esordì con un sorriso incerto ma amichevole sul volto.

Gli occhi di Draco erano immobili, fissi sulle acque ormai ghiacciate di quel lago che era diventato il suo rifugio. La sua espressione si indurì quando la vide arrivare e i suoi gesti divennero meccanici, ma lui tacque ostinatamente.

« Molly mi ha detto che non hai toccato cibo da quando sei qui » continuò la ragazza. Si era fermata a pochi metri da lui, e lo fissava dall’alto, stretta nel suo grande maglione color melanzana. Nonostante i suoi vestiti fossero molto più larghi, Draco riusciva a immaginare senza alcuno sforzo ogni forma del suo corpo. « Tieni » Hermione si sporse verso di lui, tirando fuori da chissà quale piega del suo maglione due grosse mele verdi. Lo stomaco del ragazzo mugolò, ma lui cercò di ignorare quella sensazione fastidiosa. I suoi occhi si piantarono dritti in quelli della giovane strega all’improvviso, con forza.

« Non cercare di fare la gentile con me, Granger » ringhiò ostile, arricciando le labbra come una belva che mostra i denti per difendersi dal predatore che ha dinnanzi. Hermione roteò gli occhi e sospirò.

« Non c’è di che, Malfoy » Il suo tono era fortemente impregnato di sarcasmo.  « Perché devi essere sempre così insopportabile? » Hermione si chinò leggermente e poggiò le due mele che gli aveva appena porto accanto a lui, ai piedi dell’albero. Draco la osservò con la coda dell’occhio, e non poté fare a meno di respirare profondamente nel tentativo di trattenere dentro di sé pensieri e bisogni: le mani piccole di Hermione, il profilo dritto di Hermione, le labbra rosee di Hermione, Hermione, che era una tentazione sufficiente senza che lei gli fosse accanto.

« E tu perché cerchi di piacere sempre a tutti? » ribatté lui caustico, inchiodandola con lo sguardo. Lei rimase immobile, la testa voltata verso di lui e il corpo ancora piegato, a guardarlo ora con una punta di ostilità dietro quel tentativo di tregua ormai chiaramente fallito. Non poteva comprendere quanto rancore, quanta amarezza, quanto dolore ci fosse dietro quell’affermazione che, più che un insulto, era una constatazione, la dichiarazione di quella gelosia acuta e colpevole che lui avrebbe dovuto a tutti i costi sopprimere. Draco lo capì immediatamente e si morse la lingua, ma troppo tardi, mentre lei alzava il mento con fierezza, come a volersi difendere con quello sguardo determinato che forse faceva più male di tutto.

« Che ti piaccia o no rimarrai qua per molto tempo. Credo che sia ora che cominci ad abituarti » disse Hermione con freddezza, facendo un passo indietro.

« A cosa? » sibilò il ragazzo con espressione ostile e minacciosa.

« A socializzare. A collaborare. Tutti devono fare la loro parte qui » Anche il viso della giovane strega, ora, era una maschera di distacco, ma dietro il velo opaco di uno sguardo indifferente v’era una traccia di dispiacere che lo sorprese. Sembrava ferita dalla sua reazione, in qualche modo. Forse sperava davvero in qualcosa – cosa, Draco se lo sarebbe chiesto per sempre.

« Sono un prigioniero, Granger » le ricordò con pungente sarcasmo.

« Sì » Hermione annuì duramente « Un prigioniero, non un ospite » precisò piccata. Poi, senza attendere una replica, puntò la bacchetta contro il suolo: dalla punta della sua arma strisciarono fuori piccole lingue di fuoco violetto che si raccolsero ai piedi del ragazzo, sprigionando un piacevole tepore. Mentre gli voltava le spalle, Draco ebbe la sensazione che la sua condizione fosse cambiata solamente nell’ultimo secondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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