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Autore: Rurue    19/09/2013    2 recensioni
Akemi è un'infermiera giovane, ma sveglia. Resa tale da una famiglia di maghi purosangue che la disprezza per il suo essere Maganò e da una società in piena Seconda Guerra Mondiale che la evita per la sua lontana, ma abbastanza evidente, discendenza giapponese.
La ragazza si incontrerà con un Tom Riddle giovane, ma già prepotente. Instaurerà con lui un rapporto particolare; visto da fuori parrebbe solo astioso ma, per lei, è molto profondo.
Che ruolo potrebbe avere una semplice maganò nel passato del Signore Oscuro?
Akemi, grazie al suo lavoro, incontrerà anche i fratelli Pevensie, che riusciranno a sconvolgerle completamente la vita scaraventandola affettuosamente ma con prepotenza nella loro famiglia particolare e mostrandole un mondo diverso da quello a cui è abituata.
Attenzione: la storia seguirà, in gran parte, il filo della storia presente nei libri di Lewis, per questo potrebbero esserci possibli spoiler per chi ha visto solo i film.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom O. Riddle, Tom Riddle/Voldermort
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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If you feel so empty
so used up, so let down
If you feel so angry
so ripped off so stepped on.
You're not the only one
refusing to back down
You're not the only one
so get up..
Let's start a riot
               - Riot; Three Days Grace -



  Capitolo Ottavo







 

 
Faceva freddo.

Faceva maledettamente freddo, per di più ero in una chiesa. In una chiesa senza riscaldamento.

Ma chi me l’ha fatto fare?

Mi domandai, trattenendomi dal saltellare sul posto per riscaldarmi.

Il tuo buonsenso, Em..

Mi risposi, anche. Quella mattina Roxanne aveva deciso di darmi buca, quindi ero andata da sola al funerale di un gruppo di soldati caduti al fronte. Adesso mi trovavo tra Beth, che avevo incontrato lì quella mattina, ed una madre disperata che singhiozzava dall’inizio della cerimonia.

L’aria che si respirava in quel luogo era pesantissima, mi ritrovai persino a ringraziare il fatto che il prete avesse appena detto l’ “amen” finale per congedarci.

Solitamente non ero così insofferente, ma faceva davvero un freddo esagerato, e se il signore della fila accanto non avesse finito di lanciarmi occhiatacce ogni due frasi, probabilmente lo avrei ucciso violentemente durante la cerimonia.
Non vedevo l’ora di tornare all’ospedale e mettermi sul letto a leggermi un bel libro, avvolta da un plaid pesante e vestiti comod.. Ah, no. Giusto.

Tornata all’ospedale avrei dovuto riempire la valigia di vestiti.

Vestiti pesanti.

Prima però avrei dovuto comprare un regalo a Tom. Cosa che mi mandava in crisi: non sapevo che fargli per Natale, tra l’altro sarei partita proprio quel pomeriggio!

Peter mi avrebbe gentilmente definita ‘nella cacca’. Esattamente, lo ero.

Sbuffai una nuvoletta di aria condensata e mi strinsi le braccia al petto, strofinandole con le mani per riscaldarmi. Salutai Beth ed attraversai le navate della chiesa con passo svelto, cercando di essere ceca agli sguardi ostili di tutti quelli che non si erano ancora abituati a vedermi ogni santa domenica mattina in quel posto.

La mancanza del mio “marchio” da infermiera inglese mi rendeva preda dei loro giudizi. Però era domenica e non lavoravo, quindi avevo addosso un vestito mio, non la divisa.

Mi fermai davanti a una delle due porte laterali e il mio ultimo passo mi sembrò rimbombare nell’aria. Afferrai la grossa maniglia d’ottone e spinsi la pesante porta, uscendo da quel luogo che mi avrebbe potuto fornire protezione. Ma non volevo vivere come una criminale in fuga, io non avevo fatto nulla di male.

Per strada un ragazzo mi urlò di vergognarmi << Ne hai di faccia tosta per farti vedere qui! >> aggiunse.

Che palle, fai qualcosa di utile all’umanità! Ad esempio morderti accidentalmente la lingua e morire dissanguato.

Me la morsi io la lingua, per trattenermi dal rispondergli, sapevo che non avrebbe portato nulla di buono.

Improvvisamente seppi il regalo che avrei fatto a Tom, anche se in realtà c’entrava poco con quel filo di pensieri.

Dopo aver compiuto la commissione, tornai all’ospedale e percorsi rapidamente le scale per il dormitorio. Mi tolsi il cappello lanciandolo con violenza sul mio materasso e trovai opportuno sferrare un calcio alla zampa di ferro del letto.

Roxanne, sdraiata a pancia in giù sul suo letto, accanto al mio, alzò pigramente lo sguardo dal suo libro di scienze umanistiche. Mio osservò con interesse mentre prendevo la valigia da sotto il letto e la sbattevo sul materasso, schiacciando il cappello e facendola rimbalzare lievemente un paio di volte.

Rimasi ferma qualche minuto, a fissare la valigia cessare di muoversi sul letto.

<< Devi dirmi qualcosa? >> azzardò poi la ragazza, ironica, chiudendo il libro.

<< Non c’è nulla da dire! >> sbottai, voltandomi verso di lei << Se non che la gente persiste nel ricoprirmi di merda per la mia fottutissima faccia da troia giapponese! >> urlai, tirando un secondo calcio al letto.

Ringraziai il cielo che fossimo le uniche due presenti nel dormitorio.
Rox si sedette, sorridendo un po’ << Diventi di un volgare sublime, quando ti arrabbi.. >>

<< Crepa, Taylor. >> le dissi, facendola ridere. Taylor era il suo cognome << E non prendermi in giro quando sono arrabbiata, tutti si arrabbiano! >> minacciai.

<< Tu non lo fai quasi mai.. >>

<< Beh ora lo sono! >> esclamai, acida. Poi sospirai << Scusami, non è con te che sono arrabbiata, se ti rispondo male è solo perché sei qui. >>

<< E con chi è, che saresti arrabbiata? >> mi domandò.

<< Con me. >> le risposi cominciando a riempire la valigia << Perché non ho ancora imparato, nonostante questo storia vada avanti da quando è iniziata la guerra. >>
 
Roxanne si alzò per poi risedersi, stavolta sul mio, di letto << Non dartene colpa, Em. Non è con te che devi prendertela. >>

<< Lo so.. ma è non è semplice. >>

Lei sbuffò una risata << Pensa a quel poveretto del nostro Re! Gliele hanno fatte passare di tutti i colori solo perché balbettava e poi si è dimostrato essere un sovrano molto meglio di quello che immaginava anche lui! >>

<< Ma che c’entra? >> le chiesi scherzosamente, sorridendo. Infilai il pacco regalo di Tom nella valigia e la chiusi, facendo scattare i ganci di chiusura. La presi per il manico e la poggiai a terra.

<< Non pesa? >> mi domandò la mia amica. Scossi la testa << Sembra pesante solo perché è rigida, ma dentro c’è la roba giusto per un mese. >> guardai l’orologio e sospirai: era l’una.

<< Io vado. >> annunciai, prendendo la borsa che avevo preparato quella mattina prima di uscire.

<< Em, parti tra quattro ore! >>

<< Non alla stazione! Vado a pranzo con Ed. >>

Roxanne ghignò << Da quando esci insieme col principino? >> domandò maligna.

<< Re.. >> mugugnai. Per mia fortuna, lei non capì << E comunque non ci esco insieme! >> sbottai infastidita << devo solo dargli i regali di Natale prima di partire. >>

<< Certo, e quindi per dargli qualche pacchetto ci vai a pranzo fuori. >> insinuò ancora.

<< C’è anche Lucy. >> puntualizzai, con tono saccente, rindossai il cappotto ed uscii.

I due ragazzi erano all’entrata principale, Ed seduto sul muretto del cancello e Lucy in piedi, di fronte a lui. Essendo Lu di spalle, fu Edmund il primo a vedermi e saltò giù dal muretto.

<< Salve! >> salutai allegramente, scalciando lontano il malumore che mi avevano costretto a farmi venire quella mattina. Ecco, in effetti una delle poche cose utili dello stare con Tom Riddle era quello dell’imparare a nascondere emozioni, visto che provava in continuazione ad entrare nel cervello della gente. La mia in particolare visto che ero quella che passava più tempo con lui (si, nonostante ci vedessimo solo a spezzoni durante l’anno).

<< Buongiorno. >> ricambiarono entrambi. Ed mi offrì un braccio, che non rifiutai.

<< A me non lo offri mai il braccio! >> si lamentò la bambina.

Edmund ridacchiò << Ma tu se mia sorella. E non rischi di perderti se ti perdo d’occhio per un secondo. >>

<< Ehi! Io non sono venuta qui per farmi prendere in giro! >> esclamai

<< Non ho fatto nomi.. >> sussurrò il ragazzo, divertito. Risposi con lo stesso tono << So cogliere tra le righe, signorino. >>

Arrivammo al ristorante in non molti minuti e ci diedero un tavolo al primo piano, vicino alla finestra.

Mi piaceva quel posto. Era una specie di Ristorante-caffetteria, ma era molto tranquillo. La cosa che mi piaceva di più erano i separé rossi tra ogni tavolo, mi facevano sentire più tranquilla, mi davano un po’ di privacy.

Venne una cameriera ad ordinare, Lucy si alzò dal tavolo per andare in bagno, al piano di sotto.

Mi mossi nervosamente sul posto. Da quel giorno a Narnia, sul terrazzo del castello, mi sentivo strana, quando mi trovavo da sola con Edmund.

Certo, ero a mio agio con lui, ma avevo come un’ansia che mi pesava sulla pancia.

Non sapevo perché, ma immaginavo che quella sua considerazione sul fatto che mi pensasse come a una della famiglia, avesse contribuito alla cosa. In quel momento mi ero sentita bene, ero stata contenta. Nessuno mi aveva mai detto cose di quel genere.

Ma non avevo avuto il coraggio di dirgli che anche loro erano importanti. Non avevo mai avuto fortuna, nei rapporti interpersonali ed io e l’impulsività non andavamo a braccetto.

Ero sempre stata fiera del mio riflettere prima di fare le cose, anche se mi rendevo conto che non fosse sempre un bene.

<< Uffa.. >> mugugnai contrariata << non mi va di partire.. >>

<< Puoi anche non farlo. Potresti, ad esempio, passare il natale con noi.. senza arrivare fino in Scozia. >>

<< Non posso, Tom mi crucerebbe. >>

<< Che? >>

<< Crucio, è una magia di tortura. >> spiegai.

<< Ed è legale? >> fece, corrucciato.

<< Oh, no. Ma Tom non si ferma davanti a nulla.. >> sbuffai, lanciandogli un’occhiata divertita.

Ed sorrise. Mi voltai velocemente verso il corridoio, e decisi di levarmi il maglione per contrastare l’improvviso attacco di caldo.

<< Em, stai bene? Sei tutta rossa.. >> mi chiese il ragazzo preoccupato.

<< No, tranquillo. Tutto a posto. >> risposi lanciando un’occhiata alle scale per vedere se per caso stesse arrivando Lucy.

Ci fu qualche minuto di silenzio, interrotto dalla cameriera che ci portò le ordinazioni.

Finalmente Lucy decise di rifarsi viva.

<< Che fine avevi fatto? >> le sibilai sottovoce, in modo che il fratello non ci potesse sentire. Lei si sedette tranquillamente al mio fianco << Non trovavo il bagno, poi c’era la fila. >> spiegò impugnando le posate << non pensavo ti sarei mancata.. >> disse quindi, lanciando un’occhiata divertita in direzione del fratello, che però non guardava dalla nostra parte.

Corrucciai la fronte, senza capire. Perché stava sicuramente alludendo a qualcosa.

Quando finimmo presi la borsa che avevo abbandonato sotto la sedia e me la misi sulle gambe, aprendola e infilandoci una mano dentro.

Presi il primo pacchetto e lo misi sul tavolo.

<< Questo è il regalo di Peter. >> dissi << Sarebbe un libro di strategie militari ma a lui non lo dovete dire. >> aggiunsi. Poi ne presi un 
altro << Oh questo è quello tuo, Lucy. >> le avevo preso un libro di fiabe del mondo magico, ma a lei non lo dissi, ovviamente. Diedi loro la sciarpa di lana per Susan e la torcia nuova per Ed.

<< Aspettate Natale per aprirli, sennò mi arrabbio. >> li minacciai, sfilando il braccio dalla borsa in cui lo avevo immerso. Notai solo in quel momento lo sguardo confuso dei due sulla mia borsa e.. sul mio braccio.

<< Cosa diavolo ha la tua borsa? >> fu la domanda scioccata di Edmund.

Non riuscii a non ridere << Tom mi ha gentilmente applicato un incantesimo di estensione irriconoscibile alla maggior parte delle mie borse.. anche di qualche tasca, in realtà. >>

<< Un incantesimo di.. che? >> fece ancora più confuso.

<< Oddio, Ed! Perspicacia! >> lo incitò la sorella, divertita << Sarà una magia che estende la capienza delle cose! >>

Ridacchiai << Edmund, tua sorella sarà anche più piccola, ma è anche più sveglia di te. >> Lucy sottolineò l’affermazione voltandosi verso il fratello e facendogli una linguaccia.

Alla fine pagammo e uscimmo. Andai con loro fino a casa, tanto dopo sarei dovuta passare all’orfanatrofio per prendere una busta a Tom.
Lui mi aveva detto che gli avevano inviato la lettera all’indirizzo sbagliato e che quindi se potevo prenderla per portargliela.

<< Edmund! >> esclamò Lucy << Forse è meglio se accompagni Em all’orfanatrofio. >>

<< Perché? >> chiesi, preoccupata all’idea.

<< Potresti perderti. >> Lucy fece un enorme sorriso e poi corse sui tre gradini del cancello << Buon Natale Emy! >> mi augurò prima di chiudersi il cancello alle spalle e correre in casa.

Io ed Edmund ci scambiammo un’occhiata divertita. Incrociai le braccia al petto, prima di scoppiare a ridere, quasi nello stesso istante in cui lo fece anche lui.

<< Non credo mi abbia lasciato vasta scelta. >> disse incamminandosi, lo raggiunsi, infilando le mani in tasca e stringendomi nelle spalle.

<< Fa freddo.. >> mi lamentai.


<< Dei guanti ti fanno schifo, eh? >> commentò lui, che aveva notato la loro assenza.

<< Sono inutili i guanti per le mie mani. Riescono ad avere una temperatura gelida anche in pieno agosto! I guanti non hanno mai cambiato la situazione. >> gli spiegai. Sbuffò una risata << Tu sei una persona anomala. >>

<< Non sono ‘anomala’! >>

<< Si, lo sei. >>

<< Antipatico. >> gli diedi una piccola botta con la spalla. Lo sentii ridere, sorrisi anch’io, abbassando il capo per guardare il pavimento.

Arrivai all’orfanatrofio prima del solito. Probabilmente perché avevo ricordato quasi subito la strada. La signora Cole mi salutò allegramente. Le stavo simpatica, probabilmente perché attribuiva a me il fatto che Tom avesse finito di tediare gli abitanti dell’orfanatrofio con le sue idee macabre.

La verità era che io c’entravo poco, ma lei non lo sapeva.

Corsi su per le scale, in camera del ragazzo, intenzionata a fare più in fretta possibile.

Allora, Martha mi aveva detto di averla messa.. nella scrivania!

Spostai la sedia e cominciai ad aprire uno ad uno i cassetti. Per sbaglio ne aprii uno con troppa foga e mi sfuggì dalle mani e dai cardini, rivoltandosi per terra e facendo un casino tremendo.

<< Tutto bene? >> mi chiese infatti Ed, da fuori. Stavo per rispondere, quando la mia attenzione venne richiamata da un grosso tomo vecchio, quasi completamente spaginato, che era caduto fuori dal cassetto.

Mi piegai sul pavimento, raccogliendolo.

“Libro delle casate magiche maggiori d’Inghilterra”

A leggere quel titolo, mi si strinse lo stomaco. Aprii il libro alla pagina segnata con un segnalibro di stoffa, che riconobbi essere quello che gli avevo cucito qualche anno prima.

Feci scorrere la strisciolina di stoffa ricamata tra i polpastrelli con distrazione, mentre leggevo la pagina scritta minuziosamente a mano da qualcuno che, molto pazientemente, aveva trascritto l’intero albero genealogico con i rispettivi ritratti.
Riconobbi alcuni tratti di Tom in uno e ne lessi il nome. Orvoloson Gaunt.

Ah, ecco..

Mi accorsi dell’assenza della pagina precedente.

<< Em, tutto a posto? >> sussultai chiudendo il libro di scatto. Edmund doveva essere entrato non sentendo risposta alla domanda precedente << Si, arrivo subito. >> gli dissi con aria assente, raccolsi la roba da terra, rimettendola nel cassetto (tranne il tomo) e lo riposizionai sui cardini, nella scrivania.

Aprii con più delicatezza un altro cassetti, dove trovai la lettera che cercavo. La misi nel libro e infilai tutto nella borsa. Feci cenno a Ed di uscire e richiusi la porta alle nostre spalle.

Tornai in ospedale a recuperare la valigia, salutai le ragazze, che mi augurarono buon viaggio.

Alla stazione non c’era molta gente; nessuno in vena di partire per le vacanze, probabilmente.

Davanti alla colonna mi ripresi la valigia che Edmund aveva insistito per portare e lo abbracciai.

<< Fa buon viaggio. >> mi disse << E fatti sentire >> aggiunse.

<< Okay mamma. >> risposi, facendolo ridacchiare << Vi farò una telefonata ogni tanto.. oppure vi manderò qualche lettera. >>

Edmund si diede uno scappellotto sulla fronte << sono un cretino! Mi stavo per dimenticare. >>

<< Cosa? >>

<< Tieni. >> mi disse, porgendomi un pacchetto << è da parte nostra. >> specificò. Aprì la bocca per dire altro ma la interruppi

<< Si, lo so: “Aprilo a Natale” >> mi allontanai facendogli un cenno con la mano libera. Gli sillabai un ‘ciao’, lo vidi sorridere e svanii di schiena dietro la colonna.

Salii sul treno scegliendo una cabina a caso, tanto era completamente vuoto.

Sola.

È tanto tempo che non ti ritrovi completamente sola, eh..


Sbuffai, prendendo dalla borsa il libro di Tom e sfilandone da dentro la lettera. Me la rigirai tra le mani.

La busta era bianca. Completamente bianca: non un indirizzo, non un nome, né una data.. incuteva quasi timore.

Il mio rapporto con Tom non mi era mai stato molto chiaro. Potevo dire con sicurezza di volergli bene, ed ero praticamente certa di essere stata l’unica ad avergli mai dato affetto, oltre la madre ovviamente, che però aveva fatto la fine che aveva fatto.

Però non potevo essere sicura di ciò che ne pensava lui. In realtà non potevo mai essere sicura di quello che pensava Tom.

Ma la teoria che avevo messo su era che lui storpiasse l’affetto con la proprietà. Per questo si riferiva a me come una sua proprietà. Perché dopotutto ormai erano quasi sei anni che ci conoscevamo, e che io continuavo a fare irruzione nella sua vita con o senza il suo permesso. Perciò almeno ero diventata una presenza costante, quasi ovvia.

Però la verità era che oramai non sapevo proprio più dove sbattere la testa, cosa pensare. La storia del libro non era una novità, faceva continuamente le cose sottobanco, nascondendomele. Come se si trattasse di una congiura o qualcosa del genere. E io proseguivo, a far finta di non accorgermene, a far finta che non mi importasse di quello che faceva. Ma non era così. Se si fosse cacciato in guaio, avrei preferito cacciarmici insieme a lui, piuttosto che esserne tenuta fuori.

Mi rigirai un’ennesima volta la lettera tra le mani, come se, a furia di rigirarla, sarebbe comparsa una scritta, un indizio, oppure sarebbe andata in mille pezzi.

Eppure no. Rimaneva lì, più pulita delle lenzuola sterilizzate al St. Thomas.

Un sobbalzo del treno mi fece passare di testa l’improvvisa idea che mi venne di aprirla.

Sospirai, rannicchiandomi sui sedili imbottiti e poggiando la testa al gelido finestrino.

Sospirai di nuovo e, in pochi minuti, mi addormentai.

 

 

 

 

 

 

  
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