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Autore: Kiki87    20/09/2013    4 recensioni
Ognuna di loro era una principessa e sapeva che le avrebbero insegnato qualcosa, seppur ancora non fosse abbastanza grande da considerarsi una di loro. Ma un giorno, le ripeteva la stessa melodica e soffusa voce, anche lei lo sarebbe stata e, finalmente, avrebbe compreso tutto.
Da sempre amante delle favole, Brittany deve affrontare una nuova realtà ben diversa da quella conosciuta e rassicurante. Con le presenze rassicuranti della madre e di Lord Tubbington, incontrerà nuove persone e inizierà una nuova vita. Sarà duro il cammino per sentirsi come le sue principesse preferite? Troverà, infine, quel principe di cui sognava da bambina?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Brittany Pierce, Hunter Clarington, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Ma qui ci si sente soli!” disse Alice con voce malinconica; e al pensiero della propria solitudine due lacrimoni le scesero per le guance.
“Oh non fare così!” esclamò la povera Regina, torcendosi le mani dalla disperazione. “Pensa che sei una bambina grande. Pensa a quanta strada hai fatto oggi. Pensa a che ore sono. Pensa a quello che vuoi ma non piangere! [...]”.
(“Alice nel paese delle meraviglie”, Lewis Carroll).


Capitolo 1


Quelle parole sembrarono riecheggiare nel silenzio del salotto e Brittany ebbe la sensazione di star vivendo in un sogno, qualcosa di surreale. Assurdo.
Soprattutto se si soffermava ad osservare le espressioni dei due adulti: il sorriso entusiasta di Neal, che sembrava persino più allegro del solito, e quello altrettanto emozionato ma fiducioso di sua madre, quasi quella proposta fosse stata la soluzione ideale ai suoi dubbi e tormenti. Una sicurezza che era proporzionale all'incredulità della giovane la cui mente sembrò spegnersi. Letteralmente.
“L'Accademia?” ripeté, la voce più tremula nel cercare un appiglio nei loro sguardi: poteva comprendere che Neal fosse più che felice, visto il suo passato in quella stessa istituzione; ma non come sua madre potesse ritenerlo adatto a lei e al tipo di vita che aveva avuto. Almeno fino a quando non era arrivato Neal.
Quasi avesse letto i suoi pensieri o ne avesse intuito i dubbi, Shirley le aveva sorriso ancora più incoraggiante, sporgendosi dal divano a cingerle la mano. “E' una magnifica idea: tu e Neal passerete molto più tempo insieme e potrete conoscervi meglio”.
“Ma io non voglio andare in guerra” era stato il pigolio che le era uscito dalle labbra e quasi sembrò ritirarsi nella poltroncina, mentre lentamente la tensione nella stanza sembrava dissiparsi. Se di primo acchito la coppia sembrò congelarsi sul posto, l'attimo dopo risero entrambi.
Shirley la esortò dolcemente ad alzarsi e a sedere tra loro: Neal fu lesto a spostarsi di lato. Per un attimo parve intenzionato ad appoggiare la mano sulla spalla della giovane, ma sembrò cambiare idea. Non mancò, tuttavia, di rassicurarla a sua volta.
“E' un college come gli altri, a parte i metodi e l'addestramento fisico. Ma abbiamo molte altre attività che ti saranno più familiari: un Glee Club, un club di scrittura creativa e molte altre cose che potrebbero piacerti. Naturalmente ci sono le materie più importanti, ma alcune potrebbero essere diverse dal tipico programma: storia per esempio”.
Oh, meglio così. Mai piaciuta la storia. Fu lo spontaneo pensiero della ragazza la cui ansia sembrava essersi notevolmente ridotta alla consapevolezza che non stavano per mandarla in qualche missione pericolosa e che, a parte l'allenamento quotidiano (addominali e corsa? Poteva anche farcela), ci sarebbe stata la possibilità di continuare a praticare la sua passione per il ballo.
Tuttavia, c'era ancora qualcosa che non la convinceva: incrociò le braccia al letto e raggrinzò leggermente il naso, guardando dall'uno all'altra. S’imbronciò appena, un cipiglio più infantile. “Ma credete che io mi comporti male?” aveva chiesto nuovamente con un pigolio. In fondo, non era la tipica minaccia delle madri esasperate nei confronti dei figli disobbedienti, quella di iscriverli in una scuola di quel genere?
Neal aveva sorriso di quel sorriso dolce e gentile e aveva allungato la mano a pizzicarle la punta del naso: c'era sempre qualcosa di complice in quel gesto e spesso Brittany si era domandata se non avesse dovuto abbracciarlo o ringraziarlo per essere sempre così disponibile e per rendere la mamma così felice. Eppure qualcosa le diceva che lui avrebbe capito cosa provava. E che quando sarebbe stato giusto, sarebbe riuscita ad abbracciarlo con la stessa spontaneità con cui ricercava spesso il calore del corpo di sua madre.
“Certo che no,” le rispose, prontamente, per poi inclinare il viso di un lato, parlando con voce più complice. “ma sarei immensamente onorato” e a dimostrarlo, si era portato la mano al petto “se tu provassi a frequentarla per un semestre. Se poi non ti piacerà, ovviamente non ti obbligheremo”.
Bastava osservarlo negli occhi per comprendere che lui sarebbe stato davvero entusiasta alla prospettiva della sua permanenza; ma altrettanto era credibile che non avrebbe mai fatto quella proposta con l'intento di metterla in una brutta situazione e che sarebbe stato comprensivo e gentile. Come sempre.
Ma restava il fatto che, aldilà di quei pensieri, una vocina nella sua testa era allarmata e continuava a dirle che avrebbe dovuto rifiutare subito. Prima di illuderli entrambi e prima di trovarsi a stringere una promessa che non era convinta di poter mantenere. Neppure per la mamma.
“Che ne dici, tesoro?” la incalzò quest'ultima.
Brittany la guardò per un lungo istante nel quale si soffermò sul sorriso che ne faceva brillare gli occhi. Si era domandata, ancora una volta, come avrebbe potuto esprimere il suo disagio o i suoi dubbi? Come avrebbe potuto negarle, per la prima volta, un favore che avrebbe potuto rendere la vita familiare ancora più piacevole per entrambi? Come avrebbe potuto essere così egoista, quando era evidente che entrambi prendessero decisioni e si consultassero anche e per amor suo. E se entrambi erano convinti che avrebbe potuto farcela...
Ciò che era indubbio era che sua madre non era mai stata così serena e non avrebbe permesso che quel sorriso sparisse.
Si decise ed annuì. “Sarà un piacere, Neal, grazie tante”.
Lasciò che la madre l'abbracciasse e che Neal, dopo aver allargato le braccia in (vana) attesa, le stringesse formalmente la mano. Neppure lo sentì fare un commento su un brindisi per festeggiare la splendida notizia e neppure sentì sua madre fare un commento più malizioso, appena Neal fu entrato in cucina, alludendo a “chissà quanti bei ragazzi in divisa: potrei spacciarmi per tua sorella maggiore una volta o l'altra”.
Continuò ad osservarli per tutta la serata, rise con loro ma, ancora una volta, si sentì semplice spettatrice della sua vita. Forse era questo che significava crescere e prendere decisioni non soltanto per la propria felicità.
Andrà tutto bene, ripeté tra sé quelle parole impresse da suo padre con l'inchiostro.
Rilasciò il respiro.

~

Rimirò la struttura con occhi sgranati: quel luogo era assolutamente... spaventoso e il fatto che i nuvoloni scuri, all'orizzonte, promettessero pioggia o temporale, non migliorava l'atmosfera che si respirava al suo camminare verso la costruzione. L'edificio era imponente e di un colore così triste ed amorfo (niente a che vedere con le belle università che si vedevano nei telefilm, magari con dei parchi immensi in cui sedere a bere caffé o fare compiti all'aperto) che sembrava più simile ad una prigione. Non c'erano neppure quei tipici oggetti che rendevano una casa presentabile: pareti colorate, un giardino fiorito o un dondolo all'esterno su cui sedersi a rimirare le stelle. Era circondato da immensi campi – rabbrividì – d'addestramento predisposti per la corsa, percorsi più elaborati che comprendevano anche ostacoli e strane attrezzature di cui Brittany avrebbe voluto continuare ad ignorarne l'esistenza. In lontananza riuscì a scorgere un plotone di giovani, in orribili tute verdi con chiazze color marrone e gialle, che stavano intonando una strana canzone mentre correvano (no, non sembrava una delle filastrocche che conosceva a memoria); più lontano un altro gruppo era impegnato in uno di quei pericolosi percorsi, scalando alture o procedendo a carponi sotto del filo spinato.
Si morsicò il labbro, prima di scuotere il capo: ovviamente quelli erano esercizi destinati esclusivamente a coloro che volevano davvero entrare nell'esercito. E a quanto pareva, non erano neppure pochi.
Prese un profondo respiro e riprese il cammino, trascinando il trolley: la tintura rosa shocking dello stesso spiccava in modo quasi accecante rispetto ai colori tetri e smunti del paesaggio, così come la sua mise dai colori estivi. Mano a mano che si avvicinava all'edificio, ed ignorava gli sguardi che stava cominciando ad attirare tra i giovani che correvano lì intorno, cominciò ad insinuarsi il dubbio che vi fosse stato un qualche equivoco. Sì, insomma, aveva capito che si trattava pur sempre di una scuola che usava dei metodi più rigidi rispetto ai college tradizionali; ma non aveva ancora scorto alcuna ragazza. O forse vi era una caserma tutta al femminile con pareti rosa e un bel campo fiorito su cui fare esercizi di yoga o, meglio ancora, danza e pilates.
Forse avrebbe dovuto telefonare a Neal e chiedergli di scortarla personalmente al giusto indirizzo: stava estraendo il cellulare (se solo lo avesse trovato nella borsetta che le pendeva dalla spalla) per comporne il numero, quando sentì uno scalpiccio di passi in avvicinamento.
Il giovane che si stava avvicinando (anche lui con quella brutta tuta addosso), sembrava un gigante: era persino più alto di Neal, aveva i capelli scuri e scombinati, la fronte alta e imperlata di sudore, il viso arrossato per lo sforzo mentre si chinava sulle ginocchia, cercando di recuperare respiro. Malgrado la corporatura che avrebbe potuto impressionare, vi era qualcosa di simpatico nei lineamenti da bambinone e in quel sorriso con cui l'accolse, appena sollevò il capo e la scorse, dopo un momento di puro e semplice stordimento. Sembrava non aver mai visto una ragazza in carne ed ossa, il che sembrava rafforzare l'ipotesi che avesse sbagliato indirizzo.
Fu naturale sorridergli di rimando (magari avrebbe potuto chiedere aiuto a lui) e lui sembrò persino arrossire, dopo aver assunto, nuovamente, quella faccia d’incredula sorpresa e di compiacimento. Si strofinò goffamente la nuca e sembrò ringalluzzirsi nell'assumere una posa più impettita e decorosa.
“Mi sto nascondendo dal mio Capitano,” le disse in tono confidenziale, inclinando il viso di un lato e gettando un'occhiata alle proprie spalle, ad assicurarsi che il suddetto non fosse a portata d'orecchio ma abbassò comunque ulteriormente la voce. “è un tipo orribile” si lasciò cadere sull'erba per riallacciarsi gli stivali e la guardò dal basso con lo stesso sorriso beato. “Sei nuova, vero?”.
Brittany annuì, continuando a guardarsi attorno curiosamente. “Ma credo di aver sbagliato posto” ammise e non ebbe timore che quel ragazzone potesse schernirla al riguardo.
“Io spero proprio di no” sembrò gongolare tra sé e sé, lo stesso sorriso più puerile, prima di ergersi in piedi e Brittany fu impressionata dalla differenza d'altezza tra loro e ne osservò la mano che le veniva porta. “Ben arrivata, come ti chiami?” le chiese, la stessa espressione allegra.
“Brittany, Brittany Pierce” gli strinse la mano e il ragazzo sembrò particolarmente attento a non stringerla troppo per non procurarle dolore.
“E' un piacere, Brittany” sembrò sospirare al tocco della sua mano più esile, prima di schiarirsi la gola e, nuovamente, assumere quella postura più precisa. “Io sono Finn e-”.
L'acuto suono di un fischio li interruppe e il ragazzo soffiò un'imprecazione, ma Brittany non ebbe tempo di rimproverarlo al riguardo: ne seguì lo sguardo e scorse una terza figura che si stava inevitabilmente avvicinando. Camminava in rapide falcate che facevano intuire un atteggiamento autoritario e probabilmente anche notevolmente irritato.
Anch'egli indossava la divisa con gli stessi colori ma sulle spalle si notavano delle strisce con motivi stellati (questa sì che era una bella idea: decorare una divisa con delle stelle!1 Anche se la sarta avrebbe potuto scegliere un colore più vivace anziché il nero!) e un fischietto che pendeva dalla collana di cuoio. L'espressione sembrava, a dir poco, infuriata: le labbra erano serrate in una smorfia e le sopracciglia aggrottate mentre fissava Finn.
Quest'ultimo sembrò vacillare nervosamente: da che lo sconosciuto aveva fischiato, si era stretto nelle spalle, quasi temesse di essere accoltellato da un istante all'altro. Aveva chiuso gli occhi e stretto le palpebre. Curioso come, malgrado lo superasse in altezza di almeno dieci centimetri, e la sua mano fosse grande almeno quanto la sua faccia; il nuovo arrivato sembrasse incutergli puro e semplice terrore.
Brittany intuì istintivamente che non poteva essere lui il suo Capitano “orribile”: non per il suo aspetto (anzi, doveva ammettere che avrebbe potuto definirlo molto più che carino, se magari avesse abbandonato quella faccia arrabbiata e avesse provato a sorridere), anche se forse Finn alludeva a quell'espressione di chi sia sempre estremamente serio e... infuriato.
“S-Signore” balbettò goffamente il ragazzone e cercò di sorridergli ad una maniera accattivante. L'altro non ricambiò minimamente il gesto di cortesia.
“Ti avevo espressamente ordinato di fare cinquanta giri intorno al perimetro del campus” sembrava parlare a scatti, la voce imperiosa e piuttosto alta e distorta dalla rabbia: una vena pulsava minacciosa sul collo e, malgrado fosse più basso, sembrò quasi prolungarsi per urlare quelle parole in faccia al suo subordinato.
“I-Io avevo iniziato, Signore, ma” si guardò attorno disperatamente, cercando una scusa qualsiasi per potersi liberare dalla sua nefasta rabbia. “... ho incontrato Brittany!” esclamò, infine, un sorriso più gioviale nell'indicargli la ragazza che era rimasta ad osservarli evidentemente incuriosita da quel siparietto.
Lo sguardo verde che ancora stava incenerendo il suo sottoposto, il “Signore” lentamente volse il capo e sembrò solo allora concentrarsi realmente sulla giovane e laddove prima la sua espressione era tutt'altro che cordiale e pacifica; l'autentica sorpresa ne fece alterare i lineamenti in un frammento d’istante. O forse era stato il colore vivace delle vesti della giovane a procurare un impatto notevole con le sue retine.
Qualunque fosse il motivo dell'evidente cambiamento d’espressione, Brittany avvertì uno strano contorcimento all'altezza dello stomaco (quante caramelle aveva mangiato prima di entrare nell'auto di sua madre?) ma il ragazzo inarcò il sopracciglio e si volse nuovamente al suo sottoposto.
“Mi stava parlando di un Capitano” sorrise, Brittany in un evidente tentativo di scagionare Finn e dimostrare la severità con cui era trattato, così magari avrebbe smesso di urlargli addosso. “... ha detto che è orribile, tu lo conosci?” gli aveva chiesto allegramente, ma sembrarono entrambi congelarsi.
Il nuovo arrivato aveva sgranato gli occhi prima che, con straordinaria velocità, i suoi lineamenti si contraessero di nuovo, una sfumatura rossastra ne colorò il viso e strinse i pugni, contrasse la mascella e si girò di scatto verso il ragazzone che aveva ripreso a tremare visibilmente.
“E-Era solo una battuta, Signore: Brittany mi ha frainteso”.
Aveva stretto le braccia al petto, Brittany, l'espressione evidentemente risentita: non soltanto aveva cercato di procurargli una bella figura (insomma, il suo 'Signore' avrebbe dovuto essere fiero perché ovviamente non era lui la persona orribile di cui stava parlando prima; e magari anche sforzarsi d’essere più gentile) ma adesso sembrava persino dire che era lei a non aver capito la situazione.
“Allora perché non sto ridendo?”
“Non sembri farlo molto spesso” aveva soggiunto, Brittany, a mezza voce, ma il nuovo arrivato – seppur si fosse irrigidito ulteriormente - sembrò volerla ignorare. Ma si premunì di calpestare il piede di Finn che si era lasciato sfuggire una risatina fino a farlo ululare letteralmente di dolore. “Sei un incapace, Hudson,” sibilò contro il ragazzo, circumnavigandolo e fermandosi al suo fianco. Quest'ultimo, in un chiaro tentativo di migliorare la sua condizione, si era messo dritto, le braccia puntellate sui fianchi. “prendi i tuoi cento chili di stupidità e comincia a correre, fino a quando non ti scoppierà la milza o questa volta sarò io stesso a spararti a quelle scialuppe che definisci piedi, e ti assicuro che non sarà un incidente”.2
“Signorsì, Signore!” commentò, rivoli di sudore freddo a scivolare lungo la spina dorsale, premunendosi di non incrociarne lo sguardo.
“Non ti ho sentito!” infierì a voce persino più alta.
“SIGNORSI', SIGNORE!” gridò allora.
Ma era sordo per caso? Brittany gemette nel portarsi la mano all'orecchio.
“Inizia, MARSCH!” sibilò e Finn, un vago cenno del mento a Brittany, si volse, pronto a correre.
“Ciao Finn!” lo salutò allegramente lei, sollevando la mano: fu con un sorriso goffo che Finn riprese a correre ma, troppo intento a ricambiare lo sguardo della ragazza, non si accorse dell'ostacolo e vi inciampò, finendo steso sul prato a gambe all'aria.
Gemette, Brittany, e persino l'altro ragazzo sembrò indeciso se ignorarlo o se apparire altrettanto sconvolto e turbato.
“Sto bene!” li informò, Finn, che – intercettato lo sguardo dell'altro – riprese a correre e soltanto quando scomparve dalla loro vista, il ragazzo si volse nuovamente ad osservare Brittany. Inarcò le sopracciglia e la scrutò incuriosito ma con aria interrogativa mentre la giovane gli sorrideva nuovamente con simpatia, dondolandosi appena sui piedi calzati nelle scarpe con tacco (e sporche di fango per aver involontariamente immerso il piede nudo in una pozzanghera, appena scesa dall'auto).
Dopo qualche secondo di silenzio, il ragazzo sembrò aver esaurito la pazienza e rilasciò un sospiro quasi stanco ed esasperato. “Spiacente, non è giorno di visite”.
Brittany parve confusa, inarcò le sopracciglia e si volse quasi a sincerarsi che stesse parlando con qualcun altro per poi scostarsi i capelli sciolti dal viso e sorridergli nuovamente.
“Non sono in visita” spiegò con voce candida e il cipiglio corrugato dell'altro si estese. “Ho conosciuto Finn poco fa” si era stretta nelle spalle a spiegare l'equivoco ma il ragazzo parve ancora più interdetto, mentre ne studiava nuovamente l'abbigliamento per poi concentrarsi sulla valigia.
“Beh,” incrociò le braccia al petto e la fissò dall'alto a basso. “non so come tu abbia potuto entrare senza autorizzazione e non notare i cartelli ma-”.
“Sono venuta con la mia mamma” spiegò con altrettanta semplicità. “Mi hanno fatta passare: io sono iscritta qui” indicò la struttura ma, repentinamente, una smorfia le alterò i lineamenti. “O almeno credo: è questa, vero, l'Accademia di Neal Johnson?”.
Sembrò rimasto senza parole: aveva persino sciolto la postura più rigida, ma lo sguardo verde scrutò nuovamente la giovane come la vedesse per la prima volta. Si soffermò sul viso truccato, l'abito dai colori estivi, i piedi calzati nelle scarpe eleganti e il trolley di un colore altrettanto vivace.
“Oh, il mio patrigno, Neal, mi ha dato questo” si era illuminata prima di chinarsi verso il suo bagaglio: cominciò ad estrarre oggetti su oggetti (dal beauty case alle riviste di moda, al phon, al pigiama e altri indumenti) mentre il ragazzo sbatteva le palpebre e distoglieva lo sguardo. Evidentemente presa dalla ricerca, la ragazza non si fosse minimamente accorta di stargli offrendo una visuale più che confidenziale del suo fondoschiena.
Finalmente si drizzò a porgergli un foglio stropicciato che il ragazzo, l'ennesimo sguardo perplesso e inebetito, dispiegò. Brittany, nel frattempo, si sollevò sulle punte a contare le stelle disegnate sulle targhette. Chissà se avrebbe potuto farne applicare a sua volta, forse bisognava pagare una tassa aggiuntiva, perché non ci aveva pensato prima?
Il ragazzo, evidentemente esaurita la giornaliera quota di sopportazione e di comprensione delle stramberie cui era sottoposto quotidianamente, indugiò con lo sguardo sul modulo compilato e la firma di quello che, senza dubbio, era il Preside stesso.
Nel frattempo, con grande sorpresa e sgomento di Brittany, un gruppo di ragazze, impegnate nella corsa come i ragazzi, stavano passando loro vicino e ciò destò l'attenzione del suo interlocutore che levò lo sguardo dal foglio.
“Kitty!” alzò leggermente la voce per attirare l'attenzione di una di loro: colei che, a differenza del gruppo, si muoveva indietreggiando. Al richiamo del ragazzo, fischiò e tutto il gruppo si fermò in quello che sembrò un movimento unico e collettivo.
Si scostò dalle altre e prese a camminare in loro direzione: Brittany notò subito che anch'ella aveva sulle spalle le targhette con le stelle. Aveva i capelli biondi e legati in uno stretto chignon che non le donava particolarmente: aveva zigomi pronunciati e labbra molto carnose che piegò in un sorrisetto allusivo mentre si avvicinava al giovane.
“Sì, Hunter?” cinguettò in sua direzione, sbattendo le ciglia incredibilmente lunghe in sua direzione, ma il ragazzo si limitò a consegnarle il foglio, prima di indicarle Brittany con un cenno del mento.
“La tua nuova recluta” l'apostrofò.
Fu allora che Kitty si volse a fissarla e, a meno che l'immaginazione di Brittany non le stesse giocando un brutto scherzo, sembrò volerla uccidere con la sola intensità dello sguardo; le sue labbra si erano istintivamente serrate. Era inquietante il modo in cui il suo sorriso si era spento repentinamente nonché la rapidità con cui i suoi occhi guizzarono sulla sua figura, quasi ad individuarne i difetti, indugiando sul suo abbigliamento con la stessa espressione schifata che avrebbe probabilmente rivolto a qualcosa di ripugnante.
Brittany le sorrise di cuore e le porse la mano con un gesto fluido. “Io adoro 'Hello Kitty', sono sicura che saremo grandi amiche!” aveva commentato, immaginando che un complimento potesse scaldarle il cuore e magari riuscire a strapparle un'espressione meno severa.
Forse c'era qualcosa che non andava nell'aria di quel luogo: erano tutti così maledettamente musoni. E poi erano incredibilmente silenziosi: la stavano entrambi guardando come se fosse stata un unicorno o qualcosa di altrettanto incredibile.
Sbatté le palpebre, Kitty, prima di voltarsi bruscamente verso il ragazzo. “E' uno scherzo, vero?”.
Quest'ultimo scosse il capo per poi dire, a mo' di spiegazione, la voce più bassa. “E' la figlioccia di Johnson”.
Evidentemente questa non parve una rassicurazione, se possibile lo sguardo della ragazza s’indurì ulteriormente, ma evitò di incrociare lo sguardo della cosiddetta nuova recluta.
Brittany, confusa, abbassò la mano e si morsicò il labbro guardando dall'uno all'altra e attendendo che qualcuno finalmente le dicesse cosa dovesse fare.
“Una Barbie nel mio plotone? E come-”.
“Mi dispiace,” si era morsicata il labbro, Brittany ed entrambi si erano volti ad osservarne l'espressione mortificata mentre si stringeva le mani in grembo. “ho lasciato la mia a casa ma posso riportarle Lunedì, tornerò a casa nel weekend” la informò con lo stesso sorriso allegro e confidenziale.
“Non... può... essere... vero” sibilò, Kitty, masticando letteralmente quelle parole, ma il ragazzo le concesse un vago cenno del capo.
“Buona fortuna, io ho già Hudson di cui occuparmi” si era voltato, lo sguardo che saettava alla ricerca del suddetto ragazzo, prima di incamminarsi in tale direzione, senza altra formula di congedo.
“Hunter! Non puoi lasciarmi qui con lei!” protestò indignata la ragazza, le mani sui fianchi.
Brittany si affrettò a sollevarsi sulle punte per continuare ad osservarlo.
“E' stato un piacere, ciao!” lo salutò, alzando leggermente la voce per poi tornare ad osservare la ragazza con la stessa espressione solare. Kitty la fissò scornata, stritolando tra le dita il modulo della sua iscrizione, ma non disse nulla: parve riflettere silenziosamente ed altrettanto rapidamente, la fronte aggrottata.
“Benvenuta,” il modo in cui le sorrise, subito dopo, non sembrava essere affatto caloroso: era come se quel gesto non riuscisse a renderne lo sguardo più amichevole; al contrario le conferiva un aspetto persino più minaccioso. “inizieremo domani: intanto fatti dare qualcosa... da metterti addosso” aveva scrutato il suo abito con una smorfia.
Brittany non parve prendersela a male, ma era autentica sorpresa quella che le fece morsicare il labbro nell'osservare nuovamente il suo vestito. L'altra non disse altro: le restituì il foglio e tornò verso le altre ragazze. Un altro fischio e tutte ripreso a correre.
Scrollò le spalle, Brittany, e finalmente si avviò verso l'edificio continuando a rimuginare tra sé. Certo, erano davvero strani quei militari: nessuno le aveva stretto la mano e nessuno le aveva sorriso con autentica gioia (a parte Finn, prima di inciampare nell'ostacolo e sfracellarsi a terra). E cosa avevano i suoi vestiti che non andavano? Erano sicuramente la ragazza più elegante in quel momento e l'unica che si fosse truccata per farsi carina, tanto per dirne una.

La confusione non si attenuò, quando si ritrovò tra i corridoi, il modulo tra le mani e lo sguardo che scivolava tra gruppi di ragazzi e di ragazze. Sembravano tutti avere fretta ma, mentre passavano, le lanciavano sguardi (le ragazze apparivano poco contente come Hello Kitty; i ragazzi erano sorridenti come Finn o rigidi come Hunter) ma nessuno le chiese se avesse bisogno di aiuto, nessuno si fece avanti per accoglierla o darle il benvenuto.
Sospirò ma continuò a trascinare il trolley fino a quando non scorse Neal, impegnato in una conversazione con altri uomini, ma appena la scorse, fu rapido a congedarsi dai suoi interlocutori per avvicinarsi. Brittany rilasciò il respiro e, malgrado tutto, si sentì rincuorata dalla sua espressione felice e il modo in cui le stava sorridendo, affrettandosi a raggiungerla. Per un istante, fu come ritrovarsi tra le pareti della nuova casa: lei e Neal non avevano ancora imparato a conoscersi bene e questo rendeva la comunicazione meno agevole, ma non aveva mai dubbio che fosse sempre bendisposto nei suoi confronti, senza che facesse nulla di particolare per suscitargli simpatia.
“Sei arrivata” sembrava impacciato in quelle vesti e, ancora una volta, ebbe la sensazione che si stesse trattenendo dallo stringerla o dal baciarla ma, come nel salotto della loro nuova casa, le porse la mano. Forse era per questo che Neal non riusciva mai ad essere del tutto rilassato con lei? Era colpa di quel luogo che gli toglieva la tranquillità e lo rendeva così attento e così... poco spontaneo? Sarebbe successo anche a lei, standovi dentro a lungo? L'idea non le piaceva particolarmente a dirla tutta, ma forse era proprio quello lo scopo di Neal e della mamma (?).
Ne ricambiò il sorriso. “Ciao, Neal: non so cosa fare” aveva ammesso senza vergogna. L'uomo le aveva scosso il capo e le aveva appoggiato la mano sulla spalla e, malgrado tutto, si sentì subito più distesa.
“Ho già avvertito la segreteria: porterò io stesso il tuo modulo. Tu devi solo ritirare la tua divisa e raggiungere i dormitori, così potrai disporre tutte le tue cose”.
Aveva annuito, Brittany, prima di aggrottare la fronte. “A chi devo chiedere dove trovare il giardino per gli animali?”.
Sbatté le palpebre, Neal, evidentemente preso in contropiede. “Come?”.
“Lord Tubbington si è offeso, quando me ne sono andata senza di lui, ma mamma ha detto che dovevo parlarne a te” spiegò e Neal, dopo aver ricordato che tale nome fosse riferito al felino, sembrò assumere un'espressione colpevole. Aveva sospirato, cincischiando leggermente con le mani. “Brittany, purtroppo non è permesso tenere gli animali nelle camerate” aveva sussurrato con voce più dolce, nel tentativo di farle assimilare la notizia con il dovuto tatto. Le sorrise nuovamente, nel tentativo di incoraggiarla. “Ma potrai rivederlo nel weekend, no?”.
Raggrinzò il naso, Brittany, non aveva mai dormito senza il suo fedele micio da quando era solo una bambina: la sola idea di dover stare senza di lui per così tanto tempo, la gettò nell'angoscia e sentì il respiro farsi più pesante e il cuore fermarsi in petto. Doveva ricordarsi che lo stava facendo per la mamma, ma ciò non rendeva quegli imprevisti di più semplice sopportazione.
Da quel poco che aveva già visto, infatti, quell'Accademia non le piaceva. Per niente.
“Mi dispiace, Brittany” fu il sussurro di Neal che non aveva smesso di osservarla e sembrava crucciarsi all'idea di aver potuto compromettere la loro complicità per una di quelle disposizioni più rigide della vita del campus.
La giovane non ebbe il minimo dubbio che lo fosse realmente e si sforzò di sorridergli ulteriormente. “Va bene,” era parsa rassegnata. “allora vado a prendere la divisa” la stessa orribile che aveva visto indossare da chiunque avesse incontrato, quella che sembrava assorbire tutte le belle sensazioni e trasformare chi la indossava in una persona più seria e meno felice.
Una parte di sé si era domandata se non avesse dovuto provare a parlargli: probabilmente se avesse saputo quanto Lord Tubbington fosse importante per lei, se gli avesse raccontato di quel giorno...

Che cos'è, papà?” aveva chiesto, i capelli sciolti e il pigiamino mentre lo attendeva, seduta sul proprio letto, in attesa che aprisse il nuovo libro di favole che le aveva regalato.
Le sorrideva, William, persino più impaziente di lei e le porse il cesto con un sorriso. Lo aveva preso tra le mani paffute e ne aveva scostato il lenzuolo.
Allora lo aveva guardato per la prima volta: sembrava un batuffolo grigio, morbido e delicato con il suo collarino a forma di osso e l'iscrizione del suo nome. Questi la studiò altrettanto curiosamente, si sporse ad annusarla e Brittany lo aveva stretto tra le braccia con un sorriso entusiasta, dondolandolo e sorridendo nel sentirlo farle le fusa e sfregarsi sulla sua esile spalla.
E' bellissimo” aveva sussurrato, la voce soffocata contro il pelo dell'animaletto. “Tutto mio?”.
Tutto tuo.” le aveva sorriso suo padre, a mo' di promessa. “Lui ti proteggerà, quando io non sarò con te”.

Si riscosse, un vago sospiro nel ricordare il modo in cui Neal si fosse congedato con un’aria vagamente colpevole. Probabilmente un giorno glielo avrebbe spiegato, quando si fosse abituata a quel luogo... e quando l'altro volto sarebbe diventato meno nitido e avrebbe potuto aggrapparsi maggiormente al suo patrigno.
Entrò nel reparto sartoria e si affrettò ad avvicinarsi al balcone.
“Salve” salutò la donna che appariva notevolmente annoiata: stava masticando un chewing-gum e si puntellava con le mani sulla superficie, sollevando lo sguardo dal cruciverba con il quale era impegnata prima del suo ingresso.
“Taglia 303” sancì dopo averle gettato un'occhiata distratta e Brittany inarcò le sopracciglia: aveva dei poteri magici?
Appoggiò casacca, pantaloni, berretto e stivali sul balcone, dopo averne scovato il completo della sua misura in uno degli scaffali del capiente armadio alle sue spalle.
Brittany li osservò con una smorfia prima di sorriderle con fare accattivante. “Potrei averli di un altro colore, per favore?”.
La donna la fissò per qualche istante, probabilmente domandandosi se il suo era stato un patetico tentativo di fare dell'umorismo sulla sua mansione. Le sorrise, infine.
Allora era vero, pensò Brittany illuminandosi: bastava usare la “parola magica” (così l’aveva definita sua madre, quando aveva sette anni ed esigeva le fossero porti lecca lecca e dolciumi che lei, puntualmente, nascondeva negli scaffali più alti della credenza) per far rabbonire le persone musone.
“Magari rosa e coi glitter?” aveva lanciato un'occhiata beffarda al suo vestito e al trolley, prima di riprendere la sua penna e toglierne il coperchio con la bocca, facendolo cadere e rotolare sul balcone.
Brittany si ritrasse istintivamente con una smorfia, prima di pensarci sopra: era stata molto gentile e sperava di non offenderla. “Rosa sarebbe bellissima ma magari senza glitter”.
Era autentica stizza quella che baluginò nello sguardo della sarta che la fissò di traverso. “Prendi la tua divisa e sparisci” le intimò con tono più autoritario che fece trasalire la ragazza.
Si era accigliata, Brittany, un vago smuovere le labbra con atteggiamento di puerile offesa prima di prendere la divisa che le aveva assegnato e stringersela al petto.
Era giunta alla soglia dell'uscio e si era nuovamente voltata: il viso inclinato di un lato.
“E se la prendessi coi glitter?” aveva soggiunto con un sorriso più infantile.
“FUORI!” fece in tempo a scostarsi prima che la rivista d’enigmistica si sfracellasse contro la sua faccia e, senza più guardarsi alle spalle, si era affrettata a ripercorrere a ritroso il corridoio.
Accidenti, che permalosa.
Decisamente non era il momento giusto per chiederle di decorarle la divisa con qualche stella.

~

Dopo aver seguito le istruzioni fornitegli da un inserviente (ed essersi persa in quei corridoi che somigliavano spaventosamente ad un labirinto, tutti identici gli uni agli altri) era giunta alla sezione dei dormitori. Trattenne il respiro quando lesse sulla porta l'iscrizione della camerata corrispondente a quella della sua sezione (o almeno così diceva il modulo d’iscrizione): schiuse la porta e osservò con occhi sgranati la stanza.
Non somigliava assolutamente ad una camera d'albergo e neppure lontanamente alle sue due precedenti camere da letto: era un ambiente molto spazioso ma spoglio di decorazioni sulle pareti. In compenso vi era una dozzina di letti a castello e, in corrispondenza d’ogni coppia, armadi che non sembravano particolarmente capienti. Era un ambiente rustico e per nulla elegante.
Dov'era la sua scrivania? O lo specchio per truccarsi? Dov'erano i mobili e gli elettrodomestici? Dove avrebbe potuto attaccare la presa dello stereo o appendere i suoi poster o appoggiare i suoi libri?
La stanza era già occupata da una decina di ragazze e si volsero tutte in sua direzione: c'era uno strano silenzio, mentre la scrutavano con la stessa curiosa attenzione che le era stata riservata da quando aveva attraversato il campus. Prese un bel respiro ma entrò e continuò a guardarsi attorno, domandandosi dove avrebbe dovuto collocare le proprie cose.
Solo una ragazza si era avvicinata e Brittany la osservò: era alta quasi come lei, esile e delicata, aveva lunghi capelli castani, occhi blu ed un enorme sorriso che la fece istintivamente rilassare.
“Tu devi essere la ragazza nuova” anche la voce sembrava dolce.
“Eh?”.
“Mi chiamo Marley: piacere di conoscerti” le aveva porto la mano ed era stato un notevole miglioramento rispetto ai precedenti incontri, tanto che Brittany non aveva potuto fare a meno di sentirsi, finalmente, accolta.
“Brittany”.
Sembrava averla subito presa in simpatia, Marley, perché le indicò la coppia di letti più vicina alla porta. “Io di solito dormo sul letto superiore, ma se preferisci-” le stava spiegando.
“Deve esserci un errore,” la interruppe, Brittany, continuando a guardarsi attorno. “avevo chiesto una camera singola”.
Rise, Marley, che doveva aver preso quelle parole per una battuta di spirito. “Allora ti va bene stare nel letto di sotto?”.
Fece per risponderle ma si sentì sfiorare ad una spalla e si volse fino ad incrociare lo sguardo di una ragazza che la stava fissando con fare minaccioso. Era più bassa di lei ma molto più corpulenta e robusta: si era sistemata gli occhiali tondi che sembravano renderne gli occhi più piccoli o forse era il fatto li stesse stringendo nello scrutarla dall'alto al basso.
“E così tu sei la figliastra del Preside” evidentemente non aveva bisogno che Brittany lo confermasse perché continuò a parlare. “Se credi d’essere speciale per questo o meritare un trattamento di favore, levatelo dalla testa” le aveva sibilato contro l'orecchio e Brittany era indietreggiata confusamente.
“O-Ok” aveva balbettato e l'altra parve soddisfatta perché si voltò, dopo averle scoccato un'altra occhiata guardinga. Marley, cogliendo l'occhiata smarrita di Brittany, le aveva stretto il braccio.
“E questo, nel linguaggio di Lauren Zizes4, è un benvenuto” aveva sorriso Marley, rivolgendosi poi a Lauren. “Sono sicura che andremo tutte più che d'accordo: non spaventiamola il primo giorno”.
“Tanto ci penserà Kitty a farlo” intervenne un'altra ragazza, lo sguardo che appariva indubbiamente terrorizzato.
“La bastarda taglia-gole5,” commentò sprezzante Lauren, scrocchiando le nocche e facendo ridere qualcuna delle loro compagne di stanza, mentre Brittany ascoltava distrattamente quei commenti, cercando ancora di valutare, in una scala da uno a dieci, quanto fosse nei guai. Magari avrebbe dovuto ricorrere ad una scala più ampia.
“Se soltanto riuscisse a farsi portare a letto da Clarington, magari sarebbe più umana6” intervenne un'altra, il sorriso più malizioso sulle labbra, ma Lauren non parve particolarmente convinta.
“Scommetto che preferirebbe un incontro ravvicinato con Hudson nelle docce”.
Brittany, la mano a massaggiarsi i capelli una volta sedutasi su quello che sarebbe divenuto il suo letto, continuò ad osservare le compagne ed ascoltarne distrattamente i discorsi.
Dov'era finita?
Una domanda che continuò a porsi a lungo: quando indossò, per la prima volta, la divisa ed ebbe la sensazione che ogni felicità le fosse risucchiata dal corpo (che fosse un'invenzione da Dissennatore7?), quando in sala mensa dovette servirsi su un vassoio di plastica e con cibi che non conosceva e che le sembravano pappine per gatti.
Persino alla notizia che alle dieci di sera, le luci sarebbero state spente per il coprifuoco e che, da quel momento, nessuno potesse più uscire dalla propria camera senza incorrere in una grave punizione.

~
“Come stai, tesoro?” aveva chiesto sua madre quando, finalmente, era riuscita a contattarla per una telefonata. Aveva scoperto, con sgomento, che aveva soltanto mezzora di tempo prima di doversi ritirare nella propria camera. N’aveva approfittato per imboccare l'uscita che dava sul cortile: in lontananza si riusciva a scorgere il profilo della città, gli spazi verdi e le montagne sotto uno splendido cielo stellato. Un modo per prendere una boccata d'aria fino al giorno dopo e, al contempo, una soluzione per parlare tranquillamente.
Dopo quella lunga giornata nella quale aveva soltanto cominciato a memorizzare dei dettagli di quella che sarebbe stata la sua vita in quell'Accademia, sentirne la voce era stato qualcosa di davvero suggestivo. Sembrava appartenere ad un'altra realtà, quella cui Brittany sentiva di appartenere, quella che le era stata sottratta in poche ore.
Aveva dovuto reprimere il nodo in gola.
“Bene, va tutto bene” si era sentita dire e si era sforzata di concentrarsi sulle cose piacevoli per dare alla sua voce un'intonazione meno amara, per non far preoccupare sua madre. “Sono contenta di essere qui con Neal e c'è una ragazza in camera con me: è tanto carina e gentile”.
“Ne sono davvero contenta: sono davvero orgogliosa di te, lo sai?” aveva sussurrato con voce così dolce che Brittany aveva sentito gli occhi farsi più lucidi, ma le aveva chiesto di raccontarle della sua giornata. Aveva provato ad immaginarla in occupazioni così quotidiane come la colazione in caffetteria, un giro per i negozi, la lettura d’annunci per trovare un nuovo lavoro e l'ordinare le loro cose dagli scatoloni per arredare la nuova casa. Aveva sentito una forte ondata di tristezza ma aveva provato ad immaginarsi al suo fianco per lasciare che quel peso si allentasse dal cuore.
“Non vedo l'ora di abbracciarti, stellina, buona notte” le aveva sussurrato e Brittany aveva sentito un verso rauco sgorgarle dalle labbra.
“Anche io” aveva sussurrato. “Buonanotte” aveva sospeso la chiamata e aveva lasciato che la brezza serale le sfiorasse il viso, rilasciando lentamente il respiro e asciugandosi la guancia.
Sarebbe andato tutto bene, dovette ripetersi.
Si voltò per rientrare nell'edificio, ma si scontrò con la figura apparsa sulla soglia della portafinestra.
“Scusa” sussurrò prima di sollevare il capo e riconoscere Hunter.
Fu un lungo istante quello in cui il ragazzo sembrò scrutarne il viso arrossato: non disse nulla, le rivolse un cenno del capo e si appoggiò alla ringhiera per scrutare il cielo.
Ne aveva osservato le spalle e la schiena, Brittany, prima di appoggiare la mano sulla maniglia, pronta a fare il suo rientro.
“Cerca di non farti vedere da Kitty in questo stato, domani” erano state le sue parole che sembrarono disperdersi nell'aria fredda. Non la stava neppure guardando, tanto da dare l'illusione stesse parlando con se stesso.
Sgranò gli occhi, Brittany, prima che Hunter si voltasse verso di lei: il viso inclinato di un lato. Si era stretto nelle spalle al suo prolungato silenzio. “La nostalgia passerà prima o poi e se non dovesse farlo, dovrai fingere”.
Sembrava davvero sicuro di quelle parole, tanto che Brittany gli aveva istintivamente creduto, ma c'era qualcos'altro che le impediva di rientrare. Sembrava che lo stesse vedendo per la prima volta e con maggiore curiosità rispetto a quel pomeriggio.
“Sei triste anche tu?” era stata la spontanea domanda, sussurrata in tono sommesso, ma abbastanza netta da attirare nuovamente l'attenzione del giovane che parve irrigidirsi.
Inarcò le sopracciglia e strinse le labbra. “Vai a letto,” si era voltato nuovamente verso il paesaggio. “è quasi ora del coprifuoco”.
Brittany seppe di esser stata congedata ma non di meno, anche se non avrebbe potuto dire da cosa nascesse simile certezza, che i suoi sospetti dovevano essere fondati.


~

[…] Non seppe quanto tempo passò da che era entrata nella sontuosa e splendida camera: la sua stessa prigione. Probabilmente Belle aveva esaurito tutte le sue lacrime per quella notte. Non era stata soltanto la consapevolezza di un addio negato al padre che non avrebbe più rivisto; ma l'autorità dei gesti e delle parole del suo carceriere. Seppure il suo sguardo impenetrabile sembrasse volerle leggere l'anima, non sembrava essercene una dietro quegli occhi glaciali; doveva esser soffocata nella rabbia e nel rancore che ne avvelenava lo spirito e lo rendeva realmente Bestia.
Prigioniera in un luogo che non le apparteneva e consapevole, anche nel dolore della solitudine e dell'abbandono, di dover fare appello alla pallida speranza che un giorno non avrebbe più sofferto. Si sarebbe ricongiunta con l'amato padre e tutto sarebbe stato nuovamente al suo posto e lei nuovamente se stessa. Ma fino a quel momento, per quella notte almeno, Belle si sarebbe addormentata cullata dalle sue stesse lacrime. […]8


“Luci spente!” annunciò una voce esterna e Brittany sospirò: muovendo cautamente la mano al buio, attenta a non urtare la caraffa dell'acqua, appoggiò il libro sul comodino accanto al letto. Si rannicchiò in posizione fetale, cercando di abituarsi al buio della camera, rimpiangendo di non poter stringere il suo micio. Si concentrò sulle pagine appena sfogliate e, lentamente, come Belle, regolò il suo respiro, ricacciò la malinconia e si abbandonò al torpore.



To be continued...


Buon Venerdì e buon, almeno come lo definisco tra me e me, Huntany Day !
Come vedete stiamo già entrando nell'ordine degli eventi che si svolgeranno nei prossimi capitoli: sono più o meno apparsi tutti i personaggi principali, molti dei quali con connotati ben noti. Spero che vi piaccia questa loro nuova disposizione in questo contesto.
Ringrazio di cuore chiunque si sia preso la briga di sfogliare queste pagine, malgrado la coppia e gli avvertimenti certamente non diffusi, e in particolare le splendide fanciulle che mi hanno lasciato un commentino: Diana, la mia Sebastian e la mia Nolanator, spero di non avervi deluso :)
Prima dei saluti, uno scorcio al prossimo capitolo:

E' per stupide oche come te che l'esercito femminile è tanto pregiudicato”. “Pierce? Stai piangendo?”.
Devi essere molto simpatica a Kitty” “Tu credi? Pensavo mi odiasse!”.
Grazie per l'aiuto ma rientro da sola: la strada la ricordo”. “Non fare la bambina”. “Io non sono una bambina!”.

Incuriosito? Non mi resta che augurarvi buon weekend :)
A presto,
Kiki87.


1 Ovviamente si tratta dei gradi che rispecchiando i ruoli e l'ordine gerarchico tra gli elementi dell'esercito ma, non che non ci abbia provato, ho rinunciato a farne una ricerca approfondita, preferendo un'informazione generica al riguardo, spero non me ne vogliate ;)
2 Qui mi sono rifatta all'episodio famoso della 4x04 e il racconto di Finn su come si sia accidentalmente sparato ad un piede. Ma ci pensate se fosse stato davvero nella stessa Accademia di Hunter? :D
3 Taglia americana che dovrebbe corrispondere alla nostra taglia “44”. La 42 mi sembrava personalmente non sufficiente, tenendo conto che Heather Morris sia piuttosto alta.
4 Per chi non lo ricordasse, Lauren era il personaggio (spassosissimo) apparso nella seconda stagione di Glee, dopo la dipartita di Kurt per la Dalton; interpretato da Ashley Fink.
5 Epiteto coniato dal genio di Gregory House per apostrofare Amber Volakis.
6 [Si schiarisce la voce] Ok, credo di dovervi una confessione imbarazzante: di primo acchito detestavo sia Kitty che Hunter e, prima che Nolan mi soggiogasse, li avevo persino inquadrati come una coppia ben assortita. Bene, piccola ed inutile curiosità, scusate l'interruzione ;)
7 Allusione ai demoni nella saga di Harry Potter che si nutrono delle emozioni delle loro vittime, risucchiandone letteralmente lo spirito vitale.
8 La mia idea originale era accompagnare la narrazione con passaggi tratti da un libro con la favola di “La bella e la bestia". Non trovandone di idonei, ho deciso di provvedervi io stessa, così da adattarli al contesto :)
   
 
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