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Autore: Hosgood    24/03/2008    0 recensioni
Un breve brano ispirato da una foto di guerra: una soldatessa nella Spagna della guerra civile, che mostra orgogliosa il suo fucile. La sua morte vista con gli occhi di qualcuno che l'amava.
Genere: Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Kelly Kelly è morta. Un colpo in fronte, la testa eplosa in una fontana di sangue.. e cervella.
Vent'anni. Solo vent'anni, di speranza e di gioia, di idee e di bellezza, spazzati via da un pezzetto di acciaio e rame non più grande di un suo dito.
Mi accuccio tremando dietro il muro, mentre i proiettili grandinano sulle pietre e sul selciato. Consulsamente stringo tra le mie mani il fucile. Ho solo sette colpi.
Brividi mi scuotono. Sono solo adesso. Jean, Patrick, Lothar dove siete? E tu Pedro, tu e tuoi fottuti ragazzi, dove cazzo ti sei nascosto? Stai ridendo dietro i baffi di me, lurido
marranos?
Febrilmente, mi guardo a destra e sinistra. Colgo un movimento, un attimo e il fucile abbaia. Risponde un'urlo di dolore.
Sei colpi. La mitraglia riduce la cadenza. Si starà scaldando la canna.
A destra c'è il cadavere di Kelly, una macchia grigia e purpurea sul nero acciottolato della piazza. Poi un lungo spazio aperto, fino al portone della scuola.
Mi volto a sinistra. La fontana, con dentro i corpi delle due sentinelle. Cinque metri, non di più. E da lì, un filare di alberi fino alla stazione. Un'ottima copertura, la più logica. Ma cosa c'è dentro la stazione? Il piano terreno della scuola è minato, ma è sicuramente vuoto. La stazione invece?
O la va, o la spacca. Mi sfilo l'elmetto e lo scaglio a sinistra, mentre scatto verso il portone della scuola.
La mitragliatrice ringhia, ma non sono colpito. Ti ho fregato, figlio di puttana. Ti sei fidato troppo dei tuoi occhi. Quando te ne accorgi, sono ormai già dentro il portone.
Mi addosso all'architrave, nel buio, e ti lascio sfogare contro i muri bianchi e semidistrutti. Lentamente calcolo vento, umidità e distanza. Un colpo facile, non più di cento, centoventi metri. Appoggio il calcio alla spalla, e calmo il respiro. "Fà che ferisca o che uccida, ma fà che colpisca" mormoro, come un mantra.
Un unico movimento fluido ed elegante, esco da dietro il muro e sparo. La pallottola schizza via, mentre io mi riparo di nuovo. La vedo correre, sfrecciare nell'aria immobile della piazza, lungo la via.. e uccidere un sacchetto di sabbia. Merda.
Espello il bossolo e carico un'altro colpo. Solo cinque. Dopo questi mi rimane solo il coltello, ma dubito che mi facciano avvicinare così tanto. Questo pensiero mi fa quasi sorridere, mentre mi accascio.
Altro giro altra corsa. La mia testa vaga: mi assento da questo mondo osceno che mi guarda, ripenso ai mille momenti in cui sono stato felice e ai mille in cui sono stato triste. Questo sporco paesino di Spagna è solo un frammento della mia vita, ma è quello che contiene il dolore più grande.
Kelevra, kelevra. Che nome di battaglia stupido. Ricordo come me lo urlavano in faccia, al campo di addestramento. Un lurido ebreo arrivato con l'idea di salvare un paese..
Ci pensa una raffica feroce a squotermi. Le pallottole fischiano, rosicando il muro. Dovrei spostarmi, ma intorno a me ci sono decine di fili, e chissà quali altre trappole nascoste. E' una fortuna che non abbiano un mortaio, o sarei già saltato in aria..
I miei occhi si fermano dall'intricata ragnatela al corpo di Kelly, abbandonato sul selciato. Il sangue è una pozza oscura, punteggiata da piccole macchie grige.. I suoi capelli, i suoi bellissimi capelli intrisi di sangue, sono ancora più rossi, di un rosso cupo. Le coprono il viso, celando gli occhi, le labbra che io ho..
"Kelevra. KELEVRA."
Odio duro e gelido nel cuore. Fuori copertura, in piedi di tre quarti. Arma salda a spalla. Mira precisa e sicura. Profilo perfetto, bersaglio perfetto: la logica che se ne va, inghiottita dalla furia, dalla rabbia che ho scelto anche per nome. Un lungo attimo di occhi e silenzio, di immobilità. Poi il dito che tira il grilletto, e la pallottola che sboccia da un fiore di fuoco e fumo.
Due pugni fortissimi, alla coscia e allo stomaco. Cado all'indietro, mentre l'aria esce violenta dai polmoni, come un profondo sospiro. Non sento l'urto col terreno.

Le pietre sono state scaldate dal sole, piacevoli da sentire.. o forse è il caldo del mio sangue? Niente dolore, non ancora. E il cielo è così bello, pieno di nuvole bianche che corrono leggere, libere. Quanto tempo siamo stati insieme così, stesi su un prato, a guardare le nuvole, mano nella mano? Voglio stringerti ancora, un'ultima volta.
Striscio sulla schiena, centimetro dopo centimetro. Le gambe pesano come piombo, ma non posso fermarmi, sei così vicina a me..
Sento il sangue sotto le dita, adesso.. posso sfiorare i tuoi capelli. Manca poco, pochissimo..
"Mi dispiace, sergente." La voce è roca, ma musicale. Ma non conta adesso, c'è solo lei per me.
Posso stringere la sua piccola mano adesso, sento ancora il suo calore. E' qui, è qui con me.
Nient'altro importa.
"Lasciatemi morire così.." Vorrei urlarlo, ma è un mormorio soffocato dal sangue che esce dalla mia bocca. Ma so che hanno capito.
La tua mano è nella mia.. lentamente mi avvicino ancora di più a te, immerso nel tuo rosso. Sento sotto di me i tuoi capelli, così belli, che mi hanno sempre fatto impazzire. Posso accarezzare il tuo volto, posso sfiorare le tue labbra.
Solo le nuvole e noi.. Solo le nuvole e noi.. Sto affondando nel dolore.. ma non importa.. Ti stringo forte la mano.. Si sta già facendo notte? No, il cielo è ancora blu.

Cielo blu, il tuo rosso.


Noi.



Leggeri come nuvole...
  
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