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Autore: Phantom13    21/09/2013    3 recensioni
Una ragazza, per motivi X dopo Y avvenimenti, si ritroverà tramutata in un corvo. La vita da pennuto, però, è più complicata e difficoltosa del previsto, irta di pericoli che la società umana non considera nemmeno come tali. L'unico che può aiutarla e trovare il modo di spezzare l'incantesimo è il suo amico d'infanzia che di mestiere fa il falconiere ...
Falchi e corvi andranno d'accordo?
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L'ambientazione è inventata di sana pianta, ma ci sono vaghi riferimenti alla società Medioevale, con l'aggiunta di un pizzico di magia.
Genere: Avventura, Fantasy, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Phantom è resuscitata! Ed è anche in vergognoso ritardo. chiedo sinceramente venia a tutti quelli che, attendendo una continuazione, sono rimasti a bocca asciutta per tutto questo tempo. Non so proprio come scusarmi e di scusanti non ne ho. 
Chiedo semplicemente perdono a lor lettori.
spero di farmi perdonare con questo capitolo, che (quasi a farlo apposta) è risultato assai più corto del previsto. in compenso, mi impegnerò ad aggiornare il più in fretta possibile (scuola permettendo).
e con questo la smetto di importunarvi e vi lascio alla lettura.
Enjoy!


 
Capitolo 13 – Il corvo che vola via

Ho sempre pensato che non c’è niente di più rilassante del rumore degli zoccoli di un cavallo al galoppo su una strada di campagna. E per la prima volta nella mia vita vedevo tale cavallo dall’alto.
Correva sotto di me, slanciato al massimo della velocità, sollevando ad ogni falcata spruzzi di ghiaia e sassolini mentre io, con il vento che mi si aggrappava alle ali, soffiandomi verso l’infinito, gli stavo dietro, ora affiancandomi a lui, ora standogli davanti, ora lasciandomi semplicemente trascinare dal suo spostamento d’aria.
Credo ci siano poche sensazioni, in questa vita o nella prossima, che possano eguagliare la soddisfazione di “correre” insieme ad un cavallo, alla sua velocità, eppure senza stargli in groppa.
Potevo chiaramente vedere i suoi possenti muscoli tendersi, percepivo la sua forza abbattersi contro il terreno che tremava, udivo i suoi capienti polmoni sbuffare e i suoi crini frustare il vento, sia di criniera che di coda. Ed io, senza peso, a due metri neanche da terra, volavo di fianco alla massima potenza del mondo animale.
Spostai tutto il mio peso di lato, inclinandomi tutta, ma solo al colpo di coda cambiai per davvero rotta. Con il vento al traverso, tagliai lo spazio proprio come un coltello taglia il burro. Non una singola piuma si arruffò mentre io, corvo, slanciata a quasi sessanta all’ora, sterzai sfiorando quasi con un ala il naso del cavaliere per puro spirito di sfida. Lui mi scoccò un’occhiata a metà tra il risentito e il divertito, sorridendomi.
Io gracchiai, spianando di nuovo le mie ali, con le penne remiganti che fremevano battute dal vento. Le sbattei, alzandomi di quota e sorvolando la testa del mio falconiere, in groppa a quel fenomeno di potenza e forza che è il cavallo.
Cavallo che, devo proprio dirlo, continuava a lanciarmi occhiate preoccupate. Del resto, non credo gli fosse mai capitato prima di ritrovarsi con un corvo alle calcagna. All’inizio sgroppava, se mi avvicinavo troppo, oppure cambiava direzione, mettendosi un po’ più in là rispetto a me. Ma poi, pian piano, si abituò alla mia presenza, continuando tranquillo la sua corsa folle, sebbene mi tenesse costantemente sott’occhio. Come se un bestione grosso come lui avesse qualcosa da temere da un arruffo di piume come me!
Ma, si sa, gli erbivori sono dei gran fifoni!
La foresta nel nord, residenza di Nalayu, si avvicinava sempre di più ad ogni zoccolata del cavallo contro il terreno. Sopra le nostre teste, il sole tracciava il suo invisibile arco nella volta celeste.
In ogni caso, il povero quadrupede non potè di certo mantenere quell’andatura folle per tutto il giorno, così, ben presto, si ritrovò a procedere ad un trotto tranquillo. Io guadagnai così la possibilità di sollevarmi di quota e dare un’occhiata attorno. Mi ritrovai dunque a cavalcare una calda corrente ascensionale, ad un’altezza che una settimana e mezzo prima mi avrebbe fatto gelare il sangue nelle vene ma che ora era normale quanto avere ali al posto delle braccia, una coda attaccata al fondoschiena e l’intero corpo coperto da un nero piumaggio.
Mi stavo abituando. E ciò mi spaventava. Da morire.
Se ripensavo a com’era la vita dentro ad un corpo umano mi veniva difficile da ricordare. E questo mi terrorizzava?
Che stessi smarrendo il mio lato umano?
Una cosa era sicura: dovevamo fare presto. Non c’era più tempo.
 
Non conoscevo quella zona del regno dominata da imponenti montagne, laggiù all’orizzonte. Anche gli alberi stavano bruscamente cambiando di forma e specie.
Harris era riuscito a guadagnarsi un qualche giorno di ferie, facendo pressioni ai suoi superiori ed inscenando pure qualche colpo di tosse e improvvisi attacchi di mal di testa. dunque, invece che starsene sdraiato a casa, nel letto, a riposare, era in viaggio con me verso la mia salvezza.
Avevo la mia buona dose di dubbi riguardo questa strega del nord. Certo, non dubitavo che sarebbe stata capace a liberarmi dalla maledizione ma non ero sicura se avrebbe voluto farlo.
Ero ad un buon settanta piedi da terra, isolata in mezzo al cielo, con tutto il mondo sotto di me. Era quasi mezzogiorno, noi eravamo partiti la mattina prestissimo.
Realizzai una cosa.
Ero stanca, tutti i muscoli mi dolevano e muovere le ali era un supplizio senza eguali (del resto, non toccavo terra da quasi cinque ore). Eppure l’idea di dormire non era che lontanissima da me, e come si poteva darmi torto?
 Il sole brillava sopra la mia testa, arroventandomi le piume nere come la pece. Il vento, però, era mio alleato. La brezza giocava con le mie penne, rinfrescandomi e tenendomi al contempo sollevata da terra.
Eppure la tensione non se ne andava. La mia mente non riusciva a schiodarsi da questa misteriosa Nalayu. Un verso di frustrazione mi sfuggì dalle labbra becco sottoforma del solito cra-cra.
Diedi un occhio a ciò che si trovava sotto di me. Un boschetto si parava all’orizzonte, vicino ad un villaggio situato sotto ad un rudere di un bastione andato in rovina. Il cavallo continuava a correre, proprio sopra la mia ombra.
Il vento aumentò d’intensità, prendendomi per un attimo alla sprovvista. Battei le ali per ritrovare l’equilibrio e mi lasciai portare. Un brivido i gioia mi percorse la spina dorsale.
Era magnifico! Semplicemente magnifico!
Una vocina dentro di me, però, si impegnò a farmi ricordare che la mia non era una bella situazione, che dovevo a tutti i costi trovare un modo per tornare normale. E al più presto, anche. Ma il brivido di trovarsi a quasi settanta piedi da terra, sfrecciando sopra a quel piccolo boschetto dai mille colori era assolutamente ineguagliabile.
Alberi verdi, chiari, scuri, giallognoli, marroni, bruni, gialli, arancioni, rossi. E io, misero puntolino nero, gli volavo sopra. La brezza cambiò direzione, io l’assecondai.
Spostai tutto il mio peso a destra, inclinandomi. Spalancai la mia coda-timone al massimo, dilatandone le penne. Scesi a velocità folle verso il basso, in diagonale.
Rallentai quasi subito, spaventata dalla mia precedente esperienza, quando mi ero personificata un po’ troppo nel re dei cieli, il falco pellegrino. Altri uccelli non avevano problemi con questo tipo di manovre. Ma io non era un uccello! Almeno, non lo ero fino a ieri, metaforicamente parlando.
Tutta intenta a non finire spiaccicata contro uno dei fogliosi alberi sottostanti, non mi accorsi che non era l’unica a volare da quelle parti. Qualcuno di molto più grosso di me mi aveva adocchiata.
Io non me ne accorsi finchè non mi ritrovai direttamente serrata tra gli artigli dell’aquila.
Il mio misero cra-cra di terrore non servì a molto.
 
Venni strattonata verso l’alto, mentre gli otto coltelli dell’aquila mi affondavano tra le piume, dentro la pelle. Il mio grido mutò da spavento a dolore. Il panico mi venne alla testa.
Non capivo più niente. Non sapevo più niente.
Solo che un’aquila mi aveva scelta come cena.
Gridavo. Gridavo a squarciagola battendo freneticamente le ali in tutte le direzioni, disordinatamente, tentando miseramente di liberarmi da quella creatura infinitamente più grande di me.
Come potevo io, misero corvo imperiale con un metro e trenta d’apertura alare, competere con quel maestro di assassinii, che vantava ali da due metri e mezzo?
Non potevo.
Quelle due zampe artigliate strinsero brutalmente la presta, sfoggiando una forza strabiliante. Mi spremettero fuori l’aria dai polmoni, lasciandomi asfissiata. Sembrava di essere finita preda di un pitone, piuttosto che di un rapace.
L’aquila strinse ancor di più, volando tranquilla verso il suo nido senza nemmeno batter le ali, lasciandosi portare dal vento, mentre io, disgraziata, non avevo nemmeno la forza di gridare. Miseramente, tentavo di liberarmi a colpo d’ala, mossa ovviamente inutile.
E più mi muovevo, più quei suoi pugnali mi entravano in corpo.
Pallini rossi, liquidi, sotto di me piovevano verso terra, colando dalle mie penne.
La vista mi si oscurò per un attimo.
Stavo morendo.
Sotto, molto sotto, vidi un certo cavallo deviare bruscamente dalla strada e slanciarsi in mezzo al prato, seguendo il nostro volo. Vidi, sulla sella dell’equino, la minuscola figura di Harris. Cosa stesse facendo non potevo dirlo, da lassù.
Questo fece scattare qualcosa dentro di me.
Morire nello stomaco di un’aquila?
Quando mai!
Con un’energia che non credevo sinceramente di possedere, e che mai più possedetti, mi rivoltai tra gli artigli dell’aquila.
L’aquila aveva artigli? Beh, ce li avevo anch’io.
Lei aveva un becco tagliente? Ce l’avevo pure io.
Feci schioccare il mio lungo becco nero, serrandolo su un dito della mia rapitrice. Concentrai tutta la mia forza in quella sola azione, conficcando al contempo le unghie nelle lunghe dita sottili di quel portento predatorio.
L’aquila gridò, sorpresa. Invece che mollare, strinse ancor di più.
Sentii le ossa crocchiare sonoramente. Ed una si spezzò pure.
Accecata da quel dolore bruciante, aumentai ancora la stretta di becco fino a quando non sentii sulla lingua il sapore del sangue dell’avversaria che, forse temendo di lasciarci tutto il dito, mi lasciò andare.
Finalmente, i miei polmoni si riempirono di nuovo.
Sanguinando copiosamente, mi ritrovai in caduta libera nel vuoto. Vidi confusamente l’aquila manovrare accuratamente a mezz’aria, tenendo quei suoi occhi taglienti puntati su di me, mentre si rigirava con un colpo d’ali per poi scendere in picchiata per riacciuffare in suo pranzo che nemmeno aveva più la forza di muovere un sol muscolo.
Cadevo.
Vedevo ora l’aquila con gli artigli protratti, ora il mio cavaliere, più sotto, che gridava il mio nome.
Vedevo il mio sangue attorno a me, senza peso, cadere a terra in minuscole goccioline.
Diverse penne e piume si staccarono da me, la cui caduta era più lenta della mia, pesando ovviamente di meno; queste mie piume recise vennero bruscamente travolte dall’aquila, in picchiata, che veniva a riprendermi.
Sentii di nuovo i suoi artigli serrarmi. Li sentii affondare nella mia carne.
Questa volta, vinse il dolore.
Scivolai via da me stessa.
Divenne tutto nero.
Sentii solo un vago schiocco e nulla più.
 
 


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Allora? che ve ne è sembrato?
finalmente arriva anche un po' di azione :)
che ovviamente continuerà da qui fino alla fine di tutta la storia, alla quale non manca più molto :)
quindi, gustatevi gli ultimi capitoli, gente!!
siamo agli sgoccioli!!
un grande abbraccio a tutti!!
vostra, 
Phantom
  
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