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Autore: Momoko The Butterfly    22/09/2013    1 recensioni
Sono ormai passati cento anni dalla quasi distruzione del genere umano. Dopo un'estenuante battaglia tra bene e male, il mondo è caduto infine preda di tenebre fatte di solitudine e sofferenza; il Conte del Millennio regna baldanzoso su una terra devastata dalla fame e dalla morte, tartassata fin nel profondo dell'animo da eserciti di Akuma voraci e famelici. Ma l'umanità non demorde, per questo si nasconde dalla loro vista, fiduciosa di poter riassemblare i tasselli di una vita in frantumi. Leda e Alan, fratelli inseparabili, hanno perso ogni cosa. Eppure sembra che la sede Nord America possa davvero diventare la loro nuova casa, grazie a benevole persone che hanno saputo ridonare speranza ai loro cuori avviziti dal dolore.
Ma nulla andrà per il verso giusto. Quando la sede verrà messa sotto assedio, sarà tempo per loro di cominciare un viaggio fatto di rischi e incertezze alla ricerca di risposte. Ad accompagnarli, i paladini dell'Innocence, gli Esorcisti, e un sempre più enigmatico Tyki Mikk...
Genere: Angst, Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bookman, Nuovo personaggio, Rabi/Lavi, Tyki Mikk, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 10: Sussurri dal Paradiso 



 
La prima cosa che Leda fece quella stessa mattina fu partire furibonda alla ricerca di un ufficio cui esporre le proprie lamentele. Dopo aver domandato indicazioni due o tre volte a perfetti sconosciuti in camice bianco, aveva percorso a grandi falcate il corridoio indicatale, diretta senza indugi da quello che veniva chiamato da tutti Supervisore. Essendo la mente dietro ad ogni decisione che fosse stata presa lì dentro, pensò che se c'era qualcuno che potesse spiegarle anche solo metà di quella faccenda, si trattava proprio di lui.
Era più infuriata di un toro pronto alla carica. Infuriata e orripilata. Detestava già l'Ordine prima di entrarci, ma quello che aveva visto durante la notte, in quella stanzetta scarna e vuota, aveva contribuito notevolmente ad accrescere il suo ribrezzo. Il solo pensare che potessero trattare delle persone in quel modo abominevole la mandava in bestia. Ricordava gli schiocchi sordi della frusta dell'Esorcista bionda; ricordava il sangue; ricordava il dolore mentale patito, frutto di un'empatia non voluta ma che era stata costretta a sopportare. Aveva avuto paura. Quel luogo metteva in agitazione il suo cuore. Ad ogni angolo, temeva vi fosse qualcuno pronto ad aggredirla e, dovette ammetterlo, nemmeno quel giorno alla sede Nordamerica aveva provato così tanto terrore.
Una porta in legno finemente lavorata si stagliò di fronte a lei. La raggiunse trattenendo il respiro, le spalle larghe e le mani strette a pugno, animata da una buona dose di forza di volontà. Non si disturbò nemmeno a bussare. Afferrò la maniglia con impeto e spalancò la porta. I presenti all'interno saltarono sulle sedie, primo fra tutti Komui, che stava conversando al telefono. Quando vide Leda avvicinarsi alla sua scrivania, lentamente mise il ricevitore sulla cornetta e si parò dietro una cartellina rigida come se avesse potuto proteggerlo.
Non ci volle molto prima che l'impatto avvenisse; la stanza non era molto spaziosa, anche se ad ingannare l'occhio ci pensava l'ingombrante quantità di fogli e cartacce sparsi sul pavimento in modo del tutto disordinato. L'unica cosa pulita in quell'ufficio era il cestino della spazzatura, immacolato; ma soprattutto, vuoto.
Leda sbatté le mani sul tavolo, facendo sussultare il Supervisore dal suo 'nascondiglio'.

- Mi volete dire che diavolo pensate di fare?! - attaccò la ragazza, quasi gridando. Aveva intenzione di ottenere la verità tutta e subito.

Komui tremolò appena, intimorito dal suo approccio. Riuscì comunque a trovare il coraggio di replicare.

- Che... che cosa intendi?

Errore. Per poco Leda non esplose. Si fece tutta rossa in viso, stringendo i pugni talmente tanto che le nocche sbiancarono. Si sentì presa in giro, benché il Supervisore non avesse realmente afferrato la situazione. Capì che prima sarebbe stato meglio fargliela comprendere.

- Vi sembrava il modo di trattare un prigioniero?! Un Akuma sarebbe stato più delicato!

Improvvisamente Komui si rabbuiò, assumendo un atteggiamento serio e... Stranamente freddo. Abbassò la cartellina, posandola con cautela sulla scrivania. Congiunse le mani ed abbassò il capo, sospirando. Li aveva visti. Ecco perché Claire gli aveva riferito di essersi sentita osservata, durante l'interrogatorio. In ogni caso, quella faccenda era troppo importante. Ancora rimuginava sulle parole del Noah, non riuscendo a trovare pace. Ci mancava solo che una ragazzina sperduta venisse da lui dettando legge. Non poteva permetterlo, non con tutti i problemi che già affollavano la sua mente.

- Quel soggetto.. - cominciò, con aria seria eppure... Velatamente infastidita - Si tratta di un Noah, non lo sapevi?

A quel nome Leda si congelò sul posto. Ritrasse le mani, come mossa da una volontà non sua.
Noah.
Aveva già sentito parlare di esseri chiamati così. E ricordava fin troppo bene di aver letto di loro su qualche vecchio libro nella biblioteca della sede, circa due anni prima. Quel giorno, in cerca di nuove letture che potessero suscitare la sua curiosità, s'imbatté per caso in un vecchio tomo rigido, sovrastato dalla polvere e corroso dal tempo. Con un soffio ben poderoso aveva respito la patina di vecchiume che lo ricopriva, si era seduta ad un tavolo isolato e aveva cominciato a sfogliarlo. Rimase come raccapricciata, mentre leggeva di quella che riconobbe essere la guerra avvenuta cent'anni prima. La battaglia del Conte contro gli Esorcisti. Qualcosa poi la costrinse a richiudere con inaspettata forza il volume, troppo spaventata per proseguire oltre nella lettura: un breve passo pregno di orrori.

"E vennero i Cavalieri dell'Apocalisse. Il loro passo pesante e sicuro sul campo di battaglia fece tremare il cuore degli Apostoli di Dio. Erano tredici, dagli occhi d'oro e dalla pelle cinerea. La loro sola presenza bastò per smuovere gli animi dei nostri guerrieri, già martoriati dal dolore della perdita dei propri compagni, ricoperti di sangue nemico e amico. Avanzarono, imponenti, come un'onda incontenibile. Travolsero ogni cosa che si trovasse sul loro cammino con fredda brutalità. Chiunque tentò di contrastarli, venne a tal punto torturato da perdere anima e orgoglio. E quei tredici giustizieri del Demonio, i quali portavano il nome di Noah, rasero al suolo il campo di battaglia, estinguendo con disarmante facilità le vite di innocenti al servizio della pace. Nessuna pietà. Solo dolore. E le lacrime si condensarono al sangue, cosicché non fu difficile determinare chi fosse caduto in battaglia: quel giorno ognuno perse per sempre il proprio onore, tramutandosi in una fredda anima sperduta, non più riscaldata dall'affetto dei propri compagni. Corpi vuoti, morti che camminavano. Solo la flebile certezza di una vittoria bramata anche più del proprio desiderio di tornare a vivere. Tutto per ristabilire l'ordine del mondo. Tutto per adempiere alla Sua volontà..."

Orribile. Questa fu l'unica parola che Leda ebbe in mente per descrivere il tragico verso di quel libro, nei giorni successivi. Non lo cercò più. Non osò nemmeno spostare lo sguardo sullo scaffale dove era stato riposto - non da lei -; il disgusto era tale da voler recidere all'istante ogni contatto con quel volume polveroso -.
Era poi tornata da Alan, come se nulla fosse successo. Theodore attirò la sua attenzione per un lavoro urgente alla locanda. Non ci pensò più; e mentre lavava piatti e asciugava bicchieri, dimenticò completamente la cosa.
Ora però quella terribile esperienza le era tornata alla mente. A scatenare tutto ciò, quella parola: Noah.
I Noah, gli esseri demoniaci al servizio del Conte del Millennio. I mostri che avevano portato il mondo alla rovina. Le riusciva difficile credere che Tyki fosse uno di loro. Non voleva crederci. Sebbene fosse rimasta piuttosto sorpresa nello scoprire le sue innate capacità, non poteva in alcun modo visualizzarlo in un ottica tanto macabra e sanguinaria. Lui li aveva salvati. Aveva salvato lei; e Alan. Questo doveva pur valere qualcosa. E non ci sarebbero state prove che distruggessero quel suo credo. Tyki era una brava persona. Fine della storia.

- Non si riempia la bocca di parole tanto importanti! Lei non sa nulla di lui!! - tornò ad attaccare, la voglia di agire più forte che mai in lei. Il tono di voce era duro, desiderava essere autoritaria con quelle persone tanto ipocrite.
Komui non osò aprire bocca. Afferrò un fascicolo alla sua destra, il cui titolo per Leda era indecifrabile: la calligrafica era ridondante, a tratti confusa. Impossibile da comprendere per lei. Il supervisore aprì la cartellina ed estrasse una serie di foto, probabilmente le stesse che aveva mostrato a Tyki.
Le gettò con impazienza sulla scrivania, quasi non aspettasse altro che mettere a tacere quella ragazzina impertinente con la verità nuda e cruda che tanto desiderava.
Leda spostò lo sguardo sugli scatti, diffidente. Sentì poi il respiro mancarle all'improvviso, mentre il cuore prese a battere impazzito, veloce.

- Due Generali, una nuova recluta e tre veterani. In un mese - prounciò tombale Komui, fin troppo diretto - Per come sono stati trattati, non può essere opera di un Akuma.

Leda sentì di avere la nausea, non ebbe nemmeno il coraggio di sfiorare quelle immagini. C'era... C'era troppo, troppo sangue; e quei... Quei corpi... Erano...

- BASTA! - scansò in un ultimo disperato gesto le foto, rispedendole svolazzanti al padrone. Questo le raccolse, le mise in pari con un colpo secco e con calma le ripose dentro il fascicolo.

- Che diamine sta cercando di dirmi con quelle immagini?!

- Che il tuo amico potrebbe essere l'artefice. Per questo lo teniamo rinchiuso.

In effetti, sembrava un ragionamento più che giusto. Un Akuma non si sarebbe risparmiato di lasciare un cadavere; men che meno integro. E anche se... Quegli orrendi corpi mutilati erano stati ridotti in modo così raccapricciante, per lo meno potevano ancora definirsi un ammasso di carne e ossa. Un Akuma non avrebbe lasciato che polvere. Sangue, e polvere.
Nonostante tutto, di prove che Tyki fosse l'assassino, e addirittura un Noah, non ne avevano neanche l'ombra. E basarsi sui piagnistei ridicoli di una statua tutta mento e brufoli era la scemenza più colossale del mondo.
Leda non avrebbe ceduto la ragione a quel tizio. Non gliel'avrebbe ceduta anche a costo di finire lei stessa in carcere. E sebbene la priorità rimanesse Alan, avrebbe aiutato Tyki perché lo considerava una persona importante per lei; ma soprattutto, per suo fratello.

- Non dica cretinate! Non avete uno straccio di prova; non sapete nulla di lui!

Komui parve accigliarsi.

- Ah, sì? - attaccò all'improvviso, con tono di sfida - Perché, tu invece lo conosci?

Come?
Sì, che lo conosceva! Lei...
No.
Komui aveva ragione. Leda non sapeva nulla di Tyki. Prima di incontrarlo alla sede, prima di vederlo seduto a quel bancone... Non c'era niente. Qualsiasi cosa fosse successa prima, lei non la sapeva. Ma non solo. A parte il suo nome, quell'uomo aveva provveduto a tenersi stretta ogni altra informazione sul suo conto. L'età, la famiglia, il passato... Vuoto. C'era come un enorme vuoto che divideva lui e Leda, imperscrutabile, impossibile da riempire. E finché lei non avesse cercato di colmarlo, nulla sarebbe cambiato. Le mani si allontanarono dalla scrivania, calme. Il viso si rilassò. Prese un profondo respiro e... Rispose.

- No.

Per una volta nella vita doveva ammetterlo, sebbene gli costasse fatica. Doveva ammettere che di Tyki Mikk sapeva poco o niente. Si allontanò dalla postazione del Supervisore. Sembrava pensierosa. E lo era. Afllitta nell'orgoglio, per essersi incastrata da sola, non le restava che ritirarsi. Forse, prima di pretendere la verità da quegli ipocriti di Esorcisti, avrebbe dovuto iniziare dall'uomo che, senza un motivo apparente, si era messo in pericolo per salvare sia lei che Alan.
Uscì dalla stanza in silenzio, con gli sguardi attoniti di Komui e Reever, rimasto per tutto il tempo in disparte, posati su di lei con cautela. Una volta che la porta si fu richiusa e il silenzio tornò ad aleggiare nell'ufficio, il Caposezione si avvicinò al Supervisore.

- Hey, non sarete stato troppo duro con lei? Dopotutto, è appena arrivata...

- E' meglio che se ne renda conto adesso - si sentì rispondere, con un sospiro rassegnato - Prima che la reale realtà dei fatti l'annienti...

Le foto fecero nuovamente capolino dal fascicolo. E con l'inquietante alone di morte che si portavano appresso, mostrarono ancora una volta i volti sfigurati di quegli innocenti senza più orgoglio per sé stessi. I nomi, le date... erano riportate sotto ognuna delle foto. Ognuna corrispondeva a un'anima, un'anima che un tempo era appartenuta a quell'ammasso di sangue e carne che ora era immortalato in tutta la sua brutale oscenità in quel pezzo di carta lucido.
Komui sussurrò i loro nomi, come se avesse potuto riaverli accanto a sé, con quel gesto; come se le sue preghiere disperate bastassero a riportarli in vita...

"Mi dispiace, ragazzi..."

Represse le lacrime. Loro non avrebbero voluto che si piangesse, ricordandoli. E lui non poteva permetterserlo. Lui, che fino a quell'istante non aveva versato lacrime per nessuno, se avesse ceduto di fronte a loro...
Però erano stati come una famiglia. Tutti. Sia per lui, che per Linalee. Cancellare quindi la disperazione, trasformarla in ardente desiderio di vittoria, fu altrettanto doloroso. Ma era compito suo non lasciare che la tragedia sfiorasse mai il suo cuore; da bravo leader, era suo dovere portare avanti quei nomi, quelle esistenze sacrificate per il bene della guerra ed andare avanti, avanti, avanti... Fino a che non l'avessero vinta. E allora quelle povere anime straziate dal dolore, finalmente, avrebbero potuto riposare in pace.

"Mi sentite, da lassù?"

Sperò tanto di sì. Volse lo sguardo al cielo, stringendo appena le foto, impotente.

"Vinceremo, presto. Voi pazientate solo un altro po', amici..."
 
 
Leda scese le scale di pietra dei sotterranei. Le stesse che aveva percorso quella stessa notte, alla ricerca della stessa persona. Era certa che Tyki fosse ancora lì, che lo avessero rinchiuso da qualche parte. Miriadi di incertezze attorniavano il suo animo, rendendolo inquieto. Cosa avrebbe trovato al suo arrivo? Cosa avrebbe saputo?
Ma soprattutto: lo avrebbe saputo?
Con quell'uomo era sì difficile parlare. E in più di un'occasione non aveva mancato di prendersi gioco di lei. Eppure c'era qualcosa, qualcosa di profondo, nascosto, che rendeva Leda curiosa a tal punto da cedere a qualunque provocazione o raggiro. Pur di sapere la verità, quella vera, sarebbe stata disposta a fare ogni cosa. Anche a lasciarsi sfottere.
Davanti a lei si aprì il lungo corridoio di pietra, ora non più tanto tenebroso. La luce del sole filtrava ancora abbondante dal piano superiore, provocando una scia di sfumature tra le più bizzarre. E il bianco del mattino andava via via tingendosi del nero dell'oscurità di quell'antro buio e freddo.
Leda non si fece mettere in soggezione. Avanzò sicura e senza timore, già consapevole di quanto quel luogo fosse infimo. Non seppe dire come riuscì a trovare la strada giusta. Forse fu fortuna, o forse memoria. Si ritrovò di fronte alla porta, quella dalla quale aveva sbirciato durante la notte. Si guardò attorno, e nel mentre un rumore attirò la sua attenzione: come uno sferragliare continuo e fastidioso. L'eco la portò a voltarsi e a notare un secondo corridoio aprirsi giusto dietro di lei. Come avesse fatto a non notarlo prima... !
Dopo un attimo di esitazione, cominciò ad attraversarlo, col batticuore. Non che avesse paura. Poteva dire che fosse naturale per lei provare angoscia, inquietudine, di fronte a una prova tanto difficile. L'ansia, la sensazione di stare andando incontro all'ignoto... La tormentavano. Come era successo anni prima, dopo l'attacco degli Akuma, quando lei aveva percorso il bosco alla ricerca della madre.
Non sapeva cosa avrebbe trovato; non sapeva cosa sarebbe successo. Ma sentiva di doverlo fare. Per sapere la verità.
Anche ora, ben conscia di stare andando forse tra le braccia del lupo, era dominata da una insana curiosità. Quell'ngarbuglio allo stomaco che sì, faceva paura, ma che la corrompeva. La stuzzicava, ma al coltempo la faceva soffrire. E lei sentiva di dover procedere, per vedere cosa ci sarebbe stato alla fine del percorso. Qualunque cosa fosse.

Le celle erano anguste. Le sbarre di ferro si scrostavano, e in alcuni punti la ruggine aveva già cominciato a corroderle. Leda avanzò titubante tra loro, guardandosi attorno e cercando di individuare quella giusta. Niente.
Fu solo arrivando alla fine di quel corridoio senza uscita che finalmente lo vide. Legato mani e piedi al muro, in un modo che le parve inconcepibile. Si attaccò alla porta della cella con una tale forza da dare l'impressione di poterla tirare via.

- Tyki!

Le bastò pronunciare il suo nome una volta, perché lo vedesse accennare un movimento. Si sentì sollevata. Almeno non lo avevano ridotto in fin di vita.

- Hey, parla!

Tyki si sentiva la testa gonfia come un pallone. E non perché non fosse riuscito a prender sonno, tutt'altro. Il fatto era che quella mocciosa lo svegliava di soprassalto facendogli prendere chissà quanti accidenti e lui a quelle cose non ci era abituato. Non ebbe la forza di sollevare lo sguardo. Il dolore alla schiena era lancinante, e se avesse provato anche solo a spostarsi se avrebbe risentito. Non credeva di dover patire così tanto, pensava sarebbe andata in modo diverso. Ma quel ridicolo Supervisore l'aveva incolpato della morte di alcuni loro compagni e lui sapeva che se anche avesse detto la verità nessuno gli avrebbe creduto. Si sentì uno stupido, ad aver giocato con lui per ricevere in cambio solo una schiena sanguinante, eppure al tempo stesso ne fu come soddisfatto. Come se, nonostante tutto, si fosse liberato di un peso. Il messaggio era stato recapitato. Ora doveva solo cercare di non morire. Cosa che, se si calcolava la presenza di quella rompiscatole musona, risultava piuttosto semplice.

- Ma tu... - cominciò, il tono stanco misto a viva irritazione - ... Non hai proprio nient'altro da fare, se non scocciare la gente?

Strano. Eppure Leda era il suo unico salvagente; la sola che, grazie a sicurezza e determinazione, poteva impedirgli di schiattare. Ma provocarla era così divertente, così piacevole, da cedere alla tentazione.

Come previsto, la ragazza s'accigliò, visibilmente seccata. Fece per andarsene, ma ricordò il motivo per il quale era venuta fin lì. Quindi, si accostò alle sbarre della cella, ignorando le frecciatine del Noah.

- Devo chiederti una cosa.

Era arrivato il momento della verità. Il momento di sapere, in maniera definitiva, la reale entità delle cose. Ed avere finalmente l'opportunità di fare tutte le domande che voleva, lasciò scaturire in lei una sorta di timore. Una strana insicurezza che, comunque, non le impedì affatto di proseguire.

- Sei davvero un Noah?

Tyki rise. Il che, date le circostanze, forse non corrispondeva proprio al genere di risposta che Leda si sarebbe aspettata. E fu un bene che l'uomo fosse al di là delle sbarre, così lei non avrebbe potuto strangolarlo seduta stante come sicuramente avrebbe fatto se non avesse avuto ostacoli tra i piedi. Davvero quel cretino non comprendeva la situazione nella quale si era cacciato?! Ma soprattutto, il suo continuo beffarsi di lei era snervante. Così era impossibile determinare se dicesse o no la verità. E a Leda queste cose offuscavano solo la vista, impedendole di raggiungere i suoi obbiettivi.
L'odore di marcio delle celle era insopportabile, i muri erano secchi, vecchi e sporchi. Chiunque si fosse addentrato in quel luogo avrebbe detto immediatamente che si trattava di un sotterraneo, tanto era sudicio. Nessun Esorcista, ne era certa, avrebbe mai scelto di avere una camera lì. Oh, perché loro erano abituati al lusso! Invece lei nella sua vita era stata già fortunata a trovare luoghi tanto precari come quello. Quando non si aveva la certezza di poter superare la notte, o si doveva vincere contro il vento, la neve, il gelo, il dolore e la solitudine... ogni posto era buono. E lei.. in quanti casali abbandonati, vecchi ruderi in decomposizione, aveva dormito... Con Alan. Pur di sopravvivere. Pensò che ciò che lei nella vita aveva sempre desiderato loro ce lo avevano sempre avuto. Era inammissibile.
E questa era una ragione in più per pretendere con maggiore forza e convinzione la verità che no, non voleva più soltanto, ma esigeva, all'istante. Perché ne aveva tutto il diritto. Se Tyki non si fosse comportato seriamente, almeno per una volta, forse avrebbe trovato un modo per entrare in cella e costringerlo con la forza. Eppure, tutto d'un tratto, eccola. La risposta a quella prima domanda, posta con imbarazzante coraggio, che arrivò secca, chiara, forse fin troppo.

- Sì.

Leda sentì la presa sulle sbarre di ferro allentarsi, fino ad annullarsi completamente. Le sue braccia ricaddero scomposte, prive di grazia, ai fianchi. E per la prima volta sentì di rimpiangere l'ignoranza, perché con quella sola affermazione, il suo mondo di certezze, convinzioni... era stato infranto. Qualcosa aveva urtato il suo animo di vetro; qualcosa lo aveva rotto in mille pezzi.
Si lasciò cadere sulle ginocchia, lo sguardo vacuo, perso a fissare un particolare invisibile. Si sentì ingannata; sfruttata; presa e scaraventata in mezzo ai pericoli... come un semplice, inutile oggetto. Uno strumento, nelle mani di un essere di cui non aveva mai saputo nulla fino a quel momento; uno sconosciuto che grazie ad un solo atto di misericordia nei loro confronti si era conquistato la sua fiducia. Che stupida che era stata. Aveva ceduto sé stessa ed Alan a un mostro. E ora poteva affermarlo con certezza, mentre in passato si sarebbe detta meschina, per aver pensato una cosa del genere. Ma l'essere un Noah cambiava tutto. Il verso di quel libro agghiacciante letto anni prima tornò nella sua mente, come un'odiosa, spaventosa filastrocca da fil horror.

"Travolsero ogni cosa che si trovasse sul loro cammino con fredda brutalità. Chiunque tentò di contrastarli, venne a tal punto torturato da perdere anima e orgoglio. E quei tredici giustizieri del Demonio, i quali portavano il nome di Noah, rasero al suolo il campo di battaglia, estinguendo con disarmante facilità le vite di innocenti al servizio della pace."

Guardò Tyki. Le stava sorridendo, beffardo. Che diamine stava pensando?!
Per lui era tutto un gioco? Un modo per divertirsi?!
Si alzò di scattò da terra, le mani strette a pugno, portatrici di una forza di volontà che aveva ripreso a bruciare più forte che mai. Quel sorriso aveva risvegliato in lei la voglia di combattere; di gridare, agitarsi, ottenere ciò che desiderava col pugno di ferro. Implacabile, fredda, scostante. La Leda combattiva stava tornando più viva che mai.
Ma le parole che rivolse a Tyki non furono d'odio, benché quelle frasi orribili la tormentassero e anzi, la invogliassero a girare i tacchi ed allontanarsi. Si sentiva arrabbiata, ma non per il fatto che Tyki fosse un Noah, un essere malvagio, al servizio del Conte; lo era per via del fatto che lui le avesse mentito tutto il tempo, senza mai dirle nulla. E per quanto quella scioccante scoperta l'avesse scossa, non poteva e non voleva ripugnare completamente quell'uomo perché, ne era certa e lo aveva pure intravisto nei suoi occhi scuri, aveva un animo buono, luminoso; per nulla tetro e oscuro, come descritto nel vecchio volume polveroso che tanto l'aveva terrorizzata. Per questo quando si riattaccò con forza alle sbarre facendole sferragliare tra loro, pronunciò le parole più spontanee della sua vita.

- MA SEI STUPIDO?!

Tyki la guardò come gli avesse fatto un complimento; ovvero, più sorpreso che mai. Si sentì tanto insultato al punto da rispondere animamente, nonostante il dolore alla schiena e la scomoda posizione che era costretto ad assumere.

- Non mi sembra affatto, mocciosa!

Da quella postazione gridarle contro lo rendeva davvero ridicolo, come se cercasse di salvarsi da una situazione precaria, irrecuperabile. Non aveva capito per niente il commentaccio della ragazza, e oltretutto gli era parso di non essere stato capito. Aveva detto di essere un Noah, diamine! Perché invece di spaventarsi quella testarda gli inveiva contro?

- A me pare proprio di sì, capellone!

Insulti su insulti. Non ne poteva più e se davvero avesse voluto avrebbe potuto attraversare le pareti della cella e rifilarle una bella punizione. Finché lei non avesse capito che con lui c'era poco da fare i duri. Ma nonostante tutto, qualcosa lo trattenne. E non si trattò della sua condizione, no. C'era qualcos'altro in quella ragazza, un che di inarrivabile, che in tutto quel tempo l'aveva frenato dal metterle le mani addosso. Tralasciando le crisi depressive, il vomito e quel suo carattere dannatamente fastidioso, si era rivelata una ragazzina niente male, animata da giusti valori e determinata più che mai a proteggere suo fratello. Un po' si rivide, in lei, in quella ferma convinzione di non voler abbandonare nulla di ciò che avesse. E rimpianse di non aver posseduto tale qualità anni prima. Quando, forse, poteva contare ancora qualcosa...

- Sei l'unica che non si è sentita inorridita dalla mia rivelazione - sospirò, sconfortato per aver perso la fonte di divertimento che credeva aver ritrovato dopo una giornata passata in carcere a morire di noia. Il dolore alla schiena parve diminuire, come influenzato dalla presenza della ragazza.

- Questo perché non sono inorridita - puntualizzò, con una nota spevantosamente rabbiosa nella voce - Ma furibonda.

- Ahhh - Tyki iniziò a prenderla sul ridere, fingendosi sorpreso.

Leda strinse ancora di più i pugni sulle sbarre arrugginite della cella, piantando ben bene i piedi sul pavimento di pietra come se avesse voluto sfondarlo. Ma dentro di lei una vocina ripeté insistentemente "Contieniti, Leda, contieniti...". Quindi si rilassò, prendendo un profondo respiro, e continuò a parlare, ignorando i tentativi del Noah di innervosirla. Sapeva che lo stava facendo apposta.

- Non hai detto nulla. Hai mentito a me, e ad Alan. Abbiamo riposto la nostra fiducia e... Sì, anche la nostra vita, nelle tue mani. E ora... Venire a sapere che tu sei uno degli scagnozzi del Conte...

- Preciso - si sentì interrompere all'improvviso. Tyki la guardò e affermò, sillabico - Io non ho nulla a che fare con quello lì.

 A Leda cascarono letteralmente le braccia. Ogni pensiero si azzerò all'istante, solo residui delle parole piene di risentimento appena pronunciate fluttuavano ancora, solitarie, in quel mare di nulla che era improvvisamente diventata la sua mente. Ecco però che improvvisamente, si appiccicò talmente tanto alle sbarre che se si fosse impegnata ci sarebbe potuta sgusciare attraverso.

- Che diavolo stai dicendo?! Non dire cavolate!

Il Noah la guardò con l'espressione più seria mai vista. E per uno che trovava divertente praticamente ogni cosa era una svolta piuttosto anomala dal suo punto di vista.. L'espressione che le rivolse annuendo le fece intendere più che chiaramente che non stava mentendo, anzi, che pure il solo sentire pronunciare il nome del Conte gli desse fastidio. Era sprezzo, quello che aveva avvertito nella sua risposta. Un rancore profondo che sicuramente aveva origini ben annidate nel suo cuore, nei suoi imperscrutabili ricordi. Si sentì un po' stupida per aver detto una cosa simile. Ma d'altronde, era risaputo: i Noah sono i seguaci del Costruttore, coloro che annientano qualunque cosa si trovi loro davanti, se solo può servire a portare a compimento i diabolici piani del loro capo. Leda aveva sempre ricevuto questo genere di informazioni su di loro, e pertanto era normale che se li figurasse in una maniera tanto spaventosa e orribile. Tyki però era diverso. Forse perché li aveva aiutati, forse perché nonostante tutto Leda non riusciva ad immaginarlo ammazzare sei Esorcisti ipocriti...

- Tsk - Tyki la scostò dal suo vortice di ragionamenti, con fare canzonatorio - Non la conosci proprio per niente la storia, tu?

Leda sollevò all'istante lo sguardo, incrociando i suoi occhi di onice, neri e brillanti in contrasto con la tenue luce che filtrava nella cella - Che cosa vuoi dire?

- Voglio dire che...

Non fece in tempo a terminare la frase.
I due sentirono un rumore provenire dal corridoio. L'eco di passi veloci, regolari, sempre più vicini. Ad un'analisi più attenta, probabilmente doveva trattarsi di tacchi. In pochi secondi, la figura di Claire apparve davanti a Leda in tutta la sua austerità. In mano stringeva la frusta, come se qualcuno avesse potuto provare a portargliela via. Lo sguardo era severo, per non dire irritato. Perché si trovava lì?

- E' vietato venire qui - asserì fredda, senza un minimo di ritegno.

Leda la fissò intensamente negli occhi, lo sguardo di una bestia spaventata; eppure, pronta ad attaccare con tutta la sua ferocia se minacciata.

- A giudicare dal numero di guardie, non direi proprio - rispose, sprezzante, sentendosi orgogliosa per averle saputo tenere testa per la prima volta in modo così egregio. Si complimentò con sé stessa per il traguardo raggiunto.

Claire le lanciò un'occhiata omicida con quei suoi gelidi cristalli di ghiaccio. Si compiacque di come la novellina fosse stata capace di risponderle a tono, tuttavia l'onore le impose di non concederle neanche il più microscopico spiraglio sulla vittoria di quel loro piccolo duello verbale.
Avanzò, e i tacchetti degli stivali produssero una serie di fastidiosi echi nel corridoio che si diffusero ampiamente fin nei più remoti angoli d'ombra. Scostò con pochi convenevoli Leda dalla cella e, dopo aver armeggiato un attimo con una borsa che portava legata alla vita, tirò fuori un mazzo di chiavi scegliendone una un po' arrugginita. La infilò nella serratura, aprendo la porta che cigolò pericolosamente; dopodiché, s'insinuò all'interno dell'angusto spazio stringendo la frusta in mano.
Leda capì fin troppo bene quello che avrebbe fatto, l'aveva già vista in azione e Dio solo sapeva questa volta quali altri barbari metodi avrebbe adottato per ottenere informazioni dal Noah. Eppure, con lei aveva parlato. Perché non si decideva a fare la stessa cosa con quella dannata Esorcista?!

- Ti decidi o no, carogna? - il tono di voce di Claire era pervaso dall'odio. Un'odio puro e smisurato, così soffocante da opprimere chiunque le fosse vicino in quel momento.

Tyki rise appena, abbassando lo sguardo, come a volerla ignorare. Non aprì bocca. Ma il messaggio che mandò alla biondina fu chiaro, forse troppo spavaldo e intriso di avventato coraggio perché le impedisse di accettarlo placidamente. Leda osservava la scena con stupore, incredulità. Si rese conto di essere bloccata sul posto, come se qualcuno la stesse tenendo immobile contro la sua volontà. Anche se avesse voluto, non sarebbe riuscita a muovere un muscolo perché quella scena l'aveva già vista e ora stava per ripetersi, proprio davanti a lei. Gli occhi pizzicarono, le labbra si dischiusero, per far uscire parole dettate dal sentimento, dall'angoscia. Nessun suono però raggiunse l'Esorcista nella cella; Leda non aveva fiatato. Il solo pensiero di dover rivivere quel dolore non suo, ma che si sentiva addosso in maniera identica, fece sparire in lei ogni luce. Si spense, piano piano, guardando inerme quell'incubo ripetersi. Avrebbe voluto gridare; avrebbe voluto muoversi. E invece, rimase dov'era, annullandosi completamente di fronte a quella frusta nera che si stava sollevando e che si scagliò rapida contro Tyki.

Ma ecco che qualcosa scattò in lei.
Qualcosa che le fece prendere coscienza della situazione. E si ricordò che non era più dall'altra parte della porta, a spiare in segreto quell'orrore, era lì, e la faccenda la riguardava pienamente. Questa volta avrebbe davvero potuto fare qualcosa, anche se poco, ma lo avrebbe comunque fatto. Nulla le avrebbe impedito di agire. Così, sforzando ogni muscolo del suo corpo affinché potesse farla muovere, si gettò all'interno della cella, parandosi di fronte a Tyki. Chiuse gli occhi, certa che il dolore che avrebbe provato sarebbe stato immane. Ma non se ne sarebbe andata. Doveva far capire a quei bastardi di chiesa cosa succedeva a mettersi contro di lei.
La frusta calò, colpendola in pieno volto. E in quel momento avvenne qualcosa. Accadde tutto troppo in fretta, e nel mentre Leda venne gettata a terra dalla forza del colpo, con una guancia arrossata e un rivolo di sangue che presto le bagnò le labbra. Non se n'era accorta, ma Claire sì. Nell'istante in cui l'aveva colpita, la frusta si era... Illuminata. Solo appena, però, e non abbastanza perché anche l'altra potesse notarlo. Si era accesa di una luce argentea, al minimo contatto con la sua pelle, la quale aveva avuto la medesima reazione. Qualcosa aveva interferito: non Leda, non Claire; e nemmeno Tyki.
E la biondina dagli occhi di ghiaccio, tanto fredda e impassibile, si vide sconcertata, osservando la propria arma tornata normale, rigirandola tra le mani come se avesse potuto trovare una spiegazione a quello strano fenomeno appena avvenuto. Guardò Leda e la vide rialzarsi, tremolante, il sangue sulla guancia che cadeva in minuscole goccioline a terra, ticchettando leggero. Si sentì tanto sopraffatta dalla sorpresa, che anche volendo non riuscì ad aprir bocca. Invece Tyki sorrise ampiamente, osservandola compiaciuto, soddisfatto di quella reazione. Tutto era andato secondo i suoi piani, per fortuna. Già, perché se Leda non fosse intervenuta, cosa che credeva impossibile date le sue poche e modeste conoscenze, lui sarebbe finito molto male. Ma si sentì pieno d'orgoglio - per sé stesso - per aver essere stato tanto perspicace su quella ragazzina. Lo aveva capito all'istante, nel momento stesso in cui era riuscita a colpirlo, e da allora le sue convinzioni non avevano fatto che confermarsi. Perché, lo sapeva, Leda era stata il motivo dell'attacco alla sede Nordamerica; l'obbiettivo madre di quella missione di sterminio, in cui però avevano perso la vita tutti tranne lei e quel piccoletto di suo fratello. Sorrise e Claire se ne accorse, guardandolo con disprezzo misto a sconcerto. Lui sapeva. Aveva sempre saputo, eppure aveva deliberatamente scelto di tacere. In condizioni normali lo avrebbe punito. Ma lo shock le aveva rubato ogni energia, congelandole i muscoli, frenandole le parole. Tentò nuovamente di dire qualcosa. Una cosa qualsiasi, non aveva importanza. Doveva far capire che no, quel Noah bastardo non era riuscito a coglierla impreparata, che lei avrebbe saputo fronteggiare anche una situazione simile. Ma non fece in tempo. Ticchettii scomposti animarono il corridoio, sempre più numerosi e rumorosi. E quando cessarono, due guardie in camici neri armate di picche dall'aria allarmata si stagliarono di fronte a lei. Vedendo Leda a terra, iniziarono a porre domande all'unisono.
Claire li guardò come se non riuscisse a capire nulla di quello che dicevano, come se le loro parole fossero unicamente un pugno di versi senza capo né coda. Ragionò in silenzio, e in una frazione di secondo tornò ad assumere l'atteggiamento freddo e austero di sempre, sopprimendo a forza lo stordimento causato dalla scioccante rivelazione. Con movimenti rigidi, calcolati, si portò di fronte ai subordinati ordinando loro con voce autoritaria e gelida:

- Portatela via.

I due picchieri non attesero ulteriori spiegazioni. Non ne avevano bisogno. S'introdussero nella cella, sollevando di peso Leda e trascinandola fuori. Vedendosi allontanata da quel luogo contro la sua volontà, senza neanche aver avuto la possibilità di ottenere uno straccio di informazione, cominciò a scalciare e a gridare. Gli echi delle sue urla si propagarono per tutto il corridoio, solitari, mentre lentamente e a fatica vedeva la distanza tra lei e Tyki diventare sempre maggiore. Allungò una mano verso di lui, come a voler afferrare quella verità da lei tanto agogniata, ma che da sempre le era negata. Si lasciò sfuggire un rantolo disperato, un'ultima supplica affinché quelle dannate guardie la lasciassero andare. Purtroppo, nessuno le diede ascolto, così dovette abbandonare prima del tempo i sotterranei della prigione.
La guancia era diventata rossa e gonfia, con una sola strisciolina di sangue a solcarla, silente. Leda però non vi badava, anzi, pareva non essersene neanche accorta. Venne scortata, o per meglio dire trascinata, fino alla sua stanza, all'interno della quale venne gettata con pochi riguardi per poi esservi richiusa dentro.
Quando tentò di rialzarsi, scoprì che a sostenerla c'era Alan. Indossava ancora la camicia da notte trovata nel cassettone la sera prima, aveva il viso pulito, i capelli in ordine, gli occhi più brillanti del solito. Non era mai stato meglio.

- Come stai? - le chiese, aiutandola a rialzarsi. Leda si accorse del taglio sul viso, e provvedette a pulirselo con la manica, macchiandola di rosso. Si guardò attorno e vide i letti in ordine, con i loro vecchi vestiti lavati e piegati sul cuscino. Li guardò e si sentì violata. Qualcuno era entrato, aveva frugato tra la sua roba, si era azzardato a lavarle la biancheria e a rifarle il letto. Nemmeno nella propria stanza era al sicuro; tenuta sott'occhio ventiquattr'ore al giorno, solo la sua mente coi suoi pensieri inviolabili si salvava.

- Tutto a posto - rispose al fratello, sedendosi sul letto con fare sconsolato. Non aveva voglia di dirgli cosa aveva visto, che Tyki era in una cella e che si era procurata quel taglio nel tentativo di difenderlo dall'enesima tortura. Non voleva farlo preoccupare. Avrebbe dato qualsiasi cosa perché le lacrime non solcassero più il suo viso delicato. Il ricordi, le sensazioni e il dolore vennero spinti giù, in profondità, in quell'animo nero e afflitto che si ritrovava. Silenziosa, gli sorrise, carezzandogli amorevolmente la testa.

Alan lasciò che la sorella, ancora una volta, fingesse. Lasciò che le mostrasse il carattere si facciata che per anni era stata costretta ad esternare, con enorme sforzo, piangendo in silenzio quando nessuno più poteva vederla. Lui sapeva che quel gesto di premura nei suoi confronti serviva unicamente a sviare quello che sarebbe potuto diventare un discorso molto scomodo per lei. Ed ogni volta si sentiva il cuore più pesante, perché se Leda stava così male, se soffriva senza darlo a vedere, era solo colpa sua. Perché lui era tutto il suo mondo, la sua ragione di vita. Non aveva mai fatto nulla di pericoloso, vivendo come racchiuso in una bolla di sapone. E mentre lui avanzava leggiadro, allegro e spensierato, cercando di riportare il sorriso nella sorella, questa si affannava affinché lui potesse continuare a vivere felice. Il loro rapporto era una catena infinita, fatta di bugie, parole nascoste, segnali invisibili che nessuno dei due pareva riuscire a cogliere. Leda portava sulle proprie spalle il peso di una colpa, un rimorso che sapeva di marcio e sul quale aveva posto un coperchio. E se anche solo si fosse azzardata a sollevarlo un poco, ecco che qualcuno si sarebbe accorto del cattivo odore. Alan dal canto suo non poteva comprendere quanto il passato avesse inferto su di lei, e i suoi numerosi e vani tentativi di tirarle su il morale non facevano altro che darle maggiore pena, sottoporla a una tortura infinita, facendole chiedere in continuazione cosa avrebbe fatto senza quel sorriso che aveva la stessa radiosità del sole e delle stelle nella notte.
Quindi si trovarono ancora a mentirsi l'un l'altra, in silenzio: lui, sorridendo innocente; lei, mascherando il dolore dietro comportamenti forzati, innaturali. Una recita stupida che sostenevano senza rendersene contro, per evitare di finire in pezzi a vicenda.

Qualcuno bussò alla porta. I due fratelli tornarono in fretta alla realtà. Leda si sollevò dal letto di malavoglia. Non era pronta per vedere qualcuno, soprattutto se si trattava di quel manipolo di religiosi fanatici. Dapprima cercò di ignorare l'insistenza con la quale il pugno della persona dall'altra parte della stanza batteva veloce e con forza sul legno scuro, ma alla fine dovette arrendersi al fatto che quel rumore era molto più fastidioso del trovarsi faccia a faccia con uno di quegli ipocriti. Perciò scese dal letto con un balzo agile, lasciando Alan con una serie di interrogativi senza risposta. Si avviò alla porta, titubante. Afferrò la maniglia di ottima fattura e l'aprì. Dopodiché, fu come un fiume in piena l'avesse travolta. Qualcosa si fiondò nella stanza alla velocità della luce, incurante del fatto che lei fosse stata scaraventata all'indietro dalla sorpresa. Si ricompose, aggiustandosi gli occhiali, e dopo essersi stirato con cura il vestito, Leda lo riconobbe all'istante: cosa ci faceva lì Komui?!
L'uomo sondò con sguardo ridicolmente professionale l'ambiente spoglio, come se stesse cercando qualcosa di importante. Al sol vedere Alan, poco mancò che gli saltasse addosso, euforico.

- Alan caro! - esclamò allegro, forse fin troppo, tanto da risultare grottesco - La tua graziosa sorellina c'è??

Il bambino, spalancati gli occhi per lo sconcerto, senza aprire bocca - era molto spaventato - sollevò un dito ed indicò il corpo martoriato della ragazza finito nell'angolo della stanza a causa dell'impeto del Supervisore, al quale immediatamente luccicarono gli occhi. Si avventò si di lei come un'onda anomala e l'aiutò a sollevarsì in fretta e furia, tralasciando il fatto che fosse ancora stordita.

- Perché non me lo hai detto subito, Leda cara?! - domandò, prendendola per le spalle e scuotendola tra lacrimoni giganteschi e grida isteriche - Una cosa così importante!!

Leda sentì la testa girare impetuosa, lasciandosi strattonare a destra e a sinistra dalle sue maniere prive di garbo. Solo quando ebbe perso la sensazione che il mondo attorno a lei stesse girando vorticoso, si azzardò a domandare:

- Che cosa?!

Se Komui fosse stato uno specchio, si sarebbe frantumato in milioni di pezzi. Non aveva compreso la sincerità della ragazza nel porgli quella domanda, credendo che lo stesse prendendo in giro. Aumentò la presa sulle sue spalle, sfoderando un'occhiataccia spaventosa che avrebbe fatto accapponare la pelle ad un fantasma. Leda si sentì talmente sotto pressione che non osò reagire, per il timore di scatenare delle ire non volute. Fu a quel punto che l'altro la lasciò andare, finalmente conscio dell'entità della situazione. La sua espressione facciale cambiò radicalmente, trasformandosi in un conglomerato di orgoglio e stupore. Quell'uomo era davvero singolare.

- Mh mh - asserì, prendendosi il mento con aria perplessa, gli occhi che luccicavano di una strana luce maligna - Ora capisco! - Subito dopo sollevò l'indice sinistro con aria saccente, mentre il destro s'apprestava ad indicare senza ritegno la ragazza - Claire mi ha detto che anche tu sei una compatibile!

A quelle parole Leda si bloccò, strabuzzando gli occhi per la sorpresa. No, no, no, no! Non poteva essere possibile!
Come faceva quello svitato ad uscirsene con una cosa del genere, per di più ostentando un'indifferenza quasi ridicola nel dirlo?! Si sentì oltraggiata. Indietreggiò, allontanandosi da lui con lo stesso ribrezzo che avrebbe provato stando in presenza di un Akuma.
Inquietudine; angoscia. Queste le sensazioni che avevano preso a vorticare nel suo animo, impetuose, irrotte con troppa forza e tempestività perché lei potesse abituarvisi. E maledì quell'uomo, quel maledetto che era venuto lì a darle una notizia come quella senza la minima premura; come se fosse una cosa da niente. Oh, certo. Era normale scoprire di essere un compatibile, un possessore dell'Innocence: un Esorcista.
E fu proprio la mancanza di preparazione a quella sconvolgente novità che forse privò Leda di qualunque reazione avesse potuto avere. Rabbia, paura... sparite. Le era rimasta solo quella faccia sbigottita, ebete, e quella ridicola posizione talmente rigida e ferma da ricordare un tronco.
Ma ecco che iniziò a reagire. Si portò le dita alla guancia, quella ferita. Sentì il sangue secco formatosi su di essa ed ebbe come un'illuminazione. Avvertì i tasselli del puzzle della sua memoria posizionarsi ognuno al proprio posto, veloci, rapidi, con movimenti essenziali. E capì. Non era uno scherzo. Komui aveva ragione. Lei... lei era un'Esorcista.
Tyki lo aveva sempre saputo. E anche lei avrebbe potuto capirlo, quando il Noah aveva respinto la sua richiesta di venir trasportata fuori dalla galleria per il semplice fatto che i suoi poteri non avevano effetto su di lei; il motivo stava nel fatto che anche volendo non sarebbe stato possibile. E.. quello schiaffo e quel pugno.. Lei non avrebbe dovuto colpirlo, invece gli aveva quasi rotto il naso. Avrebbe dovuto metterselo in testa giorni prima. Lei era diversa. E a farglielo capire era stato proprio Tyki.
Con l'indice tastò il piccolo solco dato dal graffio procurato dalla frusta di Claire. E si rese conto di quanto fosse superficiale, insignificante. Di certo con un colpo come quello, a quell'ora una persona normale sarebbe stata molto peggio. Era successo qualcosa, in quell'istante, quando la sua arma e la sua pelle erano entrate in contatto. Qualcosa aveva impedito che il danno che lei riportasse fosse molto più grave del normale. Si sentì male solo a pensarlo: Innocence. Tutta colpa sua.
Allontanò quasi con sdegno la mano dalla guancia. Guardò Komui: pareva stare aspettando una qualche risposta da parte sua.
La rabbia improvvisamente crebbe in lei. Ma a parole con quello non sarebbe contato nulla, era stanca e di dialogare con un individuo simile non ne aveva proprio voglia. Così reagì d'istinto. Si mise in equilibrio su un piede, levandosi lo stivale in tutta fretta. E prima che l'altro potesse fare qualsiasi cosa, glielo scaraventò in faccia, buttandolo a terra.

- Una compatibile, eh?! - pronunciò con voce roca e sguardo assassino, mentre lo vedeva incespicare sul pavimento alla ricerca degli occhiali. Quando se li fu ricacciati sul naso, si levò anche l'altro stivale, senza tirarglielo. Gli diede il tempo di accorgersene per fuggire, affinché lei non fosse costretta a stampargli in fronte anche la suola destra. Komui si vide in grave pericolo, e più veloce di un fulmine si catapultò fuori dalla stanza, sollevando nuvoloni di polvere e urlando come un pazzo dalla paura.
Quando se ne fu andato, Leda mollò lo stivale, che cadde a terra con un colpo secco, spargendo un flebile eco nella stanza. Guardò la porta spalancata; poi Alan. La ferita alla guancia si era definitivamente cicatrizzata.
E si rese conto che un senso quella situazione non ce l'aveva; non ce l'aveva mai avuto. Si chiese cosa diamine ci facesse lei lì, cosa potessero volere quei bastardi da Alan. Si chiese, si chiese... ma non ottenne risposta. Nessuno voleva dirle nulla. Però intanto i dubbi crescevano, fino a diventare troppo ingombranti per poterli ignorare. Leda sentì che la sua pazienza aveva raggiunto il limite. Voleva piangere; voleva dimenticare la conversazione appena avuta, continuare la giornata come se non fosse successo nulla. Alan era rimasto sbigottito, seduto sul letto, pietrificato dalla notizia. Fissò la sorella come se fosse stato ipnotizzato, gli occhi spalancati per la sorpresa. Era strano, da parte sua, reagire a quel modo. Da piccolo aveva sentito tante storie sugli Apostoli dell'Innocence, tante leggende che non credeva potessero tramutarsi in realtà. Dire che fosse sbalordito dalla scoperta di Leda era poco. E in cuor suo non sapeva che dire; per anni avevano detestato gli Esorcisti, ed ora scoprire che la propria sorella era in realtà una di loro...

- Led...

Non fece in tempo a terminare la frase. Leda si era già lanciata all'inseguimento del Supervisore fuori dalla stanza. Si prese le mani, pasticciando con le dita, incapace di trovare una soluzione. Era sempre stata sua sorella a proteggerlo. Ma quando sarebbe stata lei, si chiedeva spesso, ad aver bisogno di aiuto, lui cosa avrebbe mai fatto? Lui, che di combattimento non ne sapeva nulla; che di Akuma non ne aveva mai affrontato uno; che in vita sua non aveva mai dovuto sacrificare se stesso per nessuno.
Una breve corsetta fino all'uscio. Ci si affacciò quasi timoroso, sondando i corridoio deserti dell'Ordine. Trattenne il respiro, chiuse gli occhi. E decise.
Non poteva farsi salvare ogni volta. Ora che erano lì, ora che Leda soffriva più di chiunque altro, era compito suo proteggerla. Era questo che lui, in quanto fratello, aveva il dovere di fare. Un attimo di esitazione; poi si lanciò con rapidità nel corridoio.
Corse sul pavimento di pietra freddo, lasciando che i suoi passi svelti e maldestri ticchettassero sulla sua superficie dura. Svoltò a destra, salì le scale, le scese, andò a sinstra... Fino a quando, davanti a lui, non comparve la fatidica porta: "Ufficio Supervisore".Era proprio davanti a lui. Con una mano chiusa a pugno ben premuta sul petto, come se avesse potuto calmare il suo cuore agitato, ci si avvicinò. Sfiorò la maniglia d'oro, titubante. Un'improvviso lampo di decisione attraversò i suoi occhi scuri, delle stesse sfumature del cielo notturno. Con un movimento secco, attuato senza pensare, d'istinto, spinse la porta e si ritrovò dall'altra parte.
Subito Komui alzò lo sguardo dalla catasta di libri e documenti dietro la quale sembrava sparire, e con un breve cenno amichevole salutò il bambino. Alan si guardò attorno, senza ricambiare quel gesto, cercando la sorella con lo sguardo. E si accorse che non c'era. Che avesse sbagliato strada?

- Ehm... Buongiorno - pronunciò con voce flebile - Io, ecco... Cercavo...

- Tua sorella! - terminò il Supervisore per lui, con una nota di allegria nella voce. Si alzò dalla poltrona, raggiungendo il bambino con una calma quasi rasserenante. Si piegò sulle ginocchia, affinché potesse essere alto come lui. Un comportamento che stupì molto Alan. Nessuno si era mai preso la briga di abbassarsi, parlare con lui con quella gentilezza quasi paterna, per essere al suo pari. Si sentì... Rassicurato. E anche pronto a compiere il suo dovere di fratello.

- Volevo chiederle scusa per Leda - incespicò, appena un po' più sicuro di sé - Lei... Noi... Abbaimo perso la casa tre anni fa, per colpa degli Akuma. E...

Non riuscì a terminare il discorso. Komui gli posò un dito sulle labbra, sorridendo. Come se avesse già capito ogni cosa.

- Lo so - disse, con tono dolce, comprensivo - Sai, il tuo papà ci parlava spesso di voi; eravate il suo orgoglio.

Alan sorrise, rincuorato. Subito dopo però, parve insorgere con rinnovata energia.

- Papà?! Lei ha conosciuto nostro padre??

- Sì - annuì l'altro - Lavorava qui, prima che lo trasferissero. Non passava giorno che non menzionasse i suoi cari figlioli. Ora capisco perché - con fare amichevole, scompigliò i capelli del bambino - Siete speciali.

Alan sorrise, acquisendo al contempo qualche nota di colore sulle guance. Lui era sempre stato orgoglioso di suo padre. Non gli importava di non poterlo vedere, purché aiutasse a salvare il mondo.

- Sa per caso se sta bene?

Dal giorno dell'attacco, non avevano più avuto sue notizie. Leda era più volte tornata nel luogo in cui un tempo sorgeva la loro casa, senza trovarci mai la minima traccia del suo passaggio. Il un primo momento si era sentita in collera, abbandonata. Poi... Inaspettatamente... Aveva cominciato a credere che fosse rimasto anch'egli vittima della guerra. Alan invece no. Secondo lui papà era ancora da qualche parte, a fare ricerche, sviluppando nuove tecnologie a favore della loro vittoria. Non aveva mai smesso di credere in lui.
Komui si rabbuiò. Si sistemò meccanicamente gli occhiali sul naso, dopodiché guardò negli occhi il bambino con decisione.

- No - semplice, duro; eppure, in qualche modo vicino. Perché lui sapeva cosa voleva dire perdere la famiglia. Conoseva il dolore dato dalla solitudine, e la rinnovata speranza nel stare accanto a chi ancora c'era - Purtoppo, non abbiamo più sue notizie.

Alan s'irrigidì, abbassando appena il capo, sconfortato.

- Ma non è detto che non stia bene! - tornò però con un sorriso forzato il Supervisore, sollevando l'indice con aria ridicolmente sapiente - Forse in questo momento non può avere contatti esterni!

Per esperienza, aveva capito che i bambini hanno sempre bisogno di una figura forte, vigorosa, al loro fianco; qualcuno che possa sorridere loro anche quando tutti stanno piangendo; qualcuno che possa infondere coraggio, allegria, anche laddove questa pare non esistere.
Infatti, vide il piccolo risollevarsi appena e abozzare un timido sorriso, frutto di una meditazione profonda, di una vita passata ad affiancare un'ombra che la felicità non sapeva più cos'era. Sorrise caloroso, dandogli una leggera pacca sulla spalla. Si alzò, tornando a sedersi sulla sua poltrona e prendendo in mano alcuni fogli. Con un gesto amichevole, indicò una sedia proprio accanto alla scrivania, ed Alan ci si sedette sopra come un lampo, con l'allegria negli occhi.

- Perché non mi racconti di te e di Leda?

 
Angolo di Momoko ¬

  E anche il decimo capitolo può finalmente venire alla luce xD Perdonatemi il ritardo, ma ve lo avevo detto: purtroppo la scuola mi invaliderà molto nei prossimi mesi, quindi ad aggiornare i capitoli ci mettero di più. Ma tranquilli, non smetto di scrivere^^ Ho deciso di dividere questo capitolo a metà (sennò era un mattone), anche perché già qui la situazione inizia a schiarirsi. Eh, sì, miei cari ragassuoli! Leda è un'Esorcista! Oh, ma non temete: niente potere immenso e nascosto all'orizzonte u.u E' solo una ragazza posseduta dall'Innocence (vedrete poi in che modo, dato che presto verrà beatamente sbattuta in missione^^). E Tyki... Sì, lo so, lo sto trattando da schifo ultimamente. Ma essendo un Noah, ed essendo nel covo degli Esorcisti, l'essere recluso credo sia proprio il minimo. Oh, be', non mi dilungo più di tanto. Per qualsiasi domanda, insulto, minaccia che vi venga in mente, io sono qua :)
Ringrazio di cuore La Strega di Ilse che mi recensisce tutti i capitoli <3 E anche tutti quelli che hanno segretamente messo la storia tra le preferite, le seguite e le ricordate <3 Uh, graccie çwç
A prestooo,

Momoko <3

 
   
 
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