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Autore: FolliaProfonda    23/09/2013    1 recensioni
"E la mia anima dov'era? Dov'era? In un angolino, a lasciarsi lacerare dalle tenebre."
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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‘Perché sei vegetariana?’
«Perché ho voluto provare a vivere senza mangiare carne.»
‘Ma è così buona la carne di dinosauro!’
Scossi la testa  e mi rigirai verso le ragazze del mio tavolo. Sorrisi e bevvi un sorso d’acqua. Cominciammo a parlare, fino a quando mi sentii colpire con … del pane. Lo scrollai dalla maglia e sospirai. Presi la forchetta e iniziai ad infilzare la pasta.  Al terzo boccone, altro pane nei capelli. Gli occhi iniziarono a farsi lucidi. Li chiusi e cercai di respingere le lacrime.
Il pane continuava a colpire la mia testa.
Ripresi a mangiare.
‘Sara, perché piangi?’
Come? Piangevo?
Aggrottai le sopracciglia  scossi la testa. Non potevo piangere. Non era permesso. Mi asciugai gli occhi e deglutii. Iniziavano a pungere. Non riuscivo più a controllarli. Come se quei piccoli pezzetti di pane avessero fatto traboccare il vaso troppo pieno delle mie lacrime. Dopo averle depositate per giorni, settimane, mesi in un piccolo spazietto della mia anima porosa, avevano trovato il coraggio di rigare le mie guance. Una parte di me era felice per essersi sfogata. L’altra voleva che quella botola apparisse e potessi scomparire lì dentro, all’istante.  Non avevo mai pianto per queste … scemenze, sì, scemenze le chiamavano gli altri. Nessuno poteva mai capire come ci si sente ad avere il proprio spazietto di anima stracolmo e non riuscire a svuotarlo. Quel piccolo spazietto che impediva al cuore di battere con naturalezza, al cervello di essere spensierato, agli occhi di vedere la tua bellezza.
‘I’m here … for you.’
Sorrisi involontariamente. Annuii e terminai di mangiare.
                                               ---
Passarono  i giorni. Gli insulti continuavano. Le lacrime avevano smesso di scendere, ma il vaso era ancora pieno. Lei, la ragazza che si definiva mia sorella, si stava allontanando. E nel momento in cui mi serviva il suo aiuto, non c’era.
Solo Alice sapeva.
Un giorno mi sfogai con lei nel parco della struttura del campo estivo. Le giurai di non provare più a riprendere qualcosa di affilato.
                                              ---
« Noemi, mi presti le forbicine?»
‘Si, certo.’ Lei non sapeva.
Sorrisi e le presi. Andai in bagno e chiusi a chiave.
Chiusi gli occhi e appoggiai la punta delle forbicine sul polso, sotto i bracciali.
Quando li riaprii la pelle era solcata e rossa. Ci passai un dito sopra e deglutii. Ritornò quella strana sensazione di benessere e quasi riuscii a sorridere. Fui percossa dal suono di qualcuno che bussava. Chiusi le forbicine e le nascosi dietro la schiena. Uscii, corsi nella camerata e le poggiai sul letto di Noemi. Andai al mio armadietto e sospirai. Lo aprii e presi il profumo. Lo spruzzai sul collo e subito notai il taglio. Spalancai gli occhi e abbassai il braccialetto per coprirlo.
‘Si scende in mensa, ragazze!’
Arrivammo nei corridoi della mensa. Mi tenevo il polso per coprire. Mi avvicinai all’orecchio di Alice e le sussurrai:’scusa’ con voce rotta. Inizialmente non capiva e io non volevo dirglielo. Poi le mostrai il taglio che iniziava a cicatrizzarsi.  Si volto e se ne andò. La inseguii con gli occhi pieni di lacrime. Continuava a sussurrare dei ‘perché?’ veloci.
«Scusami …»
‘Perché? Perché l’hai fatto?’
«I-io … non lo so …»
Si voltò e io indietreggiai. Mi mischiai tra gli altri ragazzi. E, forse, avevo perso anche lei. Meglio di così? La guardai di sottecchi e vidi che parlava con Teresa. Abbassai lo sguardo e cercai di mandare giù quel groppo in gola.
‘Non devi farlo più.’
Teresa mi abbracciò e io la strinsi.
Le lacrime rigavano il viso.
Mi staccai lentamente. Una ragazza straniera mi guardò e mi asciugò le lacrime, sorridendo. Ricambiai le sorriso. Mi voltai verso Teresa, ma al suo posto c’era Alice.
‘Sei arrabbiata con me?’
Mi guardò negli occhi. Notai la preoccupazione e il terrore all’interno di quelle iridi marroni.
Scossi la testa e l’abbracciai.
In quell’abbraccio percepii la sua anima che cercava di aiutare la mia.
Sorrisi e mi staccai controvoglia. Entrammo in mensa e mi accomodai, stavolta, al suo fianco.
La prima cosa che fece fu levare il coltello dal mio piatto e nasconderlo sotto il suo tovagliolo.

                                                                ***
  
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