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Autore: insomnia_    25/09/2013    3 recensioni
Ciò che amiamo torna sempre, ciò che amiamo è difficile, ciò che amiamo ci corrode l'anima e ci salva allo stesso tempo.
Mini-Long || Larry
"Un ragazzo dagli occhi blu elettrico – o blu oceano, o blu zaffiro o qualsiasi blu in cui riuscissi a perdermi – si era avvicinato al mio tavolo, chiedendomi l’accendino. Era visibilmente ubriaco e odorava di stantio e di erba. Avevo scosso la testa, anche io inebriato dal whiskey che stavo sorseggiando, e mi scusai con lui per non avere ciò che andava cercando. Lui si era messo a ridere, di una risata cristallina e sincera, di una risata impastata di vodka, di una risata che faceva apparire la musica dell’opera di sottofondo una delle melodie più scadenti di tutta la terra. Avevo riso con lui, e inspiegabilmente avevamo incominciato a parlare. E ringraziai Dio per non aver mai fumato, e ringraziai Dio per non aver avuto quel fottuto accendino, e lo ringraziai per avermi fatto conoscere, in un bar scolorito e maleodorante, Louis Tomlinson."
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Will we surrender?'
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Love taught me to lie

 
1. E cosa me ne faccio del mondo

 
24 novembre 2016
 
Le luci delle strade di Londra mi offuscano un poco la vista, mentre le percorro a passo svelto, deciso ad arrivare in tempo al mio muto appuntamento.
Schivo i passanti, e li lascio a lamentarsi delle spallate che poco carinamente ho regalato loro, noncurante delle parole non molto fini a me rivolte.
Sono le cinque meno un quarto, e sono distante solamente quattro isolati dallo scialbo bar italiano dove sono diretto. È un locale piccolo, con la tappezzeria rossa e i tavoli sporchi e disordinati, ma lo amo con tutto me stesso, per una sola ragione: in quel luogo ho imparato ad amare ed a essere amato.
Quando finalmente lo raggiungo sono le cinque meno cinque, puntualissimo, come al solito. Puntualissimo, come da cinque anni a questa parte.
Ancora ricordo l’odore di fumo e di alcool e la musica classica di sottofondo che riempiva il locale la prima volta che ci ho messo piede. Esattamente cinque anni fa, esattamente nel tavolo in cui ora sono seduto.
Un ragazzo dagli occhi blu elettrico – o blu oceano, o blu zaffiro o qualsiasi blu in cui riuscissi a perdermi – si era avvicinato al mio tavolo, chiedendomi l’accendino. Era visibilmente ubriaco e odorava di stantio e di erba. Avevo scosso la testa, anche io inebriato dal whiskey che stavo sorseggiando, e mi scusai con lui per non avere ciò che andava cercando. Lui si era messo a ridere, di una risata cristallina e sincera, di una risata impastata di vodka, di una risata che faceva apparire la musica dell’opera di sottofondo una delle melodie più scadenti di tutta la terra. Avevo riso con lui, e inspiegabilmente avevamo incominciato a parlare. E ringraziai Dio per non aver mai fumato, e ringraziai Dio per non aver avuto quel fottuto accendino, e lo ringraziai per avermi fatto conoscere, in un bar scolorito e maleodorante, Louis Tomlinson.
I look up,
on my knees and out of luck,
I look up.
 
Ora sono seduto allo stesso tavolo di cinque anni fa, esattamente il giorno in cui lo conobbi, ubriaco come me alle cinque del pomeriggio per buttarsi alle spalle tutta la merda in cui aveva vissuto.
Nei due anni a seguire eravamo riusciti a conoscerci meglio. Ce ne fottevamo del mondo all’esterno, e ci rintanavamo nel nostro; spesso con una bottiglia di alcool scadente, spesso vestiti solo delle nostre anime e del nostro amore cieco, spesso logorati dentro.
Ci ritrovavamo a guardare uno negli occhi dell’altro, a scattare foto sfocate dai troppi ricordi, a sussurrarci parole maledette e a gridare “Dio benedica quel bar”, ridendo come se il mondo dovesse finire, ridendo di noi e del nostro amore consumato a lume di candela. Probabilmente lui mi distruggeva senza una fine, mi ha portato giù con lui, ma non ero mai stato così felice di farmi del male.
E sono stati gli anni in cui ho vissuto, in cui ho trovato qualcosa a cui aggrapparmi. Continuavo a pensare che del mondo non me ne facevo proprio un cazzo, quando potevo sfiorare la bocca di Louis e vivere dei suoi respiri.

 
And now I cling to what I knew
I saw exactly what was true

 
Finché un giorno Louis non si presentò più al nostro muto appuntamento. Non seppi più nulla di lui, lo chiamai insistentemente, andai a casa sua e gli feci recapitare qualcosa come duecento fottutissime lettere. Ma lui non rispondeva, e la mia anima ha incominciato a scavare un solco in se stessa; giù, giù, sempre di più, sempre più in profondità. Così decisi, a mio malgrado, di aspettare Louis ogni mese, per tre anni, in quel locale. Lo stesso giorno, sempre alla stessa ora, sempre con quel cazzo di whiskey a riscaldarmi le mani ed a offuscarmi la mente. E ancora del mondo non me ne importava, perché il mio era scomparso e vagava chissà dove, via da me, sempre più lontano ed irraggiungibile.
E così ho fatto oggi. Al nostro quinto freddo anniversario io siedo sempre qui, sempre in questa logorante attesa senza fine, sempre con il whiskey e l’odore di fumo a farmi compagnia. Ma so che il liquido finirà e l’aroma amaro passerà, ma lui no. Louis non se ne andrà mai, nascosto da qualche parte dentro di me.
Mi sembro patetico, quasi. Me ne fotto del mondo e penso semplicemente a lui. Dopo tutti questi anni, per sempre. Perché anche se non mi ama più, o non lo ha mai fatto, io lo farò per sempre.
Ma la speranza c’è, la speranza che quella porta si apra e lasci passare la sua figura, magari incappucciato nel mio vecchio maglione informe che ancora lui non mi ha ridato.
“That’s why I hold,
That’s why I hold with all I have.
That’s why I hold.”

 
Ricordo che mi aveva preso per mano, e avevamo corso sotto quella pioggia acida che bagna i capelli e il cuore, e poi ti lascia lì, inzuppato, senza più un perché. Aveva raccolto un fiore quasi appassito, e me l’aveva regalato con un sorriso in volto dicendo: “Fai finta che sia bello,” ma a me poco importava, perché il fiore non lo vedevo, accecato da quegli occhi che troppo luccicavano sotto il tremolio della pioggia.
E avevamo riso, soprattutto. La nostra ultima risata, in cui io vivo tutt’ora. Mi aggrappo a lei ogni giorno di più, senza mai lasciarla andare, per paura di dimenticare. Ma la verità è che di lui sarà difficile dimenticarsi.

 “I will die alone and be left there.
Well I guess I’ll just go home,
Oh God knows where.”

 
Sono le cinque e dieci, e il whiskey è finito. Ma il tintinnio della porta mi conduce alla realtà, e mi distoglie da tutti i pensieri.
Il tintinnio della porta e un tuffo al cuore. Un tuffo da cui difficilmente ne uscirò. In cui annegherò senza più avere una ragione, in cui nuoterò fino a sciogliermi dentro.
Come nuotavo nei suoi occhi. Come posso farlo ora.
E all’improvviso butto via l’ultima nostra risata, perché sinceramente non so che cazzo farmene quando Louis Tomlinson si siede titubante nel posto di fronte a me.
“Scusa…”, è l’unica cosa che riesce a dire dopo un minuto di assordante silenzio. Lo guardo, senza più sapere che fare, mentre ricordi degli ultimi tre anni mi si lanciano addosso come pallottole, ferendomi da una parte e lacerandomi dall’altra.
Non capisco più nulla, entro in un vortice di emozioni, e ne esco, stremante, solo dopo che le mie nocche si scontrano sulla sua guancia, e la sua bocca incomincia a sanguinare.
Gli occhi dei presenti sono puntati su di me, e sul volto dolorante di Louis.
Avevo sognato a lungo questo momento; avevo sognato di corrergli incontro e sussurrargli un “Fa nulla, ora sei qui”, avevo sognato di accoglierlo con dei fiori, avevo sognato di abbracciarlo e canticchiargli qualche melodia solita di quel bar. Ma semplicemente, avevo sognato.
Eppure lui sorride di rimando al pugno, eppure lui riesce ancora a stupirmi dopo tutti questi anni.
“Scusa,” ripete, “sono stato uno stronzo”.
Ma io ancora non lo ascolto. Io ancora non mi curo della gente intorno, io ancora non capisco più un cazzo.
E, ancora, non so che farmene del mondo quando Louis Tomlinson sorride in quella maniera.

“And there will come a time, you’ll see, with no more tears.
And love will not break your heart, but dismiss your fears.”
 

***
 
Hola chicas.
Cos’è tutto ciò? Uno sclero della sottoscritta, dite?
Beh, avete ragione. E per vostra sfortuna lo sclero non è finito qui.
Sì, proprio così, ci saranno degli altri capitoli (due o tre ancora) ed altre canzoni depresse (e bellissime!) ad accompagnarli. Questo è solo uno stupidissimo inizio.
I capitoli però saranno un po’ come delle one-shot, pur non essendo questa una raccolta, perché gli avvenimenti sono piuttosto collegati tra loro, anche se potrebbero sopravvivere da soli, ecco. Probabilmente mi sono spiegata di merda, ma be’, sono un po’ una capra con i chiarimenti.
Nei prossimi capitoli si scoprirà che cosa è successo in quei cinque anni e, ovviamente, di ciò che ha spinto Louis ad abbandonare così il nostro povero Harry. Diciamo che non sarà tutto rose e fiori, ecco.
Il prossimo capitolo sarà tutto POV del più grande, per scoprire ciò che ci serve scoprire. E nulla, che posso dire? Ho un buco di cinque anni da raccontare, con vari flash back e pochi capitoli.
Non vi so dire quando potrò aggiornare, ma penso nel week end sicuramente.
Insomma, spero sia di vostro gradimento.
*abbraccia chi è arrivato a leggere fin qui  e lancia un muffin a chi recensirà*
Alessia. <3
La canzone di questo capitolo è “After the storm” dei Mumford&Sons

 
 
 
 

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