Non andava per niente bene, nulla andava bene in me in quel momento. Quel pomeriggio, dopo essermi assicurata che Troy non fosse più nei paraggi, ero entrata nel primo negozio che avevo visto ed avevo scelto l’abito più vicino alla porta, guardando di sfuggita la taglia. E ora, davanti allo specchio, mi sentivo uno schifo totale. I vestito era nero con puntini bianchi, stretto in vita il che evidenziava i miei fianchi larghi, poi si allargava più in basso fino a poco sopra le ginocchia, facendo risaltare il mio sedere come ancora più grosso. Mi stava davvero malissimo. La scollatura faceva sembrare la mia terza abbondante una seconda scarsa e la mia pelle sembrava bianca e malaticcia. Neanche provandoci sarei riuscita a trovare un abito che mi stesse peggio. Avevo solo voglia di saltare sul letto e mettermi sotto le coperte a dormire, ma non potevo. Mio padre mi aspettava al piano di sotto per scattarmi una foto mentre scendevo lo scalone di casa nostra. Era una tradizione, ad ogni ballo lui era pronto a scattare quella maledetta foto. E non avrei mai potuto deluderlo; dovevo scendere da quelle scale , nonostante tutto, fare il mio migliore sorriso e salire sulla macchina, diretta a quel ballo. Cercai di buttarmi i capelli da una parte, per vedere se rendevano il tutto migliore, ma non servì a nulla. Li risistemai un po’ a caso e cercai di darmi un’ultima passata di fondotinta per nascondere un enorme brufolo che mi stava crescendo sul mento. È veramente impressionante come i brufoli spuntino sempre nei momenti sbagliati. Afferrai la semplice pochette nera, che per fortuna avevo già, e feci per uscire dalla porta; ma poi mi ricordai, dovevo portare una giacca. Era questo il non-sense di fare un ballo a marzo. Le ragazze avrebbero dovuto rovinare le loro bellissime, per chi se lo poteva permettere, mise con delle giacche orrende. Afferrai il mio solito cappotto; per fortuna nel mio caso nulla avrebbe potuto rendere peggiore il mio look. Scorsi mio padre, in piedi di fronte alle scale. Era ancora in abiti da lavoro, doveva essere tornato da poco dalla sua trasferta. Appena mi vide il suo viso mutò e mi osservò pensoso. Di fianco a lui c’era l’idiota, o meglio mio fratello, stretto alla sua donna, vestita come una prostituta d’alto borgo. Tutti e tre parvero sorpresi e capii che avevano intuito quanto il mio look potesse fare schifo. Era il brutto di vivere in una casa con persone tutte firmate da capo a piedi e con un gran senso del gusto, notavano subito quando facevi un passo falso.
- Victoria – disse mio padre, continuando ad osservarmi – sei sicura di volerci andare così?
- Perché? Che c’è? – cercai di fare la finta tonta
- Tutto, tesoro – rispose Aria, acida come sempre.
- Dio, se ti vesti così ci credo che non trovi nessuno che ti accompagni! – commentò mio fratello.
- Cameron, non dire sciocchezze – lo rimproverò mio padre – Victoria è superiore a qualsiasi accompagnatore voglia accompagnarla. – gli sorrisi timidamente – Ma sono sicuro che sarà ben contenta se la cara Aria l’aiutasse a sistemarsi.
- Certo – non potevo non accettare quando mio padre chiedeva.
- Non si può fare molto – disse, con la sua solita aria di superiorità ostentata – ma ci proverò. Almeno cambiati quelle orribili ballerine – indicò le semplici scarpette nere lucide che mi ero messa ai piedi.
- Basterà tirarti su i capelli, farti indossare un bel paio di orecchini e un paio di scarpe degne di questo nome e forse potrai sembrare decente.
Love story ( Taylor Swift)
La palestra della scuola era già piena di gente che ballava a ritmo della musica di chissà quale dj amico di qualcuno nel comitato balli. All’entrata c’era un enorme specchio, il peggio che potevo incontrare. Sembravo un sacco. Con un gesto repentino mi sciolsi i capelli e provai a vedere se il risultato migliorava, ma non c’era nulla da fare. Il concio costruito da Aria avevo dato ai miei cappelli un’onda innaturale e li aveva resi stopposi. In più i vistosi orecchini che mi aveva dato mi facevano sembrare semplicemente ridicola. Me li tosi e li ficcai in una tasca del cappotto che buttai su una delle poltroncine. Purtroppo vidi arrivarmi incontro le ultime due persone che avrei voluto vedere. Mary e Troy scivolavano verso di me. Lei era bellissima nel suo vestito blu acceso, che non la faceva sembrare per niente grassa, i suoi capelli scendevano perfettamente in una cascata di boccoli e perline. Mi stava sorridendo. Di fianco a lei, Troy era bellissimo, come sempre del resto. Lo smoking gli stava benissimo, gli dava un’aria distinta che lo faceva sembrare superiore a qualunque altro nella sala.
- Vi! – mi salutò lei – sta-stai benissiso.
- Anche tu – le dissi; beh questo era vero.
- Ti unisci a noi ? – chiese Troy, non capivo perché fosse così serio.
- No grazie, arrivo tra un po’ – nulla al mondo mi avrebbe convinto a fare il terzo incomodo con loro due al ballo scolastico – prima mi riscaldo un po’- cercai di muovere le braccia come durante della ginnastica, ma risultai solo penosa.
- Ok – fece Mary, stringendo le labbra – ci vediamo dopo.
- A dopo – le fece eco Troy.
Popular song ( Mika)
- Hei questo posto è libero? – chiese una voce argentina.
- Certo – risposi porgendole la mano – sono Victoria.
- Lo so. Victoria Morgan, la figlia del signor Morgan. Io sono Kate. Mia madre lavora in uno degli uffici di tuo padre.
- Ah – feci, sorpresa.
- Sei del terzo anno, vero? – le chiesi
- Si, tu del quarto, no?
- Ebbene si. Frequenti qualche club strano? Mi sembra di averti vista da qualche parte.
- Oh si – fece lei, animandosi – il club di teatro è così bello. Ci sono un sacco di persone così carine. Io in verità non so recitare, mi fanno solo cantare. Ma sembra come essere dentro una famiglia. Dovresti provare a venire
- Mi piacerebbe. Ma non so ne recitare ne cantare ne altro – ammisi.
- Beh non importa. Non sai quanti assistenti di scena servirebbero. So che saresti una perfetta assistente di scena – mi sorrise e non potei fare a meno di ricambiare.
- Oh, non c’è dubbio – dissi ridendo.
Thousand years (Christina Perri)
Poi iniziò una canzone, il primo dei lenti, il che significava che erano circa le dieci e mezzo e che l’incontro con Kate aveva stravolto tutti i miei precedenti inutili piani.
- Oh, Thousand Years! – squittì Mary, afferrando Troy per un braccio – adoro questa canzone!
- Andiamo a ballare allora – fece lui prendendola sottobraccio e scortandole verso la pista, non prima di avermi lanciato uno sguardo enigmatico.
- Lui ti piace, vero? – mi chiese Kate, dopo che se ne furono andati.
- Oh tranquilla – fece lei, praticamente leggendomi nel pensiero – sono solo io che sono brava per queste cose. Nessun altro potrebbe sospettarlo.
- Beh si – risposi, intimidita dalla situazione.
- Due donzelle senza cavaliere – fece una voce fuori dal mio campo visivo, era la voce di un uomo, o meglio di un ragazzo.
- Wow, ci vedi – risposi sarcastica, cercando di difendere me e la mia nuova amica.
- Beh sarò costretto ad invitare una di voi, sembra che non ci si possa perdere il primo lento – si avvicinò a me – mi dispiace dolcezza, ma preferisco le bionde – fece rivolto a Kate, che non disse nulla.
- Mi dispiace, ma il tuo vestito fa davvero schifo – mi disse facendomi roteare.
- Lo so- ammisi – ma fossi in te guarderei prima ai tuoi vestiti. Sembra che tu ti sia dimenticato qualche pezzo.
- Tipo?
- Non so, la cravatta o la giacca..
- Beh non mi uniformerò di certo alla massa. Dimmi, ho l’aria del bravo ragazzo che con lo smoking aspetta la ragazza sotto casa? Non credo proprio. Come tu non hai l’aria di una che si concede a qualcuno.
- Ah no?
- No. Tu sei chiusa, ignori chiunque ti stia intorno. Ti apri solo per poche persone. Sai, alla fine nell’economia della vita, questo è quasi un pregio.
- Non è così. Tu mi conosci affatto.
- Siamo al ballo scolastico, sei al tuo ultimo anno e sei seduta da sola con una ragazza più piccola a guardare sconsolata le coppie sulla pista. Credo di avere ragione invece.
- Non sei di questa scuola, vero?
- E anche se fosse? È proibito intrufolarsi ad un ballo – mi fece roteare di nuovo.
- Non so. Però potevi restare nella tua di scuola senza venire qui a rompere le palle a me.
- Sei aggressiva – fece lui, sorridendo strafottente – mi piace.
- Tu invece non mi piaci per niente.
- Oh, ma se sei già pazza di te.
- Riformula la frase. Sto impazzendo a causa tua.
- Beh, sono la cosa migliore che ti sia potuta mai capitare. Io sono la tua verità.
- C-cosa hai appena detto? – mi bloccai, ignorando le altre persone che mi venivano addosso.
- Non ti fermare – mi trascinò di nuovo nel vortice del ballo.
- Cosa significa quello che hai detto.
- Non ha un significato particolare. Io ti posso dire la verità su tutto, tu devi solo crederci.
- Oddio, ma ti credi seriamente così onnipotente.
- Mai sottovalutarsi. E comunque, ricorda, ci sarà un momento in cui tutto ti sembrerà confuso, e allora tu, sarai tu a chiedermi di raccontarti la verità.
- Io non ti verrò mai a chiedere nulla – mi resi conto che stavo alzando il tono, ero davvero irritata – Io non ti conosco, non ti ho mai visto prima e non ti voglio mai più vedere!
- Cercavi questa?
- Perché mi segui? – stavo urlando.
- Calmati, calmati – mi fece lui, prendendomi il volto tra le mani.
- Sono calma – dissi,quasi ipnotizzata.
- Non stavo scherzando prima. Ci sarà un momento, e lì mi cercherai.
- Smettila di dire cavolate- lo guardai scocciata e corsi verso la macchina.
Io sono la tua verità aveva detto. Cosa significava?
- Complimenti Dex, sapevo che non dovevo darti questa responsabilità – disse gelido Kellan, sedendosi su una delle poltrone – d’altronde si sa, di te non ci si può fidare.
- E invece credo di aver fatto un gran lavoro – disse Dex, guardandolo negli occhi, strafottente.
- Hai fatto colpo – commentò Jess, appoggiato al tavolo, facendogli l’occhiolino.
- Lo faccio io – si propose Candice.