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Autore: bennina_bennina    25/09/2013    1 recensioni
Primwood, piccola cittadina della Virginia, sembra essere tranquilla, lontana dal crimine e dagli avvenimenti misteriosi. Ma nulla è come sembra. Essa è la casa del potente stregone Lucian, famoso per aver sconfitto le altre creature sovrannaturali e aver imprigionati i suoi più grandi nemici. Egli vive nell'ombra, come potente imprenditore, insieme al figlio Cameron ( e la sua ragazza-strega Aria), agli aiutanti Seline, Delia e Walden e all'amata figlia adottata diciotto anni prima: Victoria. Ma Victoria non sa nulla della sua famiglia. E non sa nemmeno di avere un segreto che potrebbe sconvolgere tutta la sua vita: in verità Victoria è una fata, nemica del mago e l'unica in grado di sconfiggerlo. Infatti verrà contatta da una segreta comunità composta da fate, demoni, vampiri, licantropi, sirene decisa a togliere il potere dalle mani di Lucian. Come potrà lottare contro colui che poco prima considerava suo padre e amava? Una lotta contro le proprie emozioni. Inoltre Victoria di ritroverà nel bel mezzo di una complicata situazione amorosa bel lonatano dall'essere risolta. Inoltre le appassioanti storie di altri personaggi andranno a incrociarsi con la sua. Le scritte verdi individuano canzoni suggerite per godersi al meglio la lettura. Leggete e commentate :D
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Incest, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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Where you belong (Kari Kimmel)
 Non andava per niente bene, nulla andava bene in me in quel momento. Quel pomeriggio, dopo essermi assicurata che Troy non fosse più nei paraggi, ero entrata nel primo negozio che avevo visto ed avevo scelto l’abito più vicino alla porta, guardando di sfuggita la taglia. E ora, davanti allo specchio, mi sentivo uno schifo totale. I vestito era nero con puntini bianchi, stretto in vita il che evidenziava i miei fianchi larghi, poi si allargava più in basso fino a poco sopra le ginocchia, facendo risaltare il mio sedere come ancora più grosso. Mi stava davvero malissimo. La scollatura faceva sembrare la mia terza abbondante una seconda scarsa e la mia pelle sembrava bianca e malaticcia. Neanche provandoci sarei riuscita a trovare un abito che mi stesse peggio. Avevo solo voglia di saltare sul letto e mettermi sotto le coperte a dormire, ma non potevo. Mio padre mi aspettava al piano di sotto per scattarmi una foto mentre scendevo lo scalone di casa nostra. Era una tradizione, ad ogni ballo lui era pronto a scattare quella maledetta foto. E non avrei mai potuto deluderlo; dovevo scendere da quelle scale , nonostante tutto, fare il mio migliore sorriso e salire sulla macchina, diretta a quel ballo. Cercai di buttarmi i capelli da una parte, per vedere se rendevano il tutto migliore, ma non servì a nulla. Li risistemai un po’ a caso e cercai di darmi un’ultima passata di fondotinta per nascondere un enorme brufolo che mi stava crescendo sul mento. È veramente impressionante come i brufoli spuntino sempre nei momenti sbagliati. Afferrai la semplice pochette nera, che per fortuna avevo già, e feci per uscire dalla porta; ma poi mi ricordai, dovevo portare una giacca. Era questo il non-sense di fare un ballo a marzo. Le ragazze avrebbero dovuto rovinare le loro bellissime, per chi se lo poteva permettere, mise con delle giacche orrende. Afferrai il mio solito cappotto; per fortuna nel mio caso nulla avrebbe potuto rendere peggiore il mio look. Scorsi mio padre, in piedi di fronte alle scale. Era ancora in abiti da lavoro, doveva essere tornato da poco dalla sua trasferta. Appena mi vide il suo viso mutò e mi osservò pensoso. Di fianco a lui c’era l’idiota, o meglio mio fratello, stretto alla sua donna, vestita come una prostituta d’alto borgo. Tutti e tre parvero sorpresi e capii che avevano intuito quanto il mio look potesse fare schifo. Era il brutto di vivere in una casa con persone tutte firmate da capo a piedi e con un gran senso del gusto, notavano subito quando facevi un passo falso.
 
  • Victoria – disse mio padre, continuando ad osservarmi – sei sicura di volerci andare così?
  • Perché? Che c’è? – cercai di fare la finta tonta
  • Tutto, tesoro – rispose Aria, acida come sempre.
Sempre cercando di sembrare ingenua li guardai con aria interrogativa.
 
  • Dio, se ti vesti così ci credo che non trovi nessuno che ti accompagni! – commentò mio fratello.
Il suo commento mi fece avvampare, ora avevo decisamente voglia di fare dietro front.
 
  • Cameron, non dire sciocchezze – lo rimproverò mio padre – Victoria è superiore a qualsiasi accompagnatore voglia accompagnarla.  – gli sorrisi timidamente – Ma sono sicuro che sarà ben contenta se la cara Aria l’aiutasse a sistemarsi.
Quello che non capivo in mio padre era il fascino che Aria esercitava su di lui. Era chiaro che spesso non sopportava Cameron e in questo gli davo ragione, non lo sopportavo neanche io. Ma Aria, una creatura così arrogante in un corpo trattato così volgarmente, come poteva piacergli?
 
  • Certo – non potevo non accettare quando mio padre chiedeva.
Aria mi si avvicino e mi scrutò.
 
  • Non si può fare molto – disse, con la sua solita aria di superiorità ostentata – ma ci proverò. Almeno cambiati quelle orribili ballerine – indicò le semplici scarpette nere lucide che mi ero messa ai piedi.
Quello era voluto. Purtroppo il mio problema era l’altezza; se mi fossi messa i tacchi sarei stata più alta di molti ragazzi e se c’è una cosa che non piace ai ragazzi sono le ragazze più alte di loro. E, quindi, ciò significava zero inviti a ballare. Certo, se avessi ballato con Troy avrei potuto anche mettere i tacchi, lui era così alto che comunque mi avrebbe superato. Ma io non avrei mai ballato con Troy. Sentivo le viscide mani di Aria toccarmi i capelli e il suo sguardo studiarmi.
 
  • Basterà tirarti su i capelli, farti indossare un bel paio di orecchini e un paio di scarpe degne di questo nome e forse potrai sembrare decente.
Dopo neanche dieci minuti ero pronta, avevo fatto la foto scendendo dalle scale, avevo infilato il mio cappotto e mi stavo dirigendo verso la mia BMW. Essere la figlia di un miliardario, naturalmente, portava ad avere macchine molto costose, il che sarebbe stato molto interessante se solo avessi capito qualcosa di macchine.
 
Love story ( Taylor Swift)
La palestra della scuola era già piena di gente che ballava a ritmo della musica di chissà quale dj amico di qualcuno nel comitato balli. All’entrata c’era un enorme specchio, il peggio che potevo incontrare. Sembravo un sacco. Con un gesto repentino mi sciolsi i capelli e provai a vedere se il risultato migliorava, ma non c’era nulla da fare. Il concio costruito da Aria avevo dato ai miei cappelli un’onda innaturale e li aveva resi stopposi. In più i vistosi orecchini che mi aveva dato mi facevano sembrare semplicemente ridicola. Me li tosi e li ficcai in una tasca del cappotto che buttai su una delle poltroncine. Purtroppo vidi arrivarmi incontro le ultime due persone che avrei voluto vedere. Mary e Troy scivolavano verso di me. Lei era bellissima nel suo vestito blu acceso, che non la faceva sembrare per niente grassa, i suoi capelli scendevano perfettamente in una cascata di boccoli e perline. Mi stava sorridendo. Di fianco a lei, Troy era bellissimo, come sempre del resto. Lo smoking gli stava benissimo, gli dava un’aria distinta che lo faceva sembrare superiore a qualunque altro nella sala.
 
  • Vi! – mi salutò lei – sta-stai benissiso.
Perfetto, anche per lei facevo schifo.
 
  • Anche tu – le dissi; beh questo era vero.
  • Ti unisci a noi ? – chiese Troy, non capivo perché fosse così serio.
  • No grazie, arrivo tra un po’ – nulla al mondo mi avrebbe convinto a fare il terzo incomodo con loro due al ballo scolastico – prima mi riscaldo un po’- cercai di muovere le braccia come durante della ginnastica, ma risultai solo penosa.
  • Ok – fece Mary, stringendo le labbra – ci vediamo dopo.
  • A dopo – le fece eco Troy.
Li guardai sparire tra la folla. Bene, e ora cosa potevo fare? Oh quanto mi mancavano i vecchi balli, quando Troy e Mary non stavano ancora insieme, quando io avevo la mia amica tutta per me, quanto ballavamo al centro della pista inventando mosse sempre più stupide. Ma non sarebbe più successo. Scrutai la sala per cercare un tavolo libero. Mi si presento un’opportunità perfetta: un tavolo molto lontano dalla pista da ballo, il che significava molto lontano dalle coppie che ballavano avvinghiate, il che significava molto lontano da Mary e Troy. Quasi corsi nella speranza di raggiungere quel tavolo al più presto. Finalmente seduta mi resi conto che avrei potuto passare lì anche tutta la serata vista la situazione. Sarei stata lì ancora un’oretta e mezza e poi, verso le dieci, sarei potuta andarmene. Magari sarei andata al lago, oppure a prendere un frappé da Meg. E poi alle undici mi sarei presentata a casa. Era più che sufficiente. Ero così immersa nei miei piani che non mi accorsi neppure della persona che mi si stava avvicinando.
Popular song ( Mika)
 
  • Hei questo posto è libero? – chiese una voce argentina.
Mi girai e vidi una ragazza. Doveva essere del terzo anno, l’avevo vista spesso a scuola. Aspetta, come si chiamava? Doveva essere un nome comune come Jenny o Anne … Lei mi fissava in attesa della mia risposta. Un po’ mi scocciava, rovinava tutti i miei programmi per passare la serata da sola. Oddio ero proprio ridicola! Alla fine quella piccola ragazza aveva una faccia simpatica, magari avrei potuto provare a conoscerla meglio, a farmi una nuova amica.
 
  • Certo – risposi porgendole la mano – sono Victoria.
  • Lo so. Victoria Morgan, la figlia del signor Morgan. Io sono Kate. Mia madre lavora in uno degli uffici di tuo padre.
  • Ah – feci, sorpresa.
Kate si sedette nella sedia vicina. Un forte profumo di gelsomini mi riempì le narici. Era proprio una ragazza carina, così simile ad una bambolina, con il suo vestitino azzurro con alcuni brillantini e i suoi capelli perfettamente acconciati. Le sue guance erano naturalmente rosate e la sua bocca a cuore sembrava rossa, sebbene priva di rossetto.
 
  • Sei del terzo anno, vero? – le chiesi
  • Si, tu del quarto, no?
  • Ebbene si. Frequenti qualche club strano? Mi sembra di averti vista da qualche parte.
  • Oh si – fece lei, animandosi – il club di teatro è così bello. Ci sono un sacco di persone così carine. Io in verità non so recitare, mi fanno solo cantare. Ma sembra come essere dentro una famiglia. Dovresti provare a venire
  •  Mi piacerebbe. Ma non so ne recitare ne cantare ne altro – ammisi.
  • Beh non importa. Non sai quanti assistenti di scena servirebbero. So che saresti una perfetta assistente di scena – mi sorrise e non potei fare a meno di ricambiare.
  • Oh, non c’è dubbio – dissi ridendo.
E la conversazione continuò così per non so quanto tempo. Come colonna sonora c’erano le canzoni del momento, gli urli degli studenti che saltavano. Scoprii un sacco di cose su Kate. Viveva con la madre in un appartamento in Granger Road ( del padre non aveva detto nulla e io non avevo osato chiedere), era un’appassionata di canto, adorava i musical e il suo sogno era cantare a Broadway. Era una ragazza così piena di inventiva e solarità che al suo confronto mi sentivo come una scorbutica vecchietta. L’aveva praticamente convinta a chiedere di poter fare l’assistente di scena e era già riuscita a strapparmi un sì per andare a vedere un nuovo musical al cinema quella stessa domenica. Non riusciva a dirle di no. Mary e Troy si ripresentarono e sembrarono molto stupiti dal fatto che avessi conosciuto qualcuno. Per la maggior parte del tempo che passarono lì restarono zitti, non riuscendo ad introdursi nei nostri discorsi. Dentro di me non potevo che gioire; finalmente, per una volta, erano  loro a sentirsi in più.
Thousand years (Christina Perri)
Poi iniziò una canzone, il primo dei lenti, il che significava che erano circa le dieci e mezzo e che l’incontro con Kate aveva stravolto tutti i miei precedenti inutili piani.
 
  • Oh, Thousand Years! – squittì Mary, afferrando Troy per un braccio – adoro questa canzone!
  • Andiamo a ballare allora – fece lui prendendola sottobraccio e scortandole verso la pista, non prima di avermi lanciato uno sguardo enigmatico.
  • Lui ti piace, vero? – mi chiese Kate, dopo che se ne furono andati.
Mi girai sconvolta verso di lei. Era così chiaro?
 
  • Oh tranquilla – fece lei, praticamente leggendomi nel pensiero – sono solo io che sono brava per queste cose. Nessun altro potrebbe sospettarlo.
  • Beh si – risposi, intimidita dalla situazione.
  • Due donzelle senza cavaliere – fece una voce fuori dal mio campo visivo, era la voce di un uomo, o meglio di un ragazzo.
Un ragazzo biondo chiaro, con i capelli lunghi e scombinati si avvicinò sempre di più. Non portava lo smoking ma solo una camicia nera leggermente aperta sul petto che faceva risaltare i suoi occhi azzurri. Sul volto aveva dipinta un’espressione beffarda, come se ci stesse prendendo in giro.
 
  • Wow, ci vedi – risposi sarcastica, cercando di difendere me e la mia nuova amica.
  • Beh sarò costretto ad invitare una di voi, sembra che non ci si possa perdere il primo lento – si avvicinò a me – mi dispiace dolcezza, ma preferisco le bionde – fece rivolto a Kate, che non disse nulla.
Mi porse la sua mano, pallida. Non so perché accettai, non so perché lo feci, ma appoggiai la mia mano sulla sua. Mi portò con facilità al centro della pista ( con grande felicità notai uno sguardo di sgomento dipinto sul volto di Troy) e mi strinse, appoggiando la sua mano sul mio fianco. Aveva un tocco morbido, delicato, eppure molto strascicato.
 
  • Mi dispiace, ma il tuo vestito fa davvero schifo – mi disse facendomi roteare.
Lo guardai colpita e affondata. Non sapeva che questa non era assolutamente una frase da dire ad una ragazza? 
 
  •  Lo so- ammisi – ma fossi in te guarderei prima ai tuoi vestiti. Sembra che tu ti sia dimenticato qualche pezzo.
  • Tipo?
  • Non so, la cravatta o la giacca..
  • Beh non mi uniformerò di certo alla massa. Dimmi, ho l’aria del bravo ragazzo che con lo smoking aspetta la ragazza sotto casa? Non credo proprio. Come tu non hai l’aria di una che si concede a qualcuno.
  • Ah no?
  • No. Tu sei chiusa, ignori chiunque ti stia intorno. Ti apri solo per poche persone. Sai, alla fine nell’economia della vita, questo è quasi un pregio.
  • Non è così. Tu mi conosci affatto.
  • Siamo al ballo scolastico, sei al tuo ultimo anno e sei seduta da sola con una ragazza più piccola a guardare sconsolata le coppie sulla pista. Credo di avere ragione invece.
  • Non sei di questa scuola, vero?
  • E anche se fosse? È proibito intrufolarsi ad un ballo – mi fece roteare di nuovo.
  • Non so. Però potevi restare nella tua di scuola senza venire qui a rompere le palle a me.
  • Sei aggressiva – fece lui, sorridendo strafottente – mi piace.
  • Tu invece non mi piaci per niente.
  • Oh, ma se sei già pazza di te.
  • Riformula la frase. Sto impazzendo a causa tua.
  • Beh, sono la cosa migliore che ti sia potuta mai capitare. Io sono la tua verità.
  • C-cosa hai appena detto? – mi bloccai, ignorando le altre persone che mi venivano addosso.
  • Non ti fermare – mi trascinò di nuovo nel vortice del ballo.
  • Cosa significa quello che hai detto.
  • Non ha un significato particolare. Io ti posso dire la verità su tutto, tu devi solo crederci.
  • Oddio, ma ti credi seriamente così onnipotente.
  • Mai sottovalutarsi. E comunque, ricorda, ci sarà un momento in cui tutto ti sembrerà confuso, e allora tu, sarai tu a chiedermi di raccontarti la verità.
  • Io non ti verrò mai a chiedere nulla – mi resi conto che stavo alzando il tono, ero davvero irritata – Io non ti conosco, non ti ho mai visto prima e non ti voglio mai più vedere!
Mi staccai da lui e corsi verso l’uscita. Ero già nel parcheggio quando mi accorsi di essermi dimenticata di salutare Kate, Mary o Troy. Oddio, e avevo dimenticato la giacca e dentro la giacca c’erano le chiavi della macchina, il cellulare e quegli orridi orecchini di Aria. Mi girai, per tornare dentro la palestra, e per poco il mio cuore non si fermò. Davanti a me, con la mia giacca in mano e gli occhi azzurri fissi su di me, c’era il ragazzo biondo.
 
  • Cercavi questa?
  • Perché mi segui? – stavo urlando.
  • Calmati, calmati – mi fece lui, prendendomi il volto tra le mani.
Potevo vedere i suoi occhi azzurri vicinissimi e potevo contarne le sfumature. Sentivo il suo respiro sul mio viso. Il suo tocco, nonostante tutto, non mi dette fastidio, anzi, ebbe davvero un effetto calmante.
 
  • Sono calma – dissi,quasi ipnotizzata.
  • Non stavo scherzando prima. Ci sarà un momento, e lì mi cercherai.
Mi risvegliai da quella specie di ipnosi e gli strappai la mia giacca dalle mani.
 
  • Smettila di dire cavolate- lo guardai scocciata e corsi verso la macchina.
Lui non mi seguì, si limitò a restare al suo posto, con lo sguardo puntato su di me. Andai dritta a casa canticchiando, senza pensare all’orario. Per fortuna nessuno mi chiese niente e mi diressi di fretta nella mia camera. Qualche minuto dopo, già in pigiama continuai a canticchiare. Che canzone era? E poi capii. Era la canzone di quel lento, quello che avevo ballato con quell’essere così irritante. Però era alto. Io avevo i tacchi, ma lui comunque mi sovrastava. Chissà, forse era anche più alto di Troy.
Io sono la tua verità aveva detto. Cosa significava?
 
 
 
  • Complimenti Dex, sapevo che non dovevo darti questa responsabilità – disse gelido Kellan, sedendosi su una delle poltrone – d’altronde si sa, di te non ci si può fidare.
  • E invece credo di aver fatto un gran lavoro – disse Dex, guardandolo negli occhi, strafottente.
  • Hai fatto colpo – commentò Jess, appoggiato al tavolo, facendogli l’occhiolino.
Di fianco a lui una ragazza bionda vestita ancora da ballo ridacchiò.
 
  • Lo faccio io – si propose Candice.
Era da lungo che ci pensava. Era giusto che lo facesse lei, dopotutto si parlava della sua famiglia, di sua sorella. Nessuno disse nulla, sapevano che era la cosa giusta.
 
 
  
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