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Autore: nightmaresandstars    26/09/2013    3 recensioni
[SPOILER! Se non avete letto la trilogia, sbrigatevi e poi tornate qui!]
Helene Snow è la nipote dell'ormai ex Presidente di Panem. Questa è la storia degli ultimi Hunger Games.
Che i Settantaseiesimi Hunger Games abbiano inizio. E possa la fortuna essere sempre a vostro favore!
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Nuovi Tributi, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2 - E COME AL SOLITO... PRIMA LE SIGNORE!
 

Lo sguardo dei miei era shockato, il discorso era durato molto poco, non più di dieci minuti, ma aveva terrorizzato tutti.
Mia madre era scoppiata a piangere, mia zia la stava abbracciando, i bimbi avevano smesso di fare chiasso e stavano correndo da me, da una me paralizzata sul divano, mio padre era andato dritto alla dispensa, aveva preso due enormi bicchieri ed il suo amato whisky, in due avevano finito quasi mezza bottiglia, e non avevano intenzione di smettere.
Il discorso era stato chiaro, si sarebbero svolti i settantaseiesimi Hunger Games, gli ultimi, ma i giocatori questa volta saranno gli abitanti di Capitol.
Per evitare quelle che, a detta loro, sarebbero “morti inutili” l’età dei tributi sarà compresa tra i 16 e i 18 anni, ma più parenti sono, o meglio, erano influenti nella città, più volte ci sarà i nome del ragazzo...
Significa che andrò certamente nell’Arena...
Sono passata un paio di minuti e qualcuno ci ha telefonato. Ha risposto mia zia, era rimasta la più composta, non perché non le importasse niente di me, semplicemente perché preferisce esternare le sue emozioni quando è sola e soprattutto, credo, per aiutare mia madre.
«Hel, è per te... è Johnny...»
Mi sono sentita subito meglio, il mio ragazzo mi stava chiamando per sapere come stavo... almeno credo...
Deve essere per forza così! Quale altro motivo avrebbe per chiamarmi?
«Johnny...» ho detto afferrando la cornetta. «Oh mio Dio, Johnny...»
Mi sentivo così stupida. Tutto quello che riuscivo a pronunciare era il suo nome, ma non sentivo niente dall’altra parte, non un respiro, non un singhiozzo... niente, finché non c’è stato un sospiro e la voce di Johnny è arrivata al mio orecchio distruggendo ogni speranza.
«Helene... tra noi è finita!»
E poi di nuovo niente. Aveva riattaccato senza aspettare un attimo.
Un insieme di sentimenti mi ha invaso. Per prima è arrivata la delusione, e quello che consideravo un deficiente, in quel momento era diventato un grandissimo stronzo. Poi è arrivata la rabbia, e nel giro di qualche secondo avevo pensato ad un centinaio di modi per ucciderlo. E, alla fine, il dolore, quel dolore che ti lascia vuota, che improvvisamente ti fa sentire sola, che solitamente ti fa piangere tutta la notte... solo che io non ho pianto, o almeno per quello che ricordo...
Ricordo solo che mamma mi ha chiesto cos’era successo e che io le ho risposto, poi niente, credo di essere svenuta. Mi sono svegliata nel tardo pomeriggio, nel mio letto, un po’ stordita e molto affamata.
Un po’ per fortuna, un po’ per sfortuna, ricordavo perfettamente il discorso di quella mattina, così, dopo uno spuntino veloce, ignorando  gli sguardi increduli e i tentativi pietosi di consolarmi, ho tirato fuori il lato più studioso di me: ho agguantato il libro di “storia contemporanea”, un foglio e la mia penna preferita, mi sono accomodata in salotto, come per svolgere un normale compito per casa e ho iniziato a sfogliare il volume, ogni tanto appuntavo qualcosa sul foglio, principalmente erano i numeri delle pagine che mi interessavano, ma anche date e nomi.
In poco più di un’ora avevo uno schema dettagliato con le varie tecniche che avevano usato i vincitori per arrivare fino alla fine, con quelle che si adattavano al mio carattere, al mio stile di vita.
Unendo le più adatte ero riuscita ad ottenere quella che, per chi era a digiuno di queste cose come me, poteva sembrare una strategia, anche se era più un abbozzo, mi rendeva pienamente soddisfatta.
Ho riordinato le cose sul tavolo e le ho portate via, facendo molta attenzione a mettere il prezioso foglietto sulla mia scrivania, poi sono tornata nel salone, ho preso al volo il bicchiere di mio padre e ho finito il suo contenuto, mandandolo giù, senza neanche assaporarlo. Ho sentito subito una sensazione di calore scendere dalla gola allo stomaco, la testa si era leggermente svuotata e le gambe erano diventate leggere... non avevo bevuto molto dal bicchiere di mio padre, ma sicuramente, quel poco, aveva fatto effetto.
In piedi sono durata poco, già nel tentativo di prendere il bicchiere di mio zio, sono caduta. Mi hanno tirato su, e hanno tentato di riportarmi a letto, ma, mentre stavo per uscire, ho avuto un flash: non avevo ancora sentito WhiteRose, la mia migliore amica!
«Mamma! Mamma!» ho urlato. «White! Devo sentire White!»
«Tranquilla tesoro,» mi ha risposto lei con dolcezza. «Ha chiamato lei subito dopo Johnny, le ho detto che eri svenuta e che l’avresti chiamata domani mattina.»
«Ok... ok...» ho bisbigliato mentre papà e zio mi trascinavano a letto, di nuovo...

La mia notte non è stata per niente tranquilla, ho fatto svariati incubi, uno in particolare si ripeteva spesso: c’ero io, che sbucavo sulle piattaforme prima dell’inizio dei giochi, come avevo visto fare molte volte, e appena partiva il conto alla rovescia, un enorme uomo senza volto si calava su di me, uccidendomi.
Quando improvvisamente mi sono svegliata, ponendo fine a quella tortura, erano le quattro e mezza del mattino, ed io, a dir la verità, avevo molta fame.
Facendo ricorso a tutta la mia forza di volontà, mi sono alzata, sono andata in cucina e ho preso una mela, seduta all’enorme tavolo che abbiamo, mentre mangiavo, ho lasciato che pensieri ed immaginazione cavalcassero a briglia sciolta.
Avevo una voglia matta di sentire la mia migliore amica.
White...
I miei pensieri sono andati subito a lei. La nipote di Plutarch Haevensbee. All’inizio credevo volesse diventare mia amica solo perché i suoi la costringevano...
Beh, a furia di passare del tempo insieme eravamo diventate amiche sul serio, inseparabili, avevamo l’una bisogno dell’altra, o almeno, io avevo quasi perennemente bisogno di lei.
Ho preso il mio olo-telefono, quell’aggeggio è fantastico!
La proiezione della mia rubrica mi ha fatto riflettere su quanti amici reali potessi avere.
Probabilmente solo WhiteRose...
Eccola lì, nella foto che le avevo fatto, dove sfoggiava una chioma dorata piena di boccoli e un vestito semplice e rosso scuro, che le arrivava al ginocchio. Preferiva di gran lunga i pantaloni ai vestiti, ma il nonno non le permetteva di andare in giro  “come un maschio”, come diceva lui. Era bacchettone quasi quanto il mio, così si era dovuta adattare.
Si era tagliata i capelli da poco, ero con lei quando il sig. Plutarch l’ha vista, la sua faccia era fantastica, ero sconvolto, ma non aveva potuto dirle niente, sapeva benissimo che prima o poi si sarebbe ribellata, solo che sperava accadesse il più tardi possibile.
Le ho mandato un messaggio.
“Mi dispiace non averti risposto... sono disperata, anche se immagino tu possa capirmi. Sei l’unica che può farlo. Spero di non averti svegliato. Se così fosse, ti chiedo perdono, ma avevo bisogno di scriverti.”
La mela ormai era finita, giocherellavo con il torsolo nella speranza di ingannare la noia.
Pochi minuti dopo ho ricevuto la sua risposta.
“Non mi svegli affatto... dormire in questo momento non è nelle mie priorità. Stavo pensando che, se proprio dobbiamo entrare lì, spero di entrare con te...”
Le ho risposto subito.
“Io entrerò di sicuro, tu non è detto... non portarti sfiga da sola! Ti voglio bene...”
Lo sapeva, lo sapeva benissimo che le volevo bene, e io non lo ripete spesso, ma rischiavo di non rivederla mai più, dirle che le voglio bene mi sembrava il minimo.
La sua risposta è stata la cosa che mi ha spiazzato di più.
“Non raccontiamoci cazzate, sono dentro quasi quanto lo sei tu (insieme a Crane Jr.! ahahah!)
Comunque ti voglio bene anche io...”
Non mi aveva mai detto esplicitamente “ti voglio bene”, me lo aveva fatto capire, ma mai una parola, doveva essere molto preoccupata anche lei.
“Direi che possiamo anche provare a dormire qualche ora, almeno eviteremo di avere un aspetto orrendo!”
“Ahahahahah! Hai ragione, dobbiamo pur sempre fare la nostra grande apparizione!”
Era questa una delle cose che adoravo di più di lei, tentava di fare del sarcasmo anche nelle situazioni più difficili,  soprattutto se ero giù di morale, lo faceva sempre...
Mi sono rintanata in camera, per fortuna non avevo svegliato nessuno, né i miei, né gli zii, che evidentemente erano troppo sconvolti anche solo per percorrere un isolato e mezzo!
Il letto si era rinfrescato in quella mezz’ora abbondante che avevo passato in cucina. Un brivido mi ha percorso la schiena. Tra più o meno cinque ore dovevo essere davanti alla vecchia residenza del nonno. E poi? Che cosa sarebbe accaduto di lì ad un giorno? Ad una settimana? Ad un mese? Quante probabilità avevo di tornare a casa?
Ma no! Aspetta! Tornare a casa significava perdere White! No, allora non voglio tornare a casa! Non senza di lei!
Una calda lacrima è scesa lungo la mia guancia. Non sapevo più che pensare. L’unica certezza che avevo, per quanto vana potesse essere, era che se non tornava lei, non sarei tornata neanche io...
Le lacrime continuavano a scendere e sapevo, nel profondo del cuore, che non sarei riuscita a fermarle, così ho pianto. Ho pianto fino ad addormentarmi.

Le poche ore di sonno non avevano di certo migliorato il mio aspetto. Le occhiaie riflettevano quasi perfettamente il mio stato d’animo, profondo e nero. E gli altri non erano da meno.
Nella sala da pranzo, la maggior parte di loro era seduta intorno al tavolo davanti ad una tazza di latte che dava l’impressione di essere lì da almeno mezz’ora.
Ho abbozzato un sorriso, il più finto dei miei, non volevo la compassione dei miei parenti, almeno loro dovevano fare lo sforzo di non guardarmi a quel modo!
Hanno provato anche loro a sorridere. Il più bello era quello di mia sorella, e assomigliava comunque ad una smorfia.
Colazione veloce, anche perché non avevo molta fame e poi doccia.
Ero indecisa tra la doccia e la vasca, ma alla fine ho optato per la prima.
Sono rimasta in doccia per un sacco di tempo, non perché ci volesse molto per lavarmi, ma principalmente perché l’acqua che scorreva sul mio volto si mescolava alle lacrime, evitando di farmi sentire in colpa più del dovuto.

Prima di rendermene conto si era fatto tardi. Non mi interessava essere vestita bene, così ho preso il primo vestito, rigorosamente blu, dall’armadio e l’ho indossato. Venti minuti dopo ero davanti alla balconata del nonno, circondati da altri ragazzi della mia età, tutti terrorizzati. Ho cercato con lo sguardo le ragazze che di solito frequentavo. Ho incrociato il loro sguardo, ma hanno fatto finta di non conoscermi, tutte tranne White, che stava parlando con loro. Quando si è accorta di quello che era successo ha lanciato uno sguardo assassino, ha sbraitato mandandole tutte a quel paese e mi ha raggiunto.
«Ehi Hel! Non puoi capire la faccia del nonno quando mi ha visto uscire così!!» mi ha detto raggiante. Solo in quel momento mi sono accorta di com’era vestita. Una casacca rossa a mezze maniche molto graziosa e dei pantaloni neri.
«Oh mamma mia! White! Sono bellissimi!!!» le ho detto indicando i pantaloni. «Si sarà infuriato tantissimo! Me la pagherai per non avermelo fatto vedere!!» ho aggiunto ridendo.
«Benvenuti!» ha esordito una donna. «Benvenuti, benvenuti!» non sembrava affatto una donna di Capitol City, però aveva un’aria familiare, ero sicura d’averla già vista. Con i suoi capelli ricci, corti e biondi, ed il suo vestito semplice che ricordava un prato a primavera. Quando ha ricominciato a parlare ho capito chi era: Effie Trinket. Conciata in quel modo non l’avevo riconosciuta. Di solito era così allegra e colorata!
«Abbiamo diviso la città in 13 distretti, quindi ci saranno 13 estrazioni per i ragazzi e 13 per le ragazze. Ci potranno essere due vincitori se arriveranno in finale due ragazzi dello stesso distretto! Bene! Cominciamo con il Distretto 1.» ha detto avvicinandosi alla prima fila di ampolle. «E come al solito... Prima le signore!!»


*Angolino autrice*
Alloraaaaa, TA-DAAAN!
Non è passata una settimana perché avevo il capitolo pronto e non volevo aspettare...
Uffa! Non so mai che dire nel commento! Spero vi sia piaciuto!
Perdonate la banalità dell’ “olo-telefono” ma dovevano comunicare, e non sapevo come!!
Sicuramente a Capitol City hanno tecnologie più avanzate, ma non abito lì, quindi non so! :D
Una recensione fa sempre piacere, anche per sapere cosa ne pensate, mi rendo conto che sono solo due capitoli, e che è difficile farsi un’idea, però... magari...
*si rintana*
Va beh, alla prossima!
Lady_Periwinkle
  
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