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Autore: Altariah    26/09/2013    2 recensioni
Kolyat riuscì solo a vedere le labbra di questo muoversi, ma il suono fu sostituito dall’insopportabile gracchio del campanello, che lo trascinò fuori da quella falsa realtà che lo aveva sollevato per un momento da tutti i suoi problemi.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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VII - Mercy Street
 

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Looking down on empty streets, all she can see
Are the dreams all made solid
Are the dreams all made real

Oriana lo strinse a sé a sua volta, perdendo il fiato, mettendo tutta se stessa in quel gesto. L’aveva cercato tante volte, quel supporto reciproco, ma non si era mai fidata di chiederglielo. Ed era strano, perché lei non amava molto la vicinanza fisica, i contatti stretti ad altre persone. Ma lui le provocava il contrario, l’avrebbe voluto avere e sentire vicino, gli avrebbe promesso la tranquillità che ogni volta nei suoi occhi mancava, la sicurezza che ormai lui non conosceva più.
Non avrebbe indagato. No, non l’avrebbe mai potuto fare. Chiedergli il motivo, una spiegazione, a cosa avrebbe portato? L’avrebbe spinta con le spalle al muro, a pentirsi di sé e della sua lingua, mentre Kolyat si poneva sulla difensiva senza nemmeno provare a capirla.
La separazione, poi, fu forse più dolce dell’abbraccio. Gli circondò il viso con le mani e lui la osservò, più in profondità che in qualsiasi altra occasione, più di chiunque avesse mai fatto. E lei si sentì tremare. Che carico avrebbe portato quello scambio, se solo non l’avesse interrotto in quell’istante? Portò i pollici accanto a quegli occhi che l’avevano terrorizzata e lui li chiuse, lasciando che lei vi passasse i polpastrelli. Come quando, da bambino, sua madre gli accarezzava le palpebre chiuse per tranquillizzarlo. E come faceva, lei, a saperlo? Come poteva Oriana fare un gesto dettato dall’istinto, che però andava così precisamente a graffiargli il cuore?
Così anche lei chiuse gli occhi, lasciando sfuggire un singhiozzo, senza neppure cercare di nasconderlo, e gli posò un bacio sulla fronte.
Poi si allontanarono, senza riuscire a sorridere, senza essere in grado di fare altro che tornare a guardarsi l’un l’altra in apnea. Poi lei interruppe quella nuova connessione.
Abbassò gli occhi, sorridendo e asciugandosi una piccola perla impigliata tra le ciglia.

 
She pictures the broken glass, she pictures the steam,
she pictures a soul
with no leak at the seam
 
Oriana era sparita già da un paio di minuti, dopo aver detto di dover andare un momento in bagno. Kolyat era rimasto seduto sul divano, osservando le luci che dal finestrone filtravano nel salone, più grande di quanto Oriana avrebbe voluto, dipingendo le superfici di strane sfumature. Poteva ancora sentire il calore di lei sotto le dita e il suo profumo addosso… e avrebbe potuto rivivere quel momento per sempre. Era suo, e di nessun altro.
Mentre il drell stava assorto a fissare il vuoto, la gattina gli si avvicinò di nuovo. La sua curiosità a proposito di quello strano essere azzurrognolo non era ancora stata soddisfatta.
Lui appena la notò la richiamò schioccando un paio di volte la lingua, e non appena gli fu vicino la sollevò, tenendola a distanza; lei mollemente si lasciava penzolare, concentrata sugli occhi neri di lui.
“Quanti diamine di peli che hai” Osservò lui, senza capirne bene l’utilità. Lei parve rispondergli con un miagolio lieve, e lui sbarrò gli occhi. “Nel posto della Terra da cui provieni ci dev’essere freddo, eh?”
Appoggiò la gatta sulle gambe, in attesa di una nuova risposta. E Oriana, quando sbucò dal bagno, non poté far altro che sorridere di soddisfazione, guardando quei due mentre facevano amicizia. Non c’era scelta migliore che avrebbe potuto fare, ne era certa. Un successo.
“Ti piace?” Domandò Oriana, trovando di nuovo il suo posto accanto a Kolyat.
Lui pensò per un lungo momento a cosa rispondere. Avrebbe fatto bene ad eludere con una battuta, oppure no?
“Sì.” Disse, in un sussurro, annuendo anche col capo, mentre continuava a far giocare il cucciolo con le dita. “Odio i suoi peli, ma questo tipetto tutto sommato è accettabile. Mi piace.”
Oriana rise ancora, accarezzandola a sua volta “È femmina”, lo informò. “Ed è tua.”
Kolyat aprì la bocca, senza avere la più pallida idea di cosa dire. “M-ma” balbettò, passandosi la lingua sulle labbra, tornando poi ad osservare il gatto. “Nemmeno per sogno, non la voglio!”
“E perché non dovresti volerla?” La ragazza alzò un sopracciglio, aspettandosi una risposta insensata. La risposta arrivò, ma riuscì a scavarle dentro e farla sanguinare.
“Non sono nemmeno capace di curare me stesso, come potrei prendermi cura di lei?”
Oriana posò gli occhi in altri punti del salone, in panico, cercando disperatamente cosa dire. Prima che potesse riuscirci, Kolyat l’aveva preceduta, ma confusa dai suoi pensieri non era riuscita ad afferrare cosa lui avesse mormorato.
“Cos’hai detto?” Chiese la ragazza, concentrata stavolta a captare qualsiasi cosa avesse perso poco prima.
“Le Piramidi, ti piacciono?”
Lei rise appena “Di cosa stai parlando?”
Mio padre cerca su extranet delle immagini. Dipingono il suo volto di luci colorate, nella penombra. La Terra, ti piacerebbe visitarla? Io faccio una smorfia, non provo nemmeno ad annuire. Ti passo queste fotografie, mi dice, digitando sul suo factotum. Io smetto di mescolare il mio caffè, guardo il mio factotum che continua a lampeggiare. Sono… spettacolari.”
Kolyat rimase immobile, e Oriana cercò di capire se il ricordo fosse finito o se fosse una pausa che faceva ancora parte della trance.
Vaffanculo…” Sospirò lui, tornando al presente con vergogna, passandosi una mano sugli occhi.
“Quali piramidi ti colpirono?” Lei si chinò ancora di più verso di lui, le mani strette a loro stesse per l’interesse.
“Cheope, Chefren, Micerino.” Chiuse gli occhi, perdendosi forse in un suo ricordo legato a quelle costruzioni. Un ricordo più silenzioso di quello precedente. “Mio padre mi ha insegnato a rispettarvi. Lui amava particolarmente i vostri testi, mi riempiva la testa di liriche di poeti ed elaborazioni filosofiche. A me colpisce di più la vostra architettura, i vostri monumenti. Avete una capacità incredibile e una versatilità universale, voi umani. Le vostre costruzioni sono le più diversificate… Sul vostro pianeta, voi, avete Illium, Tuchanka, Kahje… e per quanto possa immaginare, persino l’antica Rakhana. Voi siete i più diversificati, in questa galassia.” Un lieve sorriso increspò le sue labbra, per morire subito dopo “Voi siete i creatori della Piramide a otto lati, visibili tutti chiaramente soltanto dal cielo nei due equinozi. Se non è perfezione questa, io faccio segno di resa.”
Oriana si accorse di trattenere il fiato per l’entusiasmo. Se aveva amato quel discorso almeno la metà di quanto lui apprezzasse l’argomento, allora poteva dirsi esterrefatta.
Potremmo andare a Giza, pianificheremo le licenze… No. Progettare un futuro ancora offuscato era egoista e stupido.
Non aveva parole dopo aver ricacciato indietro la proposta che si era affacciata nella sua mente, era incantata alla vista di quella passione, nel drell, che non aveva mai neppure percepito in lontananza e di cui tante volte aveva dubitato l’esistenza.
“Tu non visitasti invece il New Mexico, anziché l’Egitto?”
Kolyat annuì “L’Egitto è una meta scontata, Kolyat. E io non lo volli contraddire.” L’unica cosa importante era che lui potesse sentirsi felice… Bastava soltanto che sorridesse. “Lui le doveva avere tutte vinte, come sempre. L’unica cosa che meritava era lui, cosa gli importava degli altri?”
“Puoi chiamarla Cheope” Propose Oriana, in attesa del giudizio di lui.
Kolyat guardò il cucciolo, trovando qualcosa che gli ricordò il calore. Il calore di un abbraccio, di un sostegno, un affetto muto che non aveva bisogno di parole. L’avrebbe tenuta con sé, non avrebbe rinunciato a lei.
“Lei non è solo la Piramide a otto lati. Lei è la cintura di Orione specchiata sul tuo pianeta… Lei è tutto il complesso di Giza” Affermò, senza vergogna. Era un discorso assurdo? Beh, lo faceva sentire tremendamente bene. “Il tuo nome è Giza” Sussurrò, appoggiando un polpastrello sul suo naso umido, il muso attento.
Successivamente, forse in gesto di approvazione, la cucciola mosse i baffi bianchi e sbadigliò, lasciandosi andare appena dopo contro il torace del drell e omaggiandolo con morbide fusa.
Oriana, in quel momento, sentiva solo il bisogno di piangere di commozione.

Nowhere in the corridors of pale green and grey
Nowhere in the suburbs
In the cold light of day
 
La ragazza andò lentamente verso la porta d’ingresso al suo appartamento, il diciannove. Kolyat seguì i suoi passi, tenendo il trasportino con Giza all’interno con una mano. “Ecco…” Disse Oriana, dandogli una borsa con il cibo per gatti e tutti i documenti che gli sarebbero serviti per tenerla.
“Grazie.” Sussurrò lui, varcando la soglia e sospingendosi verso di lei, trasportato da una sorta di automatismo. Ma, come notarono entrambi, lui non si pentì di quel gesto, né lo represse. Lei chiuse gli occhi e sorrise, in imbarazzo, di fronte al tentativo un po’ goffo di lui di imitare il bacio che lei gli aveva dato sulla fronte.
“Diamine, assomigli parecchio a Kolyat, ma tu non lo sei di certo” Ridacchiò, contenta che almeno quella sera fossero riusciti a trovarsi in armonia, dopo tanto tempo.  “Torna quando vuoi… ecco tutto.” Si portò i capelli indietro con una mano, osservandolo mentre si allontanava in un corridoio deserto ormai in quell’ora tarda.
Dimenticò persino di controllare il factotum, senza vedere il contenuto del messaggio in entrata, e s’infilò in bagno per lavarsi i denti.
Di fronte allo specchio non vide la persona di qualche giorno prima; questa aveva un sorriso che non si cancellava, gli occhi profondi come il mare segnati dalla stanchezza, senza trucco e spettinata come dopo aver corso e riso a perdifiato.
Infilò in bocca lo spazzolino, senza che iniziasse a passarlo sui denti il campanello suonò dolcemente. Uscì dal bagno e andò verso la porta, cosa diavolo sta succedendo questa sera? Si domandò, stupita.
Guardò nel videocitofono e aprì subito, trovando di nuovo davanti Kolyat, gli occhi schivi per la vergogna. Hai detto che sarei potuto tornare quando volevo.
 “Posso restare, stanotte?"
Dreaming of mercy street
Wear your inside out
Dreaming of mercy
In your daddy's arms again
 
Oriana si rigirò nel letto, nel farlo l’incoscienza del sonno si affievolì e lei mentre cercava la pace nella nuova posizione, tra i lamenti delle lenzuola, si trovò in uno strano dormiveglia.
Provò una sensazione forte, che trascinava assieme ansia, timore, domande evitate e  segrete. Prese coraggio, determinata a scacciare qualunque cosa si fosse insinuato dentro di lei e aprendo gli occhi rivolse velocemente lo sguardo alla porta d’ingresso della sua camera.
C’era la figura di lui, in piedi, un passo a destra della porta.
E in meno di un istante le sembrò di capire totalmente il solipsismo dei drell, la loro memoria, tanto che il ricordo del loro primo incontro le scorse vivido di fronte.
Si sentì esattamente come la prima volta, totalmente esposta a lui, così innocente da far sorridere… e ora tutto sembrava essersi ricollocato alla stessa maniera: lei si era trovata a stirare le labbra, osservandolo, e lui a cercare di capire cosa potesse pensare lei, dietro quegli occhi colore del mare, immobile ed attratto da una forza meschina.
Era un deja-vu improbabile, eppure erano di nuovo allo stesso punto e con la stessa intensità immersi in un ricordo così lontano, ma anche così prepotente.
Kolyat si ritrovò a domandare esasperatamente in un grido muto quello di cui si era interrogato da solo nel buio fumoso del suo bilocale. Era una domanda sadica, ricorrente come uno dei peggiori incubi, che lo assaliva con tutta la forza e tutte le sfumature che poteva assumere. Così la domanda non era più una soltanto, diventava due, tre, e poi anche mille, tutte irrisolte allo stesso modo… e l’unica cosa a cui portavano era un’ulteriore stress psicologico che non gli avrebbe lasciato tregua.
Oriana udì tutto. Udì la sua domanda tacita, in un modo che né lei né nessun altro avrebbe potuto comprendere. Sentì ogni vibrazione di suono, ogni ricciolo e ogni nota che aveva risuonato tra quelle mura.
C’erano le note confuse, quelle stonate, quelle angosciate… e non ne perse nessuna. Come in una rivelazione si trovò non più davanti a Kolyat, nell’ombra notturna della sua stanza: ora davanti a lei, c’era se stessa.
Se stessa dal punto di vista di lui, una Oriana dal viso rotondo e roseo che rischiava di arrossire anche per una sciocchezza.
Una ragazza dagli occhi colore del mare in una giornata di sole. Una giornata di sole che è fatta di sorrisi, di umiltà e di lacrime.
Emotività. Passione, Luce, Ombra, Perfezioni e Imperfezioni.
Imperfezioni, contenute in una chiave di violino. Il suo viso, per quanto unico e suo, familiare, dagli occhi di Kolyat, si accorse, era tremendamente sbagliato. Sembrava innaturale, terribile e sconvolgente.
Sembrava soltanto umano… una Ragione fatta in forma umana.
Era per questo che Kolyat la cercava, perché lui la voleva, terribilmente. Per cui un giorno la cercava con determinazione, lasciava che lei lo facesse sentire bene. Poi, arrivavano i sensi di colpa.
Come poteva, una come lei, essere diventata così importante? Non era della sua razza, non era della razza di sua madre.
E lei… a quella domanda non riuscì a sottrarsi, non potè e non volle eluderla. Così, dopo aver ottenuto tutte le informazioni da quell’altra se stessa, cercò ancora Kolyat. I loro occhi umidi risplendevano, catturando le poche luci che vivevano in quell’oscurità. Riuscivano a malapena a vedersi, contorni offuscati dalla notte inesistente… sembravano immateriali, distorti come una figura in lontananza spezzata crudelmente dall’afa.
La ragazza prese un momento per sé, riflettendo. Se mai si sarebbe pentita di avergli risposto in quell’occasione, quanto sarebbe stato grave il danno che avrebbe provocato?
Socchiuse le labbra e gli rispose, lasciandogli il tempo per la mossa successiva.
Ancora sconcertato, Kolyat mosse qualche passo verso di lei. Sì infilò tra le lenzuola, sentendo al tatto un tessuto gelido nel posto rimasto vuoto.
“Mi svegliavo di notte, terrorizzato dai tuoni.” Fece lui, lasciandosi andare contro il petto di lei, lasciando che  stringesse il suo capo tra le braccia. Ora, accanto all’orecchio di Kolyat, un battito di cuore leggero e svelto.
Lei ascoltava.
“Correvo, senza fare attenzione e sbattendo piedi nudi, gambe, fianchi e spalle contro gli ostacoli nel buio.” Deglutì. “Poi mi arrampicavo sul letto, disfacevo il lato sinistro e mi accoccolavo contro il petto di mia madre. Contro il mio fianco, lenzuola gelide e vuote.”
Oriana gli baciò dolcemente la fronte, poi passò le labbra lungo tutte le sue piccole creste azzurre che disegnavano il suo capo di profilo. Respirò a fondo, abbandonando una lacrima che cominciò a scorrere verso il basso.
“Non avevo bisogno di cercare il suo viso con le mani, Oriana. Non avevo bisogno di sentirlo sotto le dita, sapevo che aveva pianto anche quella notte.”
“Non si pentiva di averti avuto, Kolyat.” La sua stretta si fece più intensa, e lui rispose a sua volta nello stesso modo, lasciandole un bacio sullo sterno e facendola rabbrividire.
“Il problema è che non si pentiva neppure di avere amato mio padre. Lei avrebbe rivissuto ancora e fatto le stesse scelte. Lei sarebbe stata disposta a soffrire in quella vita e in mille altre. E guarda com’è finita…” Il drell ricacciò indietro un singhiozzo, insieme alla voglia di piangere.
La ragazza si lasciò andare completamente alle emozioni. La razionalità le andava più stretta istante dopo istante, finché non si lacerò lasciandola totalmente spoglia.
“Se solo fosse ancora in vita… I suoi occhi e il suo sorriso sapevano far perdere il fiato… ma ora appartengono soltanto all’Oceano e io non posso reclamarli.” Mormorò lui, senza più essere in grado di trattenere lacrime che stavano finendo per trafiggergli gli occhi.
Se quello fosse stato un errore, l’avrebbero pagato a caro prezzo entrambi. Se lui aveva bisogno di capire se quelle fossero le braccia giuste per stringerlo, quella volta non ne avrebbe avuto la certezza. Aveva davvero bisogno di quelle braccia pallide e deboli, attorno al suo viso? Oppure avrebbe dovuto cercarne altre, magari ricoperte di squame, magari dalle ossa più dure o magari dalla pelle rigida e i muscoli più possenti?
Senza che nessuno dei due si fermasse un solo momento a ragionare sulla logicità e sulla giustizia, le loro mani si erano unite, timidamente, rincorrendosi sotto strati di tessuto. E allo stesso modo, con impacciata lentezza ma notevole grazia, avvolti da un’eco di silenzi surreale, le loro labbra s’incontrarono. Quale sarebbe stato il fine? Sarebbe stato quello l’inizio di un rito?
Presero confidenza con cautela, lasciando però l’istinto a guidarli e fidandosi ciecamente di lui. Era dolce il suono di quel bacio, che durò tanto da far immaginare ad entrambi come sarebbe stato se protratto all’infinito. Insieme ai loro tormenti,  le loro labbra si schiusero all’unisono, lasciandosi entrambi scoprire ma al contempo decisi a capire i lati oscuri dell’altro. Poi, due sorrisi nascosti dall’oscurità andarono rilassandosi, ed entrambi vennero accolti dal sonno con gentilezza.
Se quello fosse stato semplicemente un sogno, o un’esperienza amplificata dal dormiveglia, non avrebbe avuto importanza. Sarebbe bastato a lui, se fosse stato un suo segreto; sarebbe bastato a lei.
 
Dreaming of the tenderness - the tremble in the hips
of kissing Mary's lips











 
 
 
 



 
 
…Di un silenzio candido di trine… La citazione non era voluta io lo giuro XD Me ne sono accorta solo alla rilettura, Pascoli mi sta indottrinando o cosa? MyricaeMyricaeskjhfjad
OMG Altariah che scrive così tanto? Che storia.
Non so cosa traspare, da qui. Non so dargli un giudizio, ma so che ci ho messo tutta la passione che avevo.
Pensavo e ripensavo a questo capitolo. Andavo a letto la sera e ripetevo nella mia mente frasi d’effetto, che immaginavo di inserire qui. Ma a casa, accendevo il computer e tutte le mie parole se ne andavano. Ho scritto questo senza connessione, lasciando che la tranquillità della casa di mia nonna mi aiutasse e consigliasse. Beh, diciamo che ho pur sempre fatto più di quello che sarei riuscita ad elaborare a casa.
È un pairing non solo emotivamente demoralizzante, ma terribilmente oscuro, e questo lascia una libertà di azione che è davvero tanta, troppa. Quindi sì, una delle poche cose conosciute non trascurabile è la loro età: giovani, inesperti, inconsapevoli e combattuti. Come ci tengo a ribadire questa è una non-storia che si limita ad esperimento a capitoli e diamine, mi fa una paura tremenda… quindi in qualsiasi caso, qualsiasi sfumatura che potete trovare sbagliata, fatemelo sapere. Solo con le belle parole non si va da nessuna parte e la crescita è pari a zero.
Visto che è già lunga, una puntina. Mercy Steet è incredibile, ancora più incredibile la versione con l'orchestra New Blood.
 
Giocando a ME3: *Su Menae, appare Garrus*
Io- “Garrusss!”
La mia Sheppa- “Garrus!”
Mia mamma che stava facendo un solitario al computer- “Garus! Festaaa!”
  
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