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Autore: jas_    27/09/2013    2 recensioni
«Ricordi il giardino di tua madre, te lo ricordi?»
Annuii, «come dimenticarselo» dissi acida, tirando su col naso.
Pierre mi asciugò una lacrima col pollice e mi accarezzò una guancia senza smettere di guardarmi.
«Tu sei come una di quelle primule che io ti ho aiutato a portare in casa quando ci siamo conosciuti, sei bellissima e hai tanto da dare se solo... Se solo riuscissi a tirare fuori il coraggio! Ti nascondi sempre dietro a questi occhi tristi, so che è difficile ma così non fai altro che renderti piccola. Io vedo cosa sei, so il tuo potenziale, sei come una primula in inverno. Fa' arrivare la primavera e sboccia, mostrando i tuoi colori veri.»
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Pierre Bouvier
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Endless love'
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Capitolo 20

 


Appoggiai il vassoio sul comodino e mi sedetti sul bordo del materasso.
Pierre aveva gli occhi chiusi e il suo addome piatto si alzava ed abbassava al ritmo del suo respiro.
«Pierre» lo chiamai.
Nulla.
«Pierre.»
Gli appoggiai una mano sulla spalla e cominciai a scrollarlo, in attesa che si svegliasse, ma lui mugugnò qualcosa e si voltò dall'altra parte.
Scostai leggermente le lenzuola e mi infilai a letto con lui, appoggiando la mano sinistra sul suo fianco e il viso sulla sua spalla. Attesi una sua reazione per alcuni secondi e quando capii che non si sarebbe mosso di lì nemmeno con un terremoto, cominciai a fargli il solletico sapendo quanto lo soffrisse. Lui fece subito uno scatto e si voltò verso di me con gli occhi strabuzzati, bloccandomi i polsi con le mani.
«Cosa fai?» sbottò, sorpreso ma ancora leggermente addormentato.
«Dovevo svegliarti in qualche modo» sussurrai, baciandogli una guancia.
Lui aggrottò le sopracciglia, «potevi farlo un po' più delicatamente.»
«L'ho fatto, ma non ti sei mosso di un millimetro» ribattei.
Pierre sospirò ed infine mi sorrise poi, senza proferire parola, si alzò leggermente appoggiando i gomiti sul materasso e mi baciò.
Mi sporsi verso di lui e mi abbassai fino a quando entrambi non fummo sdraiati completamente.
Appoggiai entrambe le mani sulle sue guance, ruvide per la barba che cominciava a spuntare e lo sentii sussultare quando gli sfiorai le gambe con i miei piedi freddi.
Mi ero dimenticata di come fosse stare con Pierre. Di come fosse lui.
Mi sentivo in uno stato di quiete assoluta, tutti i miei problemi li avevo lasciati fuori dalle quattro mura di casa mia, per quella notte.
«Ti ho portato la colazione, comunque.»
A quelle parole Pierre spalancò gli occhi, «davvero?»
Annuii e mi alzai per prendere il vassoio che avevo appoggiato sul comodino e porgerglielo,  «non sono i tuoi pancakes ma...»
Pierre mi baciò impedendomi di finire la frase, «va benissimo.»
Annuii e mi sedetti accanto a lui che si affrettò a bere un lungo sorso del caffè che gli avevo preparato.
«E tu la colazione?»
«L'ho fatta già prima, scusa ma stavo morendo di fame.»
«Ma che ore sono?»
«Le undici e mezza.»
Pierre spalancò gli occhi, «ho dormito così tanto?»
Annuii, «sei un ghiro» lo presi in giro, dandogli un bacio sul collo.
Indugiai un po', sfiorandogli col naso e con le labbra la pelle e chiudendo gli occhi.
Lo sentii agitarsi, le coperte si mossero a causa dei suoi piedi che si spostavano e mi sentii felice al pensiero che gli facessi ancora quell'effetto.
«Vuoi un altro round?»
 
Pierre se n'era andato da due ore circa, dopo essersi preso un giorno di ferie ed avere avvertito Chuck, avevamo passato l'intero pomeriggio a poltrire sul divano davanti al televisore.
Ero felice, e il pensiero di essere felice mi rendeva ancor più felice.
Ero senza un lavoro, avrei dovuto trovare qualcosa da fare al più presto se volevo continuare a pagare le bollette e l'affitto, tuttavia ero felice.
Sistemai le ultime cose rimaste negli scatoloni e sentii un moto liberatorio nel porli sul ciglio del marciapiede fuori casa per far sì che il camion dell'immondizia il giorno dopo li raccogliesse.
Non appena rientrai in casa sentii il telefono squillare.
Risposi senza nemmeno guardare chi fosse, ma non appena quella voce baritonale e ferma mi arrivò alle orecchie, capii di chi si trattava.
«Ciao Lola, volevo parlarti.»
Alzai gli occhi al cielo e mi sedetti sul divano, appoggiando i piedi sul tavolino finalmente sgombero.
«Che c'è?» domandai burbera, ormai Alec non era più il mio capo, non c'era motivo di tenermi tutto dentro, di essere gentile con lui quando in realtà bollivo dalla rabbia.
Finalmente mi sentivo libera di esprimermi, e il suo tono di voce così autoritario non mi faceva più paura, anzi, non mi faceva alcun effetto.
«Volevo chiederti scusa per il mio comportamento, mi hai fatto riflettere e nonostante ti sia espressa in maniera del tutto inadeguata mi sono reso conto che avevi ragione. Pensavo che magari potremmo incontrarci e discutere della tua situazione.»
Non riuscii ad evitare di sorridere a quelle parole, quella conversazione telefonica aveva dell'inverosimile. Alec non si era mai abbassato ai livelli di nessuno, non aveva mai chiesto qualcosa a qualcuno, lui ordinava e gli altri eseguivano, senza proferire parola. E anch'io avevo fatto così, avevo subìto in silenzio ed obbedito, ero stata al suo volere, mettendo al secondo posto la mia felicità, la mia passione per quel lavoro che era iniziato a diventare un peso per me, a costo di andargli bene. Ma finalmente era giunta l'ora della mia vendetta, in quel momento era Alec in difficoltà, era lui che mi stava chiedendo di ritornare, non viceversa, e io lo avevo in pugno.
«Perché dovrei? Ci ho messo così tanto a trovare la forza per andarmene, non voglio tornare all'inferno» spiegai tranquilla, mettendomi più comoda sul divano.
«Le cose cambieranno, avrai un altro impiego, meglio retribuito.»
«Non mi servono i tuoi soldi, sto bene così.»
Alec sospirò, e già me lo immaginavo seduto dietro quell'enorme scrivania che vedevo tutti i giorni dalla mia postazione, che guarda fuori dall'ufficio e si passa una mano tra i capelli, scocciato.
«Ti darò tutto quello che vuoi, un nuovo ufficio, una segretaria, la macchina aziendale, dimmi tu...»
«Vorrei avere indietro il tempo che ho buttato via lavorando per te quando invece avrei potuto fare altro. Vorrei riavere i fine settimana chiusi in casa ad analizzare casi piuttosto che uscire e divertirmi con i miei amici, vorrei avere indietro la serenità che avevo mentre mi preparavo a dare gli esami all'università, perché ora solo vedere un codice civile mi fa venire il voltastomaco» sbottai.
Dall'altra parte ci fu il silenzio per alcuni istanti, poi Alec prese fiato e parlò.
«Non si sputa nel piatto in cui si ha mangiato, senza di me non saresti nessuno.»
Feci per ribattere ma aprii la bocca e la richiusi senza proferire parola, non perché non avessi nulla da dire, anzi, perché non avevo intenzione di abbassarmi ai livelli di un sessantenne arrapato reduce da venti matrimoni.
«Pensala come vuoi, scusa ma ho già perso abbastanza tempo con te, in settimana verrò a prendere le mie cose, buona giornata Alec» e senza dargli il tempo di ribattere, riattaccai.
Mi sentivo libera, più di quanto non fossi quando mandai a quel paese il mio capo ed uscii da quegli uffici che mi mettevano solo angoscia.
Ero euforica, mi alzai dal divano e salii in camera alla ricerca di qualcosa di carino da mettere.
Chiamai Alice e Lou e senza dar loro il tempo di ribattere le avvertii che quella sera ci saremmo divertite. Solo noi. Solo donne.
 
Alice con quel pancione che sembrava crescere ogni giorno di più mi faceva specie, l'idea che avesse un bambino nel grembo mi lasciava ancora un po' sorpresa, come una bambina, ma lei stava benissimo ed era bellissima.
Se essere incinta ti rendeva così serena e felice beh, allora anch'io avrei voluto esserlo, ma conoscendomi ero certa che sarei finita per tirare piatti addosso al povero disgraziato che sarebbe diventato il padre del bambino, a causa degli ormoni in subbuglio.
Immaginandomi la scena mi venne subito in mente Pierre, ma cercai di accantonare il pensiero concentrandomi invece sulla descrizione dettagliata del comportamento alquanto compromettente di Chuck con Alice.
«Vi dovete sposare» dichiarò Lou seria e con tranquillità, come se avesse appena detto "oggi c'è il sole".
Alice la guardò spiazzata, mentre io ridacchiai di fronte a tutta quella sorpresa, per quanto fosse stata esagerata come suo solito, Elouise aveva ragione.
«Forse non proprio sposarvi, o meglio, non ancora, ma siete fatti per stare insieme. Chuck sarebbe un padre perfetto, e poi ci tiene molto a te, più di quanto farebbe un amico. Mi sorprendo che tu non te ne sia ancora accorta» rettificai.
Alice avvampò abbassando lo sguardo sul bicchiere d'acqua che aveva ordinato, «Chuck è gentile» osservò poi timidamente, «ma non credo che...»
«E smettila!» la interruppe Lou con enfasi, «smettila di sparare cazzate che il bambino potrebbe risentirne! Guarda cos'è successo tra Lola e Pierre, lei lo odiava a morte ma ora non riescono più a stare lontani l'uno dall'altra. Lola hai rotto i coglioni!» aggiunse infine, bloccando con un gesto fulmineo della mano il mio cellulare che aveva appena vibrato sul tavolo.
Sussultai a quel gesto, lei senza troppi complimenti lo prese ed aprì il messaggio: «Non vedo l'ora» lesse, «più quella faccina da arrapati che odio, punto e virgola e parentesi, non voglio sapere di che cosa state parlando» mi informò, restituendomi il telefono.
«Ma allora state insieme?» domandò Alice, approfittando della situazione per spostare la conversazione da lei a me.
La fulminai con lo sguardo, avendo intuito la sua tattica, ma non dissi niente, sapendo quando lei fosse riservata e quando Elouise invece fosse sfrontata. Io ci ero abituata.
«No, ma sono già andati a letto insieme» rispose Lou al posto mio. Appunto.
«Avresti dovuto essere tu un avvocato, trovi una spiegazione a tutto» ribattei sicura. «Che poi, parliamo sempre degli affari nostri ma tu come sei messa con i ragazzi? Non ci credo che non hai adocchiato nessuno.»
Elouise sorrise vittoriosa, «in realtà sì, guarda quello là che figo» disse, indicando con un gesto del capo un uomo in piedi davanti al bancone.
Mi voltai di scatto in quella direzione e nonostante lui fosse di spalle, lo riconobbi subito.


 

-

 

Eccomi qua, con un ritardo imperdonabile.
Vi chiedo perdono ma non sono stata molto a casa durante questi due mesi e ho perso un po' di vista le mie storie.
Comunque vi avverto che ho finito di scrivere la fan fiction e che quindi d'ora in poi gli aggiornamenti saranno più regolari, prometto.
Fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo!
Jas

   
 
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