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Autore: Ellies    27/09/2013    1 recensioni
Ognuno ha la colonna sonora del proprio amore, e così anche Alexander e Lorenzo.
Due ragazzi tutti da conoscere, sulle note dell'album Violator dei Depeche Mode.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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“Let me take you on a trip around the world and back, and you won't have to move, you just sit still.
Now let your mind do the walking and let my body do the talking. Let me show you the world in my eyes.”

 
La radio grattava le parole della canzone, facendo interferenza di tanto in tanto con altre stazioni e passando per i generi più svariati di musica. Non c'era nulla di più irritante, per Lorenzo, e si allungò per battere qualche colpo sulla cassa malandata degli altoparlanti, come a cercare di far funzionare il maledetto aggeggio.
“Guarda che così lo rovini, Lorenzo.”
La voce del ragazzo di fianco a lui lo riscosse; non pensava che fosse già sveglio. Si ritrovò tuttavia a sorridere, soprattutto per il modo in cui trascinava alcune lettere del suo nome, in un imperfetto italiano. 
Erano sette anni, ormai, che Lorenzo aveva lasciato la sua casa in Italia, e sei che conosceva Alexander. Era stato un incontro particolare, il loro, ma si era tramutato in una sorta di amicizia incondizionata, più simile a un rapporto fraterno ma con le complicazioni dell'affetto che due estranei, dopo essersi conosciuti molto bene, provavano l'uno per l'altro.
 

“I'll take you to the highest mountain to the depths of the deepest sea and we won't need a map, believe me.
Now let my body do the moving and let my hands do the soothing. Let me show you the world in my eyes.”
 
“Sembra che non voglia mai funzionare con me...” si lamentò, cambiando tonalità di voce in una più da bambino, come se cercasse di giustificare il precedente atto dando la colpa a quell'oggetto inanimato.
“È perché la tratti male. Quella radio è preziosa, per me.”
Lorenzo roteò gli occhi, senza la minima intenzione di ascoltare per l'ennesima volta la stramba teoria dell'altro, finendo poi per discutere di un'eventuale anima all'interno della vecchia scatola che Alexander si ostinava a chiamare radio, anima colpevole dei propri capricci. 
Fuori dal finestrino dell'auto, l'asfalto scivolava veloce e lasciava dietro di sé una piccola nube di polvere, causata dai recenti lavori su quel tratto di strada e dai detriti rimasti depositati su di essa. Gli alberi correvano all'indietro, scappavano dalla città che si ergeva davanti a loro, la loro meta, come se volessero avvertirli di percorrere la strada inversa. Le foglie si appiccicavano al vetro umido di pioggia, e i tergicristalli dovevano lavorare in continuazione per liberare il parabrezza da esse e dalle piccole goccioline che il temporale stava portando.
Novembre stava davvero arrivando, e il freddo pungente si faceva sentire sempre più insistente, penetrando sotto i vestiti e pizzicando la pelle come mille, piccoli aghi ghiacciati.
 

Let me put you on a ship, on a long, long trip, your lips close to my lips.
All the islands in the ocean, all the heaven's in motion. Let me show you the world in my eyes.”
 
Alexander spense la radio appena entrati in città. Dublino era stranamente calma, quella sera, e c'erano solo alcune persone che camminavano sull'H'Penny Bridge. Nonostante stesse guidando, Lorenzo si perse nella contemplazione del paesaggio. Aveva sempre amato quella città e soprattutto quel luogo. Il panorama dal ponte al tramonto e all'alba era qualcosa di sublime e indescrivibile e bisognava vederlo di persona, per poter capire le sensazioni che scaturivano dall'ammirazione del cielo cremisi, perché le parole non erano abbastanza perfette per poterlo fare. Il ragazzo era sicuro che un giorno sarebbe riuscito a dipingere quell'esatto colore, non importava se ci fossero voluti anni.   
“Bentornati a casa, eh?” sussurrò Alexander, alzando le braccia e allungandosi all'indietro, facendo sentire perfettamente lo schiocco delle vertebre, che risuonarono nell'abitacolo con un chiaro tac tac tac.  
Il ragazzo alla guida staccò imprudentemente gli occhi dalla strada, facendo scorrere lo sguardo sui muscoli tesi e sulla figura snella accanto a sé; la pelle del ventre era lasciata scoperta dal tessuto leggero della maglietta che si era sollevata, e il freddo aveva fatto sì che su di essa si creasse un po' di pelle d'oca che Lorenzo avrebbe voluto far scomparire con il solo tocco della propria mano bollente.
“Lorenzo.” 
La sua non era una domanda, ma una semplice affermazione che sapeva avrebbe catturato la sua attenzione. Infatti i suoi occhi si spostarono sui propri, facendo sì che egli vedesse il sorriso che si era formato poco prima, e che spuntava ogni volta che scopriva il ragazzo a fissarlo.
“Che c'è?” rispose, tornando con lo sguardo sulla strada, quasi felice che fossero quasi arrivati a casa, dove avrebbe potuto evitare i suoi occhi e le sue domande che non gli lasciavano mai la possibilità di fuggire. Si sentiva in trappola, quando il verde dei suoi occhi lo scrutava, come se fosse stato bloccato al muro da mille chiodi, come se non si sarebbe potuto sottrarre loro.
“Me lo fai vedere il quadro?”
Ci risiamo,” pensò Lorenzo, muovendo le labbra per formulare una semplice parola. “No.”
Da quando erano partiti - ogni volta che partivano - non aveva fatto altro che assillarlo per sapere che cosa raffigurasse il suo nuovo quadro. Sapeva che Alexander era un ragazzo curioso, invadente e a volte anche piuttosto impertinente, ma non per questo si sentiva in obbligo di dirglielo. Se voleva fare i capricci, che li facesse pure; lui non avrebbe mai rivelato che cosa la sua mente aveva messo su tela, così come lui non gli faceva mai leggere i propri spartiti prima che fossero perfetti e che lui ne fosse completamente soddisfatto, perché non sempre la vera perfezione corrisponde con l'idea che le persone hanno di essa.
Nonostante i continui rifiuti, però, lui non si lamentava mai. Semplicemente fingeva di capirlo - o forse lo capiva davvero, perché era tutta una questione di arte, ed entrambi erano artisti - e lasciava perdere per qualche ora, per poi partire di nuovo all'attacco, forse nella speranza che Lorenzo cedesse, cosa che però non succedeva mai.
 

L'appartamento che avevano affittato insieme anni indietro si trovava nei pressi del Temple Bar, uno dei principali pub della città - se non addirittura il primo - in cui i giovani dublinesi facevano ritrovo, compresi loro due. Avevano scelto quella zona perché era il centro culturale di Dublino, e avevano pensato che fosse semplicemente il luogo perfetto per loro. La macchina si fermò davanti al loro palazzo, ed entrambi svolsero i loro compiti come fossero automi, o come se compiessero quei gesti da sempre: Lorenzo afferrò i propri quadri e li trasportò sotto braccio fino all'ascensore, mentre Alexander recuperò i borsoni con i vestiti e si assicurò che la macchina fosse chiusa, prima di raggiungerlo e aiutarlo, senza una sola parola.
Quando arrivarono nell'appartamento all'ultimo piano, i quadri furono abbandonati nello studio dell'italiano, mentre i due ragazzi si spostarono nell'ampio salotto, entrambi felici di poter essere di nuovo in quello che chiamavano il proprio rifugio.
Alexander si tolse la maglietta e andò ad accendere il caminetto, piegandosi per afferrare alcuni pezzi di legno dal vano sotto di esso. Aveva sempre amato fare così; diceva che il tepore emanato dalle fiamme era ciò che rendeva quel posto casa, insieme alla sua presenza e che, per questo motivo, non avrebbe mai potuto rinunciare a nessuno dei due, anche se ciò significava restare a torso nudo nel bel mezzo della notte con un temporale in arrivo.
Ci sono certe cose che non vanno capite, ma semplicemente accettate, e Lorenzo ne accettava moltissime, come per esempio il fatto che i capelli corvini di Alex fossero sempre un po' troppo lunghi ogni volta che li osservava, oppure che il suo corpo gli facesse sempre quello strano effetto ipnotizzante - così come i suoi occhi - facendolo sentire come se non potesse muoversi da lì e fosse costretto a guardarlo per sempre. 

  
 

~

 
 

Alexander e Lorenzo, strano ma vero, si erano conosciuti a Dublino. Lorenzo era appena arrivato dall'Italia, appena diplomato e appena diciannovenne, con una borsa piena delle sue cianfrusaglie, la conoscenza di tre lingue nel suo bagaglio e una carta di credito presumibilmente piena dei risparmi di una vita.
Voleva cambiare aria, diceva, voleva fare un'esperienza di vita.
Poi era finito in una via piena di gente, negozi e artisti di strada, e aveva conosciuto Alexander dopo essere rimasto ad ascoltarlo per minuti, incantato dalla sua musica e dal modo in cui riusciva a muovere le dita e produrre quel suono tanto melodico.
La loro amicizia era cominciata con un “Your music is very beautiful” pronunciato con un inglese troppo scolastico che l'aveva fatto ridere. Si era alzato e aveva guardato la banconota da cinquanta euro che il ragazzo gli stava porgendo, aggrottando le sopracciglia. 
“Io non vendo la mia musica in questo modo.”
“Sto pagando il tempo che useresti a stare qui, a suonare per la gente, per chiederti di aiutarmi.”
“Aiutarti?”
“A vivere questa città. A vivere il mondo.”
Alexander ci aveva pensato a lungo, perché quella era la sua vita e tutto ciò che guadagnava era grazie ad un violino e alla sua abilità, ma quel ragazzo era così strano e sperduto che aveva sentito il bisogno di farlo. Forse non aveva nemmeno dovuto pensarci, perché la sua testa si era mossa in un cenno di assenso ancor prima che formulasse il pensiero, e le sue labbra avevano sussurrato il proprio nome.
“...Alexander. Il mio nome è Alexander.” Poco gli importava che quella richiesta fosse o sembrasse strana e inconsueta, quando si sentiva attrarre da qualcosa non poteva frenare l'impulso di gettarsi in essa, qualunque cosa fosse, strana o più normale.  
“Piacere, Lorenzo.”
E allora lui aveva ripetuto il suo nome, con quell'accento inglese che sapeva avrebbe amato e ricordato per tutta la vita e gli aveva sorriso, più che con le labbra, con gli occhi e per la prima volta nella sua vita si era sentito visto.
“Lourenzo, bel nome.”

E per la prima volta aveva visto il mondo nei suoi occhi.     

 




Angolo dell'autrice.

Non ho molto da aggiungere! E' un capitolo piuttosto breve, ma mi sembrava perfetto così.
Fatemi sapere se vi è piaciuto; una recensione è sempre gradita! <3

El.

   
 
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