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Autore: andromedashepard    28/09/2013    3 recensioni
“Speravo dormissi, almeno tu”, disse Thane quando lei ebbe aperto il portellone. Le sembrò esausto. Coprì con due brevi falcate la distanza che li separava, uno sguardo che lei non seppe interpretare. “Dammi un buon motivo per andarmene”, aggiunse, appoggiando la fronte contro la sua. Lei trattenne il respiro, mentre le sue dita si intrecciavano ai suoi capelli. Se c’era davvero un buon motivo, lei non lo conosceva.
#Mass Effect 2 #Shrios
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Thane Krios
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Andromeda Shepard '
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“The colors conflicted 
 
as the flames climbed into the clouds 
 
I wanted to fix this but couldn't stop from tearing it down 
 
And you were there at the turn 
 
caught in the burning glow 
 
And I was there at the turn 
 
Waiting to let you know”

 
(Linkin Park, "Burn It Down")
 
[x]
 

Liara lasciò la Normandy che era già notte, almeno secondo l’orario di bordo. Sarebbe tornata sulla nave dell’Ombra, dedicandosi a quel nuovo, enorme ammasso di dati che minacciava seriamente di seppellirla, se solo avesse permesso a se stessa di farsi trasportare dalle stesse smanie di potere e di controllo che avevano mosso il suo predecessore. Shepard si sentì alleggerita al pensiero che non fosse sola. In caso contrario, pensò, non le avrebbe mai permesso di andar via senza una qualche forma di supporto. Confidava nel fatto che insieme, lei e Feron potessero ritrovare la loro strada, una parvenza di tranquillità di cui, seppur per motivi diversi, erano stati privati da tempo.
Si allontanarono dall’atmosfera di Hagalaz per dirigersi verso la prima stazione spaziale disponibile, in modo da poter fare rifornimento e prepararsi per la prossima missione, quella per cui adesso l’intero l’equipaggio era in fermento. Il relitto di un vecchio Razziatore… che cosa avrebbero trovato? A quali orribili cose avrebbero dovuto assistere? Perché su questo, Shepard non aveva dubbi.
Quello fu uno dei tanti pensieri che attraversarono la sua mente, quella notte, mentre stringeva un cuscino fra le braccia, persa a guardare il vuoto dall’oblò sopra di sé.
Erano state ore faticose, dove l’azione aveva preso totalmente il posto della riflessione, lasciandola adesso quasi svuotata, talmente erano tante le cose da metabolizzare, su cui rimuginare. Primo fra tutte, il suo atteggiamento nei confronti di Tela Vasir, quell’avversario formidabile che, per un istante, era riuscita a farla dubitare delle sue stesse capacità.
Aveva provato solo vendetta, solo voglia di giustizia, almeno finchè non era riuscita a sconfiggerla. Poi quei sentimenti le erano scivolati di dosso, rendendola orrendamente consapevole della sua stessa debolezza per l’essersi fatta guidare da mere emozioni. Le ultime parole che lo Spettro le aveva rivolto rimbombavano nella sua testa, facendole adesso dubitare seriamente di cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Non si era resa conto dell’evidenza della cosa, finchè l’Asari non le aveva puntato il dito contro. “Hai idea delle colpe di cui si sono macchiati i membri del tuo equipaggio? Hai idea dei crimini di cui si è macchiato Cerberus? Non osare giudicarmi”.
Improvvisamente, l’idea di far saltare in aria degli innocenti per un bene più alto, non le sembrò più così ripugnante. Non quando anche lei aveva dovuto sacrificare uno dei suoi su Virmire, non quando aveva dovuto sacrificare il Consiglio per il bene della Cittadella. Aveva fatto l’errore di concentrarsi su un dettaglio, invece di vedere il quadro generale delle cose… un errore che in altre circostanze sarebbe potuto essere fatale. Anche lei, in fin dei conti, combatteva per un’organizzazione senza scrupoli, che si era macchiata dei peggiori crimini, e tutto nel nome di un bene superiore. Provò improvvisamente vergogna davanti alla soddisfazione che aveva sentito davanti a Tela Vasir, sconfitta e sanguinante davanti a lei. Si rese conto che ad accomunarle non era solo lo stesso grado di addestramento, né lo stesso titolo… era qualcos’altro, qualcosa di terribilmente sconcertante. Entrambe, in un modo o nell’altro, erano state strumenti. Entrambe erano venute a patti con qualcosa di malvagio, credendo di seguire un’ideale, dove invece c’era solo la sete di potere di qualcuno, un burattinaio in grado di plasmare le loro vite con astuzia.
E lei, a questo punto, come avrebbe potuto osare giudicarla?
Ci sarebbe stato sempre qualcosa di sbagliato nella sua vita, quella nota stonata in grado di rovinare irrimediabilmente una sinfonia. Ne prese atto, finalmente, nella solitudine della sua cabina, rendendosi conto che anche dietro le migliori intenzioni si sarebbero celati sempre sentimenti in qualche modo sbagliati. Ripensò alle parole malinconiche di Garrus, “Grigio? Io… non so che farmene del grigio”, e improvvisamente lesse un altro significato nascosto tra le righe. Non ci vide una presa di posizione, non ci vide presunzione… le sembrò piuttosto di leggere paura dietro quelle parole, la paura di restare per sempre confinati in un limbo dove le cose non hanno colore, dove si mescolano fra di loro, rendendo la vista offuscata. Era più facile darsi dei limiti, scindere ogni cosa dall’altra seguendo criteri ben precisi, anche se ciò avrebbe reso la realtà accecante, fatta di contrasti troppo marcati, lontani dalle sfumature morbide che addolciscono gli occhi. E lei, in quel limbo, sentiva di starci in pieno, come dentro all’occhio di un ciclone. Se avesse permesso a se stessa di vedere il mondo in bianco e nero, non avrebbe mai accettato di lavorare per Cerberus, di stringere la mano ad individui che avevano ucciso sotto ricompensa, di combattere a fianco a persone squilibrate, o dalla moralità decisamente criticabile. Era scesa a compromessi, cercando di vedere il buono in ogni cosa, quella pennellata di bianco in grado di trasformare il nero in grigio.
E Thane era una di quelle cose.
 
 
 
Le mani strette intorno a una tazza fumante di thè, lo sguardo perso, assente, di chi si è momentaneamente allontanato dalla realtà, per rifugiarsi solo ed esclusivamente nei pensieri, nei ricordi… Thane non riuscì a sorridere, neppure quando la sua mente gli suggerì immagini infinitamente più piacevoli della visione del Drive Core che pulsava di fronte a lui. Ciò che era successo quel giorno, il carico di riflessioni che quella missione aveva fatto scaturire, erano cose che sentì di non poter condividere con nessuno, ancora troppo scosso dagli eventi per inquadrarli nella giusta luce. Lui e Shepard avevano fatto una buona squadra, come sempre, ma rispetto alle missioni iniziali dove si erano trovati a combattere fianco a fianco, stavolta sentì che c’era stato qualcosa di diverso. La paura di perderla aveva prevalso persino sull’istinto, guidandolo, facendo sì che agisse in virtù di quel principio. Motivo per cui era stato colto alla sprovvista dallo Yahg, così concentrato a tenerla d’occhio, a prevenire ogni azione che potesse in qualche modo riguardarla. Ma non era questo a turbarlo… non avrebbe esitato un solo istante a farle da scudo, mettendo a repentaglio la sua stessa vita, lo sapeva. Era il modo in cui le cose erano cambiate, nel giro di così poco tempo. Fino ad allora aveva sempre agito seguendo l’istinto di un assassino, mettendo al primo posto la propria vita, la propria sopravvivenza… era il suo corpo l’elemento da proteggere, ciò senza il quale lui sarebbe stato un individuo… inutile, semplicemente. Shepard gli aveva dato un’altra motivazione, gli aveva offerto un’altra via da seguire e lui l’aveva intrapresa così ciecamente da non riuscire neppure a rendersene conto. Il cambiamento aveva sconvolto la sua vita con la potenza di un uragano mascherato da una leggera brezza marina, lasciandolo inerme, adesso, ad osservare gli effetti che quel cambiamento aveva portato.
Diede un sorso al suo thè, scacciando con forza gli ultimi ricordi che, quella notte, lo tormentavano più del solito. Non aveva più parlato con lei dopo aver passato dieci minuti in infermeria, dove la Chakwas gli aveva medicato le ferite riportate sulla base dell’Ombra. Aveva letto una profonda preoccupazione negli occhi di lei e aveva fatto di tutto per rassicurarla. Shepard, però, non aveva cercato il contatto. Era stata professionale, quasi distaccata, nel salutarlo, augurandogli di rimettersi presto. Poi più nulla…
Un sostanziale cambiamento rispetto alle ore che avevano preceduto la missione, un atteggiamento che lui riuscì a spiegarsi solo in virtù degli avvenimenti che si erano susseguiti a venire. Entrambi avevano rischiato molto, entrambi si erano trovati ad un passo dalla morte… entrambi erano stati chiamati a riflettere sulla parola “perdita”, vedendola in modo così chiaro davanti a loro.
Lei, forse, non lo avrebbe sopportato… e lui, inevitabilmente, avrebbe capito.
 
 
 
Jack stava canticchiando un motivetto stonato, mollemente adagiata sulla sua branda, una sigaretta fra le labbra e lo sguardo che guizzava da un lato all’altro del suo piccolo rifugio, quando alcuni passi affrettati sulle scalette la ridestarono, costringendola a spegnere immediatamente la sigaretta sul pavimento. Shepard la trovò con un piede innaturalmente premuto sul pavimento metallico, mentre tentava di scacciare il fumo con una mano.
“Merda”, mormorò la biotica, mettendosi a sedere.
“Dove le tieni?”, domandò Shepard, senza l’ombra di rimprovero nei suoi occhi.
“Shepard… merda… Non succederà più, giuro”.
Al Comandante quasi venne da sorridere nel vederla così stranamente remissiva.
“Dove le tieni?”, chiese ancora una volta.
Jack imprecò fra i denti, prima di estrarre una scatoletta metallica dai pantaloni, porgendole le ultime cinque sigarette rimaste. Poi, con stupore, la vide estrarne una e portarsela fra le labbra, sorridendo leggermente.
“Ah”, fu tutto quello che riuscì a dire, prima di tirare fuori l’accendino e passarglielo.
Shepard inspirò una boccata di fumo, chiudendo gli occhi e godendosi il momento. Poi restituì il contenitore alla proprietaria, che non perse un secondo ad imitarla.
“Che succede, Shepard? Ti hanno fatto incazzare?”, le domandò poco dopo, azzardando un sorrisetto beffardo.
“Più o meno…”, rispose lei, gustandosi ogni tiro come se fosse l’ultimo.
“Ho sentito che avete fatto il culo a quello Spettro…”
Shepard annuì, mascherando l’irritazione per l’argomento appena tirato in ballo. Poi calò il silenzio, finchè entrambe non esalarono l’ultima boccata di fumo. Shepard spense la sigaretta sul pavimento, incurante, e si accomodò sulla branda di Jack, puntando lo sguardo sulla parete di fronte.
“Come fai, Jack?”, esalò. “Come fai a restare su questa nave, dopo tutto quello che Cerberus ti ha fatto?”, chiese improvvisamente.
Jack la guardò sbigottita. “Mi prendi per il culo, Shepard?”
“No, vorrei conoscere le tue motivazioni. Quelle vere”.
“Lo sai che se non fosse per te, io l’avrei già fatta saltare in aria questa nave…”
“Ti fidi del mio operato?”
“Fiducia… Bah. Ho smesso di provare fiducia tanto tempo fa… Semplicemente, non ho ancora trovato un motivo per dubitarne”.
Shepard annuì, posando lo sguardo sul pavimento.
“Perché me lo stai chiedendo?”
“Perché fino alla mia ricostruzione, Cerberus è stato un nemico anche per me”, confessò.
Jack non se la sentì di indagare, così come aveva preferito tacere sul suo passato, almeno ai primi tempi, ma Shepard la precedette.
“Se ho perso la mia squadra su Akuze, sette anni fa, è tutta colpa di Cerberus. Ci hanno usato per i loro esperimenti, ci hanno dato in pasto ai Divoratori quasi fossimo lo sterco della società… i sacrificabili”.
“Sono morti tutti?”
Shepard alzò la mano mestamente. “Non la sottoscritta”.
“Come hai fatto?”
“Non lo so… istinto di sopravvivenza?”
“Merda… non dev’essere un bel modo per morire”.
“Puoi dirlo forte, dannazione…”
Seguì un altro lungo silenzio, interrotto da sospiri occasionali, poi Jack si fece avanti.
“E tu come fai, allora?”
Shepard scosse il capo, sollevando le sopracciglia. “Cerco di convincermi che lo stiamo facendo per un bene superiore”, gesticolò. Non c’era ragione di mentirle, quella ragazza non aveva bisogno di discorsi ispirati e pressioni per gettarsi in battaglia.
“Ci credi davvero?”
“Ci crederò quando riusciremo a varcare quel maledetto portale…”
“…prima di allora, saremo di nuovo i sacrificabili”.
 
 
 
L’orologio di bordo segnava un quarto alle sei quando Shepard decise di concedersi una tazza di cioccolata, prima di rintanarsi nella sua cabina per provare a dormire. Ci sarebbero volute ancora parecchie ore di manutenzione e aveva in progetto di ricaricare le energie, in vista della prossima missione. I motori della Normandy erano spenti, un silenzio inusuale abbracciava l’intero ponte equipaggio, rotto solo occasionalmente dai rumori della quotidianità di chi era già sveglio.
Finì la sua cioccolata in santa pace e poi s’incamminò, istintivamente, verso il Supporto Vitale, prima di arrestarsi di botto davanti al portellone. Le era venuto così naturale prendere quella direzione, le era venuto così spontaneo cercarlo che quasi ne ebbe paura. Quello che aveva provato poche ore prima, nel vederlo inerme sulla nave dell’Ombra, ancora le dava i brividi. Aveva temuto il peggio, aveva sentito uno strano sentimento impossessarsi di lei, solo a considerare l’idea che…
Shepard tornò indietro, in fretta, quasi a voler cancellare i passi che l’avevano portata così spontaneamente a pochi metri da lui. Si rintanò nell’ascensore e si concesse un momento per pensare, per convincersi che la cosa giusta fosse mantenere le distanze, almeno per il momento. Nelle sue attuali condizioni, anche solo vederlo avrebbe potuto spingerla verso direzioni estreme, opposte e contrastanti, e lei non voleva macchiarsi di un’altra scelta azzardata.
Aveva riflettuto parecchio sulle parole di Liara, rassegnandosi al fatto che ormai fosse troppo tardi per sottrarsi ai suoi stessi sentimenti, ma lui… Fino a quel momento era stata lei a spingere le cose verso quella direzione, era stata lei a cercarlo, a rassicurarlo, a comprenderlo. E Thane, in un modo o nell’altro, sembrava sempre sfuggirle. Un passo avanti e due indietro. Neppure dopo la missione l’aveva cercata, preferendo rintanarsi nella sua cabina.
I discorsi che avevano fatto, le parole che si erano detti, adesso non le sembravano più così… giusti. Restava sempre il dubbio che lui avesse potuto agire in preda all’istinto, senza ponderare bene le conseguenze. Quando lei gli aveva chiesto se lui avesse davvero voluto privarsi di ciò che era nato fra di loro, lui aveva risposto con un bacio. Un bacio può essere facilmente fraintendibile, può essere dettato dal panico, dall’insicurezza, da un semplice desiderio momentaneo… Oltretutto, era stato chiaro nel dirle che non aveva assolutamente idea di come gestire quella situazione.
Ripensò alle sue stesse parole, alla sicurezza che aveva ostentato davanti a lui… davvero lei ne sarebbe stata capace, invece? Il perché si ritrovò a rifletterci proprio in quel momento, lei non riuscì a spiegarselo. Si decise a premere il quarto pulsante e tornò in cabina, sperando di svegliarsi con le idee più chiare e con meno mal di testa.
 
 
 
Non erano molti quelli che, dal momento del suo arrivo a bordo, avevano tentato di parlare con Thane andando a bussare alla sua cabina. La prima impressione che tutti avevano avuto di lui non era mutata di molto col passare del tempo. Per quanto l’iniziale senso di disagio di fronte all’assassino fosse ormai quasi totalmente scomparso, restava comunque la paura di avvicinarlo troppo, forse perché lui stesso non aveva mai fatto un passo in avanti, tranne che con Shepard. Kasumi, però, era sempre stata affascinata dal Drell. Era l’unico individuo su quella nave con cui avrebbe potuto tranquillamente discutere di libri, di arte e di tattiche d’infiltrazione. Tutti gli altri, a confronto, le sembravano goffi ciarlatani. Quando aveva sospettato ciò che inevitabilmente stava nascendo fra lui e il Comandante non era rimasta poi così sorpresa… Shepard era Shepard, il suo charme, la sua intelligenza – a parte la leggera mancanza di eleganza e grazia in campo – erano innegabili, e Thane doveva averlo notato. Così come a lei non era di certo sfuggito il suo fascino, condito da un’abbondante dose di aura misteriosa e un fisico che beh, non avrebbe lasciato indifferente nessuno, di quei tempi. Si trovò a pensare queste cose mentre rileggeva un paio di pagine a caso di Romeo e Giulietta, immaginando quale ruolo, in quest’opera, avrebbero potuto interpretare i componenti dell’equipaggio. Poi, dopo aver passato un’indefinita quantità di tempo persa nei vaneggi più assurdi, si decise a mettere il libro sotto braccio e a tentare un approccio con Thane, spinta oltretutto dall’enorme curiosità di sapere se il suo piano di qualche sera prima avesse funzionato.
 
Thane non aspettava visite, dal momento che gli unici a mantenere una sorta di rapporto con lui erano la Chakwas, Mordin e Shepard. Per la prima, aveva ormai deciso di non farsi aspettare e si presentava spontaneamente agli appuntamenti, il secondo invece non si faceva problemi a chiamarlo dalle scalette che dal suo studio scendevano direttamente sul Supporto Vitale, e Shepard… sapeva che non poteva trattarsi di lei, avrebbe riconosciuto i suoi passi tra mille. In effetti, non aveva sentito alcun rumore provenire da fuori, solo un bussare timido e delicato. Andò ad aprire frastornato e la sua meraviglia si moltiplicò nello scoprire che si trattava di Kasumi. La sua attenzione fu immediatamente catturata dal libro che portava in mano, un classico a giudicare dalla copertina.
“Thane, spero di non disturbare”, fece la ladra, elargendo un ampio sorriso da sotto il cappuccio.
“Nessun disturbo”, rispose lui, facendole cenno di entrare. “A cosa devo il piacere?”
“Oh, beh… speravo di poter contare su in interlocutore più educato di Jack e meno impacciato di Tali, stasera”, disse lei, prendendo posto sulla sedia alla scrivania. “Non fraintendermi, adoro quest’equipaggio, ci sono così tante personalità diverse”, continuò, l’aria sognante, “ma pochi riescono a soddisfare il mio bisogno di una buona chiacchierata, a meno che non decida di ripiegare su racconti di battaglie sanguinolente o discorsi filosofici al limite del comprensibile”.
Thane era perplesso. Non si aspettava un atteggiamento così aperto da un’Umana, considerando quanto Shepard, a confronto, gli fosse sembrata quasi ritrosa. “Sono lusingato che tu abbia pensato di rivolgerti a me, ma devo confessarti di essere un po’ arrugginito. Non capita molto spesso di fermarsi a parlare con qualcuno, se fai una vita come la mia”.
“Oh, non ha importanza… è un po’ come andare in bicicletta, no? Non si dimentica”, sorrise lei.
Nonostante lui non avesse la minima idea di cosa fosse una bicicletta, annuì, cambiando subito discorso. “Vedo che non sono l’unico ad apprezzare ancora un buon libro… di che si tratta?”, domandò, indicando il volume.
“Romeo e Giulietta. Una tragedia del 1600… Umana, ovviamente. L’hai mai letto?”
“No, di solito preferisco altri tipi di letture”, rispose cortesemente, “Di cosa parla?”
“Di un amore destinato a finire in tragedia”.
Nello stesso istante in cui quelle parole lasciarono le sue labbra, Kasumi sgranò gli occhi, incredula di fronte alla sua stessa stupidità. Non poteva averlo detto sul serio… e dal modo in cui l’espressione di Thane era cambiata, si rese conto di aver trovato le parole peggiori possibili.
Thane, dal canto suo, si sentì spiazzato. Amore e tragedia erano due termini che nella sua vita erano sempre andati a braccetto, prima con Irikah, ora con la prospettiva di un rapporto con Shepard. Aveva usato quelle parole volontariamente, per ottenere qualcosa da lui? E se sì, cosa?
“Voglio dire… niente di troppo realistico, è tutto molto, emh… romantico, passami il termine. A volte ti viene persino da sorridere per la sciocchezza dei due protagonisti. Diciamo che si sono scavati la fossa da soli”.
Mentre Kasumi si rendeva conto di aver, se possibile, peggiorato il tutto con quella descrizione povera e superficiale, Thane continuò a proiettare quelle parole nella sua attuale condizione. Irikah era stata una sciocca ad innamorarsi di un assassino, e Shepard sarebbe stata una sciocca ad innamorarsi di un uomo prossimo alla morte. Si stavano scavando la fossa da soli.
“Cioè, non che abbiano avuto poi molta colpa… è solo che a volte una storia è destinata ad andar male, semplicemente, nonostante gli sforzi dei protagonisti”. No, non poteva continuare a infierire in questo modo. Aveva appena espresso il desiderio di una discussione matura, tra persone intellettualmente allo stesso livello, e stava mandando tutto all’aria.
Sì, pensò Thane, probabilmente Irikah aveva pensato di poterlo cambiare totalmente, quando aveva deciso di accettarlo nella sua vita, inconsapevole del fatto che lui fosse un assassino e nient’altro. E Shepard… lei forse sperava in un miracolo che non sarebbe mai arrivato? Che senso avrebbe avuto, a questo punto, opporsi a un destino già scritto?
Restarono per un attimo in silenzio, cercando, stavolta, di trovare entrambi le parole adatte per continuare quella conversazione a dir poco destabilizzante.
“Ne è valsa almeno la pena?”, domandò Thane, tristemente.
“Io…”, Kasumi si guardò intorno, sperando di non sbagliare ancora, “tutto sommato, io credo di sì”. Aprì la pagina in cui la sua rosa faceva da segnalibro, attenta a non sgualcirla, e lesse ad alta voce: “Amore è un fumo levato col fiato dei sospiri; purgato, è fuoco scintillante negli occhi degli amanti; turbato, un mare alimentato dalle loro lacrime. Che altro è esso? Una follia discreta quanto mai, fiele che strangola e dolcezza che sana”.
Thane posò lo sguardo altrove, mentre rifletteva sul significato di quelle parole, poi Kasumi parlò di nuovo.
“Credo che una storia d’amore che si rispetti, abbia dietro il suo carico di sofferenza. Senza il buio, non potremmo apprezzare la luce”.
Thane si concesse una manciata di secondi per riflettere nuovamente, poi rispose, risoluto. “Secondo questo particolare punto di vista, bisogna assumere che le storie a lieto fine non siano degne d’essere comparate a quelle in cui la tragedia la fa da padrone?”
Kasumi si morse una guancia, intrecciando le mani. Forse, dopotutto, aveva fatto un errore ad andare da lui, quella sera. “Diciamo che non sono poi così… d’impatto, come dire”.
“Vuoi dire che è meglio un’emozione intensa e devastante, rispetto ad un’equilibrata tranquillità duratura?”
“Non sempre, certo… ma è questo che la gente cerca, no? Nessuna grande storia che rispetti, nessun romanzo degno d’essere chiamato tale termina con un lieto fine assoluto…”
Thane non riuscì proprio a frenare la lingua, a quel punto. “Se ti fosse data la possibilità di cambiare il passato… preferiresti lasciare immutate le cose, prediligendo il dolore di un amore perduto alla serenità della vita di coppia, anche se monotona?”
Ok, doveva riconoscerglielo… le stava tenendo testa. Forse si era persino trattenuto troppo a lungo, viste e considerate le sue prime, stupidissime parole.
“No, certo che no”, rispose lei, semplicemente. “E tu… tu cambieresti il tuo passato?”
“Cosa sai del mio passato?”
“Abbastanza da comprendere il tuo bisogno di isolarti dal mondo”.
“Non è così semplice. Dieci anni sono troppi… molte cose sono cambiate da allora. Io sono cambiato… chiedermi di cambiare le cose a questo punto, sarebbe come chiedere di cambiare me stesso”.
Dopo aver pronunciato quelle parole, rimase sconcertato, talmente tanto da doversi alzare, quasi gli mancasse l’aria. Cos’aveva appena detto?
“Kasumi…”, tentò di dire.
La ladra si accorse del suo cambiamento repentino e fu sorpresa quanto lui per ciò che le aveva detto. Talmente abituata a leggere il linguaggio del corpo, non le fu difficile capire quanto, in quel momento, il Drell fosse a disagio. Si alzò anche lei, sentendosi mortificata e preferì lasciarlo da solo. Si salutarono brevemente, nell’imbarazzo più totale, prima di sprofondare nelle rispettive riflessioni.
 
Non riusciva a credere di essere stata così sbadata. Possibile che fra tutti gli argomenti di cui parlare avesse dovuto scegliere quello di un amore brevemente consumato in cui gli amanti muoiono? Eppure lei avrebbe dovuto sapere che entrambi condividevano il dolore della perdita, avrebbe dovuto immaginare la reazione di Thane, nel sentirle tirar fuori quell’argomento. Era andata da lui con la speranza, sciocca e curiosa, di scoprire se le cose con Shepard stessero andando per il verso giusto e invece aveva finito per spingerlo totalmente sulla difensiva. Che errore da principiante…
Thane, dal canto suo, non riuscì ad opporsi a quel vortice di ricordi che lo travolse completamente nello stesso istante in cui Kasumi lasciò la sua cabina. L’ultimo ricordo di lei, così chiaro davanti ai suoi occhi, così intenso da spingerlo a carponi sul pavimento, lottando contro le lacrime, contro la mancanza d’aria, contro il panico. Nello stesso istante in cui riemerse dal ricordo, si rese conto di aver urlato il suo nome, disperatamente. Come aveva potuto anche solo pensare, per un attimo, che il suo presente gli andasse a genio, che quei dieci anni di tormenti fossero serviti a qualcosa? Eppure, quando aveva pronunciato quelle parole, gli era sembrato tutto così coerente… Aveva davvero sentito di non voler cambiare il proprio passato, il proprio presente. Che significato aveva tutto ciò? Perché la sua mente aveva agito come un’estranea, tradendo ciò che lui era sempre stato? Aveva davvero asserito che, avendone le possibilità, non avrebbe cambiato ciò che era stato? La morte di Irikah, l’abbandono di suo figlio, i suoi dieci anni di solitudine… Perché?
Si trascinò fino alla sua branda, sentendo il proprio corpo pesare una tonnellata, il cuore ancora in tumulto dal ricordo precedente. Aveva vissuto così a lungo nel dolore, nel rimorso e nei sensi di colpa, che non riusciva più a vedersi in nessun altro modo, se non come un portatore di morte e sofferenza. Almeno finchè non era salito sulla Normandy… da quel momento tutto era cambiato. Nuovamente, si ritrovò a prendere coscienza di quel cambiamento, rendendosi conto che forse era stato davvero troppo grande, tanto da non renderlo più padrone dei suoi stessi desideri. E, di sicuro, una buona parte di quel cambiamento era dovuta a Shepard.
Se lui fosse tornato indietro, se avesse riscritto la sua vita… non l’avrebbe mai incontrata. Si odiò per quel pensiero, profondamente, tanto da non riuscire a seppellire il bisogno istintivo di colpire il muro con un pugno, placando per un’istante la sofferenza dell’anima con un dolore sbiadito, debole, che non l’avrebbe mai punito abbastanza.
 
 
 
Sarebbero partiti alla volta di Hawking Eta fra qualche ora e Shepard iniziò a sentire le quattro mura della sua cabina troppo strette per potervi rimanere un attimo di più. Adesso che ogni rapporto era stato compilato, ogni dettaglio della missione rivisto, ogni tattica pensata e ripensata, non le restavano altro che i suoi pensieri e, al momento, non poteva aspirare ad una compagnia peggiore. Decise di scendere fino al ponte equipaggio, senza sapere bene se augurarsi di trovarci qualcuno con cui parlare o meno. Arrivò fino in sala mensa e in un attimo fu davanti al frigorifero, indecisa su cosa prendere da sgranocchiare. Non che ci fosse poi molta scelta, anzi… e niente l’appetiva poi davvero. Ripiegò per un thè, senza un motivo preciso. Non avrebbe mai accettato che lo stava facendo solo per appagare l’inconscio desiderio di sapere cosa piacesse a lui. Si issò sulle punte dei piedi per raggiungere una tazza e nello stesso istante percepì qualcosa, simile ad fruscio, dietro di lei.
“Shepard”.
La tazza le sfuggì dalle mani, ma nessun rumore di cocci rotti raggiunse le sue orecchie. Si voltò, Thane era accanto a lei, la tazza nelle sue mani. Col cuore in gola cercò di darsi un contegno, sperando di apparire meno turbata possibile, ma era ormai troppo tardi.
“Scusa, non era mia intenzione spaventarti”, le disse lui, porgendole la tazza. Lei, per qualche motivo, non la afferrò, paralizzata com’era. Poi si lasciò andare, appoggiandosi fiaccamente al bancone dietro di lei.
“Ciao”, fu l’unica parola che uscì dalle sue labbra, finchè non si decise a recuperare la tazza dalle sue mani, evitando il contatto con le sue dita. “Grazie…”
“Cercavi qualcosa?”, aggiunse poi, mentre si girava a fronteggiare il lavandino.
Che domanda stupida…
“La mia tazza”.
Shepard guardò quella che aveva fra le mani, poi si accorse che in effetti, era proprio la sua. Quella che aveva sempre visto sulla sua scrivania, poco diversa dalle altre, ma riconoscibile, di cui probabilmente si era appropriato giusto per il piacere di avere qualcosa solo per sé in un ambiente che non gli apparteneva. Socchiuse gli occhi, ingoiando la vergogna, poi si girò di nuovo verso di lui. “Diamine, che sbadata… tieni”, sorrise. Un sorriso che stirò solo le sue labbra, lasciando gli occhi inevitabilmente fermi.
“No, tienila pure…”, rispose lui, accennando un sorriso di rimando, prima di avvicinarsi a lei e prendere un’altra tazza dal pensile.
Quell’improvvisa vicinanza la fece rabbrividire, quasi fosse stata la prima volta.
“Cioccolata?”, domandò poi lui, trafficando con gli sportelli per cercare del thè. Shepard lo precedette, porgendogli la bustina che aveva per tutto quel tempo strizzato forte in una mano. Le loro mani, stavolta, si sfiorarono e i loro occhi s’incontrarono brevemente.
“Ah…”, mormorò lui, visibilmente sorpreso, e Shepard si rese conto che avrebbe potuto fraintendere tutto. La sua tazza, il suo thè…
“Stavi…”, fece per chiedere lui, ma lei bloccò la domanda sul nascere.
“No, volevo solo provare qualcosa di diverso stasera… troppa cioccolata fa male, parole della Chakwas”, si affrettò a dire. Non capì il perché di tutta quell’urgenza nel voler mettere in chiaro che in realtà non voleva andare a portargli del thè, come se ci fosse stato poi qualcosa di male…
“Capisco”, rispose lui. Nessuna emozione traspariva dal suo volto. “Tienilo allora, ne cerco dell’altro”.
“No, ci ho ripensato… mi metterò a dieta da domani”, scherzò lei.
Restarono occupati per qualche momento a preparare le rispettive bevande, cercando freneticamente qualcosa da dire per interrompere quell’imbarazzante silenzio, cercando un modo per ignorare quei momenti in cui le loro braccia si sfioravano, senza però volersene davvero privare.
“Bailey mi ha mandato un’e-mail”, esordì Shepard, ringraziando silenziosamente la sua mente per averle suggerito qualcosa di sensato da dire.
“A proposito di cosa?”
“Kolyat”.
Lui si voltò immediatamente, cercando il suo sguardo, scongiurando qualunque probabile brutta notizia. Poi si tranquillizzò… non poteva essere niente di preoccupante per volerne parlare di fronte a una tazza di thè.
“Sediamoci”, disse, facendo strada verso il tavolo. Lei lo seguì, contenta di notare che non avesse fretta di sbarazzarsi di lei. Diede un sorso alla sua cioccolata, scottandosi inevitabilmente la lingua, poi parlò.
“Mi ha chiesto se il mio drell e il suo drell si parlassero”, sorrise, “e mi ha spiegato che Kolyat se la sta cavando bene, anche se ogni tanto si lamenta delle sue mansioni”.
Thane sorrise, finalmente, un vero sorriso. “Lo immaginavo, nella sua ultima e-mail mi ha spiegato di essere stato assegnato alla raccolta rifiuti”.
“Ouch. Che sfortuna…”
“Al contrario. Avrebbe potuto trovarsi in carcere, in questo momento. E’ solo grazie a te se adesso sta scontando una pena infinitamente minore rispetto a quella che avrebbe dovuto”.
Shepard focalizzò il suo sguardo sul tavolo, incrociando le gambe. “Credo nelle seconde possibilità”, rispose semplicemente.
Thane si congelò all’istante, la mente che cercava furiosamente di presentargli un ricordo vecchio di solo qualche settimana. Non poteva, non doveva cedere, non in quel momento… ma…
 
Cosa ti piace del Viper? le chiedo, incuriosito. Occhi verdi indugiano brevemente nei miei, la seconda chance, risponde, sicura. Mi sorprende. Rifletto. Uso quel fucile da anni e mai l'ho visto come lo vede lei, adesso. So che ha ragione, ma voglio metterla alla prova, i suoi discorsi mi affascinano.
 
Nello stesso istante in cui Thane si trovò preda di quel ricordo, Shepard provò il desiderio di coprirsi il volto per le mani dall’imbarazzo. Non solo il suo, ma quello che doveva aver provato lui nel condividere con lei un ricordo… di lei. Così, senza motivo apparente. Ricordò quella discussione, ricordò quanto avesse voluto metterla alla prova, ma solo in quel momento capì di essere sempre stata lei, in realtà, a tenere le redini del discorso.
“Si, esatto”, disse lei, nel tentativo di minimizzare quello che minacciava di diventare un ostacolo insormontabile. Ostentò una sicurezza di cui non si credeva capace, ma riuscì nello scopo, notando che la sua espressione, prima pietrificata, si era rilassata leggermente.
“Scusami, Shepard, non intendevo…”
“Non c’è niente di cui scusarti”, fece lei, agitando una mano. Minimizzare, ecco tutto.
Lui restò in silenzio dopo aver annuito brevemente. E lei non aveva idea che tutto ciò che lui avrebbe voluto, in quell’istante, fosse scardinare quel tavolo che li teneva separati, annullando ogni stupida distanza fra di loro. Pensò, invece, di non averlo mai visto così profondamente freddo e distaccato, e si chiese se il motivo di ciò fosse proprio il fatto che lui si fosse pentito di ciò che c’era stato fra di loro. Non poteva essere altrimenti… non dopo un simile cambio d’atteggiamento. Lo stesso atteggiamento che, realizzò, aveva notato sulla navetta che li aveva condotti alla nave dell’Ombra. Ma mentre in quel momento si era convinta che fosse solo temporaneo, adesso si rendeva conto di quanto in realtà assomigliasse a un vero e proprio cambio di rotta permanente.
“Dunque…”, mormorò lei poco dopo, “le cose con tuo figlio vanno come speravi?”
“Ti mentirei se ti dicessi di aver avuto il tempo di crearmi delle aspettative”, rispose lui. “La prospettiva di un ricongiungimento con Kolyat non mi era mai davvero sembrata possibile, fino al momento in cui ho ricevuto quella chiamata. Non ho avuto modo di pensare a cosa avrei voluto, ho solo sentito che fermarlo fosse la cosa giusta”, concluse, poggiando i gomiti sul tavolo.
“Avresti potuto mandare qualcun altro a farlo per te… invece hai deciso di esporti in prima persona. Questo deve pur significare qualcosa”.
“E’ mio figlio, Shepard… anche se non avevo mai considerato attivamente la possibilità, ho sempre desiderato di vederlo, di parlargli di nuovo…”, disse, quasi a volersi giustificare.
“Ma hai aspettato di ricevere un segnale dall’esterno”.
“Non è facile cambiare di punto in bianco la propria vita dopo tanto tempo”.
“Vuoi dirlo a me? Immagina di svegliarti da un giorno all’altro e scoprire di essere solo, completamente solo, in una Galassia che si è dimenticata di te”.
Thane alzò lo sguardo, fissandola intensamente, e lei capì, in quell’istante, di aver detto una scemenza di enormi dimensioni.
“Non ho bisogno di immaginarlo”, affermò.
Shepard prese a torcersi le mani, maledicendosi intensamente per l’improprio utilizzo del suo vocabolario.
“Non sei solo”, gli disse infine, senza trovare il coraggio di guardarlo. Ma quella frase, singolarmente, non riuscì a reggerla, talmente la fece sentire esposta e vulnerabile. “Adesso hai tuo figlio”.
E l’ultima affermazione di Shepard non riuscì a consolare lui, anzi, se possibile contribuì solo ad ingigantire il caos nella sua mente. A dispetto dell’iniziale rifiuto nel voler intraprendere una simile discussione, decise di lasciarsi andare, sperando, forse scioccamente, che lei in qualche modo l’avrebbe compreso.
“Sono felice di averlo aiutato, di avergli impedito di commettere un errore fatale, di aver potuto fare la differenza in un momento così delicato della sua vita… ma mi domando se le mie azioni non siano state dettate solo dall’egoismo. Come hai detto tu, avrei potuto delegare qualcun altro per fermarlo, ma l’idea di rivederlo… Come avrei potuto sottrarmi a un incontro con lui dopo tutti questi anni? Eppure ormai è troppo tardi, la mia vita è troppo corrotta per poter anche solo sperare di ricevere da lui un affetto che comunque non meriterei affatto. La mia presenza nella sua vita, adesso, non farà altro che ricordargli la morte. Quella di sua madre e la mia”.
Shepard restò inebetita di fronte a quella confessione, davanti alla sua disarmante sincerità. Avrebbe voluto allungare una mano sul tavolo e stringerla intorno alla sua, dicendogli che gli sarebbe stata accanto, comunque sarebbero andate le cose… ma qualcosa simile alla paura e all’orgoglio insieme glielo impedì categoricamente.
“La tua presenza servirà a ricordargli che tutti meritano una seconda possibilità, che il cambiamento è possibile, che dagli errori si può imparare e che l’affetto di un padre non cessa di esistere con la lontananza. Un giorno, e su questo non ho dubbi, capirà cosa ti ha spinto ad agire nel modo in cui hai agito e si sentirà orgoglioso di avere un padre che si è privato della gioia di veder crescere il proprio unico figlio solo perché aveva intenzione di proteggerlo. Il tuo non è stato egoismo, tutto il contrario”, disse, credendo davvero in ogni singola parola.
“Ti ringrazio, Shepard, ma non è così facile. La tua è una visione troppo razionale delle cose, dimentichi che di mezzo ci sono sempre i sentimenti, e cancellare l’odio e il rancore verso una persona non è una cosa che si fa dall’oggi al domani. Non che io pretenda questo, ma mi chiedo se abbia fatto davvero la cosa giusta a pretendere di entrare a forza in una vita che ormai non mi comprendeva più”.
“E tu dimentichi che un rapporto non è mai a senso unico. Gli hai mai domandato se avesse preferito starti alla larga o fosse contento, anche in minima parte, di averti rivisto? Sta in questo la tua presunzione… credere che tu sia l’unico a comprendere le meccaniche di un rapporto, l’unico ad avere il diritto poter decidere per conto degli altri. Tuo figlio ha… tuo figlio deve avere una voce in capitolo e tu devi permettergli di esprimersi, prima di giungere alle tue personali conclusioni”.
L’aveva appena rimproverato? E poi perché quel discorso risultava così incredibilmente personale? Shepard diede un lungo sospiro, reclinandosi all’indietro sulla sedia, le braccia conserte. Si rese conto di essersi appena liberata di un peso, di avergli indirettamente comunicato il suo punto di vista non solo sulla relazione fra lui e suo figlio, ma anche sulla loro. Ed ebbe paura di quello che poteva essere il responso, tanto che sentì l’ansia impadronirsi di lei con la velocità della luce.
Thane, inaspettatamente si alzò, lasciandola ancora più perplessa, se possibile. Per un attimo sperò anche che lui superasse finalmente quell’odioso ostacolo che li divideva, raggiungendola, stringendola fra le sue braccia… ma lui si allontanò dal tavolo, senza darle il minimo segnale che ciò potesse essere vagamente possibile. 
“Mi hai dato molto su cui riflettere, Shepard. Ti ringrazio”, le disse, invece. “Se non ti dispiace…”
“No, vai pure… stavo giusto andando…”. Non riuscì a finire quella frase, che era già scomparso. “…a letto”.



 

Un enorme grazie a chi è arrivato fin qua, a chi trova sempre il tempo per farmi sapere cosa pensa di questa storia, a chi c'è anche solo come una presenza silenziosa. Grazie davvero.
   
 
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