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Autore: Lys3    29/09/2013    1 recensioni
Come sono arrivati Cato e Clove a rappresentare il Distretto 2? E cosa è accaduto loro nell'Arena? Questa è la storia di due ragazzi che volevano rendere fiero il proprio Distretto, due ragazzi che pensavano di vincere i 74esimi Hunger Games.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Cato, Clove, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 18 – La solitudine
 
Il mio cuore batteva all’impazzata, le mie gambe scattavano verso la metà e i miei occhi cercavano disperatamente Clove.
Quando arrivai nella radura la vidi, a terra, vicino la Cornucopia. Dall’altro lato Thresh stava ritornando nel campo in cui si nascondeva dall’inizio dei Giochi. Corsi verso di lei urlando come un disperato. Notai subito l’ammaccatura irregolare sulla sua tempia e poco più in là vidi il sasso che avevano utilizzato per farle del male.
Era stesa a terra, gli occhi sbarrati e privi di lucidità, la bocca socchiusa. Poggiai la lancia a terra e presi delicatamente il suo capo, poggiandolo sulle mie ginocchia. “Clove! Clove, rispondimi! Ti prego, non andare via. Ti prego, resta con me!”
Iniziai a tremare tutto, senza volerlo. Respirava ancora flebilmente, ma mi era ben chiaro che non aveva possibilità di sopravvivere.

Urlai. Forte, con tutto il fiato che avevo. Con tutta la rabbia che conoscevo.
Era mia, lei era solo mia e adesso me l’avevano portata via. Non ci sarebbe stato più un futuro per noi due e nemmeno un ritorno a casa. Avevo promesso di proteggerla e non ci ero riuscito.
Iniziai a piangere senza ritegno, senza onore. Non mi importava più di mantenere l’autocontrollo o di mostrarmi forte davanti agli altri, non mi importava più di niente.

L’unica cosa che nella mia vita aveva portato vera gioia era lei e adesso stava morendo tra le mie braccia. La strinsi forte, come per fare in modo che quel poco di vita che le rimaneva non scivolasse via dal suo corpo, ma poco dopo un colpo di cannone mi fece capire che se n’era andata per sempre.
Continuando a piangere la feci stendere per terra e le controllai il respiro, il battito. Niente.
Eppure non volevo arrendermi, non volevo accettare questa fine. Controllai ancora, diverse volte. “Clove…” singhiozzai d’un tratto.
Lei, ancora distesa, immobile, mi guardava con occhi vuoti. Glieli chiusi delicatamente e poi le baciai la fronte.
Dovevo lasciarla andare, allontanarmi affinché un hovercraft la portasse via, ma non ci riuscivo. Rimasi per un bel po’ accanto a lei, accarezzandola, intrecciando le mie dita nei suoi capelli e bagnando i suoi abiti con le mie lacrime.

Quando mi decisi a lasciare andare le sciolsi i capelli, coprendo la sua ferita mortale. La baciai ancora e mi allontanai, guardando l’hovercraft portarla via.
Non appena il mio amore scomparve via nel cielo, sentii come un pugno nello stomaco. Ripresi a urlare e piangere, dando calci e pugni contro gli alberi e conficcando con la lancia qualunque pianta mi capitasse sotto tiro.
Dal mio Distretto sicuramente stavano pensando che fossi uno smidollato, ma non m’importava.
Al diavolo tutto! Non smetterò di piangere perché loro dicono che non devo farlo e non smetterò di urlare, anche se gli altri Tributi dovessero trovarmi.
Non mi riconoscevo più. Non la smettevo di piangere, di urlare e di pensare a lei.
Che ne sarebbe stato di me? La risposta mi arrivò quella sera, quando, mentre ero seduto da solo vicino al fuoco, arrivò un piccolo paracadute argentato con un solo pezzo di pane.
Da casa non provavano più a farmi vincere, nemmeno ci speravano. Non ero più uno dei possibili vincitori, ma fin quando sarei rimasto in quella stupida Arena, avrei fatto di tutto per vendicare Clove.

Quella notte fu la più brutta. Mi svegliavo continuamente, in preda agli incubi, e riaddormentarmi era difficile: circondato dal nulla mi sentivo solo più che mai.
Tutti mi avevano abbandonato; nessuno più avrebbe combattuto al mio fianco.

Pensai a Clove, a quanto fosse bella. Ai suoi sorrisi, alle sue lacrime. A quanto fosse forte e debole allo stesso tempo. Era la ragazza migliore del mondo, e queste cose non dovrebbero succedere alle belle persone, no?

Pensai ai suoi genitori, privati delle loro figlie da uno stupido programma televisivo. Capivo adesso il loro dolore, il dolore della perdita, e sperai che almeno loro riuscissero a comprendere quanto quella ragazza contava per me.

Pensai ai miei fratelli: al piccolo Mat sicuramente da questo momento non faranno vedere la televisione, ma poco importa perché andrà da qualche amico a farlo, giusto in tempo per vedere la mia sconfitta; Arnold, invece, da ora fino alla fine rimarrà sicuramente chiuso in camera sua, senza parlare.

Pensai a mia madre. Sicuramente starà litigando con mio padre, accusandolo di avermi invogliato troppo a partecipare a questo gioco. E poi si chiuderà in camera, pregando affinché io mi salvi, anche se le probabilità non sono più in mio favore.

Pensai a mio padre, il quale rimarrà fino alla fine dei Giochi chiuso in casa. Ma non per il dolore, non per la consapevolezza che a suo figlio aspetta la morte, ma per la vergogna. Voleva che vincessi, ha fatto di tutto affinché fosse possibile. E io l’ho deluso. Ma non m’importava, lui e quegli stupidi di Capitol City potevano dire e pensare quello che volevano, perché avevo capito la verità.

Gli Hunger Games non rappresentavano la possibilità di farci arricchire e diventare famosi, come ci inducevano a pensare, ma solo un modo per toglierci di mezzo più facilmente.
Tutti lo sapevano, ma nessuno voleva ammetterlo. Nessuno nel mio Distretto sarebbe stato così umile da confessare che c’era qualcuno di più potente che ci manovrava a suo piacere. Troppo orgoglio.

Ormai però non aveva più importanza. Ormai niente era fondamentale. Da ora in poi avrei giocato solo per vendicare la mia Clove, il resto non aveva importanza.
Il mio pensiero fisso era lei, in tutto il suo splendore e negli ultimi attimi della sua sofferenza. Doveva esistere per forza dopo questo mondo un altro, più bello, dove andavano le persone come lei, dove nessuno più le farà del male.

La notte trascorse così, delirando e pensando a tutto e a tutti. Al mattino iniziò a piovere, una pioggia fitta che impediva di vedere oltre i cinque metri di distanza.
Presi la mia lancia e mi incamminai verso il campo, cercando la mia vendetta. Sentivo ancora il cuore a pezzi, un nodo alla gola e una fitta allo stomaco, ma dovevo andare. Dovevo uccidere subito Thresh per evitare che fosse qualcun altro a farlo.
Era stato sicuramente lui a ucciderla. La ragazza del 5 era già andata via, Katniss non aveva abbastanza forza e di Peeta non c’era traccia. Era stato lui, me lo sentivo. Lui con la sua forza bruta me l’aveva portata via.

Ed ora pagherà per quello che ha fatto. Il giorno del giudizio, per Thresh, il ragazzo grande e grosso del Distretto 11, era arrivato.


Buongiorno a tutti! Scusate per il ritardo ma sono stata molto impegnata! Forse è un po' breve, ma è il meglio che ho potuto fare dato il poco tempo a disposizione. Fatemi sapere cosa ne pensate. A presto ^^

 
  
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