Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: queerzay    29/09/2013    1 recensioni
Alice è persa.
Louis è solo.
Alice è triste.
Louis anche.
Alice non parla.
Louis sì.
Alice è un numero.
Louis è un numero primo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
louis 4 Capitolo 3


Alice

Cadere.
Stai cadendo Alice.
Guardi i tuoi nuovi compagni di classe e cadi.
Precipitare.
Se solo ci fosse stato un modo per esprimere ciò che sentiva, quello era la parola precipitare.
Cadere.
Senza il terreno sotto i piedi.
Alice avanzò lentamente tra lo stretto corriodoio che separava le file di banchi scarabocchiati e occupati da ragazzi e ragazze sconosciuti.
Non devi guardarli, Alice.
Non guardarli.
Alice lasciò cadere lo zaino nero sul banco e si accasciò sulla sedia, poi guardò fuori dalla finestra.
Un palazzo le impediva di vedere il cielo.
Lo spazio tra il davanzale dell'edificio scolastico e quello della struttura al di là del vetro era minimo.
Un metro, un metro e mezzo forse.
La ragazza riportò l'attenzione sul professore di matematica, che in quel momento stava provando a riprendere la lezione dal punto in cui si era interrotto.
Pensieri tristi vagavano nella testa di Alice, quando il compagno di banco che aveva ignorato fino a quel momento le sfiorò il gomito con il braccio.
Lei sobbalzò e si voltò di scatto, gli occhi smarriti, e il ragazzo si affrettò a scusarsi.
Alice non disse niente, perché non aveva voglia di parlare con nessuno.
O semplicemente perché lei non parlava con nessuno.
La mattinata passò velocemente, e arrivarono presto le due del pomeriggio.
Ecco l'inferno.
Dai, Alice.
Solo altri sette mesi e potrai lasciare qusto posto.
Con lo zaino che le pendeva dall'esile spalla, Alice gettò all'indietro la testa e guardò l'alto edificio in mattoni grigi.
Le ricordava tanto uno dei palazzi che erano nella location di Sweeney Todd*.
Sbuffò e suonò il campanello malmesso. Quel palazzo era talmente vecchio e decrepito che probabilmente con il primo temporale si sarebbe allagato.
Alice s'immaginava già la scena: lei e Rhebecca intente a piazzare secchielli e cestini dappertutto nei punti in cui l'acqua sarebbe entrata.
Non era proprio ciò che poteva essere definita una gran prospettiva.
Passarono due minuti buoni prima che qualcuno aprisse finalmente il cancello semi-arrugginito.
La ragazza lo spinse con decisione ed entrò nell'ampio cortile pieno di erbacce a piccoli passi.
Raggiunse a fatica il portone in legno e posà le mani sui battenti in ferro.
Alice non aveva mai visto un edificio più antico ed inquientante dell'istituto.
Solo a guardarlo le veniva ogni volta la pelle d'oca, e il pensiero che ci avrebbe passato i mesi successivi non era per niente incoraggiante.
L'istituto sembrava una casa dell'orrore in cui la solita ragazza innocente veniva uccisa.
Coraggio Alice, entra.
Freddo.
Era quello che sentiva Alice ogni volta che entrava all'istituto.
Un enorme, atroce, incontenibile freddo.
La voce di Johannah la accolse non appena varcò la soglia di "casa" e si liberò del giubbotto di jeans.
"Alice, stavamo giusto parlando di te!" la donna la raggiunse nel buio corridoio e Alice si affrettò a riafferrare da per terra lo zaino e a darsi un contegno.
La ragazza provò a nascondere una smorfia scocciata, senza rispondere.
Johannah continuava a parlare a proposito di questo e di quello, con fare indaffarato.
Era una donna di mezz'età, alta e non troppo magra, i capelli chiari e piuttosto lunghi, sfilacciati.
Non era una di quelle donne che ti lasciavano a bocca aperta, era solo una normale donna, solo una normale direttrice di un normale istituto.
Si lisciò la gonna scura già liscia, e strinse al petto una cartelletta verde chiaro sorridendomi calorosamente.
Era quel tipo di sorriso finto, che le persone rivolgevano più per abitudine che perché avessero davvero piacere di vederti.
Alice sorrise a sua volta, debolmente, e gettò un'occhiata ai moduli che teneva tra le braccia la donna.
E la terra ci inghiottì,
e ci vomitò,
e così tu sei caduto,
caduto fuori dal tempo.
Alice pensava a quelle parole, che le tornavano alla memoria in ordine sbaglaito, pezzi di puzzle che tra loro non coincidevano.
Era così, la terra la inghiottiva, e la vomitava.
In continuazione.
La inghiottiva sottraendole ogni volta una maggiore porzione di felicità e la vomitava sempre più triste.
Triste, sola e senza voce.
E Alice urlava, ma nessuno la sentiva.
Urlava mentre Johannah le sorrideva, urlava mentre Johannah poggiava la certellina sul tavolo e ne estraeva i fogli, urlava quando Johannah la guardava.
Ma urlava in silenzio.
Silenzio rumoroso.
Rumore silenzioso.
Non sapeva quale fosse l'esatta definizione, ma era così: urlava.
E nessno sentiva.
"Ho pensato di spostarti al secondo piano, Alice. Per te è okay? In questo modo sarai in stanza con Rhebecca" disse Johannah, gli occhi abbassati sui fogli.
Alice annuì e aspettò che la direttrice le desse il numero della stanza.
19.
La ragazza salì le scale con lentezza ed entrò nella stanza senza nemmeno bussare, buttandosi sul primo letto che le capitò di trovare.
La stanza era piccola e carica di umidità, quattro letti erano addossati contro il muro, due dei quali facevano parte di un letto a castello traballante.
Alice non era sicura che qualcuno potesse dormirci, passarci praticamente la metà del tempo in un letto così.
La cosa la intristì molto.
Alice aveva una strana relazione con i letti, quasi come quella che aveva con le parole.
Il cuscino doveva essere alto o non riusciva ad addormentarsi, e il meterasso doveva avere le doghe in legno sotto, non la rete.
E soprattutto doveva essere un materasso piuttosto duro.
Il modo in cui invece il corpo di Alice formava una conca nel materasso del lettino suggeriva alla ragazza che lì i materassi erano spessi poco più di cinque centimetri e consumati dal tempo.
Non c'erano doghe, ma solo reti di ferro grigio e triste, linee che si intrecciavano contortamente sotto i suoi occhi.
Si arrampicò sul letto a castello e testò uno ad uno i materassi, decidendo poi di stabilirsi nel letto a castello, sotto.
Appoggiò il suo zaino sul materasso inconsistente e uscì dalla stanza per spostare i suoi effetti personali nella nuova camera.
Quando tornò, la borsa caricata in spalla, un ragazzo era seduto alla scrivania e le dava le spalle, le cuffie ad archetto bianche che lo isolavano dal mondo esterno.
La ragazza lo ignorò deliberatamente e appoggiò le sue cose sul proprio letto, poi vi si lasciò cadere sopra, con un sospiro.
A quel punto il ragazzo parve accorgersi della sua presenza, perché sobbalzò e si alzò di scatto dalla sedia su cui stava seduto.
"Ciao!" esclamò, un sorriso ampio sul volto spigoloso, ma allo stesso tempo dolce.
"Io sono Liam, tu devi essere la ragazza nuova, vero? Quella che è arrivata ieri sera" snocciolò velocemente, così velocemente che Alice faceva quasi fatica a stargli dietro.
Si limitò ad annuire, mentre il ragazzo "Quanti anni hai?" chiedeva.
Ad Alice non era mai piaciuto parlare, con nessuno.
Preferiva starsene in silenzio, per i fatti suoi, ad ascoltare, osservare ed assorbire i comportamenti delle altre persone.
Liam si grattò la testa, forse leggermente in imbarazzo.
"Sei tu la ragazza che non parla, vero? Johannah mi aveva detto qualcosa di simile" disse infine, srotolando i fili delle cuffie e rimettendosi seduto.
Alice annuì una seconda volta.
"Beh, io sono qui, quindi se hai bisogno di qualcosa basta che mh... mi scrivi qualcosa su un foglietto?"
La testa di Alice si mosse nuovamente su e giù e Liam annuì, tornando a guardare il computer e dedicandosi al suo videogioco.
E Alice passò il pomeriggio così, con la costante paura di cadere nonostante il letto sbilenco su cui si trovava.
Con la costante sensazione di stare affondando, lentamente, nelle sabbie mobili.
Affondava lentamente, prima i piedi, poi le gambe, il busto, le braccia, le spalle.
Affondi, Alice.
Nel fango.


Louis

Sei settimane.
Erano passate sei settimane da quando Louis aveva visto per la prima volta la ragazza mora sull'autobus.
Quel martedì mattina era l'ennesima volta che prendevano l'autobus alla stessa ora e Louis non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
Erano così, lei la calamita e lui il ferro, l'uno attratto, l'altra no.
Tristi gli amori non corrisposti, tristi quasi come l'inverno senza la neve e l'estate senza il sole.
Tristi come le cioccolate calde senza la panna, i libri con le pagine strappate e le mani senza gli anelli.
E così erano gli amori non corrisposti, come una giornata ventosa e confusa, su un molo deserto e freddo.
Soli nell'universo, mentre nessuno si accorgeva di loro, lasciati in disparte perché così miseri in confronto agli amori corrisposti.
Così soli eppure così numerosi, così rari eppure così frequenti.
La metà delle persone soffriva di quella malattia.
Amore non corrisposto.
Louis non era mai stato un tipo sentimentale, era abituato a prendere in giro Zayn e la sua cotta per Rhebecca.
Era abituato ad amare solo se stesso e Zayn.
Zayn era il suo uno, forse.
Alice il suo zero.
E così tentava di convincersi che lo zero non era importante, che non serviva a niente.
Se sommato, non cambiava il risulatato.
Se sottratto nemmeno.
Se moltiplicato, annullava tutto.
Se diviso dava zero.
Lo zero era la sua costante.
Alice era la sua costante.







                                                                                                            -

Hey.
Eccomi qui, scusate per il ritardo.
Come alcune di voi avranno letto nell'altra storia, non ho passato un gran bel periodo.
Però adesso è passata, credo.
Ho avuto un po' di problemi vari in famiglia, ma si è risolto tutto.
E mi è tornata la voglia di scrivere.
Il mio amico che aveva la leucemia è guarito, e devo dire che è principalmente per questo che mi è tornata la voglia.
Spero solo che non abbia ricadute o cose del genere.
In ogni caso, ho intenzione di dedicargli questa storia.
Tra tutte quelle che sto scrivendo è la più seria, e voglio che sia per lui.
Non credo di averlo mai detto di avere mai parlato di lui negli spazi autrice, non volevo farvi pena o cose del genere, ma adesso che è tutto a posto mi prendo la libertà di dedicargliela apertamente.
Come al solito è un capitolo breve, ma devono essere così.
Scusate per gli errori,scrivo sempre dal portatile e non ho word (devo pagare per istallarlo :/ )
So, vado a scrivere il capitolo uno di 'until the end starts', se avete voglia passate, però è una larry.
Spero che vi piaccia, perché ci ho messo più impegno del solito, specialmente per la parte di Alice.
Louis è sempre facile da scrivere, non so perché.
Un bacio, e grazie a Faithfully_ e Cherryblossomgirl9, small leaf e Never Stop Dreaming che hanno recensito gli scorsi capitoli.
Grazie anche alle lettrici silenziose, vi amo tutte.
:) xx
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: queerzay