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Autore: Dani85    30/09/2013    4 recensioni
“Questa è la vita! / Un oscillare eterno / Fra paradiso e inferno / Che non s'accheta più.”
(Dualismo - Arrigo Boito)
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Questa è la vita di Remus Lupin, tra inferno e paradiso, dall'inizio alla fine.
Raccolta di istanti, pensieri e sensazioni; attimi per raccontare carezze e schiaffi di una vita intera, orribile e meravigliosa tutt'insieme.
[Famiglia Lupin | Malandrini | Remus/Dora]
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Dalla storia:
#1. Oltre la finestra, la notte continuava a stingere e la stanza cominciò a rischiararsi di bagliori azzurrati: l'alba del 10 marzo si apriva sul sonno dell'ultimo arrivato in casa Lupin.
#3. Era Greyback e sarebbe stata la fine del mondo.
#4. Cinque, come gli anni di Remus. Cinque, come i desideri di Lyall.
#6. Tutto tornò improvvisamente triste, come nella casa di prima e in quella prima ancora.
#7. «Remus sta per compiere undici anni e a settembre sarà a Hogwarts», Silente si strinse nelle spalle come se quello bastasse a spiegare tutto.
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Storia Incompleta
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hope Howell, I Malandrini, Lyall Lupin, Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Ciao =) Quarta shot e il registro resta cupo (e credo che resterà di questo tenore anche per almeno un altro paio di storie). Ovviamente è una cosa voluta visto che sto trattando l'argomento dell'attacco di Remus. Qui siamo al suo quinto compleanno, a circa tre settimane dall'attacco di Greyback e a una manciata di giorni dalla sua prima Luna Piena. Come al solito, nessuna pretesa XD
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J.K. Rowling; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in HP, appartengono solo a me.
Note: Infanzia di Remus – Citazione iniziale da “Coefere” di Eschilo

 
Questa è la vita
Cinque

Cinque

Nessun mortale trascorrerà mai
vita incolume da pene.

[Coefore - Eschilo]

Cinque, come i baci della mamma quella mattina.
Cinque, come le volte in cui papà gli aveva tirato un orecchio – piano piano, con la delicatezza di una carezza.
Cinque, come le candeline sulla torta.
Cinque, come le ditina della mano su cui le aveva contate.
Cinque, come i suoi anni.
Remus agitò pigramente la manina, le sue cinque piccole e perfette ditina che ricordavano al mondo che quello era il suo compleanno, che per contare gli anni ormai gli serviva tutta la mano, che stava diventando un ometto. Un ometto che sapeva stringere i denti e non lamentarsi – o giusto un po', solo quando proprio non ce la faceva più. Perché le bende tiravano e prudevano e il fianco destro gli faceva male quando si muoveva. E qualcosa gli diceva che quel dolore era troppo per un bambino come lui, troppo per chiunque, troppo per essere vero. Ma c'era, lì sotto la maglietta calda del pigiama, a mangiarselo vivo, solo un po' meno forte di quella notte, a tenergli incollato l'incubo addosso. Come se non dovesse mai finire.
Remus piegò un braccio sul tavolo e ci appoggiò sopra il viso, il fianco che protestava sotto il pigiama, sotto le bende, sotto gli unguenti che bruciavano. Inghiottì faticosamente il dolore, col respiro trattenuto che diventava un pugno di spilli da qualche parte tra il suo petto e lo stomaco. E Remus avrebbe voluto piangere e urlare e strapparsi le bende e l'intero fianco, ma non lo fece. Chiuse solamente gli occhi per scacciare le lacrime e ci strofinò sopra il dorso della mano e poi, semplicemente, sperò che la mamma non se ne accorgesse. Avrebbe pianto anche lei altrimenti e, ai suoi occhi di bambino, sembrava una cosa assurda e sbagliata, perché le mamme non piangevano mai, loro che dovevano consolare e asciugare sempre altre lacrime. E invece, Hope, la sua mamma, piangeva da giorni. Sembrava schiacciata anche lei dal mostro che aveva attaccato lui e sembrava piangesse il suo stesso dolore e la sua stessa paura, qualcosa più grande di loro, scivolato per sempre nella loro vita e nel loro sangue, come un veleno.
Remus tirò involontariamente su con il naso e le spalle della mamma, affaccendata sul lavello pieno di piatti, si irrigidirono all'istante. Fu qualcosa di impercettibile, qualcosa di appena visibile nella curva della schiena e nella testa che si alzava, e Remus seppe che il suo tentativo di passare inosservato era fallito. Forse, adesso che era diventato grande – dopotutto, cinque anni erano davvero tanti – lo avrebbe imparato sì, insomma, a non farsi notare, come gli aveva detto papà. E Remus non aveva capito proprio tutto tutto di quello che aveva detto il padre ma quello, cioè che da adesso in poi avrebbero dovuto fare in modo di attirare meno attenzioni possibile, lo aveva capito. Aveva a che fare con la Luna Piena e i Lupi Mannari e qualcosa che sarebbe durato per sempre. E per sempre era un tempo lunghissimo e spaventoso. Sospirò piano contro il braccio piegato che gli faceva da cuscino e fece correre le dita lungo le venature del legno del tavolo, fingendo che fossero uno strano animaletto che voleva conquistare il mondo. O la sua torta di compleanno, che era un po' la stessa cosa grande com'era.
Hope, che aveva azzardato un'occhiata di sfuggita al suo bambino, lasciò cadere le spalle. Le abbandonò come se quel piccolo movimento, quella manina a mo' di giocattolo, fosse stata una rassicurazione, la prova che Remus era ancora lì, piccolo e tranquillo e concreto. Come prima, eppure in un modo nuovo. Con i movimenti più accorti del suo piccolo corpicino, con i sensi che si acuivano e lo frastornavano, con gli incubi che gli galleggiavano negli occhi e la vivacità, l'innocenza e l'inconsapevolezza accartocciate senza pietà dal mostro. E non era giusto.
Hope lo urlò nella sua testa, con la rabbia che le attanagliava la gola e le mani che strizzavano crudelmente la spugnetta, come se al suo posto ci fosse il collo di Greyback e lei stesse facendo giustizia.  Peccato che fosse solo una stupida spugnetta e che Greyback fosse chissà dove, a ridere di loro, a godersi il dramma in cui li aveva sprofondati, magari a rimpiangere sulla lingua il sangue del suo bambino.
Hope si piegò su se stessa, il sapore della bile in bocca, e si sforzò di calmarsi facendo respiri profondi. Quando si sentì sufficientemente sotto controllo, coi conati ributtati giù a forza insieme all'orrore di quei pensieri, si tirò su, asciugò le mani e iniziò a cercare qualcosa in un cassetto.
«Mamma ha deciso di smontarlo quel cassetto, eh?»
La voce di Lyall suonò ilare ma si sentiva lontano un miglio quanto fosse finto quel divertimento, troppo forzato e costruito. Remus sorrise lo stesso, perché la mamma con la testa ficcata quasi nel cassetto in fondo era divertente. Con l'attenzione tutta nuova che papà sembrava aver trovato in quei giorni poi, si sentì tirare indietro con la sedia e sollevare da sotto le ginocchia e le braccia. Come preso in braccio, si ritrovò seduto su Lyall, il fianco che lo fece mugugnare lamentoso.
«Scusa, amore!» mormorò l'uomo, la bocca tra i capelli chiari del figlio e le spalle curve di chi chiede perdono per tutti i mali del mondo. E il mondo – tutto il suo mondo – si appoggiò contro di lui tirando il fiato, le gambe che dondolavano contro le sue cosce e le mani piccole e morbide che si misuravano con le sue grandi e magre e che sapevano di perdono ed erano assoluzione.
«Oh, trovate!» esultò Hope, voltandosi verso di loro e chiudendo il cassetto con un colpo di anca. Agitò qualcosa ben nascosto tra le mani giunte e Remus ridacchiò. Lyall si chiese se quel perdono di gesti inconsapevoli, di risate e manine e sorrisi, sarebbe sopravvissuto alla verità di quel morso, al racconto della realtà e delle sue colpe. Ci sperò con tu se stesso, mentre abbozzava un sorriso per la moglie e la osservava avvicinarsi al tavolo.
«Ho qualcosa per te, Remus! Vediamo se lo trovi!» bisbigliò Hope con tono accattivante, sedendosi di sbieco sul tavolo e tendendo i pugni chiusi al figlio. Il bambino si schiacciò appena contro il padre, una mano contro le labbra e il loro sorriso, a studiare i pugni della mamma. Il destro si era mosso? Remus rise e lo batté con decisione e ridacchiò ancora più forte della faccia oltraggiata della mamma, incredula che avesse indovinato al primo colpo.
Lyall sentì scoppiargli nelle orecchie le urla e i pianti di quei giorni, così diversi dalle risate di quel momento, così profondamente ingiusti, così dannatamente dolorosi. La risata gorgogliante di Remus fu come l'ossigeno dopo l'apnea e i brutti ricordi diventarono un ronzio strisciante, mentre Hope e la sua mano tesa attiravano la sua attenzione. Cinque piccole candeline, azzurrissime e a torciglioni, troneggiavano sul palmo aperto della sua mano e lei le fece saltellare piano, come fossero una cosa importantissima. Remus seguì con grande attenzione la mamma, mentre lei le appoggiava sulla torta, una ad una, e le faceva sprofondare leggermente sulla montagna di panna che la ricopriva. Quasi ipnotizzato, un attimo dopo, si ritrovò a fissare il fiammifero che si infuocava tra le dita affusolate di Hope, tradizione tutta loro quel modo babbano di accendere le candeline, la bacchetta e gli incantesimi di papà che non servivano.
Quando cinque piccole fiammelle brillarono di giallo e arancio sulla torta, Hope la spinse un po' di più verso il bordo del tavolo, così da avvicinarla a Remus. Il piccolo si districò lentamente dal braccio di Lyall e si raddrizzò, gli occhi che vagavano dalla torta alla mamma.
«Esprimi un desiderio, amore mio!» esclamò Hope, con dolcezza, e sembrò una tremenda presa in giro. E avrebbe voluto rimangiarsele quelle parole ma cosa altro avrebbe potuto dire? Cosa altro c'era da poter dire per dare almeno un pizzico di normalità a quel giorno? Del compleanno che aveva pensato per il suo bambino non restavano che una torta, delle candeline e il fuoco fatuo di un desiderio da esprimere. Tutto il resto lo aveva distrutto il lupo.
Remus perlustrò la cucina con gli occhi, come se stesse decidendo per cosa doveva sprecare il suo desiderio. Magari poteva chiedere di avere un festa – piccola, minuscola anche – come gli altri anni, con i bambini del vicinato e i giochi in giardino. Gli erano piaciute le altre feste, con tanta gente e un sacco di rumore. Quella invece era così tranquilla e strana e un po' triste. Papà gli accarezzò i capelli sulla nuca e lui si ricordò un'altra cosa che aveva detto, insieme al non attirare attenzioni. “Forse non sarà più il caso che tu  giochi con gli altri bambini, nessuno deve sapere di questo” e questo era il Lupo Mannaro che lo aveva morso e il Lupo Mannaro che lui era diventato e quel desiderio diventò inutile, fatica sprecata. Remus sospirò e si mosse insofferente e si ricordò del fianco che continuava a tormentarlo sotto il pigiama e sotto le bende. E allora desiderò che quel dolore finisse. Si sporse verso la torta e gonfiò le guance.
Lyall, sotto il suo confortevole peso, chiuse gli occhi e desiderò con lui.
Desiderò che quel dolore finisse.
Desiderò che fossero abbastanza forti per superare la prima Luna Piena che cresceva sotto la pelle pallida del suo bambino.
Desiderò che Remus fosse abbastanza forte per affrontare tutto quello per tutta la vita.
Desiderò che qualcuno gli desse la possibilità di tornare indietro nel tempo e rimediare a tutto.
Desiderò che ci fosse una speranza e una cura da qualche parte.
Remus soffiò e le cinque fiammelle crepitarono appena prima di spegnersi.
Cinque, come le candeline sulla torta.
Cinque, come gli anni di Remus.
Cinque, come i desideri di Lyall.
  
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