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Autore: Marra Superwholocked    30/09/2013    4 recensioni
"Io ero letteralmente spiaccicata al muro, con gli occhi serrati e la bocca che lo imploravano di mettere giù quel coso dalla luce verde.
Poi quell'aggeggio finì di far rumore e potei finalmente riaprire gli occhi.
E fu lì che conobbi il Dottore."
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Companion - Altro, Doctor - 10, Nuovo personaggio, TARDIS
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6

Qualcosa, in soffitta, si muove
(Parte 1)

 

Cercai di tenermi ben ancorata alle sbarre intorno al centro della torre, ma finii per terra e rotolai fino a raggiungere la porta. Non c'è bisogno, dunque, di descrivere l'espressione del Dottore alla vista di una ventottenne che cerca di mettersi in piedi dopo tutto quel trambusto.
“Bene!” soffocò una risata. “Siamo...arrivati!”
Il Dottore aprì lentamente le porte e si fece da parte per farmi passare.
Aspettai per anni, con ansia, il momento in cui avrei assaporatto con gli occhi quella meraviglia. Le mani mi tremavano, e ancora non ero uscita dal Tardis! La maggior parte di chi c'è stato dice che è solo un deserto rosso con un fiume sporco che lo attraversa. Non hanno del tutto torto, ma, probabilmente, lo descrivono così solo perchè non sono rimasti affascinati dalla bellezza di quel posto come lo ero rimasta io.
I colori dell'alba che riempivano l'aria e rimbalzavano sulle poche nuvole a bassa quota e sulle ali delle aquile che facevano il loro primo volo mattutino; la luce che si propagava minuto dopo minuto e a cui piaceva fare giochi di luce ed ombra con le rocce; la temperatura tiepida del vento che accarezzava la mia pelle; il profumo di libertà davanti ai miei occhi.
Feci qualche passo in avanti e mi guardai i piedi; strofinai le scarpe sulla terra arida e mi venne da sorridere.
Mi girai verso il Dottore, che per tutto il tempo era rimasto appoggiato al Tardis.
“Grazie”, fu l'unica parola che riuscii a dire.
Lui mi rispose con un sorriso sghembo.
Poi il sole trionfò, alto in cielo. Cominciò a far caldo e, a malincuore, decisi che era ora di ripartire: ora che ero rilassata, niente avrebbe potuto spaventarmi.
O almeno così credevo.

Tornammo nel Tardis, ma prima di chiudere le porte mi soffermai qualche istante per ammirare quel rosso vivo ed ipnotizzante.
“Allora? Non vieni?” chiese il Dottore, già pronto alla partenza.
Chiusi le porte e mi assicurai ad una sbarra prima di dare l'OK.
“Dove andiamo, adesso?” chiesi, mentre i soliti scossoni provocati dal viaggio ci sballottavano di qua e di là.
“Andiamo...dove...c'è bisogno...di noi!” sembrava affaticato ma, naturalmente, era arzillo come al solito.
Un ultimo sussulto e - così mi piace dire - atterrammo.
“Dove e quando siamo?”
“Burbank, 1956”.
“E perchè siamo qui?”
“Tranquilla: lo scopriremo tra poco”.
“Come fai ad esserne così sicuro?”
“Perchè ogni volta che esco da qui, nel giro di pochi minuti, succede sempre qualcosa”.
Poi, ignorando la mia espressione preoccupata, andò verso le porte e le aprì con cautela; si sporse solo con la testa e guardò prima a sinistra e poi a destra; uscì del tutto (io ero ancora attaccata alla sbarra), si mise le mani sui fianchi e inarcò la schiena.
“Oh..” disse.
Andai verso di lui e gli chiesi perchè mai fosse tanto triste.
“Tutto tranquillo!” rispose.
“Meglio, no?”
“Mhm..”
“No?” ripetei, nella speranza di ricevere una risposta affermativa.
“N'ah!” rispose dopo qualche istante.
Il Dottore sa metterti sempre a tuo agio.
“Perché no? È tutto tranquillo! Niente mostri, niente gnomi e niente alieni” incrociai le dita e aggiunsi scherzando “Be'.. Niente alieni, tranne te!”
“Non ne sarei tanto sicura. È tutto troppo tranquillo..”
Mi arresi e chiusi le porte del Tardis.
“Cosa intendi fare, perlustrare ogni villa nella speranza di trovare un letto killer che risucchia ragazzini intenti ad ascoltare musica?”
“Che? Certo che no, Elly!” chiuse a chiave il Tardis e si girò verso di me. “Farò così!” e tirò fuori dal cappotto quella specie di penna luminosa. “Questo si chiama cacciavite sonico, ma non ti spiego come funziona perché sarebbe troppo complicato per te”.
“V-va bene. O-ok” dissi perplessa.
Il Dottore si allontanò leggermente da me, tanto da permettermi di guardarmi attorno.
Eravamo in una via per nulla trafficata; lungo entrambi i due marciapiedi c'era una fila di alberi con foglie color rame che oscillavano col vento. Le villette, candide come la neve, avevano giardini ben curati e siepi ben potate. Qua e là, nei vialetti, vi erano parcheggiate biciclette o macchine di vari colori pastello. Io ero emozionatissima nel vedere un quartiere tipicamente americano; il Dottore sembrava anch'egli molto emozionato. Ma non dal quartiere, bensì dal cacciavite sonico che, evidentemente, gli segnalava che da qualche parte c'era qualcosa che non andava per il verso giusto: seguii il Dottore che si avviò verso una villa a due piani e ben tenuta.
Nessuno poteva certamente dire che lì dentro, più precisamente in soffitta, si nascondevano creature dagli occhi grandi come palle da tennis...

   
 
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