Eternamente
(para siempre)
Si nasce con metà del proprio
destino già scritto.
E non da noi.
Fonte: dal Web.
Fuentesauco vantava una certa storia nella guerra civile
spagnola, si dicesse fosse patria di valorosi condottieri sebbene il mondo
l’avesse lasciata indietro nell cammino per la
civiltà.
A Fuentesauco
la gente si divideva in due categorie ben distinte; i signori fattori e i contadini
poveri in canna.
E come ogni anno, a marcare la
discrepanza fra l’una e l’altra categoria,
accadeva la festa d’estate in cui si omaggiava la mietitura del grano,
che mai come in luglio era stata così ricca e prospera.
La mietitura era capeggiata
ovviamente dalla famiglia di Javier; il ragazzo era un puro Sauco
di nascita -le sue origini risalivano ai primi insediati
civili nel lontano milleduecento- tanto da avvalersi, nella radice del cognome,
del nome con cui veniva chiamato anticamente il posto:
La terra non era mai stata
aspra, catene montuose e corsi d’acqua la cullavano intorno; i contadini
che si spaccavano le mani lo sapevano bene, come un elisir magico che si
dicesse albergasse in quella brulla distesa.
La famiglia di Morena, fra
queste; il padre, Lucio Soler, lavorava su un fazzoletto minuscolo di terra a
ridosso del fiume, appartenente all’altra famiglia ricca del posto, i Roquez. Sfortunatamente come per Javier, entrambe le
famiglie ricche avevano generato solo figli maschi e i loro pargoli d’oro
raggiunta giusta età andavano a cercar moglie
con dote lontano, lasciando amministrare la fortuna ai pezzenti.
Era una ruota che girava
senza fine ma che garantiva la sopravvivenza ai ricchi e soprattutto ai poveri.
«Terra.. terra.. niente altro che terra!»
Morena era al fiume insieme
al suo Javier, dopo la fine di una giornata dura.
I loro ritmi era molto diversi, lo sapevano entrambi, quando il sole
sorgeva lei era nei campi a piegare la schiena sulle spighe,
lui nelle sale sconfinate della sua tenuta ad istruirsi di storia e geografia
piuttosto che scienze mediche.
Anche le loro vite subivano le
discrepanze delle loro condizioni sociali.
«Perché ti arrabbi tanto? Si lava via..»
«Guarda le mie unghie Javier! Non sembrano neanche unghie di donna! La
odio tutta questa terra..»
Giurò di sentirla piangere fra
le imprecazioni e le andò vicino, le girò il viso con forza
costringendola a guardarlo e si incupì;
piangeva eccome. «Ti aiuto io, vieni qua.»
Morena era cambiata tanto
nell’ultimo mese da quando.. beh da quando
avevano fatto l’amore -al solo pensiero stava male per quanto era stato
intenso e speciale- era diventata scostante, irrequieta e piangeva spesso.
Se avesse sommato gli anni in cui erano
stati amici, poteva asserire che non aveva pianto mai tanto
come ora.
Erano stati amici, già. Per lui era straziante.
Adesso ne era innamorato e vederla contorcersi nei suoi pensieri loschi, le
provocava un turbamento interiore che gli causava fitte di dolore.
«Devi passare la raschietta per
obliquo, così..» Con i suoi polpastrelli
stretti delicatamente fra le mani le mostrò
come fare, lei sorrise debolmente guardandolo addolorata. Ne era innamorata
persa e sapeva che più tempo passava e più sarebbe stato peggio
dirgli addio.
Certi giorni erano così,
semplicemente ci pensava.
Altri giorni invece il tempo passava
fra risate e giochi, il lavoro duro certo e poi fare l’amore ovunque
capitasse.
Erano diventati parecchio bravi a dirla
tutta, ma per Javier sembrava non essere mai abbastanza.
Come in quel momento, che le
baciò le dita una ad una con leggera malizia.
«Visto?Adesso sei pulita..» La cinse per i fianchi premendosela addosso.
«Javier lasciami stare!» La
ragazza si divincolò, facendolo ruzzolare all’indietro
nell’acqua.
«Ma si
può sapere cosa hai?» Riemerse sputando acqua dalla bocca.
«Sono stanca! Stanca, possibile tu non lo capisca?»
Il ragazzo si rimise in piedi
fissandola immobile; era bello, irresistibile, con i muscoli del petto teso
sotto la canottiera bianca e la fila di peli che spuntava come una freccia a
indicare la via per il paradiso. «Bastava che lo dicessi.»
Si passò
le mani sul viso scostando la massa di capelli fradici, per arrancare verso
riva.
Aveva il viso mesto.
Morena si morse il
labbro pentita.
«Non posso, non
è che non voglio.»
Ma lui non rispose, perciò gli corse dietro e gli si parò
davanti bloccandolo per un braccio.
«Dai non fare il bambino adesso! Ho detto che non posso Javier..»
«Non puoi?» La
guardò accigliato e perplesso.
«Sveglia! Non sei tanto furbo per essere uno che studierà in
un’accademia illustre.»
Javier allargò gli occhi
intuendo finalmente il problema. «Non è un po’ tardi per
mettersi a fare la puritana adesso?»
La ragazza gli mollò un pugno. «Sei disgustoso! Sei.. sei un
pervertito, ecco cosa sei!»
«Pervertito?» Rispose
disgustato. «Morena conosco il tuo corpo da
quando siamo ragazzini, abbiamo condiviso tutto, te ne sei dimenticata?
Mangiavamo la terra che tu tanto odi insieme, ci siamo scambiati gli umori, i
sapori, la nostra pelle ha persino lo stesso odore..
cosa c’è di così sconvolgente se ti voglio così
tanto?»
Si morse il labbro, dopotutto non aveva
tutti i torti. Ma era testarda, testarda e indomita.
«Dove era la tua voglia fino a
ieri,
Javier la guardò con gli occhi
ombrati dalla delusione. «Sei stupida e insensibile.
Non capirai mai quanto io ti ami.»
Si mise la sacca del raccolto in spalla
e si incamminò verso la strada di ritorno per
casa.
Morena non disse una parola.
Dal fiume a casa della ragazza
–se la baracca in legno e paglia poteva
dichiararsi tale- la strada era una stretta viuzza dissestata che sfiorava l’antica
foresta di querce ai margini del paese. Questo particolare aveva fatto
sì che il distaccamento di baracche esistenti si avvalesse del nome
“Vecchia quercia”.
Sull’atrio trovarono don Lucio
intento a spaccar legna per l’inverno; si separarono sempre in silenzio,
Morena sfilò sul retro della casa e Javier svuotò la sacca sotto
l’occhio vigile dell’uomo.
«Allora Javier, tutto pronto per
la partenza?»
Lucio Soler non era un uomo cattivo.
Più che altro un uomo disperato.
Donna Marta se ne era andata dopo una
devastante forma di tifo che l’aveva stroncata in meno di due settimane,
quando Morena era poco più che una bambina, e si era risposato
con Elvira Morales la giovane figlia di un fattore
medio che pur di togliersi una bocca da sfamare dalla sua numerosa progenie
– sette figli fra femmine e maschi in totale- l’aveva svenduta al
primo offerente.
Lucio non cercava moglie, Marta era
sempre stata l’amore della sua vita, quella che si diceva una coppia
solida, ma la generosa dote della gentil signorina e il caldo focolare di una donna
in casa lo avevano convinto ad abbandonare il nero e ridarsi ad
una nuova vita.
Sfortunatamente Elvira Morales era quanto di peggio Dio
creò sotto spoglie di donna e negli anni si era rivelata affatto
affettuosa o accogliente ma al contrario, era una creatura dispotica, anaffettiva e soprattutto arcigna.
L’unico slancio d’amore di
cui era stata capace era di dargli un’altra figlia, Stella, una
bellissima bambina dai capelli scuri come il caffè e la pelle chiara di
luna che lui amava profondamente come amava Morena.
Viveva per le sue figlie
anche se non era esattamente il padre esemplare per loro, si svegliava e
andava a letto pensando come donargli una vita dignitosa al di sopra dello
stento e della sopravvivenza, e ci riusciva in qualche modo mescolando sudore e
fatica nei campi, ma il vizio della bottiglia, nelle giornate nere di pece, lo
facevano rantolare in un baratro che neanche un sorriso di quelle stesse figlie
riusciva a schiarire.
«Sì signore. Sono in attesa dell’ultimo richiamo dal rettore,
poi sarò ufficialmente un soldato della nazione.»
«Ben fatto ragazzo!»
L’uomo sorrise vibrando una pacca sulla sua spalla. «Ti lascerà andare?» Indicò la casa alle sue
spalle guardandolo attentamente negli occhi. «Tu
mi piaci Javier, mi sei sempre piaciuto. Ma lei non
sarà molto felice quando verrà il momento. Ed io sono suo padre,
non voglio vederla soffrire.»
Il ragazzo annuì, facendosi
forza. «Sebbene può sembrar difficile da
credere signor Soler, io intendo onorare sua figlia, quando sarà il
momento e con il suo permesso.»
«Quindi
la sposerai?» L’uomo abbassò l’ascia, facendola
volteggiare per il manico; Javier annuì compito.
«E rinuncerai a te stesso per averla? Don Estefan e donna Guadalupe non saranno molto contenti.»
«Non rinuncerò a nulla, signore. Quando sarò un soldato disporrò di abbastanza denaro per offrirle
tutto me stesso in ogni caso. Finito gli studi lei..
potrebbe trasferirsi a Madrid, con il suo permesso ovviamente.»
L’uomo si strofinò i
baffi, perplesso. «E’ un impegno a lungo
termine, ragazzo.»
«Mi piacciono gli impegni. Ciò che mi spaventa è sapere se
anche lei è d’accordo.» Rise guardando alle imposte serrate della casa;
Lucio sorrise a sua volta, sospirando.
«Mi ricorda tanto la sua adorata
madre, testarda come un mulo!» Sorrise e l’ombra dell’uomo
che era stato, balenò nei suoi occhi; ma scacciò via in fretta i
fantasmi ed afferrò di nuovo l’ascia a
due mani guardandolo. «Cosa posso augurarti
figliolo, se non di avere abbastanza fegato per onorare le tue promesse.»
Vibrò ancora un’altra
pacca e ridendo si congedò, trascinandosi dietro il raccolto fortunato
della giornata.
Ce la farò,
io la amo.
Guardò ancora a quella casa e al
silenzio della sua dichiarazione.
“Accidenti.. devi amarmi anche tu Morena!”
“Ragazzino sfrontato! Mi ama.. cosa ne sa
lui dell’amore se fino a ieri ci rotolavamo nel fango chiamandoci
fratelli?Lo odio!”
Le foglie del granoturco cadevano in
terra una ad una in un lamento disperato.
Morena era una furia, sfilava le mani
frenetiche inveendo contro Javier.
Ce l’aveva con lui e non sapeva nemmeno il perché. Lo odiava e basta.
Odiava la sua famiglia.
Odia il suo futuro così lontano
da lei.
E.. odiava,
odiava amarlo.
«Santi numi, eccola che frigna!» Donna Elvira uscì dal retro con una
cesta di panni freschi di bucato; Morena si asciugò in fretta gli occhi
guardandola con occhi ferini. «Vieni qui e dammi
una mano, lascia stare il grano ne abbiamo a sufficienza per oggi. Come ieri e
l’altro ieri ancora.. sempre la stessa solfa Dios mio.»
«Che c’è?» Si
alzò strafottente pulendosi svelta le mani sul grembiule. «Mio padre ti fa fare una vita indegna garantendoti un
pasto tutti i giorni? Ricorda, il tuo ti ha venduta
per molto meno.» Sputò a terra e fece per rientrare in casa ma
Elvira urlò con quanto più fiato avesse in corpo.
«Morena Soler, dove credi di andare? Fermati e chiedi scusa!»
Don Lucio allertato dalle urla della
moglie le raggiunse, imprecando; afferrò al volo la ragazza passatagli
accanto come una furia guardandola interrogativo. «Morena, nina mia, ancora
liti?»
«Lasciami andare papà, lasciami andare!»
«Che c’è, cosa
è successo?»
«Tua moglie ci disprezza.»
L’uomo guardò Elvira che a
sua volta scosse il capo agitata, mettendosi a sistemare le lenzuola pulite
lungo il filo di corda per non guardarlo in viso. «Tua figlia è
uscita fuori di senno! E come il contrario.. mi hanno detto che ha aperto le gambe a
Don Lucio non si fece intimidire dal
muro di bucato, lo oltrepassò e la schiaffeggiò malamente; la
donna gemette raggomitolata su se stessa mettendosi poi a frignare.
A grandi passi si portò verso la
figlia e l’afferrò per il braccio.
«Morena..»
C’era rassegnazione nella sua voce e dispiacere,
rabbia, gelosia forse.
«Papà..»
Il flebile alito di fiato che uscì dalle sue labbra confermò ogni
singola parola.
«Che cosa hai fatto!» Si
passò furioso le mani fra i capelli. «Chi ti vorrà adesso?! Chi Ti vorrà?!» In
preda ad un raptus schiaffeggiò anche lei, più forte e più
cattivo. Aveva perso il controllo, sentiva il corpo attraversato da mille
schegge. Tremante, si portò in casa svuotando i cassetti e scaraventando
qualsiasi cosa trovasse a tiro.
Aveva bisogno di bere. Aveva disperato
bisogno di bere.
«Papà..»
Morena lo raggiunse prostrandosi ai suoi piedi, il viso bagnato di lacrime e in
ogni lacrima la verità che urlava al mondo la
sola cosa possibile. «Io voglio lui! Voglio solo
lui!»
L’uomo non rispose, il vino tinto
gli serrò la gola e annebbiò la vista; dopo una bottiglia, i
lamenti strazianti della figlia e minuti interminabili, sentenziò il suo
verdetto.
«Credevo che il tuo Javier fosse
un uomo d’onore.» Gettò la
bottiglia in un angolo che andò a schiantarsi in mille pezzi. «Non lo vedrai mai più chiaro? Dio
m’è testimone, anche se ti dovessi legare in casa, tu non vedrai
mai più Javier Garcia
La musica era stonata e i canti
distorti dalle troppe bottiglie di vino tinto.
Le quaglie succulenti giravano sugli arrosti fendendo l’aria con un profumo invitante e
le ceste di grano in bella vista rendevano allegri persino i morti; la gente
ballava e mangiava e si accoppiava dietro i fienili e questo si poteva dir far
festa a Fuentesauco.
Javier si guardava intorno cercandola;
c’erano proprio tutti, i Ramirez,
allevatori, con le due figlie Guendalina e Georgina due galline dalle uova
d’oro con più soldi che sale in zucca, i Portos, arrabattai, che
vivevano di espedienti con il loro unico figlio, Milo, un ragazzino talmente
deformato e con una capigliatura così diversa da quella del padre e
della madre da sembrare un cucciolo bastardo, don Pedro, il parroco
dell’unica chiesa del paese più ubriaco lui che i tenutari delle
vigne sulle colline fuori città e infine sulle panche più
defilate, Alfredo Roquez e sua moglie Francisca -pallida per colpa di una misteriosa malattia del
sangue che la stava rendendo anemica e allo stremo delle forze- mano nella
mano, da provocare nel ragazzo un moto di pena per l’uomo; Carlos Pena,
medico e chirurgo di Fuentesauco, aveva sentenziato ancora
solo qualche mese di vita per la donna.
Morena non c’era.
I Soler non avevano mai perso una
mietitura, Javier si accigliò preoccupato e prese la via per casa della
ragazza.
Se era arrabbiata o peggio se era con
qualcun altro si sarebbe scontrata contro tutta la sua
forza, non poteva più sopportare che fosse così volubile e
lunatica con lui.
La casa era buia, come pure la sua
stanza.
Lo stomaco gli si attorcigliò,
girò guardingo sul retro finché non udì un tonfo secco;
una macchia scura e agile era saltata fuori dalla finestra. E appena lo aveva
visto aveva urlato.
«Dios mio Javier, mi hai spaventata!»
Morena si rialzò, sistemandosi il vestito. «Non dovresti essere
alla festa a far volteggiare le due fesse Ramirez, come vuole tua madre?»
Il ragazzo sbuffò prendendola a
se senza riguardo. «L’unica ragazza che voglio
far volteggiare sei tu.» Era teso lo percepiva, quindi si sciolse un
po’, non valeva la pena tenere il punto per qualcosa che neanche ella stessa capiva. «Andiamo?
Ho preso la bicicletta faremo prima.»
Seduta davanti a lui poteva sentire
l’eco basso della sua felicità; Javier teneva saldo il manubrio ma
le baciava i capelli, sorpassava una curva e le sussurrava quanto la amasse,
questo per interminabili minuti che sembrarono ore, tanto che quando scese non
riuscì a tener salde le gambe a terra.
«Vieni!» Corsero a
nascondersi dietro una stalla e presero a ballare stretti, Javier la fece
volteggiare proprio come aveva promesso. «Voglio fare l’amore.»
Morena si stese sulla paglia ebbra di vino, di gioia, concitata, lui la
guardò teneramente prima di suggellare le sue labbra con un bacio.
«Credevo non potessi.»
«Posso fare tutto quello che voglio, Javier. Persino prenderti in giro..» Lo guardò con un finto sguardo da bambina,
lasciandosi andare poi in una risata. «Sei buffo!»
Spianò con il dito la ruga sulla fronte del ragazzo che la guardava
accigliato.
«Quando la smetterai di prenderti
gioco di me?»
«Oh, questo non cambierà mai. Noi siamo fatti così, Javier.»
«Non mi interessa
come siamo fatti, io sono innamorato di te Morena e pretendo, ansi no esigo,
che tu mi tratti con rispetto!» Si alzò con il busto, guardando
dritto davanti a se, il respiro irregolare.
Morena lo imitò, allacciandogli
le braccia al petto da dietro. «Anche io ti amo
Javier.» E sospirò.
Il ragazzo girò la testa verso
di lei, gli occhi adesso scintillanti. «Mi ami?»
«Certo che ti amo. Ma questo amore fa male,
perché tu te ne andrai.»
Javier voltandosi la baciò,
carezzandole la schiena dolcemente. «Ho detto a tuo padre che ti
sposerò quando tornerò.»
La ragazza ghignò. «Lui
vuole castrarti invece.»
«Non capisco..
sembrava fosse d’accordo.» Si alzò adesso veramente adirato,
prese a camminare avanti e indietro cercando di mettere insieme i pezzi.
«Calmati..»
Morena si alzò per guardarlo meglio. «Non sarebbe di certo la
prima famiglia che abbiamo contro.»
«Ma tu proprio non vuoi capire? Non mi interessa
chi o cosa dovremmo affrontare, io voglio stare con te! Ma
anche tu devi crederci Morena! Devi credere in noi, non sono niente senza il
tuo appoggio.»
«Credere in noi sì.. sai cosa faranno di me quando te ne andrai? Mi faranno a
pezzi! Tu pensi che io sia l’elemento più forte della catena ma
non è così! Tu sarai a Madrid per tre anni, tu studierai e
diventerai un alto grado di gendarmeria, tu sarai colto e istruito.. io resterò sempre la contadina con le mani sporche
di terra. E’ questo che vorrai davvero fra tre anni?»
La prese per le spalle e la
scrollò. «Io voglio te. Voglio te!»
«Adesso sì mi vuoi, ma fra
tre anni quando assaggerai il vero sapore della vita lontano da questo posto..»
«Non puoi sapere cosa vorrò io fra tre anni. Parliamo piuttosto di
te, mi aspetterai?»
«Non si tratta di me e non si tratta di te Javier. Si tratta di quello
che vogliono loro, capisci? Non permetteranno mai un unione
fra di noi.» Lo aveva sempre saputo. Lo aveva letto negli occhi di sua
madre, Guadalupe Garcia, quegli infimi occhietti scuri che la squadravano da
capo a piedi tutte le volte che si incrociavano;
l’avrebbe schiacciata come si fa con gli scarafaggi o le formiche e
avrebbe goduto nel farlo. Si rattristò. «Siamo
diversi. Troppo diversi.»
Javier si era fatto via-via sempre
più cupo e silenzioso.
Erano diversi sì, ma lo erano
sempre stati! Eppure questo non gli permetteva di non amarla, volerla nella sua
vita.
Perché lei non riusciva a vedere
al di là di Fuentesauco,
di sua madre, di suo padre, della loro patetica vita e non si immaginava in un
futuro roseo insieme a lui?
La guardò, il volto perfetto
anche nella drammaticità, i tratti scolpiti, come scolpite le sofferenze
che aveva dovuto attraversare nella sua ancora giovane
vita.
Aveva perso sua madre. E anche se non
fisicamente, aveva perso anche suo padre.
Non sapeva nulla dell’amore, o
quasi nulla, perché due delle persone più importanti della sua
vita erano state impossibilitate a spiegarglielo, insegnarglielo,
dimostrarglielo.
Semplice.
Morena non sapeva amare perché
nessuno l’aveva amata.
«Dove vai?»
Si era lanciato verso la bicicletta con
un solo obbiettivo in testa; prenderla con sé,
portarla via da quel mare piatto di emozioni e farla innamorare della vita.
Spiegarle come era facile, con carezze che le avrebbe
distribuito la sera prima di andare a dormire e baci tutto il giorno a fargli
sentire che lui c’era. Era con lei. E l’amava.
«Voglio parlare con tuo padre. Verrai a Madrid con me!»
Ma la ragazza lo tirò giù, calciando via la bicicletta. «Non dire stupidaggini! Non verrò
a Madrid con te Javier!» Tremava e tirava pugni sul suo petto, indomita. «Non c’è nessun futuro per noi.
C’è solo il presente, arrenditi! Arrenditi e amami. Amami Javier!»
E mentre il suo cervello gli imponeva
di risponderle lei si era già buttata sulle sue labbra in quel modo
così prepotente che gli faceva pulsare forte le vene del collo, i
polmoni nella cassa toracica e il cuore, al suo posto, già suo.
Le abbassò le braccia già
stanche di quella lotta e corrispose al bacio tirandola giù verso terra.
Si rivestirono in fretta e con la stessa
fretta Javier montò in sella offrendo la sua mano per aiutarla a salire.
«Sei estenuante
mio amor!» Affondò il naso fra i suoi lunghi capelli,
ridendo.
«Solo perché non posso
darti ciò di cui hai bisogno.» Era
stranamente arrendevole e docile mentre parlava appoggiata al suo petto e con
le mani si teneva forte alla canna della bicicletta. «Solo
perché sono una Soler.»
«Una Soler è tutto
ciò di cui ho bisogno.» Sospirò,
aumentando la velocità per sparire fra i boschi.
Quando arrivarono a Vecchia Quercia c’era trambusto e fiaccole accese.
Qualcuno indicandoli urlò alla
volta delle persone stipate dinnanzi la baracca di
Morena.
«Dios mio, sei qui!»
Donna Guadalupe si portò una
mano al petto guardando con occhi di fuoco il figlio; Lucio Soler, dal suo
canto, irato e certamente più pragmatico, brandì il fuoco dalle
sue mani sparando un colpo con il fucile che teneva stretto a se, colpendo
perfettamente il raggio della ruota della bicicletta nel suo centro.
«Papà che ti prende! Sei impazzito?!»
I due ragazzi si gettarono in terra,
per poi abbracciarsi forte.
Donna Guadalupe e suo marito Estefan per un attimo dimenticarono il loro amato figlio
inveendo senza mezzi termini alla volta di Lucio. «E’
pazzo! E’ uscito fuori di senno!» La donna gesticolava verso la gente
intorno cercando nei loro sguardi spaventati la conferma delle sue parole. «Potevi
ammazzarmelo!»
«Posso ancora provare su di te,
donna!» La spintonò, raggiungendo a
grandi passi spediti i due ragazzi ancora abbracciati. «Toglile le mani
di dosso Javier, non sto scherzando.»
Donna Guadalupe guardò con
orrore la canna del fucile protesa al volto del suo amato primogenito e
urlò disperata.
«Fa quello che dice! E’ un pazzo ubriacone figlio mio!»
Per tutta risposta Soler sparò
un colpo sul terreno, proprio vicino alle gambe di Javier, che nel tirarsi
indietro slegò Morena dal suo abbraccio. «Il prossimo te lo pianto
nelle palle se non te ne vai.»
L’uomo tirò a se la
giovane, strattonandola verso casa.
«No! Lasciala stare!» Javier per nulla
spaventato si gettò sulle sue spalle ma quello gli rifilò una
gomitata sul labbro, spaccandoglielo; si tastò la bocca, assaporando il
sapore ferroso del sangue.
Morena urlò con quanto
più fiato avesse nei polmoni.
«Lasciami! Non voglio venire con te! Lasciami!» Si girò
disperata verso Javier, che a sua volta venne portato
via dai suoi genitori e caricato sull’auto ultramoderna, che mal si
accostava al degrado tutto intorno.
«Morena!»
La chiamava, la chiamava
disperato.
Ma quell’urlo cessò, scemò come la rabbia dalle sue
membra per far posto alla disperazione e alla più totale sconfitta.
Quella, fu l’ultima volta che lo
vide.
Il mattino seguente con l’anima
tormentata e infelice, tornava dai campi con le sementi per la nuova coltura, si imbatté in don Roquez,
il fattore e signore del campo presso il quale lei e la sua famiglia
lavoravano, riscosse la paga e si intrattenne con la signora Roquez, sempre più emaciata.
Aveva fretta di correre al fiume e
abbracciare Javier. Non desiderava altro.
Nessuno sarebbe riuscito a tenerli
divisi, ne era certa. Il tempo era prezioso e dopo la notte insonne a divagare
la mente su i pensieri più assurdi, aveva disperatamente bisogno di un
abbraccio dell’uomo che amava.
«C’entra per caso qualche
ragazzo in questo visino corrucciato?»
Francisca Roquez era una visione ultraterrena.
Una donna di una bellezza così
eterea, addolcita da maniere gentili e un animo buono; don Alfredo
l’aveva avuta in sposa che era poco più di una bambina, anni
addietro, da un ricco signore di un paese vicino. Con lei si era comportata
sempre più come una buona amica premurosa, piuttosto che come signora
fattrice, provava grande tristezza nel vederla spegnersi mano
a mano che i giorni passavano. I due non avevano avuto figli, chi sosteneva per via del sangue tormentato dalla funesta
malattia di Francisca, chi sparlasse invece di una
poca virilità del marito, fatto sta che i terreni di loro
proprietà venivano curati ormai da anni dalla famiglia Soler a gran
giovamento delle loro finanze.
Don Roquez
era quella che si dicesse una persona rispettabile.
Modi da uomo del sud –era nato a
Malaga- forte temperamento ma con una gran indole da
lavoratore.
Morena non aveva idea di quanti anni
avesse. Era molto affascinante, questo sì.
Da piccola credeva di esserne innamorata;
tutte le mattine era solerte fare lunghe cavalcate e
quando lo vedeva arrivare in sella del suo destriero, agitando i mossi capelli
bruni al vento, lo immaginava il principe delle favole che sua madre le
sospirava nell’orecchio prima di andare a dormire.
Dei mossi capelli bruni oggi restava
una chioma spruzzata d’argento, ma la sua bellezza era immutata.
«Oh donna Francisca, perdonate. Sono piuttosto
distratta, dicevate?»
La donna sorrise, coprendosi la bocca ad un improvviso attacco di tosse. Morena si chinò su
di lei, sulla sedia a rotelle che
il marito teneva stretta, ma ella la bloccò. «Lascia, passa quasi
subito.» La ragazza annuì, cercando conforto negli occhi lucidi di
don Alfredo. «Dicevo, hai proprio il viso di chi è innamorato.»
Arrossì, sorridendo. L’uomo
sopra di loro rispose riempiendo il silenzio.
«Non la tormentare mia cara,
Morena ha già il suo bel da fare con questa storia.»
La guardò e quello sguardo severo la diceva lunga sulle chiacchiere
circolate nella sola notte appena trascorsa.
Arrossì violentemente,
chiudendosi nelle spalle. «Mi dispiace causarvi tanto fastidio don
Alfredo..»
L’uomo si accigliò
turbato. «Oh no! Non volevo dire questo..» Mosse un passo incerto verso la ragazza, forse per
aiutarla a tirarsi su o consolarla, ma si ritirò quasi subito. «Mia
moglie adora le storie da romanzo.»
La ragazza sospirò. «E chi
non le adora don Roquez!» Rise un po’
più leggera. «In questo paese ci si annoia a morte.»
L’uomo alzò le spalle
compiacente. «Ma allora me lo dite chi è
il fortunato o conviene farmi una passeggiata fino alle locande?» Donna Francisca batté annoiata un piede, Morena rise
sospirando fra i denti.
«Javier Garcia La Fuente.»
«Garcia..
il figlio di Guadalupe Garcia?»
«Proprio lui, signora.»
Gli occhi della donna si adombrarono,
Morena guardò ad Alfredo che inspirò impacciato. «S’è fatto tardi, giovane ragazza. Saluta
i tuoi genitori e digli pure che gli manderò le nuove sementi non appena
la diligenza tornerà a Fuentesauco.»
L’uomo spinse via la carrozzella
speronandola come se avesse nominato un fantasma.
L’anima di Morena si contorse
nelle viscere, lasciandola sola e spaventata a morte.
Sapeva benissimo che Guadalupe Garcia
non era di certo adorata da tutti, arcigna donna dispotica quale fosse, ma
provocare persino fughe al suo solo nominare.. beh
questo le sembrava un po’ troppo.
Come un presentimento nefasto, Morena
sentì la necessita di gettarsi in corsa oltre
le colline e per il fiume, dove il suo cuore bramava di trovare Javier.
Al fiume trovò solo un orda di bambini che giocavano a tirarsi il fango.
Si sciacquò
in fretta mani e viso e sempre correndo raggiunse Villa Ortensia, la tenuta
secolare appartenete a Javier; da tempo immemore la tenuta si stagliava, oltre
un viale di una lunga cascata di salici piangenti dalle lunghe fronde che
accarezzavano il terreno, conferendo al posto una teatralità degna di
altri tempi.
I nonni e i bisnonni prima di loro
l’avevano issata da un cumulo di macerie che si raccontasse fosse la
roccaforte di avi lontani, quando Fuentesauco era meno
di niente; le mani e la modernità dei successori l’avevano resa la deliziosa e imponente tenuta in stile
neoclassico che oggi appariva.
Prima che potesse avvicinarsi
all’alta cancellata di nero ferro battuto, fu fermata da uno stuolo di inservienti che andavano e rivenivano dalla casa al
giardino; c’era fermento e caos, si sforzò di restare lucida ma
quella che le si prospettava dinanzi non era una visione felice. Vide passare
mobili e vettovaglie di ogni genere, bauli dalle maniglie d’oro e tutto fu caricato su una grossa auto moderna; tremò, aveva
paura di quei mostri striscianti.
«Signorina Soler, cosa ci fate
qui?!»
Una giovane ragazza dalla pelle
d’ebano, la redarguì agitata dalla sua presenza.
«Lui..
lui dov’è, Karim?»
«Oh..»
la ragazza sempre più agitata la portò fuori dalla visuale della
villa, dietro gli alberi del viale. «Voi non
dovreste essere qui! Se donna Garcia vi vedesse.. oh mi dolor! Ve ne dovete
andare subito signorina Soler, subito!»
Morena urlò e quella si
passò le mani agitate sul grembiule inamidato. «Dov’è
Javier, dimmelo!»
«Testarda ragazza, mi farete picchiare! Dovete andare via!»
«Prima voglio sapere dove. E’. Javier.»
Sibilò implacabile, scandendo le parole una ad
una.
L’inserviente guardò
angosciata alla casa, quasi a scrutare l’orizzonte, poi scosse il capo e
parlò.
«Il signorino La Fuente è partito
all’alba per Madrid. La signora Garcia ha urlato tutta la notte, Madre de Dios!» Si fece il segno della croce, quando a Morena ormai
mancavano le forze; fu costretta ad appoggiarsi all’albero, il capo
riverso all’indietro. Annegando, stava annegando.
«Proprio un bel guaio signorina Soler, un bel
guaio! Ve ne dovete andare, ha giurato di ammazzarvi se vi trovasse qui.. per amor del cielo, andatevene.»
«Andarmene..
sì..» La testa vorticava pericolosamente, i pensieri s’erano fatti nebbia fitta.
Chiuse gli occhi. Javier era andato via. Cadde a terra senza alcun rumore.
Li riaprì e sembrò che il
mondo continuasse a girare, anche se percepiva un dondolamento fisico più
che papabile.. si sentiva stretta e protetta, avvicinata da un calore
così reale.. li richiuse, se era un bel sogno, se stava sognando Javier
era lì che voleva stare. Nell’oblio.
La coscienza tornò a smuoverla,
i suoi sogni astratti la rigettavano al mondo, tentò nuovamente
d’aprire gli occhi e stavolta percepì bene il morbido contatto di
piume sotto le membra stanche; la visuale era calda, di un colore vivo tutto
attorno, si sforzò di mettere a fuoco e non capì
dove si trovasse.
Tentò di muovere le mani,
qualcuno tossì in lontananza.
«Morena sei sveglia?»
D’improvviso, oppure era sempre
stato lì e lei non se ne era accorta, la figura di don Alfredo Roquez capeggiava sul letto; accanto a lui il dottor Pena e
ai piedi del letto, rannicchiata in una sedia e con il filato sulle ginocchia,
donna Francisca le sorrideva calorosamente.
«Dov.. dove m-mi trov..» si
agitò, il dottore le bloccò il braccio; con un gesto
d’intesa si fece aiutare da don Roquez a
tirarla su. «Don.. c-cosa ci faccio qui.. dove
mi trovo?»
«Ti abbiamo trovata
riversa in terra, al fiume. Non ricordi nulla Morena?»
La ragazza alzò le spalle; il
medico le ispezionò le tonsille, verificò la reazione delle
pupille e si prodigò a sentenziare che la ragazza stava bene, aveva solo
una lieve escoriazione al capo per via della caduta, da curare con un unguento,
aggiungendo poi che doveva nutrirsi di più.
Roquez gli passò tre monete e lo pregò di non lesinar visite se
mai i Soler avessero bisogno di lui; l’uomo si infilò
il soprabito e fu scortato via dalla cameriera.
«Siete troppo gentile padrone. Io.. vi sto
recando fastidio ancora una volta.»
«Di certo non ti avremmo mai lasciata lì, sciocchina.» Rispose donna Francisca, avvicinandosi a bracciate al capo del letto. «Te
la senti di dirci cosa è successo?»
Strinse forte le coperte fra le mani,
prima che il volto le si coprisse di lacrime. «E’.. è andato via.»
«Lo abbiamo saputo.»
Notò tristemente la donna, prendendole la mano. «E’ stato
lui a lasciarti lì?»
«No, non lo farebbe mai.» Alzò
le spalle e un singulto la devastò. «Ero
andata a cercarlo alla tenuta dopo che vi ho incontrati
alle campagne.. e lui non c’era più. Credo di essere svenuta.. poi non ricordo più nulla.»
«Oh per amor del cielo! Quindi tu non sapevi nulla?!»
La ragazza annuì. «Donna
Guadalupe..» Non resse la portata di dolore, non
più, e scoppiò a piangere. «Perdonate..
perdonate..»
Don Alfredo le passò un
fazzoletto, Francisca sospirò. «Quella
donna è il diavolo.»
Un movimento impercettibile del capo
dell’uomo, fece ritirare la donna in un mutismo frenetico condito da mani
che si muovevano agitate in grembo; Morena, sempre
più angosciata, in un impeto di coraggio osò chiedere.
«Cosa vi ha fatto quella donna?»
Francisca alzò gli occhi, due grandi pozze lucide. Il labbro superiore
tremava vistosamente e il respiro agitato gonfiava la
veste crema ad un ritmo esasperante. Si sforzava di rispondere, ma sembrava
sull’orlo di una catastrofe.
«Calmati Francisca,
respira.» Alfredo le stava addosso cercando di infonderle coraggio; non
la toccava e questo era ben evidente, teneva inchiodato gli occhi in quelli di
lei che ricambiava lo sguardo in cerca di forza. Mano a mano
il respiro si calmò e il petto tornò ad alzarsi ad un ritmo
regolare.
Morena si morse il
labbro pentita. «Vi prego don Roquez
aiutatemi a ridiscendere.» Cercò di farsi
forza sulle braccia, ma il capo le doleva e trattenne la rabbia fra i denti. «Sono stata indelicata e scortese. Ve ne prego,
permettetemi di scusarmi con donna Francisca.» L’uomo sospirò avvicinandola e le
passò delicatamente le braccia intorno alla schiena per issarla; per un
breve istante i loro sguardi si incontrarono. Erano
molto vicini, Alfredo si scansò visibilmente turbato e Morena s’allontanò confusa.
Era.. stato
strano pensò, mentre si accucciava alle ginocchia della donna.
«Mi dovete perdonare signora,
tenterò di mantenere la mia linguaccia a freno in futuro.» Non la toccò, come aveva visto fare suo
marito, ma si alzò e le sorrise grata. «Siete
stati gentili a portarmi qui, ma adesso devo proprio tornare. Mio padre
sarà infuriato ed Elvira..» Non
terminò la frase, ma i suoi occhi al cielo la dicevano lunga.
Francisca sorrise debolmente, Morena emise un mugolio di dispiacere.
«Vi prego scusatemi ancora con
lei.»
«Non mancherò, ma vi prego io di farvi accompagnare con la nostra
carrozza.
«No signore, siete stato fin troppo generoso.
E mentre face per andarsene, la donna l’afferrò per la mano. «Stai attenta
piccola Morena, non sai di cosa è capace, stalle
lontana più che puoi.» E fece ricadere debolmente
l’arto sulle gambe, accasciandosi allo schienale della sedia a rotelle. «Più
che puoi.»
Corse a perdifiato verso Vecchia Querce,
la testa le pulsava, ma voleva portarsi lontano da quella casa il prima possibile; gli occhi della signora Roquez le bucavano il cervello, le sue mani fiacche erano
presagio di morte e quelle parole.. «stalle lontana», «stalle
lontana» aveva detto.
Correva e le lacrime solcavano le
guancie e si disperdevano nel vento.
Correva e il cuore le
balzava nel petto,
soffocandola.
Odiava Fuentesauco,
odiava Guadalupe Garcia ed Estefan
Senza Javier.