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Autore: Luna_R    30/09/2013    0 recensioni
Morena e Javier si conoscono da quando sono bambini. Si definiscono amici, nonostante estrazioni sociali e caratteri differenti li fanno sembrare agli antipodi. La loro vita scorre tranquilla in un paesino sperduto della Spagna, sono gli anni cinquanta del lento progresso, fino al giorno in cui Javier viene accettato in una delle accademie militari più importanti del paese e si vede impegnato a partire verso la capitale. La loro amicizia si trasforma per disperazione e inquietudine in qualcosa di più profondo, ma con una scadenza. Nel mezzo, il destino e il suo personale condimento in un vortice di intrighi, misteri e verità taciute.
Cosa accadrà loro?
Dal primo capitolo:
«Sii mio, Javier. Eternamente.»
«Tuo, Morena. Para siempre.»
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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Eternamente

Eternamente

(para siempre)

 

 

 

Si nasce con metà del proprio destino già scritto.

E non da noi.

Fonte: dal Web.

 

 

Fuentesauco vantava una certa storia nella guerra civile spagnola, si dicesse fosse patria di valorosi condottieri sebbene il mondo l’avesse lasciata indietro nell cammino per la civiltà.

A Fuentesauco la gente si divideva in due categorie ben distinte; i signori fattori e i contadini poveri in canna.

E come ogni anno, a marcare la discrepanza fra l’una e l’altra categoria, accadeva la festa d’estate in cui si omaggiava la mietitura del grano, che mai come in luglio era stata così ricca e prospera.

La mietitura era capeggiata ovviamente dalla famiglia di Javier; il ragazzo era un puro Sauco di nascita -le sue origini risalivano ai primi insediati civili nel lontano milleduecento- tanto da avvalersi, nella radice del cognome, del nome con cui veniva chiamato anticamente il posto: La Fuente.

La terra non era mai stata aspra, catene montuose e corsi d’acqua la cullavano intorno; i contadini che si spaccavano le mani lo sapevano bene, come un elisir magico che si dicesse albergasse in quella brulla distesa.

La famiglia di Morena, fra queste; il padre, Lucio Soler, lavorava su un fazzoletto minuscolo di terra a ridosso del fiume, appartenente all’altra famiglia ricca del posto, i Roquez. Sfortunatamente come per Javier, entrambe le famiglie ricche avevano generato solo figli maschi e i loro pargoli d’oro raggiunta giusta età andavano a cercar moglie con dote lontano, lasciando amministrare la fortuna ai pezzenti.

Era una ruota che girava senza fine ma che garantiva la sopravvivenza ai ricchi e soprattutto ai poveri.

 

«Terra.. terra.. niente altro che terra!»   

 

Morena era al fiume insieme al suo Javier, dopo la fine di una giornata dura.

I loro ritmi era molto diversi, lo sapevano entrambi, quando il sole sorgeva lei era nei campi a piegare la schiena sulle spighe, lui nelle sale sconfinate della sua tenuta ad istruirsi di storia e geografia piuttosto che scienze mediche.

Anche le loro vite subivano le discrepanze delle loro condizioni sociali.

 

«Perché ti arrabbi tanto? Si lava via..»

«Guarda le mie unghie Javier! Non sembrano neanche unghie di donna! La odio tutta questa terra..»

 

Giurò di sentirla piangere fra le imprecazioni e le andò vicino, le girò il viso con forza costringendola a guardarlo e si incupì; piangeva eccome. «Ti aiuto io, vieni qua.»

Morena era cambiata tanto nell’ultimo mese da quando.. beh da quando avevano fatto l’amore -al solo pensiero stava male per quanto era stato intenso e speciale- era diventata scostante, irrequieta e piangeva spesso.

Se avesse sommato gli anni in cui erano stati amici, poteva asserire che non aveva pianto mai tanto come ora.

Erano stati amici, già. Per lui era straziante. Adesso ne era innamorato e vederla contorcersi nei suoi pensieri loschi, le provocava un turbamento interiore che gli causava fitte di dolore.

 

«Devi passare la raschietta per obliquo, così..» Con i suoi polpastrelli stretti delicatamente fra le mani le mostrò come fare, lei sorrise debolmente guardandolo addolorata. Ne era innamorata persa e sapeva che più tempo passava e più sarebbe stato peggio dirgli addio.

Certi giorni erano così, semplicemente ci pensava.

Altri giorni invece il tempo passava fra risate e giochi, il lavoro duro certo e poi fare l’amore ovunque capitasse.

Erano diventati parecchio bravi a dirla tutta, ma per Javier sembrava non essere mai abbastanza.

Come in quel momento, che le baciò le dita una ad una con leggera malizia.

«Visto?Adesso sei pulita..» La cinse per i fianchi premendosela addosso.

«Javier lasciami stare!» La ragazza si divincolò, facendolo ruzzolare all’indietro nell’acqua.

«Ma si può sapere cosa hai?» Riemerse sputando acqua dalla bocca.

«Sono stanca! Stanca, possibile tu non lo capisca?»

Il ragazzo si rimise in piedi fissandola immobile; era bello, irresistibile, con i muscoli del petto teso sotto la canottiera bianca e la fila di peli che spuntava come una freccia a indicare la via per il paradiso. «Bastava che lo dicessi.»

Si passò le mani sul viso scostando la massa di capelli fradici, per arrancare verso riva.

Aveva il viso mesto.

Morena si morse il labbro pentita.

«Non posso, non è che non voglio.»

Ma lui non rispose, perciò gli corse dietro e gli si parò davanti bloccandolo per un braccio.

«Dai non fare il bambino adesso! Ho detto che non posso Javier..»

«Non puoi?» La guardò accigliato e perplesso.

«Sveglia! Non sei tanto furbo per essere uno che studierà in un’accademia illustre.»

Javier allargò gli occhi intuendo finalmente il problema. «Non è un po’ tardi per mettersi a fare la puritana adesso?»

La ragazza gli mollò un pugno. «Sei disgustoso! Sei.. sei un pervertito, ecco cosa sei!»

«Pervertito?» Rispose disgustato. «Morena conosco il tuo corpo da quando siamo ragazzini, abbiamo condiviso tutto, te ne sei dimenticata? Mangiavamo la terra che tu tanto odi insieme, ci siamo scambiati gli umori, i sapori, la nostra pelle ha persino lo stesso odore.. cosa c’è di così sconvolgente se ti voglio così tanto?»

Si morse il labbro, dopotutto non aveva tutti i torti. Ma era testarda, testarda e indomita.

«Dove era la tua voglia fino a ieri, La Fuente?»

Javier la guardò con gli occhi ombrati dalla delusione. «Sei stupida e insensibile. Non capirai mai quanto io ti ami.»

Si mise la sacca del raccolto in spalla e si incamminò verso la strada di ritorno per casa.

Morena non disse una parola.

 

 

Dal fiume a casa della ragazza –se la baracca in legno e paglia poteva dichiararsi tale- la strada era una stretta viuzza dissestata che sfiorava l’antica foresta di querce ai margini del paese. Questo particolare aveva fatto sì che il distaccamento di baracche esistenti si avvalesse del nome “Vecchia quercia”.

Sull’atrio trovarono don Lucio intento a spaccar legna per l’inverno; si separarono sempre in silenzio, Morena sfilò sul retro della casa e Javier svuotò la sacca sotto l’occhio vigile dell’uomo.

«Allora Javier, tutto pronto per la partenza?»

Lucio Soler non era un uomo cattivo.

Più che altro un uomo disperato.

Donna Marta se ne era andata dopo una devastante forma di tifo che l’aveva stroncata in meno di due settimane, quando Morena era poco più che una bambina, e si era risposato con Elvira Morales la giovane figlia di un fattore medio che pur di togliersi una bocca da sfamare dalla sua numerosa progenie – sette figli fra femmine e maschi in totale- l’aveva svenduta al primo offerente.

Lucio non cercava moglie, Marta era sempre stata l’amore della sua vita, quella che si diceva una coppia solida, ma la generosa dote della gentil signorina e il caldo focolare di una donna in casa lo avevano convinto ad abbandonare il nero e ridarsi ad una nuova vita.

Sfortunatamente Elvira Morales era quanto di peggio Dio creò sotto spoglie di donna e negli anni si era rivelata affatto affettuosa o accogliente ma al contrario, era una creatura dispotica, anaffettiva e soprattutto arcigna.

L’unico slancio d’amore di cui era stata capace era di dargli un’altra figlia, Stella, una bellissima bambina dai capelli scuri come il caffè e la pelle chiara di luna che lui amava profondamente come amava Morena.

Viveva per le sue figlie anche se non era esattamente il padre esemplare per loro, si svegliava e andava a letto pensando come donargli una vita dignitosa al di sopra dello stento e della sopravvivenza, e ci riusciva in qualche modo mescolando sudore e fatica nei campi, ma il vizio della bottiglia, nelle giornate nere di pece, lo facevano rantolare in un baratro che neanche un sorriso di quelle stesse figlie riusciva a schiarire.

«Sì signore. Sono in attesa dell’ultimo richiamo dal rettore, poi sarò ufficialmente un soldato della nazione.»

«Ben fatto ragazzo!» L’uomo sorrise vibrando una pacca sulla sua spalla. «Ti lascerà andare?» Indicò la casa alle sue spalle guardandolo attentamente negli occhi. «Tu mi piaci Javier, mi sei sempre piaciuto. Ma lei non sarà molto felice quando verrà il momento. Ed io sono suo padre, non voglio vederla soffrire.»  

Il ragazzo annuì, facendosi forza. «Sebbene può sembrar difficile da credere signor Soler, io intendo onorare sua figlia, quando sarà il momento e con il suo permesso.»

«Quindi la sposerai?» L’uomo abbassò l’ascia, facendola volteggiare per il manico; Javier annuì compito.

«E rinuncerai a te stesso per averla? Don Estefan e donna Guadalupe non saranno molto contenti.»

«Non rinuncerò a nulla, signore. Quando sarò un soldato disporrò di abbastanza denaro per offrirle tutto me stesso in ogni caso. Finito gli studi lei.. potrebbe trasferirsi a Madrid, con il suo permesso ovviamente.»

L’uomo si strofinò i baffi, perplesso. «E’ un impegno a lungo termine, ragazzo.»

«Mi piacciono gli impegni. Ciò che mi spaventa è sapere se anche lei è d’accordo.» Rise guardando alle imposte serrate della casa; Lucio sorrise a sua volta, sospirando.

«Mi ricorda tanto la sua adorata madre, testarda come un mulo!» Sorrise e l’ombra dell’uomo che era stato, balenò nei suoi occhi; ma scacciò via in fretta i fantasmi ed afferrò di nuovo l’ascia a due mani guardandolo. «Cosa posso augurarti figliolo, se non di avere abbastanza fegato per onorare le tue promesse.»

Vibrò ancora un’altra pacca e ridendo si congedò, trascinandosi dietro il raccolto fortunato della giornata.

Ce la farò, io la amo.

Guardò ancora a quella casa e al silenzio della sua dichiarazione.

“Accidenti.. devi amarmi anche tu Morena!”

 

 

“Ragazzino sfrontato! Mi ama.. cosa ne sa lui dell’amore se fino a ieri ci rotolavamo nel fango chiamandoci fratelli?Lo odio!”

Le foglie del granoturco cadevano in terra una ad una in un lamento disperato.

Morena era una furia, sfilava le mani frenetiche inveendo contro Javier.

Ce l’aveva con lui e non sapeva nemmeno il perché. Lo odiava e basta.

Odiava la sua famiglia.

Odia il suo futuro così lontano da lei.

E.. odiava, odiava amarlo.

«Santi numi, eccola che frigna!» Donna Elvira uscì dal retro con una cesta di panni freschi di bucato; Morena si asciugò in fretta gli occhi guardandola con occhi ferini. «Vieni qui e dammi una mano, lascia stare il grano ne abbiamo a sufficienza per oggi. Come ieri e l’altro ieri ancora.. sempre la stessa solfa Dios mio

«Che c’è?» Si alzò strafottente pulendosi svelta le mani sul grembiule. «Mio padre ti fa fare una vita indegna garantendoti un pasto tutti i giorni? Ricorda, il tuo ti ha venduta per molto meno.» Sputò a terra e fece per rientrare in casa ma Elvira urlò con quanto più fiato avesse in corpo.

«Morena Soler, dove credi di andare? Fermati e chiedi scusa!»

 Don Lucio allertato dalle urla della moglie le raggiunse, imprecando; afferrò al volo la ragazza passatagli accanto come una furia guardandola interrogativo. «Morena, nina mia, ancora liti?»

«Lasciami andare papà, lasciami andare!»

«Che c’è, cosa è successo?»

«Tua moglie ci disprezza.»

L’uomo guardò Elvira che a sua volta scosse il capo agitata, mettendosi a sistemare le lenzuola pulite lungo il filo di corda per non guardarlo in viso. «Tua figlia è uscita fuori di senno! E come il contrario.. mi hanno detto che ha aperto le gambe a La Fuente e che lui non si sia fatto scrupoli a cogliere il frutto proibito, ma il serpente tentatore se ne andrà presto e lei rimarrà nel suo paradiso tutta sola. E deflorata.»

Don Lucio non si fece intimidire dal muro di bucato, lo oltrepassò e la schiaffeggiò malamente; la donna gemette raggomitolata su se stessa mettendosi poi a frignare.

A grandi passi si portò verso la figlia e l’afferrò per il braccio.

«Morena..» C’era rassegnazione nella sua voce e dispiacere, rabbia, gelosia forse.

«Papà..» Il flebile alito di fiato che uscì dalle sue labbra confermò ogni singola parola.

«Che cosa hai fatto!» Si passò furioso le mani fra i capelli. «Chi ti vorrà adesso?! Chi Ti vorrà?!» In preda ad un raptus schiaffeggiò anche lei, più forte e più cattivo. Aveva perso il controllo, sentiva il corpo attraversato da mille schegge. Tremante, si portò in casa svuotando i cassetti e scaraventando qualsiasi cosa trovasse a tiro.

Aveva bisogno di bere. Aveva disperato bisogno di bere.

«Papà..» Morena lo raggiunse prostrandosi ai suoi piedi, il viso bagnato di lacrime e in ogni lacrima la verità che urlava al mondo la sola cosa possibile. «Io voglio lui! Voglio solo lui!»

L’uomo non rispose, il vino tinto gli serrò la gola e annebbiò la vista; dopo una bottiglia, i lamenti strazianti della figlia e minuti interminabili, sentenziò il suo verdetto.

«Credevo che il tuo Javier fosse un uomo d’onore.» Gettò la bottiglia in un angolo che andò a schiantarsi in mille pezzi. «Non lo vedrai mai più chiaro? Dio m’è testimone, anche se ti dovessi legare in casa, tu non vedrai mai più Javier Garcia La Fuente.»

 

 

La musica era stonata e i canti distorti dalle troppe bottiglie di vino tinto.

Le quaglie succulenti giravano sugli arrosti fendendo l’aria con un profumo invitante e le ceste di grano in bella vista rendevano allegri persino i morti; la gente ballava e mangiava e si accoppiava dietro i fienili e questo si poteva dir far festa a Fuentesauco.

Javier si guardava intorno cercandola; c’erano proprio tutti, i Ramirez, allevatori, con le due figlie Guendalina e Georgina due galline dalle uova d’oro con più soldi che sale in zucca, i Portos, arrabattai, che vivevano di espedienti con il loro unico figlio, Milo, un ragazzino talmente deformato e con una capigliatura così diversa da quella del padre e della madre da sembrare un cucciolo bastardo, don Pedro, il parroco dell’unica chiesa del paese più ubriaco lui che i tenutari delle vigne sulle colline fuori città e infine sulle panche più defilate, Alfredo Roquez e sua moglie Francisca -pallida per colpa di una misteriosa malattia del sangue che la stava rendendo anemica e allo stremo delle forze- mano nella mano, da provocare nel ragazzo un moto di pena per l’uomo; Carlos Pena, medico e chirurgo di Fuentesauco, aveva sentenziato ancora solo qualche mese di vita per la donna.

 

Morena non c’era.

I Soler non avevano mai perso una mietitura, Javier si accigliò preoccupato e prese la via per casa della ragazza.

Se era arrabbiata o peggio se era con qualcun altro si sarebbe scontrata contro tutta la sua forza, non poteva più sopportare che fosse così volubile e lunatica con lui.

La casa era buia, come pure la sua stanza.

Lo stomaco gli si attorcigliò, girò guardingo sul retro finché non udì un tonfo secco; una macchia scura e agile era saltata fuori dalla finestra. E appena lo aveva visto aveva urlato.

«Dios mio Javier, mi hai spaventata!» Morena si rialzò, sistemandosi il vestito. «Non dovresti essere alla festa a far volteggiare le due fesse Ramirez, come vuole tua madre?»

Il ragazzo sbuffò prendendola a se senza riguardo. «L’unica ragazza che voglio far volteggiare sei tu.» Era teso lo percepiva, quindi si sciolse un po’, non valeva la pena tenere il punto per qualcosa che neanche ella stessa capiva. «Andiamo? Ho preso la bicicletta faremo prima.»  

Seduta davanti a lui poteva sentire l’eco basso della sua felicità; Javier teneva saldo il manubrio ma le baciava i capelli, sorpassava una curva e le sussurrava quanto la amasse, questo per interminabili minuti che sembrarono ore, tanto che quando scese non riuscì a tener salde le gambe a terra.

«Vieni!» Corsero a nascondersi dietro una stalla e presero a ballare stretti, Javier la fece volteggiare proprio come aveva promesso. «Voglio fare l’amore.» Morena si stese sulla paglia ebbra di vino, di gioia, concitata, lui la guardò teneramente prima di suggellare le sue labbra con un bacio.

«Credevo non potessi.»

«Posso fare tutto quello che voglio, Javier. Persino prenderti in giro..» Lo guardò con un finto sguardo da bambina, lasciandosi andare poi in una risata. «Sei buffo!» Spianò con il dito la ruga sulla fronte del ragazzo che la guardava accigliato.

«Quando la smetterai di prenderti gioco di me?»

«Oh, questo non cambierà mai. Noi siamo fatti così, Javier.»

«Non mi interessa come siamo fatti, io sono innamorato di te Morena e pretendo, ansi no esigo, che tu mi tratti con rispetto!» Si alzò con il busto, guardando dritto davanti a se, il respiro irregolare.

Morena lo imitò, allacciandogli le braccia al petto da dietro. «Anche io ti amo Javier.» E sospirò.

Il ragazzo girò la testa verso di lei, gli occhi adesso scintillanti. «Mi ami?»

«Certo che ti amo. Ma questo amore fa male, perché tu te ne andrai.»

Javier voltandosi la baciò, carezzandole la schiena dolcemente. «Ho detto a tuo padre che ti sposerò quando tornerò.»

La ragazza ghignò. «Lui vuole castrarti invece.»

«Non capisco.. sembrava fosse d’accordo.» Si alzò adesso veramente adirato, prese a camminare avanti e indietro cercando di mettere insieme i pezzi.

«Calmati..» Morena si alzò per guardarlo meglio. «Non sarebbe di certo la prima famiglia che abbiamo contro.»

«Ma tu proprio non vuoi capire? Non mi interessa chi o cosa dovremmo affrontare, io voglio stare con te! Ma anche tu devi crederci Morena! Devi credere in noi, non sono niente senza il tuo appoggio.»

«Credere in noi sì.. sai cosa faranno di me quando te ne andrai? Mi faranno a pezzi! Tu pensi che io sia l’elemento più forte della catena ma non è così! Tu sarai a Madrid per tre anni, tu studierai e diventerai un alto grado di gendarmeria, tu sarai colto e istruito.. io resterò sempre la contadina con le mani sporche di terra. E’ questo che vorrai davvero fra tre anni?»

La prese per le spalle e la scrollò. «Io voglio te. Voglio te!»

«Adesso sì mi vuoi, ma fra tre anni quando assaggerai il vero sapore della vita lontano da questo posto..»

«Non puoi sapere cosa vorrò io fra tre anni. Parliamo piuttosto di te, mi aspetterai?»

«Non si tratta di me e non si tratta di te Javier. Si tratta di quello che vogliono loro, capisci? Non permetteranno mai un unione fra di noi.» Lo aveva sempre saputo. Lo aveva letto negli occhi di sua madre, Guadalupe Garcia, quegli infimi occhietti scuri che la squadravano da capo a piedi tutte le volte che si incrociavano; l’avrebbe schiacciata come si fa con gli scarafaggi o le formiche e avrebbe goduto nel farlo. Si rattristò. «Siamo diversi. Troppo diversi.»

Javier si era fatto via-via sempre più cupo e silenzioso.

Erano diversi sì, ma lo erano sempre stati! Eppure questo non gli permetteva di non amarla, volerla nella sua vita.

Perché lei non riusciva a vedere al di là di Fuentesauco, di sua madre, di suo padre, della loro patetica vita e non si immaginava in un futuro roseo insieme a lui?

La guardò, il volto perfetto anche nella drammaticità, i tratti scolpiti, come scolpite le sofferenze che aveva dovuto attraversare nella sua ancora giovane vita.

Aveva perso sua madre. E anche se non fisicamente, aveva perso anche suo padre.

Non sapeva nulla dell’amore, o quasi nulla, perché due delle persone più importanti della sua vita erano state impossibilitate a spiegarglielo, insegnarglielo, dimostrarglielo.

Semplice.

Morena non sapeva amare perché nessuno l’aveva amata.

 

«Dove vai?»

Si era lanciato verso la bicicletta con un solo obbiettivo in testa; prenderla con sé, portarla via da quel mare piatto di emozioni e farla innamorare della vita. Spiegarle come era facile, con carezze che le avrebbe distribuito la sera prima di andare a dormire e baci tutto il giorno a fargli sentire che lui c’era. Era con lei. E l’amava.

«Voglio parlare con tuo padre. Verrai a Madrid con me!»

Ma la ragazza lo tirò giù, calciando via la bicicletta. «Non dire stupidaggini! Non verrò a Madrid con te Javier!» Tremava e tirava pugni sul suo petto, indomita. «Non c’è nessun futuro per noi. C’è solo il presente, arrenditi! Arrenditi e amami. Amami Javier!»

E mentre il suo cervello gli imponeva di risponderle lei si era già buttata sulle sue labbra in quel modo così prepotente che gli faceva pulsare forte le vene del collo, i polmoni nella cassa toracica e il cuore, al suo posto, già suo.

Le abbassò le braccia già stanche di quella lotta e corrispose al bacio tirandola giù verso terra.

 

Si rivestirono in fretta e con la stessa fretta Javier montò in sella offrendo la sua mano per aiutarla a salire.

«Sei estenuante mio amor!» Affondò il naso fra i suoi lunghi capelli, ridendo.

«Solo perché non posso darti ciò di cui hai bisogno.» Era stranamente arrendevole e docile mentre parlava appoggiata al suo petto e con le mani si teneva forte alla canna della bicicletta. «Solo perché sono una Soler.»

«Una Soler è tutto ciò di cui ho bisogno.» Sospirò, aumentando la velocità per sparire fra i boschi.

Quando arrivarono a Vecchia Quercia c’era trambusto e fiaccole accese.

Qualcuno indicandoli urlò alla volta delle persone stipate dinnanzi la baracca di Morena.

 

«Dios mio, sei qui!»

 

Donna Guadalupe si portò una mano al petto guardando con occhi di fuoco il figlio; Lucio Soler, dal suo canto, irato e certamente più pragmatico, brandì il fuoco dalle sue mani sparando un colpo con il fucile che teneva stretto a se, colpendo perfettamente il raggio della ruota della bicicletta nel suo centro.

 

«Papà che ti prende! Sei impazzito?!»

I due ragazzi si gettarono in terra, per poi abbracciarsi forte.

Donna Guadalupe e suo marito Estefan per un attimo dimenticarono il loro amato figlio inveendo senza mezzi termini alla volta di Lucio. «E’ pazzo! E’ uscito fuori di senno!»  La donna gesticolava verso la gente intorno cercando nei loro sguardi spaventati la conferma delle sue parole. «Potevi ammazzarmelo!»

«Posso ancora provare su di te, donna!» La spintonò, raggiungendo a grandi passi spediti i due ragazzi ancora abbracciati. «Toglile le mani di dosso Javier, non sto scherzando.»

Donna Guadalupe guardò con orrore la canna del fucile protesa al volto del suo amato primogenito e urlò disperata.

«Fa quello che dice! E’ un pazzo ubriacone figlio mio!»

Per tutta risposta Soler sparò un colpo sul terreno, proprio vicino alle gambe di Javier, che nel tirarsi indietro slegò Morena dal suo abbraccio. «Il prossimo te lo pianto nelle palle se non te ne vai.»

L’uomo tirò a se la giovane, strattonandola verso casa.

«No! Lasciala stare!» Javier per nulla spaventato si gettò sulle sue spalle ma quello gli rifilò una gomitata sul labbro, spaccandoglielo; si tastò la bocca, assaporando il sapore ferroso del sangue.

Morena urlò con quanto più fiato avesse nei polmoni.

«Lasciami! Non voglio venire con te! Lasciami!» Si girò disperata verso Javier, che a sua volta venne portato via dai suoi genitori e caricato sull’auto ultramoderna, che mal si accostava al degrado tutto intorno.

 

«Morena!»  

 

La chiamava, la chiamava disperato.

Ma quell’urlo cessò, scemò come la rabbia dalle sue membra per far posto alla disperazione e alla più totale sconfitta.

 

Quella, fu l’ultima volta che lo vide.

 

 

Il mattino seguente con l’anima tormentata e infelice, tornava dai campi con le sementi per la nuova coltura, si imbatté in don Roquez, il fattore e signore del campo presso il quale lei e la sua famiglia lavoravano, riscosse la paga e si intrattenne con la signora Roquez, sempre più emaciata.

Aveva fretta di correre al fiume e abbracciare Javier. Non desiderava altro.

Nessuno sarebbe riuscito a tenerli divisi, ne era certa. Il tempo era prezioso e dopo la notte insonne a divagare la mente su i pensieri più assurdi, aveva disperatamente bisogno di un abbraccio dell’uomo che amava.

 

«C’entra per caso qualche ragazzo in questo visino corrucciato?»

 

Francisca Roquez era una visione ultraterrena.

Una donna di una bellezza così eterea, addolcita da maniere gentili e un animo buono; don Alfredo l’aveva avuta in sposa che era poco più di una bambina, anni addietro, da un ricco signore di un paese vicino. Con lei si era comportata sempre più come una buona amica premurosa, piuttosto che come signora fattrice, provava grande tristezza nel vederla spegnersi mano a mano che i giorni passavano. I due non avevano avuto figli, chi sosteneva per via del sangue tormentato dalla funesta malattia di Francisca, chi sparlasse invece di una poca virilità del marito, fatto sta che i terreni di loro proprietà venivano curati ormai da anni dalla famiglia Soler a gran giovamento delle loro finanze.

Don Roquez era quella che si dicesse una persona rispettabile.

Modi da uomo del sud –era nato a Malaga- forte temperamento ma con una gran indole da lavoratore.

Morena non aveva idea di quanti anni avesse. Era molto affascinante, questo sì.

Da piccola credeva di esserne innamorata; tutte le mattine era solerte fare lunghe cavalcate e quando lo vedeva arrivare in sella del suo destriero, agitando i mossi capelli bruni al vento, lo immaginava il principe delle favole che sua madre le sospirava nell’orecchio prima di andare a dormire.

Dei mossi capelli bruni oggi restava una chioma spruzzata d’argento, ma la sua bellezza era immutata.

«Oh donna Francisca, perdonate. Sono piuttosto distratta, dicevate?»

La donna sorrise, coprendosi la bocca ad un improvviso attacco di tosse. Morena si chinò su di lei, sulla sedia a rotelle che il marito teneva stretta, ma ella la bloccò. «Lascia, passa quasi subito.» La ragazza annuì, cercando conforto negli occhi lucidi di don Alfredo. «Dicevo, hai proprio il viso di chi è innamorato.»

Arrossì, sorridendo. L’uomo sopra di loro rispose riempiendo il silenzio.

«Non la tormentare mia cara, Morena ha già il suo bel da fare con questa storia.» La guardò e quello sguardo severo la diceva lunga sulle chiacchiere circolate nella sola notte appena trascorsa.

Arrossì violentemente, chiudendosi nelle spalle. «Mi dispiace causarvi tanto fastidio don Alfredo..»

L’uomo si accigliò turbato. «Oh no! Non volevo dire questo..» Mosse un passo incerto verso la ragazza, forse per aiutarla a tirarsi su o consolarla, ma si ritirò quasi subito. «Mia moglie adora le storie da romanzo.»

La ragazza sospirò. «E chi non le adora don Roquez!» Rise un po’ più leggera. «In questo paese ci si annoia a morte.»

L’uomo alzò le spalle compiacente. «Ma allora me lo dite chi è il fortunato o conviene farmi una passeggiata fino alle locande?» Donna Francisca batté annoiata un piede, Morena rise sospirando fra i denti.

«Javier Garcia La Fuente

«Garcia.. il figlio di Guadalupe Garcia?»

«Proprio lui, signora.»

Gli occhi della donna si adombrarono, Morena guardò ad Alfredo che inspirò impacciato. «S’è fatto tardi, giovane ragazza. Saluta i tuoi genitori e digli pure che gli manderò le nuove sementi non appena la diligenza tornerà a Fuentesauco.»

L’uomo spinse via la carrozzella speronandola come se avesse nominato un fantasma.

L’anima di Morena si contorse nelle viscere, lasciandola sola e spaventata a morte.

Sapeva benissimo che Guadalupe Garcia non era di certo adorata da tutti, arcigna donna dispotica quale fosse, ma provocare persino fughe al suo solo nominare.. beh questo le sembrava un po’ troppo.

Come un presentimento nefasto, Morena sentì la necessita di gettarsi in corsa oltre le colline e per il fiume, dove il suo cuore bramava di trovare Javier.

 

Al fiume trovò solo un orda di bambini che giocavano a tirarsi il fango.

Si sciacquò in fretta mani e viso e sempre correndo raggiunse Villa Ortensia, la tenuta secolare appartenete a Javier; da tempo immemore la tenuta si stagliava, oltre un viale di una lunga cascata di salici piangenti dalle lunghe fronde che accarezzavano il terreno, conferendo al posto una teatralità degna di altri tempi.

I nonni e i bisnonni prima di loro l’avevano issata da un cumulo di macerie che si raccontasse fosse la roccaforte di avi lontani, quando Fuentesauco era meno di niente; le mani e la modernità dei successori l’avevano resa la deliziosa e imponente tenuta in stile neoclassico che oggi appariva.

Prima che potesse avvicinarsi all’alta cancellata di nero ferro battuto, fu fermata da uno stuolo di inservienti che andavano e rivenivano dalla casa al giardino; c’era fermento e caos, si sforzò di restare lucida ma quella che le si prospettava dinanzi non era una visione felice. Vide passare mobili e vettovaglie di ogni genere, bauli dalle maniglie d’oro e tutto fu caricato su una grossa auto moderna; tremò, aveva paura di quei mostri striscianti.

 

«Signorina Soler, cosa ci fate qui?!»

 

Una giovane ragazza dalla pelle d’ebano, la redarguì agitata dalla sua presenza.

«Lui.. lui dov’è, Karim

«Oh..» la ragazza sempre più agitata la portò fuori dalla visuale della villa, dietro gli alberi del viale. «Voi non dovreste essere qui! Se donna Garcia vi vedesse.. oh mi dolor! Ve ne dovete andare subito signorina Soler, subito!»

Morena urlò e quella si passò le mani agitate sul grembiule inamidato. «Dov’è Javier, dimmelo!»

«Testarda ragazza, mi farete picchiare! Dovete andare via!»

«Prima voglio sapere dove. E’. Javier.» Sibilò implacabile, scandendo le parole una ad una.

L’inserviente guardò angosciata alla casa, quasi a scrutare l’orizzonte, poi scosse il capo e parlò.

«Il signorino La Fuente è partito all’alba per Madrid. La signora Garcia ha urlato tutta la notte, Madre de Dios!» Si fece il segno della croce, quando a Morena ormai mancavano le forze; fu costretta ad appoggiarsi all’albero, il capo riverso all’indietro. Annegando, stava annegando. «Proprio un bel guaio signorina Soler, un bel guaio! Ve ne dovete andare, ha giurato di ammazzarvi se vi trovasse qui.. per amor del cielo, andatevene.»

«Andarmene.. sì..» La testa vorticava pericolosamente, i pensieri s’erano fatti nebbia fitta.

Chiuse gli occhi. Javier era andato via. Cadde a terra senza alcun rumore.

 

Li riaprì e sembrò che il mondo continuasse a girare, anche se percepiva  un dondolamento fisico più che papabile.. si sentiva stretta e protetta, avvicinata da un calore così reale.. li richiuse, se era un bel sogno, se stava sognando Javier era lì che voleva stare. Nell’oblio.

La coscienza tornò a smuoverla, i suoi sogni astratti la rigettavano al mondo, tentò nuovamente d’aprire gli occhi e stavolta percepì bene il morbido contatto di piume sotto le membra stanche; la visuale era calda, di un colore vivo tutto attorno, si sforzò di mettere a fuoco e non capì dove si trovasse.

Tentò di muovere le mani, qualcuno tossì in lontananza.

«Morena sei sveglia?»

D’improvviso, oppure era sempre stato lì e lei non se ne era accorta, la figura di don Alfredo Roquez capeggiava sul letto; accanto a lui il dottor Pena e ai piedi del letto, rannicchiata in una sedia e con il filato sulle ginocchia, donna Francisca le sorrideva calorosamente.

«Dov.. dove m-mi trov..» si agitò, il dottore le bloccò il braccio; con un gesto d’intesa si fece aiutare da don Roquez a tirarla su. «Don.. c-cosa ci faccio qui.. dove mi trovo?»

«Ti abbiamo trovata riversa in terra, al fiume. Non ricordi nulla Morena?»

La ragazza alzò le spalle; il medico le ispezionò le tonsille, verificò la reazione delle pupille e si prodigò a sentenziare che la ragazza stava bene, aveva solo una lieve escoriazione al capo per via della caduta, da curare con un unguento, aggiungendo poi che doveva nutrirsi di più.

Roquez gli passò tre monete e lo pregò di non lesinar visite se mai i Soler avessero bisogno di lui; l’uomo si infilò il soprabito e fu scortato via dalla cameriera.

«Siete troppo gentile padrone. Io.. vi sto recando fastidio ancora una volta.»

«Di certo non ti avremmo mai lasciata lì, sciocchina.» Rispose donna Francisca, avvicinandosi a bracciate al capo del letto. «Te la senti di dirci cosa è successo?»

Strinse forte le coperte fra le mani, prima che il volto le si coprisse di lacrime. «E’.. è andato via.»

«Lo abbiamo saputo.» Notò tristemente la donna, prendendole la mano. «E’ stato lui a lasciarti lì?»

«No, non lo farebbe mai.» Alzò le spalle e un singulto la devastò. «Ero andata a cercarlo alla tenuta dopo che vi ho incontrati alle campagne.. e lui non c’era più. Credo di essere svenuta.. poi non ricordo più nulla.»

«Oh per amor del cielo! Quindi tu non sapevi nulla?!»

La ragazza annuì. «Donna Guadalupe..» Non resse la portata di dolore, non più, e scoppiò a piangere. «Perdonate.. perdonate..»

Don Alfredo le passò un fazzoletto, Francisca sospirò. «Quella donna è il diavolo.»

Un movimento impercettibile del capo dell’uomo, fece ritirare la donna in un mutismo frenetico condito da mani che si muovevano agitate in grembo; Morena, sempre più angosciata, in un impeto di coraggio osò chiedere.

«Cosa vi ha fatto quella donna?»

Francisca alzò gli occhi, due grandi pozze lucide. Il labbro superiore tremava vistosamente e il respiro agitato gonfiava la veste crema ad un ritmo esasperante. Si sforzava di rispondere, ma sembrava sull’orlo di una catastrofe.

«Calmati Francisca, respira.» Alfredo le stava addosso cercando di infonderle coraggio; non la toccava e questo era ben evidente, teneva inchiodato gli occhi in quelli di lei che ricambiava lo sguardo in cerca di forza. Mano a mano il respiro si calmò e il petto tornò ad alzarsi ad un ritmo regolare.

Morena si morse il labbro pentita. «Vi prego don Roquez aiutatemi a ridiscendere.» Cercò di farsi forza sulle braccia, ma il capo le doleva e trattenne la rabbia fra i denti. «Sono stata indelicata e scortese. Ve ne prego, permettetemi di scusarmi con donna Francisca.» L’uomo sospirò avvicinandola e le passò delicatamente le braccia intorno alla schiena per issarla; per un breve istante i loro sguardi si incontrarono. Erano molto vicini, Alfredo si scansò visibilmente turbato e Morena s’allontanò confusa.

Era.. stato strano pensò, mentre si accucciava alle ginocchia della donna.

«Mi dovete perdonare signora, tenterò di mantenere la mia linguaccia a freno in futuro.» Non la toccò, come aveva visto fare suo marito, ma si alzò e le sorrise grata. «Siete stati gentili a portarmi qui, ma adesso devo proprio tornare. Mio padre sarà infuriato ed Elvira..» Non terminò la frase, ma i suoi occhi al cielo la dicevano lunga.

Francisca sorrise debolmente, Morena emise un mugolio di dispiacere.

«Vi prego scusatemi ancora con lei.»

«Non mancherò, ma vi prego io di farvi accompagnare con la nostra carrozza.

«No signore, siete stato fin troppo generoso.

E mentre face per andarsene, la donna l’afferrò per la mano. «Stai attenta piccola Morena, non sai di cosa è capace, stalle lontana più che puoi.» E fece ricadere debolmente l’arto sulle gambe, accasciandosi allo schienale della sedia a rotelle. «Più che puoi.»

 

Corse a perdifiato verso Vecchia Querce, la testa le pulsava, ma voleva portarsi lontano da quella casa il prima possibile; gli occhi della signora Roquez le bucavano il cervello, le sue mani fiacche erano presagio di morte e quelle parole.. «stalle lontana», «stalle lontana» aveva detto.

Correva e le lacrime solcavano le guancie e si disperdevano nel vento.

Correva e il cuore le  balzava nel petto, soffocandola.

Odiava Fuentesauco, odiava Guadalupe Garcia ed Estefan La Fuente, odiava Javier che l’aveva lasciata sola ed odiava tutto ciò che rappresentava la sua vita, il suo passato e ancor più il suo futuro.

Senza Javier.

  
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