Prologo. «Non farlo!» urlò Lottie dall’altra parte della strada. «Sai che te ne pentiresti!».
Non volevo ascoltarla; sarebbe bastato un piccolo salto, in una briciola di secondo, e poi sarebbe finita. Avrei smesso di alzarmi ogni mattina con le braccia doloranti dei tagli della notte passata, di ascoltare i giudizi di mia madre, i commenti disumani di mio padre; avrei smesso di essere criticata da tutti per il mio aspetto, i miei capelli e tutto. Se l’avessi fatto non sarebbe dispiaciuto a nessuno, forse solamente a Lottie, ma non sarebbe stata abbastanza, da sola. No, perché fin da piccola desideravo una vita traboccante di impegni, uscite, amici martellanti che avrebbero dato di tutto e di più per un gelato con me; immaginavo un’esistenza da diva, da protagonista, ecco. Non da vittima.
 
«Ti prego, Violet, smettila» nessuno mi chiamava così da almeno un anno. «Ancora non hai capito che stai facendo una cazzata? Ma non pensi al dolore che causerai a tua madre, poi? E le altre persone? Hai sempre detto di voler dimostrare a tutti che sei forte, e soprattutto superiore agli insulti che…».
 
«Adesso basta!» urlai di rimando. «Possibile che tu non capisca? Mi tengo dentro tutto questo da una vita e… e…» un giramento di testa ebbe la meglio; forse avevo bevuto un po’ troppo. Effettivamente la sera prima avevo esagerato con l’alcool, decisa a dare un taglio netto alla mia vita; ma, da alticcia, non avevo il pieno controllo dei miei pensieri e delle mie decisioni, e forse – molto probabilmente – Lottie aveva ragione e ciò che stavo facendo non era altro che una stupidaggine.
 
«Forza, scendi da quel muretto…» la sua vocina cercò di convincermi a darle retta con un tono gentile e affabile, il più dolce possibile. Iniziai a piangere. Non mi spostai di un millimetro: avevo paura a muovere un solo dito, ma nello stesso tempo temevo che prima o poi la pietra sotto di me si fosse sgretolata trascinandomi nell’oblio.
 
«V-vuoi che ti aiuti?» sussurrò Charlotte in tono preoccupato. Anche lei aveva paura per me. Annuii debolmente, e mi girai in cerca di una sua mano, il viso ancora bagnato dalle lacrime.
 
«Eccomi, sono qui» mi abbracciò piena si sollievo e cercò di aiutarmi a scavalcare il muretto verso la strada, ma una vertigine – dovuta forse alla stanchezza, forse alla sbronza – mi trascinò giù, e caddi in direzione opposta. Un urlo, forse due. Uno mio, uno di Lottie. Poi, il fiume mi avvolse.