Quando
nacqui
nessuno
era
con
me.
Adagiata
su
un
morbido
letto
dorato,
friabile
e
vellutato,
appena
un
po'
appiccicoso.
Profumato.
Il
vento
mi
accarezzò,
fresco,
svegliandomi
dal
torpore.
Un
sonno
senza
sogni.
Un
sonno
da
cui
nascevo
senza
ricordi,
ma
piena
di
nozioni
ereditate
dal
fulcro
che
ci
genera.
Un
velo
di
un
rosso
violaceo
si
piegò
al
vento
lasciando
rotolare
tra
le
mie
mani
una
grande
sfera
di
cristallo
trasparente.
Acqua.
Una
pioggia
primaverile
mi
aveva
svegliata.
Ero
nata,
ma
non
ero
bambina.
Noi
non
nasciamo
sempre
bambini.
Alcune
nascono
già
adulte,
altre
adolescenti.
E'
il
caso,
un
caso
che
nel
fulcro
si
sviluppa
e
si
plasma
disegnando
con
maestria
e
grazia
una
vita
fragile
che
corre
sulla
linea
d'oro
e
d'argento,
tra
sogno
e
realtà.
Il
minuscolo
frammento
che
intercorre
in
un
battito
di
ciglia.
Oro
e
Cremisi.
Mi
stupisco
ancora
quando,
steso
sul
letto,
fisso
il
candido
soffitto
di
questa
casa.
L'aria
salmastra
che
soffia
dal
mare
entra
dalla
finestra
e
con
sé
par
portare
granelli
d'ambra
che
risvegliano
i
ricordi.
Le
grandi
tende
bianche
si
gonfiano
riempiendosi
di
quel
respiro
remoto.
Mi
incanto
e
il
mio
sguardo
si
volge
al
mio
stesso
io.
Ricordo
fin
troppo
bene
quando
ero
piccolo
e
queste
tende
che
si
gonfiavano,
mi
facevano
quasi
paura.
Sembravano
le
gonne
di
una
grande
donna,
esile
e
leggera.
Quando
il
sole
brillava
nel
cielo
mi
sembrava
di
vederla
sorridere
e
io
ridevo
rincorrendo
quei
teli,
giocando
col
vento.
Quando
i
temporali
aprivano
le
porte
del
terrazzo
tirando
con
forza
quelle
tende
mi
sembrava
che
quella
signora
fosse
adirata
e
scaricasse
la
sua
rabbia
in
lance
di
gelida
acqua.
Piangevo
e
strillavo
e
nessuno
riusciva
a
farmi
smettere
se
non
il
sole.
Dopo
il
temporale
il
sole
brillava
sulle
gocce
come
una
luce
in
un'esposizione
di
preziosi
e
fragili
cristalli.
Osservavo
il
cielo
che
si
specchiava
nella
grandi
pozze
piatte
e
lisce
come
lastre
di
vetro.
Fu
uno
di
quei
giorni
che,
su
una
gardenia
del
terrazzo,
scorsi
lei.
Seduta
in
un
fiore,
giocava
con
una
goccia.
Lei
poteva
farlo,
le
sue
mani
erano
così
piccole
che
quella
goccia
sembrava
una
grande
biglia
trasparente.
Sorrideva,
il
sorriso
di
quella
signora
dalle
gonne
bianche,
ma
non
era
bianca.
Era
Oro
e
Cremisi.
Ricordo
che,
senza
capirne
il
motivo,
ero
felice.
Lasciai
cadere
quella
goccia
d'acqua
sulla
testa
a
bagnare
i
miei
capelli
rosa
intenso.
Mi
alzai
in
piedi
spolverando
il
polline
dalla
mia
veste
che
sembrava
tessuta
da
quei
petali
morbidi
e
vellutati.
Una
fascia
dorata
mi
stringeva
la
vita
e
svolazzava
come
una
coda
dietro
di
me.
La
cosa
che
più
amavo
di
me
stessa
erano
le
grandi
ali
allungate.
Sembravano
ghiaccio
cremisi
che
splendeva
di
mille
sfumature
diverse
alla
luce.
Saltellai
su
quel
fiore
prendendo
coscienza
del
mio
corpicino
senza
peso.
Presi
un
grande
respiro,
senza
che
quell'aria
realmente
mi
riempisse
e
mi
nutrisse.
Osservai
le
grandi
mattonelle
bianche
che
sottostavano
al
grande
vaso
di
fiori
dove
ero
nata.
Ero
nata
per
volare
e
dovevo
volare.
Osservai
una
bianca
cavolaia
volare
silenziosa
su
dei
margheritoni
di
un
altro
vaso,
più
lungo
e
stretto
del
mio.
Le
sue
ali
sbattevano
leggiadre
senza
lasciarla
cadere,
in
uno
sfarfallio
bianco
ricamato
di
macchioline
nere.
Sorrisi
a
me
stessa
stringendo
le
mani
in
piccoli
pugni
e
mi
lanciai
giù
dal
fiore.
Sentii
l'aria
sfrecciare
attorno
a
me
alzandomi
la
veste.
Perchè
quelle
ali
non
funzionavano?
Chiusi
gli
occhi
pensando
intensamente
a
quella
farfalla
e...le
mie
ali
fremettero
una
volta,
poi
una
seconda.
Riaprii
gli
occhi
e
notai
che
la
mia
caduta
si
era
fermata.
Mi
lasciai
sfuggire
un
gridolino
trionfante
e
cominciai
a
zigzagare
per
il
terrazzo,
tra
la
luce
del
sole
e
l'ombra
proiettata
dalla
parete
dell'edificio.
Improvvisamente
mi
fermai
sbalordita,
incontrando
due
occhi
altrettanto
sorpresi.
Fu
amore.
Fu
Ambra
e
Smeraldo.
Con
la
bocca
spalancata
mi
appiccicai
al
vetro
della
porta
finestra.
Troppo
piccolo
per
raggiungere
la
maniglia,
non
mi
restava
che
rimirare
l'esterno
da
quel
vetro
trasparente,
macchiato
dagli
aloni
della
pioggia.
Com'era
bella,
mi
fece
battere
forte
il
cuore
nel
petto.
Sembrava
una
bambola,
ma
poteva
muoversi.
A
confronto
con
quella
farfalla
bianca,
beh,
forse
sembrava
una
farfalla
anche
lei,
ma
era
molto
più
bella.
Quel
sorriso
scaldava
il
cuore.
Quel
sorriso
era
contagioso.
Quando
la
vidi
cadere
cominciai
a
battere
contro
il
vetro,
a
saltare
verso
quella
maniglia.
Impotente
mi
misi
a
piangere,
ma
nessuno
accorse
ad
aiutarmi,
né
ad
aiutare
lei.
Avevo
paura.
Avevo
paura
per
quella
creatura
così
fragile
che
era
caduta
dal
suo
fiore.
Tirai
su
col
naso
appiccicandomi
al
vetro,
sporcandolo
di
moccio
e
lacrime.
Sgranai
gli
occhi.
Stava
volando!
Il
sorriso
tornò
sulla
mia
bocca
e
saltellai
nel
vederla
svolazzare
tra
luce
ed
ombra.
Brillava
tutta!
Ad
un
tratto
si
fermò
e
si
volse.
Incontrai
i
suoi
occhi
che
sembravano
del
colore
delle
ciliege.
Le
sorrisi
mostrando
quanto
più
affetto
potevo.
Era
tutta
genuina
sincerità,
a
quell'età
non
si
può
mentire.
Era
seria,
sorpresa
forse?
Mi
ritirai
indietro,
per
un
attimo
mi
vidi
riflesso
nel
vetro,
con
quei
capelli
biondi
spettinati
e
i
miei
occhioni
verdi.
Notai
la
sbavatura
di
moccio
e,
con
semplicità,
la
pulii
con
la
mano
pulendola
a
sua
volta
sulla
magliettina.
Sorrisi
nuovamente
e
lei...semplicemente
mi
sorrise.
Rimase
impressa
nei
miei
occhi.
Parte
di
Ambra
e
Smeraldo.
Mi
avvicinai
timorosa
alla
finestra,
attirata
da
quel
sorriso
così
innocente
e
luminoso.
Quegli
occhioni
di
smeraldo
erano
lucidi
specchi
ricolmi
di
ammirazione.
Mi
fermai
davanti
al
quel
vetro
frullando
velocemente
le
ali,
ormai
non
era
più
faticoso,
bastava
desiderare
di
volare
e
loro
obbedivano.
Intrecciai
le
mani
sulla
schiena
abbassando
il
viso,
quasi
imbarazzata
nel
presentarmi,
volteggiando
appena
qua
e
là.
Non
c'era
bisogno
di
parole.
Allungai
una
mano
toccando
quel
vetro,
appoggiandocela,
sfiorando
la
sua,
molto
più
grande.
Ci
separava
quel
gelido
vetro,
ma
era
come
se
non
esistesse.
Mi
allungai
a
posargli
un
bacio
su
quel
nasino
a
punta
tremendamente
dolce.
Era
così
dolce
e
luminoso.
Era
così
bello
che
me
ne
innamorai.
Poi
improvvisamente
alle
sue
spalle
comparve
una
donna
così
alta
che
mi
fece
paura.
Schizzai
via
terrorizzata.
Che
sciocca.
Doveva
essere
sua
madre,
ma
il
suo
sorriso
non
era
luminoso
come
quello
del
mio
piccolo...piccolo...per
me
rimarrà
sempre
il
mio
prezioso
Ambra
e
Smeraldo.
La
sua
manina
sfiorò
la
mia.
La
sentii
come
se
il
vetro
non
esistesse.
E
quando
mi
dette
quel
bacio
sincero...dio...credo
sia
stato
il
mio
primo
bacio.
Il
primo
bacio
che
ho
dato
con
amore
posando
le
labbra
su
quel
freddo
vetro,
con
tanta
naturalezza
che
quasi
arrossisco
a
pensarci.
Un
amore
così
forte
che
pensarci
mi
fa
battere
ancora
forte
il
cuore
e
mi
annebbia
la
mente.
Poi
scappò
via
e
mi
imbronciai.
Mia
mamma
l'aveva
fatta
scappare
avvicinandosi.
Si
chinò
dietro
di
me
stringendomi
a
sé
"Cosa
hai
visto
di
bello?"
mi
domandò
coccolandomi
"Una
Fata!"
esclamai
indicando
contro
il
vetro
"Là,
là...sul
fiore!"
Lei
sorrise
prendendomi
in
braccio
osservando
fuori
dal
vetro
"Oh
sì,
ci
sono
tante
farfalle.
Ti
piace
quella
là
rossa?"
Farfalle?
Mi
imbronciai
contrariato
"Ma
no,
è
una
fata!"
mia
mamma
sorrise
"Ma
sì,
ora
che
guardo
meglio
è
proprio
una
bella
fata"
e
si
voltò
sorridendo
"Aspetta
mamma!
Voglio
la
fata!"
ma
lei
non
sentì
ragioni
"E
no,
mio
piccolo
cacciatore
di
fate.
E'
l'ora
di
dormire
un
po'"
Continuai
a
dimenarmi
pretendendo
di
tornare
alla
finestra,
ma
a
nulla
servì
neanche
piangere
e
strillare.
Fui
messo
a
letto
e
ben
presto
mi
addormentai.
Il
mio
amore
era
stato
portato
via
da
quella
brutta
donna
cattiva!
Mi
imbronciai
lasciandomi
cadere
a
sedere
sul
mio
fiore.
Posai
il
capo
tra
le
mani
sbuffando
sonoramente.
Ma
chi
si
credeva
di
essere
quella
lì?
Stavamo
solo
facendo
amicizia.
Non
volendomi
rassegnare
a
quell'ingiustizia
ripresi
a
volare
girando
intorno
alla
casa,
affacciandomi
da
ogni
finestra,
cercando
il
mio
piccolo
gioiello.
Infine
trovai
la
sua
cameretta,
piena
di
peluches
e
giocattoli.
Era
lì,
rannicchiato
nel
suo
lettino.
Mi
sentii
pervasa
da
un'irrefrenabile
gioia,
tanto
che
le
mie
ali
vibrarono
più
forte
sparpagliando
una
polvere
dorata.
La
finestra
era
socchiusa,
ma
mi
occorse
tutta
la
mia
forza
e
tanta
pazienza
per
aprirla
a
sufficienza
per
entrare.
Rimasi
per
qualche
istante
impigliata
nelle
tendine
azzurre
ma,
sorpassato
l'ostacolo
mi
fiondai
verso
quel
lettino
le
cui
sponde
segregavano
il
mio
amore.
Pazienza,
mi
dissi,
sarebbe
stato
liberato
tra
qualche
ora.
Mi
sedetti
sulla
sponda
dondolando
le
gambe
osservandolo.
Osservando
i
suoi
occhioni
chiusi
serenamente
e
quelle
labbra
rosate
schiuse
a
prendere
e
rilasciare
lenti
e
regolari
respiri.
Com'era
dolce.
Mi
avvicinai
camminando
in
punta
di
piedi
su
quella
copertina
leggera
approdando
sul
cuscino,
quasi
sorpresa
dall'affondarci
i
piedi
a
tal
punto.
Mi
sporsi
sul
suo
visino
morbido,
accarezzando
quelle
guanciotte
e
scostando
dagli
occhi
un
ciuffo
di
capelli
color
ambra.
Altro
che
quella
donna,
la
mia
delicatezza
non
poteva
batterla
nessuno.
Ad
un
tratto
si
rigirò
e
per
poco
un
suo
braccio
non
mi
schiacciava.
Volai
via
appena
in
tempo
tirando
un
sospiro
di
sollievo.
Mi
avvicinai
ancora
e
rincalzai
quelle
copertine.
Dormi
amore
mio.
Tornai
seduta
sulla
sponda,
attendendo
la
fine
dei
suoi
sogni.
Fu
il
riposino
pomeridiano
più
bello
del
mondo.
Rimpiango
di
non
riuscire
più
a
dormire
come
allora,
senza
pensieri
e
preoccupazioni,
avvolto
da
sogni
pieni
di
gioia
e
colori.
Ricordo
come
fosse
ieri
tutti
i
momenti
che
ho
passato
con
lei,
il
mio
primo
amore.
Quando
correvo
nel
parco
e
lei
mi
volava
accanto,
facendo
a
gara
a
chi
arrivava
prima.
Quando
caddi
e
mi
sbucciai
le
ginocchia
e
cominciai
a
piangere
e
lei
per
consolarmi
mi
regalò
un
grande
fiore
rosso
sventolandomelo
davanti
al
naso.
Ben
presto
la
caduta
fu
dimenticata
assieme
alle
lacrime.
Quando
costruivo
grandi
palazzi
con
il
lego
e
lei
faceva
la
principessa
intrappolata
nella
torre
e
io
il
valoroso
principe
che
andava
a
salvarla.
Quando,
quella
brutta
notte
d'inverno,
mi
persi
nel
bosco
e
lei
mi
guidò
fino
a
casa.
Quando
mi
aiutava
a
rubare
le
caramelle
dalla
ciotola
che
la
mamma
teneva
in
alto,
sulla
mensola
della
cucina.
Quando
mi
accompagnava
all'asilo
e
quando
mi
fece
coraggio
il
primo
giorno.
E
come
dimenticare
quante
volte
mi
ha
consolato
e
quante
mi
ha
incoraggiato
a
conoscere
i
miei
nuovi
amichetti.
Forse
se
non
mi
avesse
incoraggiato
così
tanto...Forse
lei
sarebbe
ancora
con
me...
La
mia
gioia
crebbe
col
mio
piccolo
amore.
Giocavamo
insieme
respirando
tutta
la
libertà
e
la
spensieratezza
del
gioco.
Ci
rincorrevamo
tra
risate
e
grida.
Ricordo
tutti
i
bei
castelli
che
mi
ha
costruito
e
tutte
le
volte
che
mi
ha
salvato
dalle
loro
torri
difese
da
draghi
e
mostri
terribili.
Tutte
le
volte
che
gli
ho
cantato
la
ninna
nanna
le
notti
in
cui
forte
ululava
il
vento
e
i
tuoni
rimbombavano
minacciosi.
Quante
volte
un
bacino
ha
consolato
le
cadute
accidentali?
Quante
volte
ci
siamo
fatti
una
scorpacciata
di
caramelle
alla
faccia
della
strega-mamma?
E
quanta
paura
ho
avuto
quando
la
sera
è
calata
e
non
ti
vedevo
più
accanto
a
me
nel
bosco.
Per
fortuna
ti
ho
ritrovato
ed
è
finito
tutto
per
il
meglio.
Era
così
bello
fare
le
trecce
in
quei
capelli
biondi
e
lucenti,
sembravano
raggi
di
sole.
Quante
corone
di
fiori
mi
ha
regalato
in
quegli
anni
spensierati?
Ho
imparato
a
leggere
la
lingua
degli
umani
insieme
a
lui.
Ho
imparato
a
contare
fino
a
venti
come
si
usa
tra
loro.
L'ho
visto
affrontare
le
sfide
della
vita
e
l'ho
visto
fare
amicizia
con
tanti
bambini
e...bambine.
Sempre
più
spesso
stava
con
loro
e
io
rimanevo
sola
nella
torre
di
quei
castelli,
senza
più
un
principe
che
accorreva
a
salvarmi.
Non
basteranno
tutte
le
lacrime
di
questo
mondo
a
lavare
via
il
dolore
che
mi
pesa
sul
cuore.
Nel
mio
mondo
vivevano
i
suoi
sorrisi
e
nel
mio
cuore
albergava
una
gioia
e
un
calore
unici.
Adesso
tutto
è
più
pesante
e
mai
luminoso
come
allora.
Ho
dimenticato
i
suoi
sorrisi
e
la
sua
compagnia,
ho
dimenticato
facilmente
la
sua
figura
in
favore
degli
altri
amici
e
della
frenesia
della
vita.
Come
un
fiore
senza
più
cure
lei
è
sfiorita
e
me
ne
sono
accorto
quando
ormai
era
troppo
tardi
per
salvarla.
L'Inverno
era
arrivato
senza
che
me
ne
accorgessi.
Un
inverno
in
cui
il
sole
brillava
e
i
margheritoni
erano
in
fiore.
La
gardenia
sul
terrazzo
sbocciò,
ma
i
suoi
fiori
erano
deboli
e
la
pioggia
anziché
nutrirla
l'appesantiva.
Me
ne
accorsi
dopo
tanto
e
mi
ricordai
del
mio
piccolo
amore
che
quella
mattina
si
era
svegliato
in
quel
fiore.
Era
ancora
lì,
rannicchiata
e
tremante.
Cosa
avevo
fatto?
Corsi
fuori
chinandomi
davanti
alla
pianta.
I
suoi
occhi
color
ciliegia
non
brillavano
più
e
fissavano
il
vuoto.
Le
sue
ali
erano
opache
e
senza
più
polvere
d'oro.
Alzò
gli
occhi
su
di
me
e
sorrise
debolmente.
Riuscii
solo
a
piangere
raccogliendola
tra
le
mani,
quel
corpicino
senza
peso,
gelido.
La
strinsi
a
me
capendo
che
non
stava
bene
"Non
andare
via
Gardenia"
le
mormorai
tirando
sul
col
naso
"Non
andare
via...non
andare..."
Sentii
la
vita
scivolare
via
lentamente.
Non
è
come
tra
gli
umani.
Noi
viviamo
di
sentimenti
e
di
passioni.
Quando
il
mio
amore
non
fu
più
ricambiato,
lentamente
la
vita
scivolò
via.
Cercai
quell'amore,
ma
non
ricevetti
il
calore
necessario
a
resistere
a
un
inverno
che
s'impadroniva
della
mia
anima.
Avrei
potuto
cercare
altrove
quel
calore
ma...ma
quell'Ambra...quello
Smeraldo.
Non
lo
faceva
con
cattiveria,
in
fondo
era
ancora
un
cucciolo...il
mio
cucciolo.
Tornai
a
quella
gardenia,
anche
lei
soffriva
come
me.
Mai
tanta
fatica
avevo
durato
a
volare.
Raggiunsi
quel
fiore
a
stento
resistito.
Mi
accucciai
nel
suo
polline,
ma
nessun
profumo
riusciva
ad
alleviare
il
mio
dolore.
I
colori
si
spegnevano,
poi
la
mia
luce
arrivò.
Aveva
capito,
ma
no...non
piangere
mio
piccolo
amore.
Mi
strinse
a
sé
e
sentii
quel
calore
che
mi
aveva
fatto
innamorare.
Ma
ormai
era
tardi,
era
troppo
tardi.
Non
potevo
odiarlo,
non
era
stata
cattiveria,
lo
aveva
fatto
senza
saperlo.
Non
glielo
avevo
mai
detto,
volevo
un
legame
sincero,
senza
imposizioni.
"Gardenia
deve
andare..."
mormorai
stringendo
la
sua
maglietta.
Il
suo
petto
di
ragazzino
era
così
grande
rispetto
a
me
"Ma
resterà
qui,
nel
tuo
cuore"
la
stretta
perse
forza
"Ti
guarderò...ti
vedrò...sempre...sempre..."
l'ultimo
oro
che
avevo
lo
piansi
in
lacrime
"sempre...sempre..."
continuai
a
ripetere
sempre
più
piano
"per
sempre...mia
Ambra...mio
Smeraldo..."
scivolai
tra
le
sue
mani
inerme,
chiudendo
gli
occhi
"mio
piccolo
Tesoro..."
furono
le
prime
ed
ultime
parole
che
ci
scambiammo.
Non
avevamo
mai
avuto
bisogno
di
parole,
noi
due.
Piansi così tanto. L'avevo uccisa, avevo ucciso la mia Gardenia. Urlai, piansi, mi odiai. La strinsi a me anche quando la sua voce si spense "Gardenia non andare...reste con me...ti prego" rimasi inginocchiato su quel terrazzo per ore a piangere. Mia madre rimase stupita nel vedermi piangere per la morte di una semplice farfalla rossa. Ma non era solo una farfalla...la mia Gardenia. "Ti prometto Gardenia" mormorai tra i singhiozzi "Che non ti dimenticherò mai..." singhiozzando mi alzai ed aprii le mani. Polvere d'Oro e Cremisi si levò col vento e volò su, alta nel cielo. "Insieme...sempre" tirai su col naso "per sempre"
Ho
rispettato
la
mia
promessa.
Non
posso
dimenticarla,
la
mia
Gardenia.
E
quella
pianta
cresce
rigogliosa
in
sua
memoria
ed
ogni
boccio
che
si
apre
è
un
suo
sorriso.
Guardo
mio
fratello
che
ride
in
terrazzo
e
corre
dietro
alle
farfalle.
Ma
non
sono
farfalle...vero?
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Una storia che ha ricevuto diversi commenti quando l'ho postata altrove. Solitamente in queste storie arriva il lieto fine. Perchè non ho salvato Gardenia? Perchè nella realtà Gardenia sarebbe morta. Ho voluto fondere fantasia e una realtà contemporanea proprio per questo. I bambini piangono e ridono a volte per motivi incomprensibili, magari vedono la loro fata...chissà...Forse anche io avevo la mia fata che poi ho dimenticato. Magari così le renderò onore.
Io non amo il lieto fine forzato, forse è un mio difetto. Credo, però, che dopotutto non sia una fine troppo crudele e triste. Quell'amore così sincero non è morto. Personalmente posso dire che, nonostante tutto, questa storia si conclude con questo ragazzo che sorride, forse con malinconia, ma sorride al punto di sorridere osservando il fratellino che gioca con le farfalle. Non vede più fate, ma può ben credere che lo siano. Io credo che possano esserlo realmente...
*°*°*°*
Ice90 - Lieta di sapere che qualcuno la pensa come me sulle fate. Io credo ce ne siano di buone o meno, in questo caso volevo una fata buona, ma non mielosa, anzi, quasi gelosa del suo amore al punto di veder la mamma di questo bambino come un'avversaria. Per gli errori non ti preoccupare XD io stessa spesso ne semino di goni tipo ahah