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Autore: Neal C_    02/10/2013    1 recensioni
Jean Marc de Ponthieu o Ian Maayrkas?
Più che mai questo interrogativo assilla la mente di Ian quando si vede costretto ad onorare i suoi obblighi di vassallaggio, “condannando” un figlio ad un matrimonio di interesse.
Il feudatario deve rassegnarsi ma può farlo l’americano che fa della libertà il suo stendardo?
Nel desiderio di schiarirsi le idee, Ian tornerà nel ventunesimo secolo da Daniel sfruttando ancora una volta la tecnologia di Hyperversum.
Ma gli eventi precipitano e il diabolico Hyperversum strapperà a Ian la sua famiglia, trascinando con se anche Geoffrey Martewall, da sempre propenso a credere che Ian non è mai stato il cadetto dei Ponthieu.
Il Falco e il Leone, in lotta fra loro, ancora una volta.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daniel Freeland, Geoffrey Martewall, Ian Maayrkas aka Jean Marc de Ponthieu, Un po' tutti | Coppie: Daniel/Jodie, Ian/Isabeau
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. Quo vadis, baby? *



“Daniel? chiamo per la pizza?”  
Jodie fece capolino dalla cucina, ancora in grembiule, con il cordless in mano ma il sorriso le morì sulle labbra non appena lanciò un’occhiata al soggiorno.
“Cos’è successo?” fece orripilata davanti ai due corpi distesi “Daniel?” cercò conforto nel marito mentre constatava la presenza di uno sconosciuto, dai capelli neri scompigliati e la barba scura e cespugliosa.
“Io… non lo so” ammise funereo il marito, sollevandosi in piedi.
“Ma chi è quello? E Ian? Sta bene? È ferito? È…” si interruppe mordendosi il labbro e sforzando di non credere neanche per un attimo a ciò che quella vista le suggeriva.
“Dorme come un bambino, tranquilla.”  Non disse una parola su Martewall, distogliendo lo sguardo stancamente.
Ma Jodie non si lasciò scoraggiare dal silenzio del suo uomo e corse in cucina, tornando con un bicchiere da vino colmo d’acqua.  Davanti alla perplessità di Daniel, la ragazza si avvicinò minacciosa ai due giovani addormentati, quindi lanciò loro contro l’acqua.  
Dopo poco Ian sbattè gli occhi, arricciando le labbra in una smorfia infastidita.
Mise a fuoco il salotto di casa Freeman e, dopo un attimo di smarrimento, realizzò dove si trovava e il suo pensiero corse subito a Geoffrey, fino a pochi minuti fa ferito e agonizzante.
Jodie gli sorrideva rassicurata e Ian ricambiò il sorriso, sollevato dall’aria familiare.
Si tirò su sui gomiti, i muscoli della schiena ancora in criccati, come se fossero stati sottoposti ad uno sforzo troppo grande, stirò il collo e poi si volse  verso Geoffrey, ancora addormentato.
Vederlo così, in T-shirt e jeans, gli fece una strana, curiosa impressione e gli strappò un sorriso il pensiero che, dopo una rasatura, il barone di Dunchester sarebbe stato un vero Don Giovanni.
Poi sembrò ricordarsi dell’attentato che lo aveva lasciato ferito a morte e i suoi occhi corsero subito al suo petto, con urgenza.
 Ancora una volta ringraziò mille volte Hyperversum e le sue assurde regole.
Ma nonostante l’acqua e lo spavento Geoffrey non accennava a svegliarsi.
“Ma come…” sospirò il giovane, tirandosi a sedere, per poi mettersi in piedi a fatica.
“Non lo so. Non so com’è cominciata, non so come controllarlo. ”
Daniel continuava a mettersi le mani nei capelli, incapace di nascondere la frustrazione che aumentava ogni secondo che continuava a rimuginarci su.
“Cazzo” concluse infine, con un sospiro “CazzoCazzoCazzoCazzo!” sbattè il piede sul pavimento facendo saltare Ian ma neanche questo sembrò svegliare Martewall, ancora beatamente immerso nel sonno.
“Daniel” lo richiamò intimorita Jodie, ancora con il cordless in mano, cercando l’appoggio di Ian nel suo sguardo ma il bruno era assente “Prima o poi si sveglierà… poi che faremo?” diede voce ai pensieri di tutti.
“E se non si sveglia? A questo punto forse lo preferirei…” borbottò feroce Daniel.
Con grande sorpresa dei presenti Ian dette prova di un’ incredibile freddezza, come se avesse il completo controllo della situazione. Infatti si avvicinò gentilmente a Jodie, la quale gli lasciò il cordless di tacito accordo, dopodichè, mentre componeva un numero fece alla donna, con tranquillità:
“Si sveglierà. Se non sono morto io non lo farà neanche lui.  In fondo tutto quel che Hyperversum fa accadere deve essere scritto.” Affermò come se si trattasse del postulato di una religione.
Pochi secondi dopo ordinò alla pizzeria sotto casa due margherita, una bianca prosciutto e funghi e una quattro formaggi.
Daniel lo guardava sbalordito. Era sotto shock o cosa? Dove la tirava fuori tutta quella tranquillità?
 Pranzarono in silenzio.
Jodie tentò con diplomazia di chiedere di Isabeau e dei bambini ma Ian era taciturno e ben presto ella desisté. Che la cosa non lo avesse scosso neanche un po’ era impossibile, osservò Daniel fra se e se mentre cercava ogni pretesto per non doversi scervellare su quanto accaduto poco prima.
“Daniel, secondo te cos’è successo?” incalzò Ian,  intavolando l’argomento dal nulla mentre si alzava per buttare il cartone della sua pizza con il cornicione semi mangiucchiato che non era riuscito a finire.
“Da quanto tempo non mangiavo una pizza” osservò poi, con un sorriso per riempire il vuoto lasciato dal silenzio dell’amico che si ostinava a non rispondere e non pensare.
“Se si sveglia, chiamatemi.” Replicò alla fine Ian, stancamente
“Vado a farmi una doccia e poi cinema stasera?”

Quella sera andarono a vedere un thriler di spionaggio, in 3D, e per di più stracolmo di effetti speciali tanto che Ian ebbe per un attimo un giramento di testa.
Piuttosto Johnny fu entusiasta del suo ritorno e per quanto non fosse cool uscire con i genitori per un cinema, grazie alla presenza dello “zio Ian” accettò con piacere.
Il giorno dopo uscirono a mangiare in un ristorantino thailandese e il giorno ancora dopo ordinarono del sushi. Ma Martewall non si svegliò.
Il giorno dopo il loro ritorno, i due uomini di casa lo sollevarono con fatica, stendendolo sul letto, nella camera degli ospiti e  là lo lasciarono, controllando ogni ora che si svegliasse.
Più il tempo passava e più si angosciavano.
Daniel si era preso due giorni di ferie e aveva armeggiato tutte le mattine con il computer cercando di recuperare tutti i dati della partita ma ogni volta che inseriva i dati del back-up, Hyperversum non riusciva a caricare lo scenario e si bloccava.
Quando ricostruivano uno scenario leggermente diverso e meno particolareggiato il gioco funzionava normalmente rendendo tutto ancora più inutile e frustrante.
Daniel e Jodie discussero a lungo con Ian se era il caso di chiamare John e Sylvia  e avvertire Martin della loro presenza lì.
Ma finchè Martewall non si svegliava e non era messo “sotto copertura” non era il caso di rischiare.
Dopo il weekend Ian si ripresentò in Università e fu salutato calorosamente dal rettore e da alcuni colleghi che gli chiesero delle sue lunghe spedizioni in Francia e delle campagne di scavo a cui diceva di aver partecipato. Il giovane superò brillantemente la prova annunciando che avrebbe scritto tutto nel suo prossimo libro ed era tornato alla scrivania proprio per mettere a frutto la sua esperienza.
I colleghi lo avevano salutato con una pacca sulla spalle e gli avevano proposto un pranzo di benvenuto a cui non aveva potuto rifiutare. E così si era aggiornato sulle ultime novità di facoltà e aveva fatto conoscenza con il ricercatore che lo aveva sostituito fino a quel momento, un certo Dereck Anderson.
Ma quando era tornato a casa, stremato, aveva scoperto che nulla era cambiato.
“Forse è in coma” aveva riflettuto Jodie, mentre ricontrollava il battito cardiaco e la pressione, con delicatezza e premura.
Inoltre c’era un altro problema da fronteggiare:
nel momento in cui Geoffrey Martewall si fosse svegliato, in ogni caso sarebbe stato privo di documenti, di registrazione all’anagrafe, di un’identità.
Come creare una persona dal nulla?
E se si fosse ammalato come avrebbero potuto rimediare visto che di fatto non esisteva affatto qualcuno che avesse quel nome, quella data di nascita, le sue impronte digitali?
Solo in quel momento Ian si rendeva conto di quanto fosse stato ingenuo da parte sua pensare che in America, nel ventunesimo secolo, Martewall si sarebbe potuto salvare. Se Hyperversum avesse funzionato come di dovere, al suo arrivo Geoffrey sarebbe stato ferito gravemente, e avrebbe avuto bisogno di assistenza. Dove trovare i soldi e i documenti per garantirgli assistenza in un ospedale?
Tutti questi quesiti assillavano Ian impedendogli persino il sonno e, in quei giorni, aveva faticato ad addormentarsi.
Dopo quattro giorni che persisteva quella situazione snervante, Jodie si pronunciò, mentre i tre ragazzi di casa facevano colazione a latte e cereali e attendevano il caffè, svogliatamente:
“Ragazzi, non può andare avanti così”
Ian sollevò la testa dalla tazza e dal cookie che stava intingendo nel latte, rabbuiandosi subito:
“ha dato segni di vita?”
“è quello il problema, Ian! Non mangia da tre giorni! Ha assunto quelle poche gocce che sono riuscita a fargli entrare a forza in bocca! Rischia la disidratazione oltre che di morire di inedia!”
“Tu cosa proponi?” chiese sarcastico il ragazzo, ma se ne pentì subito.
“Dobbiamo fare in modo da ricoverarlo per commozione cerebrale e coma profondo.” Interruppe Daniel che stava per obbiettare, alzando una mano a mo’ di stop e brandendo il caffè in maniera pericolosa
“Facciamogli fare dei documenti falsi, facciamogli un’assicurazione sulla vita e mandiamolo in ospedale.”
“Sei impazzita? Sai quanto costa un’assicurazione sulla vita? E poi a chi li chiediamo i documenti falsi?” ribattè il marito, indignato ma subito Ian si ritrovò a mediare fra i due litiganti.
“Jodie, aspettiamo almeno un altro giorno. Quanto ai documenti falsi vedrò cosa posso fare, oggi stesso.”
Suonava molto misterioso, quasi alla James Bond questa frase ma lo stesso Ian non sapeva bene cosa fare e l’aria smarrita e assente del suo volto di quei giorni ne era la prova.
Da quando aveva lasciato Isabeau e la sua famiglia sorrideva di rado, si rinchiudeva in momenti di mutismo profondo e doloroso, alle volte si sfogava con pianti e singhiozzi appartati e mangiava poco volentieri.
Jodie non fu convinta del tutto dal tentativo di Ian ma fece un sospiro annunciando che andava a controllare Martewall un’altra volta quando un urlo eccheggiò per le scale, proveniente dal piano di sopra.
I tre ragazzi si guardarono allarmati, incapaci di reagire. Ian si riprese per primo, scattò in avanti, correndo per le scale e quando piombò in camera trovò Geoffrey rannicchiato in posizione fetale, che nascondeva il volto contro un cuscino e singhiozzava istericamente.
Il bruno si avvicinò lentamente e gli toccò la spalla con cautela ma questo sembrò agitare Martewall ancora di più tanto che si ritrasse e cominciò a urlare e a scalciare come in preda al panico.
Erano gridi rauchi, urla stridule e strozzate, come in preda ad un’angoscia e un’agonia senza fine e Ian ne fu quasi spaventato, incerto su cosa fare.
“Geoffrey… ti prego…. calmati” lo richiamò debolmente “Geoffrey, GEOFFREY!”
alzò gradualmente il tono della voce per sovrastare i suoi lamenti e arrivò ad afferrarlo per le spalle, sollevandolo di peso da letto e scuotendolo violentemente come volesse svegliarlo da un incubo.
Vide riflesso nei suoi occhi la paura folle di ogni cosa fosse intorno a lui, della stregoneria, e di lui, il suo amico Ian che si era tramutato in aguzzino catapultandolo in quella prigione in muratura, da che si trovavano in un cimitero verde.
“LASCIAMI! COSA MI HAI FATTO?! COSA MI HAI FATTO! SPORCO STREGONE! DEMONIO IMMONDO!”
Si rattrappì su se stesso e Ian notò che le mani erano strette al petto in maniera soffocante, appese ad una lunga catenina di ferro. Stringeva spasmodicamente una croce di legno, da lui stessa intagliata, che portava dal giorno della sua investitura cavalleresca.
“Geoffrey… ti prego…” ripetè Ian afflitto “sono sempre io, Jean… sono tuo amico… devi credermi”
Ma non ricevette risposta tranne un acuto mugolio e un singhiozzo. Poi cominciò ad udire uno strano salmodiare, fitto e disperato, mentre Martewall aveva chiuso gli occhi e li teneva sigillati.
“Pater noster qui es  in caelis, libera nos a malo, Pater noster qui es in caelis, libera nos a malo, Pater noster qui es in caelis, libera nos a malo… * ” e continuava freneticamente mordendosi le labbra e bagnando il cuscino di lacrime sconvolte.
A Ian venne una stretta al cuore e in quel momento non ce la fece più; si catapultò fuori dalla stanza mentre sopraggiungevano Daniel e Jodie, lui con un cambio di vestiti, lei con un vassoio di minestra, pane, acqua, vino, olive nere e del formaggio. Entrambi allarmatissimi lanciarono un occhiata all’amico sconvolto ma non lo fermarono mentre si precipitava di sotto, tappandosi le orecchie.
Quando sentirono la porta di casa sbattere con veemenza seppero di essere soli in casa.
Jodie entrò per prima con il vassoio esitante e lo spettacolo di Martewall in quelle condizioni la scosse non poco. Anche lei provò a richiamarlo più volte, non tentò mai di toccarlo ma gli ripetè parole amiche, lo esortò a mangiare e a calmarsi ma l’energia di Martewall era infinita e non smetteva di pregare ossessivamente, di raggomitolarsi su se stesso e singhiozzare senza tregua.
Alla fine gli lasciarono il vassoio accanto al letto e vestiti e asciugamani nuovi su una sedia, poco lontano e chiusero la porta.
I lamenti si attutirono e, dopo poco più di mezz’ora in casa regnava il silenzio.

Il giorno dopo Jodie si trasferì a casa dei genitori con Johnny, fortunatamente ancora ignaro della presenza di Martewall in casa.  Daniel scoprì che Geoffrey non aveva toccato cibo, rimasto a raffreddare tutta la notte e così fu per altri due giorni a venire.
Beveva sempre qualche sorso d’acqua ma né il pane, né il formaggio né la minestra erano toccate.
La cosa angosciava profondamente i due giovani ma ogni volta che si azzardavano ad entrare Martewall ricominciava a gemere e a pregare fino allo sfinimento.
Al terzo giorno dal suo risveglio, quando i due ragazzi vennero a fargli visita lo trovarono con lo sguardo opaco, sfinito. Non aveva neppure più la forza di singhiozzare, rimaneva a fissare con occhi vacui la parete bianca, la persiana semiabbassata e ogni tanto deglutiva con il respiro pesante.
Quella notte stessa lo colse la febbre con brividi fortissimi che denunciavano disidratazione, emicranie fulminanti da stress che lo costringevano a tenere gli occhi chiusi e a vivere nel buio, oltre che uno stato di depressione avanzata, come diagnosticò Jodie, con le lacrime agli occhi.
Dovettero fargli ingurgitare la minestra a forza e, nel tentativo di farlo bere, gli infradiciarono la t-shirt.
Rimediarono avvolgendolo in pesanti coperte di lana e costringendolo a ingoiare le compresse di tachipirina.  All’inizio Martewall dovette credere che lo stessero avvelenando eppure poi ci fece l’abitudine e smise di reagire.
Al quinto giorno, dopo il risveglio, Ian si recò prima del solito in camera di Martewall e per di più senza il vassoio della cena fra le mani.
Si sedette sul bordo del letto e notò che come al solito Geoffrey non lo guardava ma teneva gli occhi semi chiusi e vacui, puntati verso la parete di fronte.
Ian si allungò e con rabbia gli dette uno schiaffo in pieno volto, attirando così l’attenzione dell’amico che debolmente lasciò ricadere la testa dal lato di Ian guardandolo con i suoi occhi scuri e spenti, le occhiaie impastate di lacrime asciutte che ancora lasciavano il solco sul suo volto pallido e sofferente.
“Cosa diavolo stai cercando di fare Geoffrey? Vuoi lasciarti morire di inedia, di depressione, essiccato come una piantina al sole? Vuoi commettere peccato verso Iddio nostro signore togliendoti la vita che lui ti ha donato e lui solo può riprendersi?” e così dicendo lo scosse ancora con violenza, gli occhi accecati di lacrime
“Che razza di cavaliere sei! Credevo di conoscere Geoffrey Martewall, il Leone di Dunchester e invece davanti a me c’è solo un vigliacco! Svegliati e affronta la realtà prima di giudicarla!”
Continuò a urlargli contro “VIGLIACCO” per cinque minuti buoni finchè gli mancò il fiato.
Ma l’amico non reagì, tornando a guardare la parete, sconsolatamente.
Fu allora che Ian reagì con violenza e afferrò la sua catenina rigirandola intorno al collo, sul punto di strozzarlo. Geoffrey reagì debolmente allungando le mani come per respingere il corpo dell’altro e artigliargli il braccio ma ben presto rimase inerme sotto la sua stretta.
Tuttavia continuò ad agitarsi disperatamente, l’ultimo brandello del suo istinto di sopravvivenza.
Ian gli sussurrò all’orecchio rabbiosamente stringendo e rilasciando a tratti la presa per suonare più minaccioso  “potrei strozzarti Geoffrey, mettere fine alla tua vita…”
“fallo”  fece quello con un mormorio roco e strozzato, a malapena comprensibile, dopo cinque giorni di silenzio.
“Uccidimi” lo pregò Martewall con un lamento  “poiché…” prese a tossire, incapace di parlare tanto era arida la gola. Ian si affrettò a fargli ingoiare un po’ d’acqua dalla bottiglia che aveva accanto al letto e così Geoffrey potette terminare a fatica la frase:
“…poiché mi hai condan-nato a ques-to infeerno…cosa, mi hai fatto, cosa…” ritornò muto.
Ian allentò la presa e poi ritirò le mani lasciandolo a tossire seccamente, quindi si alzò guardandolo con occhi glaciali  “se è questo che pensi allora non posso fare nulla per te. Lasciati pure morire come il più infimo dei vigliacchi… disonori la cavalleria, san Michele e san Giorgio e… deludi il più grande degli amici” terminò con voce rotta, incapace di nasconderla.
Quella sera fu Daniel a lasciare il vassoio accanto al letto e ad augurargli la buonanotte non ricevendo altra risposta che un singhiozzo strozzato.

Il giorno dopo, con grande stupore, Daniel scoprì il piatto della minestra vuoto come la bottiglia accanto al letto, il formaggio mezzo mangiucchiato, cinque o sei noccioli di oliva e un fondo di vino nel bicchiere.
Ma quando andò da Martewall lo trovò che dormiva profondamente. Nel bagno in corridoio c’era una bacinella di plastica con un fondo di un liquido denso e giallastro.
Daniel arricciò il naso, riconoscendo l’odore stantio di urina e gettò tutto nel water.
La prima cosa che gli avrebbe insegnato, si disse, era l’utilizzo di un bagno moderno.
Qualche ora dopo fu richiamato dal rumore dei suoi passi sul parquet mentre si affrettava a raggiungere il catino in bagno. Fece in tempo a precederlo e a spiegargli in poco tempo quale grande invenzione fosse il water e quello sembrò non ribellarsi, accogliendo la novità con un sospiro.
Chiamò Jodie per farsi consigliare qualcosa da prendere contro la diarrea e gli misurò la febbre, di qualche grado più bassa, constatò con sollievo.
Dopo avergli somministrato un’altra tachipirina lo rimise a letto.
Nei successivi giorni di convalescenza,  Geoffrey si impegnò quanto poteva per apprendere il funzionamento del bagno mentre la febbre di abbassava sempre di più e lui tornava a mangiare normalmente.
Ma ancora non osava scendere le scale né esplorare altre stanze del piano di sopra.
Non si sporgeva dalle finestre e non permetteva che le tende di lino bianco fossero discostate benchè avesse consentito l’apertura delle persiane per fare entrare la luce.
Non domandò dove fosse Ian, perché non si fosse visto in giro negli ultimi tre giorni, i giorni della sua ripresa.  Il giovane ne aveva approfittato per allontanarsi  ed era volato a Seattle per presentare una nuova pubblicazione del collega Dereck Anderson e annunciare al mondo intero il suo ritorno fra gli accademici.
Dopo la sua prima settimana di convalescenza Daniel gli aveva spiegato il funzionamento della doccia, l’esistenza dell’acqua corrente regolabile a piacimento fra calda e fredda, l’esistenza dello shampoo e del bagnoschiuma, la componente acido acetilsalicilica della tachipirina e l’esistenza delle medicina e delle pillole solubili , avendogli dovuto somministrare calcio, magnesio e vitamina B e C tramite integratore.
Martewall era uno studente attento ma taciturno, con un’ombra di perenne sofferenza e disagio sul volto mentre annuiva, quando aveva capito oppure scuoteva la testa con un tacito invito a ripetere.
Daniel non si scoraggiava, parlandogli in modo colloquiale e familiare, ogni tanto abbozzando un sorriso e tentando una battuta che lo lasciava assorto e talvolta sembrava quasi inquietarlo.
Poi fu la volta della luce elettrica, scoglio duro da superare, ancor più dell’acqua corrente, della plastica e qualche breve accenno al petrolio che lo lasciò perplesso.
Dopo due giorni di faticose spiegazioni Daniel era tornato dal lavoro con un’enciclopedia universale per bambini e gliela aveva portata insieme al pranzo.
Da quel momento Martewall aveva impiegato tutto il tempo a leggere, talvolta trascurando anche di dormire. E ogni giorno si meravigliava e cominciava a chiamare le cose per nome sussurrando come un bambino che impara a parlare.
Fu dopo la prima settimana che Geoffrey improvvisamente si rivolse a Daniel che gli aveva  appena portato il pranzo  “tu… hai un’out…omobili?”
“Cosa?” rimase perplesso il ragazzo.
“Una carrozza che va a… olio”
 La cosa fece sorridere Daniel, specie detta in quel modo timoroso, con un timbro basso, sottovoce, e si affrettò a correggerlo, rallegrato:
“Un’automobile dici? Va a benzina. In realtà la mia va a gasolio però il principio è lo stesso.”
Geoffrey sospirò come se gli costasse una terribile fatica impegnarsi in quella conversazione ma alla fine annuì e ammise stentoreo  “l’ho letto. È tutto assurdo… e orribile”
Questo commento lasciò Daniel pensieroso e lasciò che l’amico continuasse, prendendosi il suo tempo.
“Non è naturale. Tutto quello che fate va assolutamente oltre qualunque… qualunque legge di natura.
Voi volate.  Ma la natura non ci ha provvisto di ali.
Voi vedete di notte come di giorno.  Nessuna creatura, tranne quelle notturne può sconfiggere l’oscurità.
Voi vi sentite da chilometri con degli apparecchi che usano l’essenza dei fulmini, la stessa per accendere le luci nella notte. Come avete fatto a catturare il lampo?”
Sembrava quasi sragionasse mentre elencava tutto ciò che aveva letto e che lo aveva lasciato mezzo tramortito.  Era spaurito come un cucciolo abbandonato che lottava con le unghie e con i denti per sopravvivere davanti ad un mondo nuovo, ostile e tremila volte più evoluto della civiltà da cui proveniva.
“E poi le vostre ricchezze! Tutto è ridotto a dei pezzi di carta straccia e delle monete di volgare metallo.
Anzi, alcune volte si tratta solo di soldi finti, inesistenti,  che hanno la stessa consistenza dell’aria.”
“Si chiamano azioni” ironizzò Daniel ma non se la sentì di infierire
“E fate continuamente debiti con degli strozzini che vi prestano tutto ciò che vi serve per vivere e vi fanno credito solo perché andate sventolando un pezzo di carta. ”
Non era male come definizione per una carta di credito,  si ritrovò a pensare Daniel, cercando di nascondere un sorriso e annuendo comprensivo.
“Geoffrey… non so spiegarti perché. Ci separano almeno mille anni di storia.  Non so come siamo arrivati a questo ma sappi che tutto quello che tu trovi inspiegabile e contro natura per me è assolutamente normale.   Mi dispiace ”  aggiunse poi contrito ma Geoffrey non lo degnò di uno sguardo e scivolò verso le scale che conducevano al piano di sopra, la zona camere da letto.


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Note

* Titolo tr. Dove vai, baby? , direi che per descrivere lo smarrimento iniziale era perfetta, non trovate?
 Diciamo che originariamente è tratta dal vangelo apocrifo di Pietro [LINK]
 ma io preferisco una versione più  “laica” [LINK]
* Tr. Dal latino :  Padre nostro che sei nei cieli, liberaci dal male…


Angolo dell’autrice

Direi che Geoffrey ha preso molto bene il suo primo contatto con la società moderna/contemporanea/ipertecnologica dell’era dei duemila.
è sulla buona strada, se si impegna. Se non si suicida prima.
Ma siccome è il mio personaggio preferito e la storia non avrebbe molto senso senza di lui naturalmente se la caverà in qualche modo.   Augurategli buona fortuna.
Grazie a chi mi segue, chi recensisce, chi legge in silenzio.  
E grazie in particolare ad Eli_hope per la sua frequenza assidua e per avermi inserita fra gli autori preferiti :)
E voialtri,  qualunque cosa vogliate farmi notare, sappiate che non aspetto altro.  

Neal C.
  
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