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Autore: hunterd    03/10/2013    3 recensioni
La domenica è l'unico giorno della settimana che Embry si rifiuta di trascorrere alla riserva in compagnia dei suoi amici.
C'è troppo "amore" nell'aria per i suoi gusti, troppa gente dagli occhi languidi e dalle mani intrecciate.
Sente i confini della riserva sempre più stretti intorno a lui, come se in quell'ultimo anno si fosse rimpicciolita e lui fosse stato l'unico ad accorgersene.
Così, in sella alla sua moto, anche quella domenica se ne va in cerca di una meta che gli faccia dimenticare per un pò La Push e il lupo che c'è in lui, causa di una sofferenza mai superata.
Per Samantha, invece, quella è una domenica lavorativa come tante altre sull'ascensore panoramico dello Space Needle di Seattle.
Ancora non sa che qualcosa di molto "pericoloso" sta per entrare in quello spazio che considera un buon punto di "osservazione" per i suoi studi di psicologia.
Così, Embry sarà per lei la variante impazzita nello schema ripetitivo che è stata sino ad allora la sua vita.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Embry Call, Nuovo personaggio, Quileute
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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Salve gente,
eccovi un altro aggiornamento. Forse un pò breve, ma spero piacevole.
Buona lettura.
Laura





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I’m coming for you
My body’s hungry
I’m coming for you
Like a junkie

I can’t stop
The desire in me
I’m not waiting
Patiently

There’s only one way to soothe my soul
There’s only one way to soothe my soul

Soothe my soul - Depeche Mode




CHAPTER TWO - DEPARTURES AND ARRIVALS




La volontà di Embry cede di schianto un giovedì mattina.

Semplicemente succede che non ce la fa più a sopportare quel male che lo sta divorando vivo, che l'ha costretto a diventare un'ombra nella sua stessa vita.
Non parla, non mangia, non dorme, non pensa... sta diventando un guscio vuoto.
Così sistema gli attrezzi che stava usando, si toglie la tuta da lavoro e pronuncia le fatidiche parole.
- Mi dispiace, Jacob. Io devo andare.
All'amico gli basta guardarlo in faccia per capire che niente al mondo potrebbe fermarlo in quel momento. Forse è successo così anche a lui, un giorno di qualche anno prima, ha iniziato a correre e non si è più fermato.
Sinceramente in quel momento non gli interessa, è già proiettato fuori da quell'officina, fuori dalla riserva, via da La Push. Non è lì che potrà trovare la cura per il suo male, si è solo illuso per tutto quel tempo.
Sono passate poco più di tre settimane da quando Samantha lo ha chiamato per dirgli che quella cosa tra di loro non poteva andare avanti. E' stato ad ascoltarla per più di dieci minuti, l'ha sentita argomentare le sue ragioni con lucidità, logica e determinazione, dopodichè ha ribattuto che gli poteva stare bene, anche lui non era pronto per quella cosa tra di loro.
Il succo della questione, per lei, è che sono un ragazzino ed una ragazza che si sono incontrati al momento sbagliato in una vita, forse, giusta. Ma il destino non fa sconti a nessuno, quindi, può darsi che si rincontrino al momento giusto... oppure mai.
Stronzate.
Arriva a casa e si guarda in giro come se non fosse stato lì in quelle settimane, non riconosce quell'ordine che c'è nella sua stanza. Come se rivedesse un film, le immagini di lui che la sistema ogni sacrosanta sera, anche se non c'è più niente da fare in realtà, scorrono fotogramma dopo fotogramma.
Ha fatto anche quello pur di non pensare.
Poi ci sono state le cene con sua madre, poche chiacchiere ma lei era contenta lo stesso. Da quanto non le concedeva così tanto del suo tempo?
Prende una sacca e ci butta dentro qualche cambio di vestiti, il libro di leggende indiane che ha da quando era bambino, una foto di lui insieme ai suoi amici, e infine la scatola di latta dentro cui ha iniziato a metterci dei soldi in previsione che quel momento potesse arrivare.
Poi va in cucina e butta giù due righe frettolose su un pezzo di carta che appunta al frigorifero.
"Ciao, mà, devo andare via per roba di lavoro. Non ti devi preoccupare. Per qualsiasi cosa sai che puoi contare su Jacob. Ti voglio bene. Embry"
Starà male lo stesso, come ha fatto ogni volta in quegli ultimi anni, quando l'ha visto uscire ad ogni ora del giorno e della notte senza sapere dove andasse. Ma non farà storie, farà finta di credere a quello che gli ha scritto nel biglietto, sarà meno indolore per tutti.
Sa anche che Jacob porterà avanti le stesse bugie con lei, sarà al branco che dirà la verità. Forse ne parlerà anche con Billy... chissà...
Non gli importa neanche di quello, davvero, ora sente solo il bisogno di inseguire i suoi desideri sino in fondo.
Esce, si guarda intorno e respira a fondo l'aria che profuma di foresta, di terra, di lupi. Gli sembra di sentire degli ululati in lontananza, ma poi capisce che sono solo nella sua testa.
Saranno sempre lì, e ci resteranno nonostante qualsiasi cosa deciderà di fare in futuro.
Anche il suo lupo si agita furiosamente, vibra sotto pelle cercando di prendere il sopravvento, ma lo respinge concentrandosi su ciò che vuole davvero.
Poi sale in moto, guarda casa sua, si infila il casco e molla gli ormeggi.
Tornerà, forse, ma lo farà con i suoi tempi e i suoi modi. Come è stato fino adesso gli ha portato solo dolore, e lui è stanco di soffrire.



XXXXXXXXXXXXXXXX



Samantha scende dall'autobus e si sgranchisce le gambe, è letteralmente a pezzi. Fisicamente e moralmente.
Sta viaggiando da più di sette ore su un pulman della Greyhound che la sta portando da sua zia Beth, in California.
E' stata una scelta obbligata la sua, quando ha pensato ad un posto dove potersi rifugiare per ritrovare un pò di pace, è la casa sul mare delle sue vacanze estive che gli è venuta in mente.
Quella dove lei e Peter hanno trascorso giornate allegre e serene, in compagnia dell'unica parente disposta ad ospitarli insieme.
A quel punto si impone di non pensare più, non vuole piangere proprio lì, in quella stazione di servizio piena di gente. Così si dirige verso il bar, con l'idea di prendersi qualcosa da bere e da mangiare in previsione dell'altra parte di viaggio che l'aspetta.
Entra e una ventata di aria viziata l'investe. Prima andrà in bagno, poi comprerà uno di quei panini poco invitanti, ma che sono l'unica cosa commestibile esposta in vetrina.
Entra nella parte che ospita i bagni e come spesso succede ci trova una bella fila. I capricci di una bambina stanno facendo impazzire una giovane donna e lei si ritrova ad osservarle per ingannare l'attesa.
"Allora ci usi come cavie".
Non solo ricorda perfettamente le parole, ma anche il modo in cui la voce leggermente roca le ha pronunciate. Di colpo non è più lì, è da Benny, seduta al suo solito tavolo in compagnia di Embry e tutto è perfetto.
Vorrebbe uscire da quella visione, ma un'altra si sovrappone ancora più ferocemente.
Loro due che si baciano sotto la pioggia.
Deve appoggiarsi al muro, si sente mancare, mentre da lontano una voce le sta chiedendo se va tutto bene.
No, va tutto male.
Vorrebbe rispondere, ma le manca il fiato. Deve riprendere il controllo della sua mente che ha deciso di bombardarla con ricordi che ha cercato di seppellire sotto chili di forzato buon senso.
Solo che il prezzo da pagare stava diventando troppo alto, ed ecco perchè sta andando in California, per cercare di riprendersi la sua vita di prima.
- Ti senti male?
E' proprio la giovane donna che glielo sta chiedendo, allora si sforza di sorriderle.
- No, sono solo affamata. Forse era meglio se prima mangiavo e poi venivo qui.
Ora sorride anche l'altra.
- Praticamente la stessa cosa che mi ha detto mia figlia. Meno male che è venuto mia marito a prenderla. Gli uomini non sanno nemmeno cos'è la coda ai bagni.
Sono chiacchiere semplici, luoghi comuni, quelli che scambia nei cinque minuti successivi con lei, il tempo che le ci vuole per riuscire finalmente ad andare in bagno.
Quando esce la giovane mamma è già sparita e anche lei torna al bar. Si ritrova indecisa tra un panino con tonno e insalata, oppure uno con formaggio e hamburger.
Non hanno una bell'aria nessuno dei due, così alla fine decide per il tonno. Sta pagando quello e l'acqua, quando una figura entra nella sua vista periferica. Quasi le scappa la roba di mano, mentre il cuore le balza in gola.
Un giubbotto di pelle nera, jeans sbiaditi... ma il ragazzo di spalle non è alto abbastanza, non ha capelli scuri... non è Embry.
Sam, smettila di sognare!
Vorrebbe ignorare la voce della ragione, quella che l'ha accompagnata in quella lunga telefonata e che l'ha fatta parlare con cognizione di causa, ma sa che dice il vero.
Sta sognando, qualcosa che ha fatto incessamente per più di tre settimane. Ha sognato di tornare indietro e rifare tutto daccapo.
Arriva a quella telefonata e... lui non le da ragione, non le augura buona fortuna prima di andare ognuno per la propria strada!
Ha tenuto duro, dopo. Ha dato il suo esame, ha preso A+, è uscita con Pauline e July a festeggiare. E il giorno dopo ha ripreso le sue giornate di sempre, senza però riuscire a viverle davvero.
Un guscio vuoto.
Ecco quello che si sente. Ha bisogno di tornare ad essere veramente Samantha-piediperterra-Preston. E da zia Beth potrà farlo, in quella casa che ricorda piena di luce e di calore. La zia non ci sarà, è vero, però ci saranno tutte le sue cose a circondarla, se lo farà bastare.
Finalmente arriva il suo turno di pagare, poi esce.
Decide di andare a sedersi ad uno dei tavoli che c'è nella zona adibita a pic-nic. E' vero che l'aria fuori è più fresca, però è anche più pulita, l'aiuterà a schiarirsi le idee.
Si siede e inspira profondamente.
Profumo di erba...
- Ciao, Sam.
Embry.
Solleva lo sguardo e lo vede.
E' lì, davanti a lei, ritrova gli occhi scuri che l'hanno saputa comprendere come se la conoscesse da sempre
- Finalmente ti ho raggiunta.
E poi quelle labbra che ha sognato quasi tutte le notti, si distendono in un sorriso che vale più di mille parole.



XXXXXXXXXXXXXXXX



Un viaggio come metafora per raccontare la vita.
Se quella frase sia di qualcuno famoso, Embry non lo sa, però gli sembra azzeccata per quello che sta pensando in quel momento.
Ha viaggiato per un numero imprecisato di ore e lo ha fatto per inseguire una persona a cui non è ancora disposto a rinunciare.
Mentre spegne la moto e la mette sul cavalletto, ripensa a come ha infranto ogni precedente record per coprire la distanza tra La Push e Seattle. Per poi scoprire che lei se ne era andata. Non è riuscito a strappare nessuna informazione alla sua compagna di stanza, una che francamente gli sembrava uscita da un cartone animato, in compenso ha quasi rischiato di essere denunciato per stalker dall'altra, quella che sapeva esattamente chi fosse lui, non appena si sono visti.
Non lo sa, alla fine, cosa ha detto o fatto di giusto tra le mille cose che ha tentato con lei, ma ad un certo punto ha ceduto e gli ha dato indicazione su come poterla raggiungere.
Ha ripreso il viaggio, tritando chilometri ad una velocità folle, mosso solo dal pensiero di dover fare in fretta. Aveva già sprecato tre settimane, non voleva perdere un'altra ora più del dovuto.
Ha rimandato al momento giusto ogni dubbio o paura, prima tra tutte quella di ricevere un altro rifiuto secco, e ha pensato solo a guidare.
Può dire di aver fatto la scelta giusta, ora che sente la ragazza dietro di lui stringerlo ancora un attimo, prima di lasciarlo andare per scendere dalla moto.
- Mi sembra ancora... impossibile. Essere qui, con te.
Si è sfilata il casco, lui pure e i loro occhi sono quasi alla stessa altezza.
- Capisco bene la sensazione.
Lei sorride, ma nei suoi occhi rimane un'ombra di disagio.
- Sei pentita della tua decisione?
Non può fare a meno di chiederglielo, perchè sa che non le imporrà mai la sua presenza, per nessun motivo.
Scuote la testa, guardandolo dritto negli occhi.
- Posso sempre cercarmi un'altra sistemazione.
Scuote ancora la testa.
- Ci sono due camere per gli ospiti, non c'è problema.
Non ha smesso di guardarlo e vede l'azzurro delle sue iridi incupirsi.
- Dobbiamo parlare, però, Embry.
Hanno tre settimane di silenzio da riempire, avranno da parlare un bel pò, ne è convinto anche lui.
- Lo so, però prima ho bisogno di fare un'altra cosa.
Gli basta allungare un braccio e farlo scivolare intorno alla sua vita. La attira verso di lui e lei non oppone resistenza, anzi gli posa un braccio sulle spalle.
Non la bacia subito, prima strofina il naso contro la pelle delicata del collo. Vuole riempirsi del suo profumo, vuole capire se i suoi ricordi sono precisi anche su quello.
Sì, è proprio come lo ricordava.
Le provoca un brivido, perchè la sente tremare contro di sè, allora la sfiora anche con le labbra.
Il sapore della sua pelle, anche quello è come lo ricordava.
- Embry...
E' un sospiro, o forse una preghiera, o forse entrambi, ma lui ha già posato le labbra sulle sue, ritrovandosi a non capire più niente.
Come ha potuto pensare di non baciarla mai più? E' stato un pazzo a crederlo.
Non ha mai sentito delle labbra così morbide e gustose sotto le sue. La stringe di più, perchè prova subito la sensazione di non volerla in un altro posto che non preveda di essere spalmata addosso a lui.
E' possesso il suo?
Sì? E allora se ne frega, se così è, così sarà fino a quando Samantha lo vorrà.
Fino a quando....
E' un rischio con cui dovrà farci i conti, e non solo con quello, lo sa bene, ma non ci vuole pensare adesso. Non ora che l'ha appena ritrovata.
Poi la sente sorridere sulle sue labbra, allora allenta un attimo la presa per poterla guardare negli occhi, senza però allontanarsi troppo dal suo viso.
- Non so tu, ma io ogni tanto ho bisogno di respirare...
Giusto. Deve prendere anche in considerazione il fatto che lui... bè, fisicamente ha sicuramente qualche marcia in più rispetto a lei.
- Giusto. Ma devi considerare che sono state molto lunghe queste tre settimane.
- Lo so. Ero dall'altra parte della barricata.
Ora è lui a sorridere, o meglio, a mascherare così la fitta che lo ha colpito.
- Ah, allora eravamo in guerra.
- Forse era più una tregua.
Così gli piace di più.
- Cosa dici, entriamo? Ti faccio vedere la casa.
E' arrivato il momento di fare un altro passo avanti in quella loro storia.
- Tua zia non c'è, giusto?
- No, è via con delle amiche per un torneo di enigmistica. Un pò strano, ma lei ne è una patita.
L'azzurro dei suoi occhi torna ad incupirsi, e ormai sa che sta per arrivare qualcosa di scomodo da sentire.
- Ma se sapesse che sto per far entrare in casa sua un perfetto sconosciuto... credo che mi ucciderebbe prima lei.
E' vero sono praticamente due sconosciuti, che però non riescono a stare lontani l'uno dall'altro.
- Non ti farei mai del male, Sam.
Lei per un attimo non lo guarda negli occhi, gira la faccia verso il giardino della casa.
- Sam?
Sente anche lui la sua voce tremare e non è niente in confronto al cataclisma che gli scoppia dentro. Non può concepire che lei abbia paura di lui, non farebbe mai niente per...
- E' proprio di questo che ho paura, Embry.
I suoi occhi sembrano diventati immensi nel volto leggermente pallido, ora che lo fissano di nuovo.
- Del fatto che so con certezza che non mi faresti mai del male. Sei un perfetto sconosciuto, eppure non c'è persona che desideri più vicina a me in questo momento!
Sembra quasi arrabbiata ora. Con lui, ovviamente.
- Embry, porca miseria.... tu hai... diciannove anni! E io, Cristo Santo... io tra un mese e mezzo ne compio ventiquattro!
Sa che l'argomento va affrontato, ma non sa ancora bene cosa le dirà per farglielo apparire meno drammatico di quanto pensi.
- Penso che dovrò iniziare a pensare che regalo farti, allora.
Sceglie la strada della battuta, sfoderando quello che spera possa rivelarsi un sorriso accattivante. Una volta, qualcuna gli ha detto che con quel sorriso avrebbe potuto sciogliere anche un iceberg.
Non vuole darle l'impressione di prenderla in giro, cerca solo di alleggerire la situazione. Di prendere la cosa da un'angolazione che non li veda subito impegnati in uno scontro.
- Forse una crema contro le rughe potrebbe essere azzeccata...
La risposta è sarcastica, certo, però nel frattempo lo prende per mano, invitandolo così a scendere dalla moto per avviarsi verso il cancelletto in legno bianco che permette l'accesso al piccolo giardino ben curato.
Il cottage si trova in una bella posizione, su un basso promontorio che domina una piccola baia. Ci sono altre due costruzioni simili, ma sono ad una distanza tale che permette di godere di una certa privacy.
Gli ricorda vagamente La Push, solo che lì la spiaggia è molto più ampia e il promontorio molto più alto.
Allontana immediatamente il pensiero, chiudendo fuori tutto ciò che non ha a che fare con la ragazza che adesso sembra impaziente di entrare in casa, tanto che lo sta trascinando.
- Aiutami a cercare la chiave, dovrebbe essere qui in qualche vaso.
Sulla piccola veranda ci saranno almeno una ventina di vasi, tutti contenenti fiori e piante diverse.
- Una divertente caccia al tesoro.
Sbuffa, mentre inizia a cercare nel vaso più vicino a lei.
- Non parlare e cerca, non vedo l'ora di farmi una doccia... il viaggio è stato lungo.
Non pensa che sia stato solo il viaggio a lasciarle quelle ombre scure intorno agli occhi, in ogni caso è deciso a cancellarle il più presto possibile.
Gli sembra un segno del destino che lei stesse proprio andando in un posto del genere, dove potranno godere di una certa tranquillità per capire cosa fare di loro stessi e del fatto che non sono stati capaci di riprendere le loro vite come se non si fossero mai incontrati.
- Quando ho deciso che ti avrei rapito, era in un posto simile che avevo in mente di portarti.
Sta cercando anche lui la chiave, sporcandosi le dita di terra. Un brivido gli corre lungo la schiena, perchè ha un flash di zampe che artigliano il terreno con forza.
- Rapito? Era questo che avevi in mente se mi avessi trovato a Seattle?
La voce un pò stupita di Samantha ha la forza di scacciare quella sensazione appena provata, come acqua limpida che lava via tutto, anche la mancanza dei suoi fratelli.
- Sì... ma solo nel caso che tutto il resto non avesse funzionato per convincerti a venire via con me.
La sente per un attimo trattenere il fiato, per poi rilasciarlo con una mezza risatina.
- Ah, e cosa avresti fatto per convincermi?
Lui passa ad un altro vaso, lei pure. Sono due figure dai contorni più sfocati, ora che sta calando il buio della sera.
- Parlare, spiegare, chiedere, pregare... supplicare. Tutto il reperterio, insomma.
Ha trovato la chiave, ma per qualche motivo non lo dice ancora. Gli piace quel momento tra di loro, così come lo stanno vivendo.
- Saresti arrivato a supplicarmi?
Scrolla le spalle, forse un minimo di dignità sarebbe meglio conservarla.
- Non credo che sarei dovuto arrivare a tanto, penso che al chiedere ti avrei convinto, dopotutto avevo delle buone argomentazioni per farti partire con me.
Lei è passata ad un altro vaso ancora, lui ha fatto finta.
- Sentiamo, dimmene qualcuna. Sono proprio curiosa.
Quanto ha intenzione di esporsi con lei?
Poi si dice che non potrebbe esporsi più di quanto abbia già fatto raggiungendola in quella stazione di servizio, quindi è inutile girarci intorno.
- Non riesco a restare senza di te.
La sente imprecare, una sfilza di parolacce belle grosse rispetto a lei che sembra così delicata. Subito dopo scoppia a piangere con singhiozzi violenti che gli penetrano nella carne come degli uncini affilati.
- Samantha...
Non fa in tempo ad aggiungere niente, perchè viene investito con una forza che non credeva le fosse possibile visto il suo fisico minuto. Si è buttata su di lui, abbracciandolo e sprofondando il viso nel suo giubbotto, mandandolo a sbattere contro la balconata della veranda.
- Maledetto, e maledetta me che non riesco più nemmeno io a restare senza di te.
Embry ci mette un attimo a capire che non è stato aggredito, ma abbracciato. Ci mette molto meno, però, a farlo a sua volta, lasciando che quel fiume di lacrime si esaurisca da solo prima di scostarla da sè e guardarla negli occhi arrossati, ma lo stesso incredibilmente azzurri.
- Non posso prometterti che sarà l'ultima volta che ti farò piangere, posso solo prometterti che ci proverò.
Vede sbucare un mezzo sorriso tra le ultime lacrime che gli provoca una stretta allo stomaco.
- Ti faccio la stessa promessa, perchè so per certo che anche voi maschietti siete capaci di piangere.
L'ha già fatto per lei, nel buio della sua stanza, inchiodato al letto e con la faccia sprofondata nel cuscino per non farsi sentire da sua madre.
Ma adesso non si sente di parlargliene, perchè finirebbe col rivelarle il perchè di quelle lacrime e ancora non può affrontare con lei quella parte della sua vita che si è lasciato alle spalle.
-  Non so se ti conviene farmi piangere, divento ancora più brutto.
C'è un gorgogliare che è a metà tra il riso ed il pianto di poco prima, mentre un cazzotto lo colpisce sul torace.
- Questo è perchè sei falso ed arrogante. Sei pienamente consapevole della tua bellezza e non ti fai scrupolo di usarla a tuo favore. Cosa credi, che  all'università ci vada solo per scaldare il banco? Ti ho inquadrato sin dall'inizio, Embry Call!
Scherzare tra di loro, è già diventato un modo consolidato per uscire da un momento che nessuno dei due è ancora pronto ad affrontare.
Cazzo, eppure arriverà, ed è proprio come vedere una tempesta che si addensa all'orizzonte, sempre più cupa e minacciosa.
- Io a scuola ci andavo davvero per scaldare il banco. Forse è per quello che sono diventato tutto muscoli e niente cervello!
Si becca un altro cazzotto, che su di lui ha l'effetto di una carezza solo appena più accentuata.
- Niente cervello, eh? Dopo questa, mi rimetto a cercare quella benedetta chiave.
Come un vero prestigiatore, le fa apparire la chiave davanti al naso. Altro cazzotto, ma questa volta finge di aver provato dolore.
- Ahi, ma sei una tipa violenta!
- E tu insopportabile.
Gli prende la chiave e lo fulmina con un'occhiata che non riesce ad essere seria come vorrebbe. Poi si volta e apre la porta del cottage, invitandolo ad entrare.
- Prego, Mr. Call, benvenuto a Little River e nella mia umile dimora.
Little River, piccolo paesino della California, a più di mille chilometri da La Push, quella terra a cui sente che una parte di lui apparterrà sempre.




XXXXXXXXXXXXXXXX



Samantha, ad un livello più inconscio, è ancora spettatrice incredula di tutto quello che è successo da quando ha alzato la testa in quella stazione di servizio e si è trovata davanti Embry.

Dopo quel momento è stato un susseguirsi di emozioni che ancora adesso si agitano dentro di lei senza un senso logico.
Mentre cerca nella dispensa di Zia Beth qualcosa che possa diventare una parvenza di cena, la sua mente continua a viaggiare tra sprazzi di lucidità e di follia.
"Finalmente ti ho raggiunta".
Il modo in cui glielo ha detto, come la guardava, la fa sentire come se fosse parte di un viaggio che lui sta facendo dentro se stesso, la fine e insieme l'inizio di qualcosa di cui ovviamente non ha la minima idea di cosa possa essere.
E' una psicologa, ormai può pensarlo di sè stessa, le manca solo la formalità di un ultimo esame e la discussione della tesi, perciò sa che a volte nelle parole delle persone si nascondono significati più profondi, qualcosa che spesso sarà lei a dover cercare di far emergere dall'inconscio di chi avrà di fronte. 
Solo che la ragione, in quella storia tra lei ed Embry, non c'è ancora entrata nemmeno una volta.
E' come se tutto il suo apparato cognitivo fosse andato in tilt, e lei potesse percepirlo solo attraverso gli istinti e i bisogni che la sua presenza gli provoca.
"Sam, prenderesti in considerazione l'idea di scappare insieme a me in un posto qualsiasi?"
Glielo ha detto subito dopo, e lei non ha dovuto pensare per rispondere, perchè il bisogno di dirgli di sì è stato istintivo.
"Little River, stavo andando lì. Mia zia ha un cottage sul mare. Lei non ci sarà per una decina di giorni, saremo soli".
Spontaneo, naturale, facile come respirare.
E' così che gli appare tutto ciò che ruota intorno a lui, quando dovrebbe essere solo pura follia.
Di Embry sa solamente che ha diciannove anni, che possiede una moto di grossa cilindrita, che vive a La Push con sua madre e che fa il meccanico.
Se poi è vero quello che le ha detto.
Ma lei sa che è vero. Ecco quello che la spaventa, ha una fiducia cieca in lui, come se lo conoscesse da sempre.
Lo ha portato lì, a Little River, dove conserva gli unici ricordi sereni in compagnia di Peter, tanto da considerarla la sua vera casa.
- Posso darti una mano?
Le scappa di mano la scatoletta di mais di cui stava controllando la data di scadenza e le finisce sul piede nudo.
- Ahia... potresti essere meno silenzioso quando arrivi?
Se la prende con lui, quando sa bene che sono i pensieri fatti sinora ad averla nuovamente agitata.
- In effetti di solito sbatto da tutte le parti, ma stasera volevo fare bella figura, cercando di non fare già dei danni.
Non riesce, proprio non ce la fa a non pentirsene subito dopo, specie quando lui dissimula un certo dispiacere dietro a quelle battute scherzose.
- Scusami.
Lui scrolla le spalle e si avvicina. Se è possibile, le sembra ancora più bello.
- Ti sei fatta male?
Scuote la testa mentre lui abbassa lo sguardo verso i suoi piedi nudi. Anche lui è scalzo, solo che i suoi sono enormi.
- I tuoi piedi sono giganteschi. 
- Sono proporzionati a tutto il resto.
Lei si sente andare a fuoco la faccia, perchè lui non è stato proprio malizioso, ma di certo nemmeno serio. Però quando tornano a guardarsi negli occhi, le diventa naturale essere lì con lui, a flirtare come se fosse la sua prima cotta.
- Sai cosa dicono di chi ha l'alluce molto più grande delle altre dita?
- Sentiamo.
- Che sono persone pratiche, razionali e amanti della natura.
C'è un luccichio strano nei suoi occhi scuri, ma è troppo veloce per capire cosa sia.
- Lo dicono i tuoi libri?
- No, lo dice Vanity Fair, è una rivista femminile a cui è abbonata Pauline.
Lui torna a guardarle i piedi e poi sorride leggermente. La sua voglia di baciarlo sta raggiungendo livelli insostenibili, non crede che riuscirà a trattenersi ancora per molto.
- E sai cosa dicono dei piedi piccoli, invece?
- Sentiamo.
- Che stanno in scarpe piccole.
Praticamente attaccano a ridere in simultanea, un vero e proprio scoppio di ilarità che la fa sentire di nuovo la bambina spensierata che è stata in quella stessa cucina.
Ha un altro motivo, così, per volerlo baciare e agisce per la prima volta pienamente cosciente di quello che sta per fare. Colma con un passo la poca distanza tra loro e lo afferra per la maglietta, costringendolo ad abbassarsi verso di lei, altrimenti non ce la farà mai ad arrivare al suo viso.
Poi posa le labbra sulle sue, chiudendo gli occhi e spegnendo il cervello.






Note Autrice

Metto i ringraziamenti in fondo, perchè credo che chi arriverà a leggerli, sia anche il giusto destinatario.
Grazie, quindi, a chi ha messo questa storia tra le preferite/seguite/ricordate. 
Ovviamente un grazie anche a chi magari legge sempre, senza però lasciarne traccia in nessuna maniera.
A presto.
Laura

  
  
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