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Autore: RainbowCar    03/10/2013    2 recensioni
FF iniziata quando DAI non era ancora stato rilasciato. In questa storia gli eventi di Inquisition non sono mai accaduti: ho scelto di immaginare i miei eroi e le loro storie; personaggi nuovi che inevitabilmente incontrano quelli di DA:O e DA2.
"Era tutto perfetto. Mio padre e mia madre si abbracciavano sorridenti mentre mi guardavano giocare col mio fratellino. Il sole splendeva alto nel cielo e il lago Celestine luccicava come uno zaffiro. C’erano uccelli e cerbiatti, e nug. E c‘era un drago. Un drago enorme, mostruoso. Era venuto per uccidere."
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Custode, Hawke, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Andraste!”
La freccia mi sfiorò la spalla, perdendosi poi tra la vegetazione.
Eravamo arrivati da poco ai confini della foresta di Brecilian, a metà del nostro viaggio, quando qualcuno ci tese un’imboscata. Feron aveva assistito alla scena.
 “Stai bene?” mi chiese preoccupato.
“Sto bene. Ma chi…” non ebbi modo di concludere la frase; un’altra freccia si conficcò nel terreno, a pochi passi dai miei piedi.
“Via da qui! Siamo troppo scoperti!” suggerì ragionevolmente Gulliack.
Ci nascondemmo tutti tra gli alberi e i cespugli, abbandonando il sentiero.
Cercammo di capire da dove provenisse l’arciere misterioso, sicuramente era nascosto tra gli alberi, ma non si scorgeva alcuna ombra tra i rami.
Ad un tratto, lo vidi. Un leggero movimento, un riflesso scarlatto.
La terza freccia si conficcò nel tronco dell’albero dietro cui era appostato Deleric.
“Adesso basta!” urlò l’orlesiano. “ Posso capire che tu ce l’abbia con me, ma non hai motivo di attaccare i miei amici. Hai quasi ucciso la ragazza!”
“Non dire sciocchezze, non l’avrei mai fatto” rispose una voce femminile. “Era solo un modo per fermarvi”
I due si conoscevano. La voce femminile aveva un leggero accento orlesiano, ma molto meno marcato di quello di Deleric. Chi poteva essere? Forse un funzionario dell’Impero venuto ad arrestarlo per essere fuggito?
“Che intenzioni hai?” le chiesi, evitando di abbandonare il mio riparo.
“Non voglio farvi del male, voglio solo il ragazzo”
“Scordatelo!” Esclamai, decisa. “E’ evidente che qualunque cosa tu voglia da Deleric, lui non sembra volertela dare!”
“Capisco” riflettè la voce, “quindi hai trovato l’amore Deleric? E’ per questo che non vuoi venire con me?”
La risposta dell’orlesiano fu meno pronta di quanto mi aspettassi.
 “Lei non è la mia compagna. E io comunque non devo dare spiegazioni a te! Vattene da dove sei venuta!”
“Non vado da nessuna parte. Prima devi almeno ascoltare quello che ho da dirti”
La situazione stava diventando pesante. Era ora di finirla. Feron era del mio stesso parere, dunque intervenne.
“Se non ha intenzioni ostili, forse dovresti mostrarti e abbandonare il tuo arco”
“D’accordo. Sono disposta a conversare civilmente, se voi farete lo stesso. Ho la vostra parola?”
Deleric ci fece un cenno che ci convinse ad accettare quelle condizioni.
Uscimmo allo scoperto e l’ombra abbandonò il suo nascondiglio, palesandosi con un balzo che le permise di scendere agilmente dall’albero su cui si era appostata.
Era una bella donna. Non più giovanissima, ma dall’aspetto delicato ed elegante. I capelli vermigli le incorniciavano il viso grazioso e gli occhi chiari gli donavano una strana luce che era in grado di camuffare i segni del tempo.
La osservai bene, sembrava orlesiana a giudicare dalla sua corazza, ma qualcosa mi diceva che aveva passato del tempo nel Ferelden.
Non aveva un aspetto minaccioso, eppure Gulliack strinse a sé Altelha, mentre Feron era pronto a usare i suoi pugnali. Deleric sembrava nervoso, ma le sue mani non si erano dirette all’elsa del suo spadone, non ancora almeno. Io stavo in guardia, ma ero allo stesso tempo curiosa di capirci qualcosa di più.
“Perché hai attaccato  Andraste?” chiese il guerriero alla sua inseguitrice.
“Andraste? E’ così che si chiama lei?” la donna volse il suo sguardo verso di me. Io mi celavo dietro un cappuccio, impedendole di osservarmi bene in viso. La donna continuò.
“Andraste? La sposa del Creatore? A Orlais sarebbe un sacrilegio chiamarsi con il suo nome, non molte persone sono degne di un tale onore”
Sorrise. Non sembrava seriamente disturbata dal fatto che portassi quel nome, ma intuii che provava un profondo rispetto per la figura di Andraste.
“Non hai risposto alla mia domanda” la interruppe Deleric.
“Non l’ho attaccata, volevo solo fermarvi” rispose, senza staccare gli occhi da me. Il suo sguardo in qualche modo mi inquietava, era fin troppo scrutatore.
Poi per fortuna lo distolse dal mio viso e tornò a dedicarsi al motivo della sua presenza nel Ferelden.
“Tua madre è preoccupata per te. Le manchi molto. Tuo fratello chiede spesso di te. Gli abbiamo detto che l’imperatrice ti ha mandato in missione, ma deve essersi accorto di qualcosa, dopotutto tua madre non fa che piangere…”
“Basta così” la interruppe Deleric, “non riuscirai a farmi sentire in colpa più di quanto non mi senta già”.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, il suo viso esprimeva qualcosa di molto simile al dolore.
“Quindi non ti importa niente di loro?” infierì ancora la donna, “tua madre e tuo fratello ti amano, ti hanno sempre amato, è così che li ripaghi?”
Deleric la fece parlare, incapace di ribattere. Avevo capito che non aveva nessuna intenzione di tornare a casa, ma quella scelta lo faceva ugualmente soffrire molto.
“Come hai potuto abbandonarli? Tua madre è anziana”, incalzò lei, “e con tuo fratello in quello stato… da sola come può…”
“Smettila!” la interruppi io. Non sapevo bene il perché fossi intervenuta in una questione che non mi riguardava, ma non sopportavo di vedere quell’espressione sul viso di Deleric. Improvvisamente sentii il sangue avvamparmi la faccia, abbassai il cappuccio per cercare di riprendere un colorito normale. La tizia mi aveva davvero innervosita.
“Se Deleric ha scelto di andare via avrà avuto i suoi buoni motivi. Smettila di trattarlo come un bambino disobbediente!”
In fondo anche io ero partita contro la volontà di mia madre, in un certo senso mi rivedevo in quella situazione, solo che mia madre non avrebbe usato certi mezzucci per convincermi a tornare, fare leva sul mio senso di colpa non avrebbe mai funzionato e lei lo sapeva.
Feci qualche passo verso quella donna, ma Deleric mi fermò.
“Andraste… ti ringrazio. Ma sono in grado di cavarmela da solo”
Avevo accusato l’orlesiana di trattare Deleric come un bambino… e io avevo fatto lo stesso. Non ne combinavo una giusta. Annuii e arretrai di nuovo, sotto lo sguardo sorpreso di Feron e Altelha, che, conoscendo il mio carattere impulsivo, già immaginavano di vedere la rossa colpita da qualche raggio magico. Ma stranamente mi ero resa conto del mio errore e per quanto fosse difficile da mandare giù, lasciai perdere e tornai in disparte.
“Non verrò con te. Fattene una ragione” sentenziò il ragazzo.
Ma la donna non rispose nemmeno, si limitò ad annuire mentre invece di osservare il suo interlocutore, osservava me. Sì avvicinò di nuovo, cauta. Non staccava gli occhi dal mio volto.
“Che cosa vuoi?” non potei fare a meno di chiedere, pronta a reagire a qualsiasi attacco.
“Tu sei… una bellissima ragazza”
Allungò una mano, forse per toccarmi il viso, ma Feron, che era accanto a me, coi suoi riflessi svelti le bloccò il braccio afferrandole il polso. Era chiaro che mi avrebbe solo toccato, ma lui non voleva che accadesse.
L’orlesiana si liberò dalla presa, che comunque non intendeva immobilizzarla, e si allontanò da me. Arretrò, quasi spaventata, poi cominciò la sua corsa tra gli alberi, andandosene così come era venuta, silenziosa e veloce.
 
*****
La donna dai capelli ramati  bussò alla porta della casa. La ragazzina le stringeva la mano, cercando un po’ di calore in mezzo a quella gelida distesa innevata. Avevano fatto un lungo viaggio, ma finalmente erano arrivate a destinazione.
La porta ci mise un po’ per aprirsi. Era chiaro che il padrone di casa volesse prima accertarsi di chi ci fosse dall’altro lato. Quando riconobbe la sua voce, l’elfo la fece entrare assieme a sua figlia.
“Mio marito non è potuto venire, io invece ho deciso di prendermi una meritata vacanza, ma qualcuno doveva restare per impedire altri disordini. Ormai Kirkwall è diventata la terra di nessuno, qualcuno deve pur pensare alla città. A volte mi chiedo chi ce lo faccia fare…”
Fenris ascoltava le ultime novità dai Liberi Confini, mentre i gemelli giocavano con Maesie, la figlia di Aveline e Donnic.

Kirkwall orami era in rovina, ma Fenris la ricordava comunque con affetto. Era lì che aveva conosciuto la libertà, che aveva conosciuto l’amicizia, che aveva conosciuto l’amore. Paradossalmente era anche per colpa sua che la città adesso se la passava molto male: dopo la rivolta dei maghi e la destabilizzazione dell’ordine templare il potere non durava mai abbastanza nelle mani della stessa persona. Per fortuna c’erano le guardie cittadine, capitanate da Aveline e da suo marito, che si erano dichiarate indipendenti avevano giurato di servire un codice a cui chiunque poteva appellarsi in caso di contravvenzione. Le leggi esistevano ancora, erano molto chiare, e nemmeno le guardie potevano esimersi dal rispettarle. Non obbedivano alle schiere di visconti che si succedevano alla velocità della luce, ma i tribunali esistevano ancora e avevano giurisdizione anche sulle guardie. In questo modo il pericolo della dittatura era scongiurato, inoltre Aveline era molto attenta nel selezionare le reclute e le teste calde venivano allontanate in modo immediato.

“Ma dov’è Hawke?”
Avrebbe dovuto rispondere a quella domanda, prima o poi. Forse si aspettava di riceverla dai suoi figli, ma quelli non gliel’avevano ancora posta. Invece Aveline voleva sapere dove fosse la sua amica. In fondo era strano che lei se ne andasse in giro. Aveline era venuta a trovarla altre volte e Hawke le aveva sempre detto che non si allontanava mai da quella casa.
Fenris si arrese all’amara verità. Non aveva avuto il coraggio di dirlo ad alta voce prima di allora, ma erano passati già sette giorni. Quanto gli mancava. Non erano mai stati così a lungo lontani da quando si erano trasferiti nel Ferelden.
Sospirò, poi rispose alla domanda.
“E’ andata da lui”, disse solo, a bassa voce, fingendo che la cosa non gli procurasse quella fitta di dolore nel petto che non riusciva a controllare.
Non aveva bisogno di specificare di chi si trattasse. Aveline aveva capito. Abbassò lo sguardo e si limitò ad annuire. Lei non aveva voluto sapere dove si trovasse Anders. Sapeva che il suo senso del dovere l’avrebbe portata ad andare da lui e a pretendere giustizia per Kirkwall, ma non voleva. Per quanto le costasse ammetterlo, in parte capiva Anders. In parte appoggiava quello che aveva fatto. In parte. L’altra parte di lei l’avrebbe visto volentieri rinchiuso fino alla fine dei suoi giorni in un luogo buio e isolato.  Ma era sicura che, ovunque si trovasse, la realtà non fosse molto diversa. Era prigioniero comunque, prigioniero di sé stesso.
Fenris interruppe i suoi pensieri.
“Aveline, io…”
Non lo fece finire.
“Vai. Ai bambini penserò io”
 
*******
L’arciera aveva fretta. Correva in direzione di Denerim. Doveva trovare la sua amica, doveva a qualunque costo arrivare in città e parlare con la regina.
Aveva sempre sospettato che dietro  la scomparsa di Morrigan ci fosse qualcosa. Aveva stretto amicizia con Lavriella in un modo in cui non credeva fosse possibile, eppure dopo la battaglia contro l’Arcidemone, l’eretica era scomparsa senza lasciare traccia.
E lei conosceva Lavriella abbastanza da credere che l’avrebbe cercata, se non avesse saputo il perché della fuga.
 
La notte prima della battaglia finale, Leliana aveva visto la sua amica piangere.
“Sei preoccupata per domani?” le aveva chiesto, sedendosi accanto a lei, davanti a un grosso camino acceso.
“Io… scusami” aveva risposto la ragazza asciugandosi le lacrime, “domani è un giorno importante, si deciderà il futuro dell’intero Ferelden e… io non so se potrò reggere questo peso tutto sulle mie spalle. Ho paura di non esserne in grado”
Le fiamme illuminavano il salone vuoto, una pace surreale proveniva da quei riflessi dorati, mentre fuori si preparava una sanguinosa battaglia.  
“Lo capisco. Ma ricordati che non sei da sola, sei stata capace di radunare un esercito, hai tanti alleati e soprattutto tanti amici”
Le aveva poggiato una mano sulla spalla. Le voleva molto bene. La considerava un’amica, anche se le era capitato di pensare a loro due come a qualcosa di più, ma era cosciente che per Lavriella era diverso, e per quanto talvolta fossero deboli i suoi pensieri, aveva accettato la realtà e non sperava assolutamente in qualcos’altro.
 “E poi hai Alistair” aveva continuato, “lui divide questo fardello con te. Perché non vai da lui? Forse vi farebbe bene stare insieme stanotte…”
Aveva tentato di consolarla, eppure a sentir nominare Alistair, gli occhi di Lavriella si erano inondati nuovamente di lacrime.
Aveva pensato che avessero litigato. Tuttavia il giorno dopo avevano combattuto, più uniti che mai, e avevano vinto. Durante i festeggiamenti avevano annunciato ufficialmente il loro matrimonio e sei mesi dopo si erano sposati.
 
Aveva sentito molte storie sui custodi grigi. Non era chiaro come mai fossero necessari per abbattere gli Arcidemoni, dicevano che avesse a che fare con la capacità di avvertire la Prole Oscura, ma doveva esserci dell’altro. Storicamente, i custodi che avevano affrontato quei potenti draghi non erano mai sopravvissuti, pur riuscendo a sconfiggerli. Lavriella era stata la prima a sferrare il colpo mortale e a non riportare danni. Forse era semplicemente un caso. O forse no.
Il dubbio era sempre rimasto nel cuore di Leliana. C’era qualcosa che non la convinceva, ma per rispetto nei confronti della sua amica, non aveva indagato, non aveva mai chiesto.
E adesso aveva visto lei. Una ragazza che somigliava a Morrigan in un modo impressionante. Ma i suoi occhi… i suoi occhi non erano quelli della Strega delle Selve. Erano gli occhi di qualcun altro. Erano gli occhi di Alistair.
  
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