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Autore: OttoNoveTre    03/10/2013    4 recensioni
- Sono stato così cafone, bimba?
- Oh, zitto e dammi qua!
Corin nascose le pagine in una cartelletta e la mise in fondo ad un cassetto. Invece salvò la versione sullo schermo del computer, e l’iconcina del file comparve nell’elenco di storie.
- Che è quel nome?
- Il titolo.
- Come mai quello?-
- E’ ciò di cui sono fatta.
Di libri, di ombra e di sangue.
[raccolta di storie incentrate sulla coppia Corin/Santiago]
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corin, Santiago, Volturi
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Vento focoso e passionale sotto le magnolie'
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La terza volta

Seconda Parte







Sarebbe stata una notte da occhi spalancati e niente sonno anche in condizioni mortali. Una di quelle notti in cui si finiva cinque libri e crollava per sfinimento solo quando ne aveva avuto abbastanza di fughe, passioni, vampiri, maghi, ladri e briganti misteriosi.
Essere in quelle condizioni quando di base hai un nuovo metabolismo che non ti fa dormire mai era peggio delle torture che il malvagio Doktor Teufel infliggeva alla coraggiosa Katrina, in Diabolik Passion.
Vuoi vedere che adesso… Sarà mica che forse… Oppure…
Aveva fissato il soffitto senza davvero vedere il soffitto, tanto che solamente la mattina dopo si era accorta che era ricoperto di carta da parati a fiorellini azzurri. Si era anche messa una inutile camicia da notte bianca. Aveva giocato ad allungare le ombre dei mobili, era passata dal letto al tappeto, dal tappeto alla sedia, dalla sedia al davanzale della finestra, dal davanzale di nuovo al letto.
Verso le otto di mattina, sentì bussare alla porta.
- Ti ho portato la colazione, bimba!
Cielo, no, calma, respiro profondissimo. Devi ricordarti del tuo giuramento, Corin: intenzioni serie sono considerati il chiedere ufficialmente la tua mano, il rapirti e portarti sull’isola di Tortuga per fare di te la regina dei pirati accanto a lui che è il re. Oppure, ultima opportunità, il salvarti la vita in modo molto romantico e stringere il tuo corpo morente tra le braccia prima che la Forza del Vero Amore conceda a entrambi un’altra possibilità per vivere felici. Una colazione è un gesto galante, ma ininfluente.
Questo non le impedì di metterci dieci minuti ad aprire la porta, durante i quali si sistemò meglio i capelli e sgrovigliò le lenzuola del letto, che sembravano aver subito l’attacco di un grizzly.
- Sangue fresco dritto dall’ospedale, dove sono andato a trovare i nostri amici. – Santiago stava molto meglio di qualche ora prima, e aveva di nuovo la sua espressione smargiassa. Teneva in mano un sacchetto di carta da panettiere. – Posso entrare?
Corin annuì meccanicamente e gli indicò il letto.
- Gracias querida.
Santiago si sedette vicino alla sponda, lei si mise sull’angolo opposto, vicino alla spalliera, in modo da toccare meno materasso possibile.
- Tieni, oggi dobbiamo lasciare la città. – Santiago tirò fuori una sacca di sangue e gliela porse. – Non ti farà scherzi, l’ho assaggiato io e sto bene. Allora, ieri sera ci siamo fratti fregare come due pivellini. Dopo che al bar era successo il casino, la ragazza era, beh, molto grata di averla tolta dalle grinfie di quei delinquenti, e voleva assolutamente sdebitarsi.
Secco, rapido ed efficace. All’improvviso quanti centimetri ci fossero tra lei e Santiago, quel che le diceva e tutto il resto persero ogni sottinteso e tornarono solo gesti e parole, perché nel letto la sera prima c’era anche una tizia nuda. Corin si mise più comoda sul materasso e cominciò a bere dalla sacca di sangue.
- Sapeva chi erano? Sapeva di dover morire?
- No, credo che avesse capito che le facevano incontrare un pezzo grosso della malavita, qualcuno che se ben compiaciuto poteva coprirla di regali e lussi. E qui già abbiamo confermato quello che ci ha detto Demetri prima che partissimo da Volterra: la scia psichica di Craig Duggan è sparita all’improvviso e ormai possiamo considerarlo morto. Resta da capire chi l’ha ucciso. – fece una pausa per accendersi una sigaretta. Non finì nemmeno la prima boccata che Corin gliela prese e la spense nella bacinella d’acqua. Gliel’avrebbe rovesciata in testa volentieri, come la notte prima, ma si accontentò del fzzz che fece la brace spegnendosi.
- La persona che Luke, il pelato del bar, ha incontrato ieri era un altro umano. Però si è lasciato sfuggire che io ero come “lui”.
- Non sei riuscita a sapere di più?
- Averi voluto, ma all’improvviso si è tagliato le vene da solo.
- Questo l’ho visto anche io.
- Cosa?
- Stanotte sono riuscito a vomitare in parte il sangue avvelenato, o qualsiasi cosa fosse. Avevo bisogno di nutrirmi, così ho preso due piccioni con una fava e sono andato all’ospedale, dove ho trovato a fissarmi, dalla porta dell’obitorio, il nostro amico e il suo compagno, quello che si è così gentilmente dissanguato davanti a te.
Corin, che aveva anche considerato l’idea di urlargli in faccia quanto era stato stupido a cascare nella trappola più vecchia del mondo, si sentì una cretina che aveva sprecato ore mentre lui si dava da fare. Si dava da fare in senso costruttivo e positivo, non in quell’altro senso.
- L’unica cosa che ha detto prima di tagliarsi i polsi, - tentò di rimediare, - era che potevamo dire ai nostri “signori” che c’è un nuovo capo in città.
- E direi che la cosa più intelligente che possiamo fare è seguire il suo consiglio, giusto bimba? Prenderemo stasera un aereo per Juneau e là aspetteremo Demetri e Felix. Ho chiamato Demetri, stamattina, stanno arrivando. Gli ordini di Aro sono di ricongiungerci a Juneau, fuori dal territorio dell’usurpatore, e di tornare a colpo sicuro con il potere di Demetri. Potrebbe aver creato dei neonati e sembra abbastanza dentro il giro di malavita della città. Voglio che abbassi la guardia. E voglio, dopo che ha abbassato la guardia, irrompere nel suo rifugio e rompergli il culo. Allora, hai da leggere per il viaggio?


***


Aveva A letto con la spia che mi odiava, perché prima di partire aveva pensato che non c’era nulla di meglio di un po’ di mistero e suspance per entrare nell’atmosfera della missione. Sfogliò distrattamente le prime pagine del terzo capitolo. Si sentiva esattamente come quando, da piccola, pucciava i biscotti al cioccolato nel miele, credendo che mettere assieme due cose buone ne creasse una terza buonissima, quando nella realtà era solo stomachevole. Mancava ancora qualche ora, e lei non aveva altra occupazione che fissare il vuoto. Era quasi tentata di chiedere alla hostess un bicchiere di caffè, tanto per fare qualcosa.
Santiago era assorto a guardare fuori dal finestrino, gli altri passeggeri sonnecchiavano.
Passò l’ora del tramonto, le nuvolette sotto di loro divennero rosa, poi blu e infine di un grigio cupo, ma sopra il cielo brillava.
- Guarda, siamo talmente in alto che si vedono benissimo le stelle.
- Stavo guardando proprio loro, infatti. – Santiago non era più solamente assorto: gli era comparsa una ruga in centro alla fronte, e si lisciava il pizzetto, inquieto.
- C’è qualcosa che non va?
- Non stiamo andando verso Juneau. Querida!
- Sì, signore? - Una hostess si avvicinò.
- Questo volo dovrebbe essere diretto a Juneau.
- Atterreremo all’aeroporto di Juneau tra due ore, infatti.
- E allora potrai spiegarmi perché stiamo andando verso nord.
- Si starà sbagliando, signore. Perché non cerca di prendere sonno? Oppure le posso portare una rivista.
- No, voglio parlare col comandante.
- Credo che non sia…
Prima che la donna potesse fare qualsiasi cosa, Santiago si era alzato ed era già in fondo al corridoio.
Nello stesso momento, un boato squassò l’aereo. Corin sbatté contro il sedile di fronte, poi fu investita da un’ondata di fumo e calore. Si riparò gli occhi con un braccio e si rialzò, solo per essere investita da una forte corrente d’aria: davanti a lei, al posto della cabina di pilotaggio, uno squarcio fumante faceva intravedere il cielo stellato.
Si schiantarono al suolo dopo pochi secondi.


***


Il sole era già sorto e tramontato quattro volte, ma non era cambiato nulla: neve, neve e ancora neve. Non avevano incrociato nemmeno il capanno di un cacciatore. Anzi, non avevano incrociato nemmeno un animale. Era sempre più difficile deglutire il veleno a vuoto, bruciava lo stomaco.
Dopo il secondo giorno, Santiago si era fermato e aveva avvicinato il viso al suo.
- Come sono i miei occhi, bimba?
- Neri.
- Fantastico.
Non avevano più parlato dell’argomento.
Era difficile mettere un passo davanti all’altro. Non era una fatica umana, non aveva fiatone né sentiva il freddo nelle ossa. Era una specie di guasto meccanico, sentiva le giunture che si bloccavano come se mancasse l’olio, era sempre più difficile ordinare a ginocchio di piegarsi, portare avanti la gamba, stendersi di nuovo. Per non pensare alla sete si era messa a pensare solamente al ginocchio, alla fatica che faceva a muoverlo. Un passo, quello successivo. Al resto ci avrebbe pensato dopo. Piegare, portare avanti, stendere.
- Scommetto che hai già letto un libro su una situazione del genere. Non so, qualcosa come “Cuori di ghiaccio sotto l’aurora boreale”.
- L’unica cosa che mi viene in mente in questo momento è Il cuore russo non è sempre gelido. Parla di una ragazza, Katja, che vive in Siberia assieme alla nonna malata, ma una volta trova in un cassetto un medaglione misterioso, che la spinge a partire verso San Pietroburgo…
- Tu eres increible! – Santiago rise.
- Ho sempre avuto molto tempo per leggere. Ma lo sai anche tu, nonna Gloria, la storia di mio padre.
- Avevi un libro anche il giorno in cui sei arrivata a Palazzo dei Priori. L’ha ritrovato Chelsea poco prima che buttassimo i cadaveri nella fornace. Mi ricordo che è andata avanti tutta la sera a leggerne dei pezzi, era estasiata dal modo in cui parlava dei vampiri. Avrei dovuto pensarci prima, non poteva essere che tuo quel libro de mierda.
- Ehi, guarda che potrei offendermi!
- Hai ragione, avrei dovuto dire che i gusti variano. – Santiago ghignò di nuovo, e anche Corin non riuscì a trattenere una risata. Parlando, muovere quelle maledette ginocchia era molto più facile.
Dios mio, avrei così bisogno di una sigaretta, adesso.
- Già, e questo vizio da dove viene fuori?
- Lunga, lunghissima storia.
- Non mi pare che ci manchi il tempo.
- Beh, - Santiago scrollò le spalle e sorrise in modo diverso da prima, come se stesse ricordando qualcosa di molto molto lontano, - hai davanti a te un grande esploratore e nostromo del passato. Ho percorso per primo rotte misteriose, sfidando oceani sconosciuti, altro che i marinai d’acqua dolce dei tuoi libri.
- Bum! Adesso mi dirai che hai scoperto l’America.
Santiago stavolta non risposte, però la prese per mano e le indicò una costellazione.
- Finché ho in cielo il carro minore e la stella polare, posso arrivare in qualsiasi parte del mondo. Quindi non ti preoccupare, bimba.
- Non sono preoccupata.
Era bello vederlo guardare le stelle, quasi come sentirlo parlare. Le scrutava in un modo familiare, come un giocatore di scacchi che, entrato in una stanza, vede una partita cominciata e capisce subito chi sta vincendo. Era bello quando aveva quel sorriso da delinquente che regalava a qualsiasi donna incrociasse, ma era ancora più bello così.
Era così concentrata sui suoi occhi che non si accorse subito dell’odore. Santiago, invece, scattò subito in allerta.
- Ti prego bimba, dimmi che lo senti anche tu.
- Cosa? – ma poi lo sentì anche lei, ed era uno degli odori migliori che avesse mai sentito. Pelo, neve, selvatico, vita, sangue.
Piombarono sull’alce solitario in pochi secondi. Avere le mani affondate nel pelo, sentire l’animale che si contorceva cercando di scappare… Corin era talmente euforica che le tremavano le mani, mentre teneva le corna ferme a terra. Sorrise trionfante.
Santiago spezzò il collo dell’animale e glielo porse, non senza una certa galanteria.
- Prima le signore.
Corin non se lo fece ripetere e affondò i denti nella carne. Man mano che beveva, le scomparvero le occhiaie e i taglietti sulle labbra si rimarginavano. Dopo qualche minuto, Corin staccò la bocca, imbrattata di rosso. Con uno dei suoi gesti da signorina perbene, si pulì subito con il dorso della mano.
- Visto, bimba, che vuoi di più? La luce delle stelle, intimità, una cenetta romantica…
Corin sorrise. Strofinò la mano sporca di sangue nella neve e si allontanò dalla carcassa.
- Non avrei mai pensato di trovare buono il sangue animale. L’ultima volta che avevo provato a berlo avevo la sensazione di ingoiare fango. – si passò la mano ripulita tra i capelli.
- Attenta, hai ancora delle tracce di sangue.
- Davvero? Mi pareva che si fosse pulita.
- Guarda, hai lasciato dei segni sul collo.
- Dove, qui? – Corin alzò il mento e se lo strofinò di nuovo con la manica. – Però rimane un saporaccio in bocca, è come se avessi la lingua allappata…
- Corin, qualcosa non va. Guarda il braccio.
- Ti ho detto che l’ho pulito, insomma! – Corin alzò la mano davanti agli occhi: la pelle alabastro era percorsa di vene scure. : era uno sporco strano, seguiva lo stesso percorso delle vene e tracciava tante righe nere. Le vene scure si diramavano a vista d'occhio, si estesero alla spalla e scesero sotto ai vestiti, poi cominciarono anche la scalata della guancia. Corin spalancò gli occhi.
- Santiago…
Un attimo dopo cominciò a vomitare.
Sentì che Santiago la scuoteva dicendole qualcosa, ma dopo il terzo conato cominciarono a bruciarle tutte le vene del corpo. Aveva sentito solo un’altra volta nella sua vita un dolore simile, durante la trasformazione in vampira. Come quel giorno sul fondo della fornace, non sapeva assolutamente che cosa la aspettava e il terrore le fece più male del veleno che pareva aver preso fuoco. Santiago continuava a scuoterla, le diceva qualcosa ma la voce arrivava da lontano.  
Poi qualcosa la strappò da Santiago. Sentì che atterrava, affondava nella neve. Il veleno nelle sue vene bruciava talmente tanto che la neve avrebbe dovuto sciogliersi. Scavò per riguadagnare la superficie, riemerse. Una mano le afferrò il collo.
- Questo succederà a chiunque oserà entrare di nuovo nel mio territorio. – la mano strinse e la lanciò distante. Al secondo impatto vomitò di nuovo sulla neve. Le voci le arrivavano lontanissime, sovrastate da un fischio che le trapanava la testa dall’interno, non importava, il bruciore era meno. Era meno dopo il vomito.
Espellere il veleno.
Corin mosse le dita per rendersi conto di essere ancora tutta intera, avvicinò il polso alla bocca, estrasse le zanne, affondò e strappò. Con l’altro, di nuovo. Un liquido denso e nero cominciò a scorrerle dai polsi e a macchiare la neve.
Il veleno espulso le stava corrodendo le labbra e le dita, ma il bruciore era diminuito. Si trascinò in avanti, percepiva le due figure che combattevano più con l’istinto che con gli occhi. Diventò ombra per non sentire tutto quel peso, le gambe non la reggevano più.
Arrivò, vide i due corpi avvinghiati. Qual era la sua preda? Quella con l’odore estraneo.
Sangue, vampiro, neve, nemico.
Si liberò in migliaia di spire nere e lo avvolse completamente, tirandolo via da Santiago, che rotolò nella neve e si rimise in guardia.
- Ce l’ho, è mio.
Strinse le spire attorno al collo del vampiro, dove cominciarono a comparire delle crepe. Corin strinse ancora più forte. I suoi occhi divennero totalmente neri, i capelli ebbero un fremito e la ciocca attorno al collo divenne un insieme di materia e ombra. Il vampiro emise un singulto strozzato, prima che il tentacolo gli tranciasse la testa.
Corin riprese una forma umana: cadde vicino al corpo decapitato, scossa da tremiti.
- Togli… prendi la testa. Non deve riattaccarsi.
Santiago obbedì e prese la testa per i capelli.
- Bene… bene.
I tagli sui polsi pulsavano, e continuava a uscirne veleno nero, che le aveva ricoperto le mani. Si accarezzava la solita ciocca, tornata normale. Parlò a Santiago con una voce che non riconobbe nemmeno, come se fossero seduti tranquilli a Palazzo dei Priori: - Sono riuscita a espellere buona parte del sangue avvelenato, bastava farlo colare via. – Guardò il corpo del loro avversario che si contorceva. – Bastava quello, è stato semplice. – Cadde in ginocchio nella neve.
Santiago si accasciò accanto a lei.
- Che succede quando perdiamo tutto il fluido corporeo? – Corin si guardava le mani come se appartenessero a un estraneo.
- Non dirlo nemmeno, bimba.
- Morirò sul serio? Invece che nella fornace di Volterra, tra le nevi dell’Alaska. – rise non tanto perché l’idea fosse brillante, ma perché aveva un senso, e le cose con un senso nei libri accadevano sempre. - Certo che quella volta non sei stato per niente gentile.
- Riuscirai mai a perdonarmi, bimba? Ero rimasto troppo folgorato dalla tua bellezza.
- Stupido…
Santiago si era inginocchiato accanto a lei. Con delicatezza le prese la testa e la appoggiò sulle sue ginocchia.
- Dammi le mani.
Corin lasciò che stringesse i palmi nei suoi, ma sentiva come se, nella stretta, la sua carne si fosse trasfromata in gomma, anzi, in pece. Non riusciva più a controllare il suo potere, ecco cosa succedeva senza sangue in corpo.
- Vai via, se perdo il controllo non so cosa potrebbe succedere.
- Nulla, non succederà nulla. È qualcosa che quel capullo ha fatto all'alce, ma abbiamo vinto noi, adesso devi solo concentrarti e rimanere qui con me. Anzi, raccontami ancora di qualche libro che hai letto. Ci saranno di sicuro un capitano coraggioso, una nave pirata e poi? Di sicuro un’intrepida eroina di cui il capitano si innamorerà follemente.
- No.
- “No” cosa? Niente amore per i sette mari?
La voce di Santiago le arrivava distorta, come se si fosse ficcato in bocca uno straccio di ovatta. Strinse più forte le sue mani, ma si ritrovò con i pugni chiusi e impalpabili, fatti solo di ombra. Però Santiago le aveva fatto una domanda.
- No, c’è l’eroina, ma il capitano, lui… lui non si accorge, non subito.
- Proprio un cabròn, insomma. Questi marinai, mai fidarsi di loro. Bimba, però tu ti devi concentrare, devi rimanere qui con me. Non puoi lasciarmi senza finale. Mi presterai il libro quando torneremo a casa, che ne dici?
- No, aveva ragione il capitano, era lei che… - anche la sua voce adesso suonava lontanissima. Corin non sentiva più né il vento gelido che soffiava né lei che blaterava cose senza senso. All’improvviso, chiarissimo, sentì un liquido che scorreva, al ritmo placido e continuo di un torrente che non ha più un cuore a guidarlo. Lo scorrere veniva da accanto al suo orecchio, dove c’era… c’era da bere.
- Bimba, Corin, diablo, resta qui!
Qualcosa l’aveva abbracciata, il liquido scorreva attaccato al suo orecchio adesso. Bastava che girasse la testa, avrebbe affondato i canini fino ad arrivare alle vene. Doveva bere. Circondò la cosa che la copriva e la bloccava con i capelli. Bastava che soffocasse, poi affondare i canini…
L’altro odore le arrivò talmente forte al naso da farle male alle narici. Caldo, ferroso, cibo, sangue. Si divincolò e un istante dopo affondava i canini dentro una carne calda ed esistevano solo i canini, e la carne, e finalmente la sete che si placava.
Solo quando si gettò sulla neve, esausta e quasi nauseata dalla velocità con cui aveva bevuto dal cadavere che le stava accanto sulla neve, si accorse che accanto a lei c’era Demetri.
- Ora non ti muovere, aspetta che il fluido nuovo entri in circolo. Aiuta fare respiri profondi; non sei morta da molto, dovresti ricordarti come si fa.
- E Sant…
Evocato, Santiago si sedette accanto a lei, pulendosi la bocca dal sangue fresco.
- Mi hai fatto morire di paura, bimba. Ho temuto per un momento che mi ammazzassi sul serio.
Corin tentò di balbettare una risposta, ma sentì che se apriva la bocca avrebbe vomitato di nuovo.
- Vi aspettavamo a Juneau quattro giorni fa. Le primedonne si fanno desiderare, ma non così tanto. – Demetri recuperò la testa e il corpo del vampiro, che fremevano per ricongiungersi. Legò strettamente il corpo e lo gettò su un enorme cingolato a forma di slitta. Prese poi la testa, le spalancò la bocca e premette un canino perché ne uscisse un po’ di veleno. Mise la testa in un sacco e la gettò sulla slitta assieme al corpo. – Fadi Aziz, il nostro amico si chiama così. Abbiamo fatto qualche ricerca mentre vi aspettavamo: aveva preso in mano la malavita di Anchorage e Juneau, semplicemente sostituendosi a Duggan. Un tipo astuto, aveva cercato informazioni sul vampirismo per quanto essere qui isolato glielo permettesse. Credo che avesse intuito che c'erano altri come lui, a sentire quello che si dice deve aver anche incontrato e ucciso qualche nomade. Lo ritengo possibile, perché di sicuro sapeva del suo potere... - Dalla slitta, Demetri prese una bottiglia piena di sangue, ci versò le poche gocce di veleno e ne bevve un sorso. Lo sputò quasi subito. Aveva un'espressione soddisfatta - Sì, è in grado di avvelenare il sangue, e in qualche modo il veleno non influenza l'organismo vivente, ma il vampiro che se ne nutre. Abbiamo fatto delle ricerche in città: da umano Fadi era poco più che un galoppino della mafia. Duggan deve aver avuto la brillante idea di berlo, una sera. È molto probabile che anche da umano il suo sangue fosse letale per un vampiro, e ne ha fatto le spese Duggan. Corin, – si girò verso di lei con un mezzo sorriso, - hai avuto un ottimo tempismo nel capire che dovevi espellere il più possibile il sangue contaminato dal corpo.
Corin scosse la mano in un gesto di “Mavalà, è stata la cosa più semplice del mondo, sono o non sono un membro della guardia dei Volturi?”
- In ogni caso, deciderà Aro cosa farne. Per fortuna, un potere del genere rende il suo veleno sterile, non ha disseminato l’Alaska di neonati. Andiamo? Felix ormai sarà geloso, passi troppo tempo con me e non con lui. – Demetri porse una mano a Santiago e lo aiutò ad alzarsi. Lui, invece che salire subito sulla slitta, si chinò sopra di lei.
- Permetti, bimba? Devo ricambiare un favore da un po’ di giorni, ormai. – Santiago aveva già recuperato le forze: le pupille erano tornate di un rosso brillante. La sollevò tra le braccia e la caricò sulla slitta cingolata.
Sì, così stava decisamente bene.


***


“Passione e segreti nella brughiera”? No, inadattissimo. E anche “Sussurri del gelso” e “Brezza sensualmente calda fra i salici” erano da scartare a priori. Eppure era sicura di avere il titolo adatto, se solo si fosse ricordata dove…
- Aha, eccolo. – non l’aveva nemmeno tolto dalle valigie.
C’era l’America, c’erano le navi e solo un pizzico di romanticismo di sottofondo.
Strinse il libro tra le braccia e fluttuò verso la porta. Mentre abbassava la maniglia, colse il suo riflesso nello specchio sulla parete : si fermò a controllare che il vestito fosse in ordine, ispezionò con cura la faccia, provò a mettersi i capelli dietro le orecchie, decise che stavano meglio davanti. Si scrutò il profilo e arricciò il naso, maledicendo l’ereditarietà e il prozio Herbert. Però i capelli lo mimetizzavano. Provò anche un sorriso, e in fondo al cuore (quasi non ci credeva) pensò davvero di non essere così terribile.
Il libro? Sempre al suo posto. Si chiuse la porta alle spalle.
Volò in un istante davanti alla sua stanza e bussò.
- Guarda qui, “La bussola del galeone”, se non ti piace questo non so proprio cosa possa…
- Hai portato lo champagne? – Non era la voce di Santiago. La porta era stata aperta da una donna mora con le labbra rosse, i capelli sciolti in onde armoniose e un perfetto e piccolo nasino alla francese. Era in vestaglia.
- Chi è, querida? – Sulla soglia si affacciò anche Santiago, sigaretta in bocca e nella sua migliore faccia da schiaffi.
- Speravo il nostro champagne, ma a quanto pare mi sbagliavo. – la donna gli appoggiò una mano sul petto, artigliando la camicia. Non aveva nemmeno l'aria di chi difendesse una sua proprietà, sbuffava impaziente e arricciava il naso nella misura in cui si può essere infastiditi da un insetto. Corin decise che la punta dei suoi piedi era molto più interessante.
- Ehi bimba, tutto bene?
Non chiamarmi così. - Volevo solo dirti che forse esco, ma non ti preoccupare, credo che…
- Mio dio adoro questa canzone! – la donna corse nella stanza e alzò il volume della radio. – Vieni, ti insegno come si balla.
Santiago annuì con un sorriso, poi si girò di nuovo verso Corin e le lanciò quello che doveva essere uno sguardo complice. Lei lo guardò un'ultima volta, quasi di nascosto, tra le righe nere dei capelli. Dio com’era bello…
- Beh allora vado, mi spiace averti disturbato per una sciocchezza. – le ultime parole le ascoltò solo la moquette del pavimento. Corin tornò nella sua stanza, gettò il libro sul letto e lasciò che le gambe le cedessero.
Appoggiata alla sponda, si coprì di nero tutta la faccia.







La tana di Otto

Prima di qualsiasi altra cosa, voglio fare una comunicazione ufficiale alla signora Meyer: signora Meyer, i suoi vampiri sono troppo sgravi, è praticamente impossibile fare scene d'azione che li coinvolgano o inventarsi situazioni in cui sono SUL SERIO in difficoltà, a meno di non tirare fuori un escamotage più o meno idiota come quello del potere del sangue avvelenato. Sg.ra Meyer, la odio. Con affetto, Otto che si ostina a voler scrivere cose d'azione e non far semplicemente copulare o piccioncinare i suoi personaggi.
Ma dicevamo.
A proposito del potere che avvelena il sangue, esso è, come un sacco di altri poteri che ho usato, preso dal gdr Vampiri: The Masquerade, in particolare dal clan degli Assamiti.
So che alla fine il ruolo di Demetri è arrivare e fare lo spiegone, ma non sono riuscita a tirare fuori una soluzione più elegante di questa (sono una pigrona), spero che non dia molto fastidio.
Voli aerei e trasfusioni di sangue, per quanto rustici, esistevano già negli anni '20 e mi sono permessa di usarli, dato che rimanevano abbastanza ai margini della storia.
Scrivere il finale ha fatto più male a me che a Corin, ma era l'unica soluzione possibile, dato che i due combinano circa 90 anni dopo gli eventi.
Come al solito, davvero grazie mille a tutti quelli che si ricordano ancora di una raccolta di ff su due personaggi sconosciuti della sezione Twilight (ignominia!) o che si ritrovano a passare di qui per caso (sì, anche voi là in fondo che cercavate su google "brunette tentacle porn", vi ho visto!).

E ancora auguri, Fila! Una marea di kuori, gattini, abbracci&baci e mille di questi giorni.















   
 
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