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Autore: callistas    04/10/2013    9 recensioni
Ciao!
Eccomi tornata come promesso a postare il primo capitolo di una nuova storia con gli immancabili Draco e Hermione.
Draco è il titolare di Hermione, la quale lavora presso di lui come centralinista. Grazie a una piccola diatriba con la fidanzata di Draco - leggete e saprete fin dal primo capitolo chi è - per Hermione inizia un calvario senza fine, fatto di dispetti e punizioni immeritate.
Spero vogliate darmi ancora l'occasione di sapere cosa ne pensate.
Vi aspetto numerosi!
Un bacio,
callistas
P.S.: La magia non c'è.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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05 - Promozione (?) Uelllcam bek signori e signore!

Prima di iniziare, vorrei ringraziare i miei fedelissimi per aver recensito la storia. Siete voi che mi fate alzare al mattino…
… e anche la consapevolezza che se non mi alzo per andare al lavoro, non si tirano i soldi…

Ma suvvia!
Non siamo venali!

Dunque, l’altra volta Hermione ne ha dette un treno a Draco, salvo poi rendersi conto di aver esagerato. Con umiltà e di propria spontanea volontà gli ha chiesto scusa, senza che Draco avanzasse richieste in merito.
Già qui avrebbe dovuto capire con che persona ha a che fare, ma naturalmente Testa-Che-Penzola ha avuto la sua parte in merito.

Nel precedente spoiler non ho lasciato molto spazio all’immaginazione.
Farò di meglio in questo. ^-^

Ma non temete: Hermione è fedele al motto “Barcollo ma non mollo”.


Un bacione e buona lettura.
Callistas









Era certa che fosse successo qualcosa quella sera nell’ufficio di Draco.
Da chiarire: nessuna alchimia, nessuno scoppio di cuoricini, nessuna freccia di Cupido… era solo un datore di lavoro che aveva imparato che non tutti i dipendenti sono disposti a rinunciare a ciò in cui credono solo per non andare nei pasticci o peggio, essere licenziati.

Hermione questo gli aveva dimostrato.
Gli aveva salvato l’azienda e questo a suo intero discapito: aveva difeso Roger a spada tratta, esponendosi in prima linea e parlandogli come nemmeno suo padre avrebbe mai fatto.
Era una personalità viva, accesa, quella di Hermione, di quelle che erano difficili da trovare; era una persona che, se coltivata con pazienza, avrebbe potuto diventare davvero molto importante per la sua azienda.

Purtroppo c’era la questione Pansy.
La sua futura moglie non aveva ancora digerito il fatto di essere stata rimproverata per non avergli detto niente dell’incontro con il signor Potter e per essere stata surclassata da una magazziniera.

Di tanto in tanto gli lanciava il sassolino per testare la sua reazione. All’inizio aveva lasciato correre, ma ora la cosa stava decisamente uscendo dai binari. Aveva cercato, dapprima con le buone, di tenerla calma ma non appena Pansy vedeva i capelli di un colore simile a quello di Hermione o sentiva una voce simile alla sua, impazziva e ricominciava a stressarlo.
Era certo che da un momento all’altro sarebbe scoppiato.


Facendo in modo che nessuno la vedesse e assicurandosi che nessuno aprisse bocca, Hermione aveva continuato ad aiutare Roger con la questione della sicurezza sugli ambienti del lavoro. Fingendo di riposarsi qualche minuto nell’ufficio del collega, la ragazza studiava i fogli che Roger aveva compilato, segnando in rosso cosa dovesse essere corretto e, accanto, la dicitura esatta da utilizzare.
Poi usciva e tornava al lavoro, poi si riposava nell’ufficio di Roger e continuava a correggergli i compiti e così via.

Nelle due settimane promesse a Harry, aveva aiutato Roger a mettersi in pari con tutto e quel giorno, l’amico controllore sarebbe tornato per verificare che tutto fosse stato messo in regola o che, almeno, vi fossero le basi perché ciò avvenisse.
Era giovedì venticinque Settembre e Harry Potter era da poco arrivato in azienda.




“Buon giorno.”
“Buon giorno a lei.” – salutò Michelle. – “Posso aiutarla?”
“Sì, grazie. Ho appuntamento con il signor Malfoy e la signorina Granger per un’ispezione aziendale. Sono Harry Potter.”
“Permetta: li avviso subito.”
Con un sorriso, Harry ringraziò e si allontanò dal centralino per non sembrare troppo invadente.
“Arrivano tra poco.” – lo informò. – “Posso offrirle un caffè mentre aspetta?”
“Io…”
“Ciao Harry!”
“Hermione!”
“Miky grazie, glielo faccio io il caffè.”
“D’accordo.”
“Come stai?” – s’informò la ragazza.
“Bene e tu?”
“Bene, dai. Ti confesso che è stata una settimana d’inferno.” – disse, a bassa voce.

Quando Hermione aveva chiamato Harry per fissare quell’appuntamento, l’uomo era riuscito a farsi dire perché fosse finita in magazzino e perché dovesse mantenere il silenzio sul fatto che a compilare le carte e a gestire quella situazione fosse stata lei e non il signor Roger Smith.
Quando aveva ascoltato tutta la storia, era rimasto a bocca aperta ma le aveva promesso di non far parola con nessuno, men che meno con Draco Malfoy.

“Immagino. Tuo padre come sta?”
“Bene. E’ sempre impegnato con il lavoro… sai com’è fatto.”
“Sì, me lo ricordo.”
Risero.
“Bene, vedo che la signorina Granger l’ha già accolta. Buon giorno signor Potter.” – salutò Draco con un sorriso e una stretta di mano.
“Signor Malfoy, lieto di rivederla. Allora, vogliamo andare?”
“Sì, certo. Prego.”
Hermione fece per andargli dietro ma si sentì fermata da una stretta d’acciaio. Si girò perplessa verso Draco.
“Siamo a posto con tutto, vero?”
“Perché lo chiede a me?”
Draco la guardò male e lei arrossì.
“Ho le mie buone ragioni. Allora?”
“Sì, Roger ha sistemato tutto.” – chiarì Hermione, dando il merito al collega.

In quelle due settimane di carte e scartoffie varie, Roger aveva imposto a tutti i magazzinieri, l’utilizzo di quegli accorgimenti per la sicurezza del lavoratore: giubbetto alta visibilità, casco, scarpe antinfortunistica… all’inizio tutti c’erano rimasti male perché non erano abituati a mettere tutte quelle cose che, di tanto in tanto, anziché aiutare, impacciavano i movimenti ma si dovettero adeguare, volenti o nolenti.

Harry fece il suo controllo di routine e si compiacque nel vedere che la mano di Hermione era visibile ovunque. C’erano solo alcuni piccoli accorgimenti da sistemare ma nulla che potesse pregiudicare l’azienda.
Controllò anche le pratiche cartacee e vide con piacere che il signor Smith si era iscritto a tutti i corsi necessari e che gli avvisi agli enti di controllo erano stati inoltrati nella data prevista da Harry.

“Molto bene.” – disse il moro. – “A parte alcune irrilevanti piccolezze, è tutto a posto.”
“Mi fa piacere sentirglielo dire.” – disse Draco, che aveva ripreso i trent’anni di vita che aveva perso due settimane prima.
“Oggi compilerò il verbale e lo manderò alla signorina Parkinson.”
“Lo mandi anche a me.” – disse Draco di slancio. – “Così almeno evitiamo gli episodi spiacevoli dell’altra volta.”
“Sì, certo. Naturalmente.”
Harry si fece lasciare l’indirizzo di Draco e poi poté tornare ai propri giri.




“Signori, è stato un piacere.” – disse Harry. – “Arrivederci.”
“Arrivederci signor Potter.” – lo salutò Draco.
“Ciao Harry!” – lo salutò Hermione.
Rimasero solo Draco e Hermione.
“Beh, è andata bene, no?” – disse Hermione.
“Sì, molto. Sicura che non devi dirmi niente?” – chiese Draco, scegliendo di dare del tu a Hermione.
“Del tipo?” – chiese lei, che iniziò a sentirsi leggermente sotto pressione.
“Non lo so…” – disse lui, fintamente evasivo. – “Magari che quando andavi a riposarti nell’ufficio di Roger gli correggevi le pratiche?”
Hermione arrossì di botto.
“Questa è violazione della privacy!” – sbottò lei.
“Non ti ho mica seguita in bagno! Eri in una mia proprietà ed io in quanto datore di lavoro ho il compito di verificare che i miei dipendenti non ozino troppo.”
Hermione si sentì presa in castagna. E adesso? Che gli diceva?
Per una volta Zecca-Parkinson fu provvidenziale.
“Draco?”
I due si girarono e Hermione, felice per averla scampata, lo salutò con un raggiante sorriso dando a intendergli che, sì, aveva aiutato Roger, ma che aveva anche perso l’occasione per farsi fare una confessione in piena regola.
“Arrivederci!” – trillò allegra, mentre correva verso le scale per tornare in magazzino.
Draco volle seguirla per farsi dare quella dannata confessione ma Pansy lo bloccò.
“Draco?”
“Sì?”
“Era il signor Potter, quello?” – chiese, mentre guardava un suv nero allontanarsi dal parcheggio.
“Sì, era lui.” – disse Draco, dirigendosi verso il proprio ufficio.
Con Pansy alle calcagna.
“E cosa faceva qui?”
“E’ venuto a fare un secondo controllo. Ci aveva dato due settimane di tempo per rimetterci in pari e oggi ha verificato che tutto fosse a posto.”
L’attimo successivo Draco ebbe voglia di tagliarsi la lingua. Perché diavolo si stava giustificando con lei?
“Oh! E immagino grazie a Hermione!” – sputò acida.
“No, a Roger.” – disse Draco, scegliendo istintivamente di non rivelare il coinvolgimento di Hermione o non ne sarebbe più venuto fuori.
“Roger Smith?” – esclamò, quasi schifata. – “E’ impossibile!”
Draco si fermò e la guardò male.
“Perché scusa?”
“Quello non saprebbe distinguere un cavallo da un asino!” – esclamò, dandogli esplicitamente dell’idiota.

No.
Quello non poteva accettarlo.
Non poteva tollerare che qualcuno insultasse bellamente Roger, quando a lui doveva la sua conoscenza di ciò che avveniva in magazzino.

Quando, da piccolo, suo padre lo conduceva con sé in azienda, Draco riusciva sempre a trovare il modo di sgattaiolare in magazzino perché nei piani alti c’era tanta monotonia e i grandi parlavano troppo e troppo complicato mentre in magazzino c’era azione, c’era la vita vera!, e si divertiva come un matto a sentire le imprecazioni dei lavoratori…
A Roger doveva molto come, per esempio, il fatto di imparare a trattare con le persone, che non era trattandole da schiavi che si otteneva il loro rispetto – ma la paura – ma con la ferma gentilezza.
Insegnamenti che, purtroppo, con il tempo e le sempre più enormi responsabilità, aveva dimenticato…
Nonostante tutto erano ancora lì e non permetteva a nessuno, tanto meno alla sua fidanzata, di spargere merda su di lui.

“Attenta a come parli di Roger, Pansy.”
La moretta sentì un brivido di freddo colarle giù per la schiena.
“Scusa!” – gracchiò Pansy, sinceramente impaurita dal tono e dallo sguardo di Draco.
Draco non insistette oltre.




Erano passate ormai tre settimane da quando Hermione era stata confinata in magazzino, ma la ragazza sembrava non averne ricusato. Certo, i primi giorni erano stati quelli più duri perché non era più abituata a spostare scatole, ma si era messa abilmente in pari già dalla seconda settimana, dove la ragazza notò decisamente un miglioramento e un minor affaticamento nel corpo.

Roger era ogni giorno sempre più soddisfatto di lei. Stentava ancora a credere che una ragazza non si facesse problemi a trascorrere tutta la giornata a caricare e scaricare scatole pesanti da un posto all’altro, senza contare il fatto che era l’unica donna in mezzo ad un gruppo di ragazzi che avevano più o meno la sua età.
I primi giorni ci avevano provato con lei, ma Hermione aveva sempre declinato le varie offerte. C’era anche chi aveva cominciato a ronzarle un po’ troppo insistentemente intorno, ma, con diplomazia, lo rimetteva al proprio posto.
E poi non era una alla quale piaceva mischiare il privato con il lavoro.
Si era guadagnata il rispetto di tutti, con il sudore e l’impegno e ora era considerata una di loro. Anche chi l’aveva in qualche modo ostacolata, senza mai dare troppo nell’occhio, aveva dovuto ricredersi e accettarla per quello che era: una ragazza che metteva impegno nel proprio lavoro.


Ogni tanto, il “big boss” scendeva in magazzino per controllare com’era la situazione.

Non entrava mai in quel luogo ma si fermava sempre dietro delle vetrate che permettevano a lui di vedere cosa stava succedendo, ma non ai dipendenti di vedere lui. In quel modo, i magazzinieri erano sempre in allerta per il timore che Draco si trovasse dietro quella vetrata e potesse far loro il cosiddetto “cicchetto”.

A volte si perdeva a osservare Hermione e un sorriso gli increspava le labbra.
Non gli seccava ammetterlo: gli seccava il fatto di non averci pensato prima. Doveva ammettere che da quando quella ragazza era stata spostata in magazzino, le consegne erano sempre più puntuali, a volte addirittura in anticipo. Un giorno aveva ascoltato per puro caso una conversazione con un fornitore: era rimasto a dir poco allucinato dal linguaggio che quella ragazza usava. Non erano parolacce, ma semplici dati di fatto, statistiche e calcoli che Hermione faceva a lato della conversazione stessa. Da come parlava, sembrava che ne capisse realmente di amministrazione e sembrava veramente portata per quel lavoro.
Ma era portata anche per fare la magazziniera.

Un piccolo dubbio aleggiò nella sua mente: lui, che non aveva mai avuto un’indecisione in vita sua, ora si stava ponendo delle domande sul futuro di quella ragazza che, a prima vista, non sembrava possedere particolari doti.
Lo aveva sfidato, è vero, ma oltre alle parole lei aveva messo anche i fatti. E poi Draco aveva messo quasi in dimenticatoio il motivo per il quale Hermione si trovava in magazzino. L’impegno e la dedizione di Hermione lo avevano fatto ricredere.
E poi la sua politica e quella di suo padre prima di lui era molto semplice: se un dipendente mostrava particolari capacità che potessero far crescere ulteriormente l’azienda, allora lui ne avrebbe ammesso la bravura e lo avrebbe promosso.

C’erano però casi in cui il meritevole di turno mostrava un po’ troppa faccia tosta, osando pensare di saperne addirittura più di lui, che in quel mondo ci era nato e cresciuto. Solo in quei casi silurava il malcapitato ma con la signorina Granger… era davvero un altro paio di maniche.

Il dubbio che aveva Draco era se lasciare Hermione in magazzino, e continuare ad avere le consegne in orario, o metterla in un ufficio amministrativo per incrementare l’andamento aziendale.
E poi… c’era anche la sua fidanzata.
Doveva accontentare anche lei.

Per un attimo si era visto pentito di aver assunto Pansy lì dentro.
Ora capiva perché suo padre insisteva tanto su quel punto: era solo una seccatura e tante volte Draco si ritrovava a dover giustificare con lei le sue decisioni, una cosa che, quando se ne rendeva conto, lo mandava in paranoia.

Così, decise che Hermione sarebbe rimasta in magazzino.
Ma si sarebbe dovuta occupare anche delle pratiche amministrative.

Era un carico di lavoro non indifferente, perché oltre a stancare il fisico con il lavoro manuale del deposito, avrebbe stancato anche la mente con quello amministrativo. Poteva essere una wonder-woman in incognito ma era conscio che non avrebbe retto a lungo e quando quel momento sarebbe giunto, lui si sarebbe piazzato davanti a lei, ormai stremata sulla sua scrivania per la mole di lavoro assurdo, e le avrebbe ricordato che a giocare con il fuoco si rischia di bruciarsi.

Ma una fastidiosa corrente di disagio stava iniziando a muoversi dentro di lui e lo stava mettendo in guardia sul fatto che se stava agendo in quel modo era solo per Pansy e non per l’azienda.
Scacciò infastidito quel pensiero, soprattutto quando gli venivano alla mente i momenti trascorsi in compagnia della riccia, dove aveva trovato in lei una piacevole conversatrice, ma soprattutto… un’inarrestabile Bocca della Verità.

Decisamente, quella di inserire Pansy nel suo organico non era stata una decisione saggia…




“Finalmente anche questa giornata è andata…” – disse Roger. – “Oggi è venuto il mondo!”
Hermione sorrise. Roger era seduto su una sedia e si asciugava il sudore con il fazzoletto.
“Non mi dirai che sei stanco, vero?” – chiese Hermione, mentre finiva di archiviare i documenti di trasporto.
In verità pure lei era stanca morta.
“Ti pare?” – chiese evidentemente ironico.
“No, no…” – ironizzò lei. – “Comunque oggi è stata veramente una giornata pesante…” – ammise lei, sedendosi vicino al capo magazziniere.
Effettivamente, loro come magazzinieri iniziavano alle sette e trenta del mattino e finivano alle sette di sera, mentre gli orari di ufficio erano otto – diciotto: un orario più umano.
“Sei stanca di questo lavoro?” – chiese lui.
“Assolutamente no!” – ammise lei. – “L’unica cosa che mi scoccia è che so star dietro anche all’amministrazione… e mi piacerebbe farmi notare anche per questo. Lo trovi presuntuoso da parte mia?” – chiese Hermione, leggermente mortificata.
“Assolutamente!” – disse Roger, negando. – “Avere delle competenze è una buona cosa. Prendi me, per esempio: ho solo la licenza media perché i miei non hanno potuto permettersi di mandarmi a scuola e posso fare solo questo genere di lavoro. Certo, la paga è buona, ma la sera arrivo a casa che sono stanco e non posso stare con mia moglie come vorrei…” – ammise lui con una vena di amarezza nella voce.
“Scusami…”
“Per cosa? Non è colpa tua, anzi. Tu che puoi, non lasciare che un semplice battibecco ti rovini la carriera.”
Hermione lo guardò. Era d’accordo con lui, ma se fosse andata a lavorare come segretaria avrebbe dovuto dire addio ai ragazzi del magazzino e si era affezionata troppo a loro.
“Mi manchereste troppo…” – ammise lei, infine.
“Guarda che non scappiamo mica! Siamo sempre qua!”
Hermione sorrise. Parlare con Roger era come parlare con suo padre: sembrava che si mettessero d’accordo su quello che lei voleva sentirsi dire.
“Oh… Draco, buona sera.” – disse Roger, alzandosi con non poca fatica.
“Sta pure seduto, Roger. Mostro io al signor Malfoy quello che abbiamo fatto oggi.”
Roger guardò il direttore che annuì.
“Venga con me.”
Draco seguì Hermione nello stanzino e lei gli mostrò, spiegandogli per filo e per segno, quello che era successo in quella giornata.
“Nessun ritardo. C’è stato solo un imprevisto per una consegna.”
“Cioè?”
“Il trasportatore ci ha consegnato un’intera fornitura di piani tutti macchiati. Non so di cosa, sembrava che avessero trattati con la candeggina.”
“Por…” – Draco si trattenne a stento.
“Ho già chiamato il fornitore. Domani organizzerà una spedizione straordinaria a suo carico che dovrebbe arrivare domani pomeriggio. Ritardiamo solo di un giorno.” – disse Hermione che, però, in quel momento si accorse di essersi presa una libertà che forse spettava al direttore.
E si scusò.
“M-mi scusi…” – ammise, sinceramente dispiaciuta.
Draco la studiò perplesso.
“… avrei dovuto chiederle il permesso prima…” – disse, stavolta veramente imbarazzata per aver commesso un errore così banale.
Però lei era fatta così: se c’era un problema, lo risolveva subito. Non amava dover aspettare i comodi degli altri se aveva il potere di risolverlo da sola e nell’immediato.
Quella volta, però, Draco non avvertì quel senso di potenza che provava quando Pansy gli chiedeva il permesso di fare qualcosa, no. Era diverso e non sapeva spiegarsi il perché.
Forse perché la ragazza aveva visto che c’era un problema e l’aveva risolto da sola? Perché non voleva dar a vedere di essere una che non sapeva come gestire una situazione critica?
Non seppe darsi una risposta.
“No, non ti scusare, hai fatto bene. Se mi avessi aspettato, avremmo forse ritardato ancora di più le consegne.”
Hermione lo guardò come si guarda una bestia rara.
Sbagliava… o le aveva detto di aver svolto un buon lavoro?
Meglio che mi lavi le orecchie con l’acido per sciogliere il cerume la prossima volta…, pensò la ragazza allibita.
“G-grazie…” – disse, balbettando. – “… ehm… per il resto tutto a posto. Non ci sono stati problemi.”
“Molto bene. Puoi passare dal mio ufficio, prima di andar via?”
“Sì, certo.”
Senza aspettarla, il signor Malfoy si avviò verso il proprio ufficio mentre Hermione e Roger spensero tutte le luci e chiusero a chiave la porta del magazzino.
“Ciao Roger, ci vediamo domani.” – disse Hermione con un sorriso.
“Ciao! A domani!”

Hermione entrò in ascensore e si fece i soliti quattro piani per andare dal capo.
Era particolarmente agitata. In fondo… cosa poteva giustificare la sua presenza nell’ufficio del signor Malfoy? Dalla visita di Harry sembrava che il rapporto tra loro due fosse migliorato!
TOC TOC
“Avanti…” – disse una voce ovattata.
E Hermione entrò.

L’ufficio era avvolto dalla penombra. Sembrava di essere in un film della malavita, mancavano solo le guardie del corpo con in mano un mitra e il sorriso beffardo sul volto di Draco.
Fortunatamente, le guardie non c’erano, nemmeno i mitra e neppure l’agghiacciante sorriso.
“Permesso…” – disse lei timidamente.
“Accomodati.”
E Hermione obbedì.
“Grazie.”
“Immagino ti starai chiedendo il perché di questa convocazione.”
“Effettivamente… guardi che se è per la libertà che mi sono presa, le garantisco che non succederà più. Ho solo pensato che…”
“Non è per quello. Te l’ho già detto…” – precisò Draco.


Più andava avanti con il discorso, più Draco sentiva che quella strana sensazione alla bocca dello stomaco poteva essere catalogata sotto la voce “senso di colpa”.
Anche se la sua parte razionale non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, la sua parte inconscia sapeva che quello che stava per fare alla ragazza era sbagliato, e che lo stava facendo solo perché lo aveva stabilito prima.
Prima che Hermione gli dimostrasse le sue capacità nelle situazioni critiche.
E la faccia sempre più confusa di Hermione non faceva che aumentare il suo senso di disagio.


Scosse la testa, facendo ondeggiare i capelli e sembrò che quel piccolo gesto avesse scacciato via quel malessere.
“Ho preso una decisione nei tuoi confronti, Hermione.”
Hermione era diventata rossa e non se ne sapeva spiegare il motivo. Che ce l’avesse ancora con lei per come aveva risposto a Pansy? Ma no, dai… era impossibile! Era passato quasi un mese, ormai!
“Cioè?” – chiese titubante.
“Le tue capacità amministrative mi hanno stupito molto…”
Hermione non stette nemmeno a pensare come facesse a sapere che se la cavava in amministrazione.
“… così ho deciso di assegnarti un ufficio.”
Ora Hermione lo guardò con gli occhi sgranati.
“Eeeh?”
“Però mi sono anche detto…”
Ecco l’inculata…, pensò la riccia.
“… che se ti togliessi dal magazzino le consegne riprenderebbero a ritardare… così ho deciso di assegnarti due compiti: quello amministrativo e quello pratico. Sei contenta?”
Hermione aveva gli occhi sgranati e la bocca aperta. Ma era scemo o cosa?
“Perdoni la domanda stupida, signor Malfoy… ma come faccio a seguire l’amministrazione e allo stesso tempo scaricare le scatole in magazzino? Non mi hanno ancora concesso il dono dell’ubiquità.” – ironizzò lei.
“Sono sicuro che saprai destreggiarti in questa situazione.”
Hermione era sempre più sbigottita, ma l’idea che lui lo facesse per punirla per come avesse risposto alla sua fidanzata, non le sembrò mai tanto valida come in quel momento.

Notando la sua faccia, Draco sorrise soddisfatto.
E Hermione se ne accorse.

“Posso parlare apertamente?” – chiese lei, trucidandolo con gli occhi.
“Perché? Fino a oggi cos’hai fatto?” – chiese, pesantemente ironico e riferendosi a tutte le volte che lei, con educata ironia, gli diceva le cose in faccia.
“Ce l’ha ancora con me per come ho risposto alla sua fidanzata?”
Vediamo che mi rispondi, stronzo…
“Sinceramente?”
“Se possibile…” – chiese lei con finta pazienza.
“Ebbene sì.”

Quando pronunciò quella frase, una bomba atomica gli esplose nello stomaco.
Cazzo non era vero! Aveva ormai messo nel dimenticatoio quell’episodio ma il danno era stato fatto. E poi, come ogni uomo che si rispetti, Draco non era disposto a confidare a una dipendente, per quanto qualificata, il vero motivo per il quale voleva punirla ancora di più, ossia, per non andare contro Pansy.

Hermione ci rimase veramente male.
Allora il rapporto civile che avevano costruito dalla visita di Harry era stato solo per farle abbassare le difese per poi pugnalarla al momento più opportuno?
Dio che stupida!

“Vedi Hermione… non tollero simili commenti come quelli che hai rivolto alla mia fidanzata. Spero che questo doppio lavoro ti possa aiutare a comprendere che l’essere umano ha dei limiti.”
Hermione non riuscì a contenersi e gli rise sarcasticamente in faccia.
“Beh, poiché siamo in vena di confidenze…” – disse, calcando con pesante ironia. Lo disse con un sorriso di scherno sulle labbra e alzandosi in piedi, in un moto di aperta sfida che irritò il titolare in un modo tale che nemmeno lui pensava fosse possibile. – “… sappia che alla fine dei giochi, sarà lei a doversi mordere la lingua, per il semplice fatto che ha assunto un’impiegata che non ne ha!”
Draco scattò in piedi. Erano l’uno di fronte all’altro e non mancava tanto all’emissione di fulmini e saette dagli occhi di entrambi.
“Non ti conviene sfidarmi! Potresti rimanere a piedi con il lavoro!”
“Cos’è? Passiamo alle minacce esplicite, adesso?” – disse lei, sbeffeggiandolo. – “Vuole mettermi a fare due lavori? Benissimo! Nessun problema! Sappia però che un colpo basso simile non me lo sarei mai aspettato! Questa è una vigliaccata bella e buona e lei lo sa benissimo!”

Perché? Perché a lei permetteva di parlargli in quel modo? Che diavolo aveva quella ragazza da frenarlo dallo sbatterla sulla strada e farle tabula rasa intorno?
Beh, magari per il fatto che lei fosse un’impiegata a tutto tondo, che sapesse destreggiarsi in una situazione critica, che sapesse prendere la decisione giusta al momento giusto, che aiutasse i colleghi benché non fosse suo compito, che i suoi soci si complimentassero con lui di lei perché piuttosto di fare l’interno diretto di Draco, preferivano passare dal centralino per scambiare due chiacchiere con la ragazza.
Questi e altri motivi impedivano a Draco di liberarsi di una tale piaga ma che, nonostante tutto, era una preziosa collaboratrice.

“Credevo di averle dimostrato di saperci fare!, di essere una persona affidabile! Evidentemente per lei non conta niente o peggio!, non è sufficiente!”

Era delusa in un modo che non riusciva a spiegarsi.
In casi diversi avrebbe mandato il titolare a quel paese e se ne sarebbe andata, ma con la Malfoy Home non ci riusciva.
In realtà, aveva delle mire su quell’azienda, anzi, una sola, più precisamente: ambiva a diventare la segretaria personale di Draco. Avere la sua agenda in mano, il nome di persone importanti anche nel campo della moda, della musica o del cinema e tante cose ancora che le facevano venire l’acquolina alla bocca!
E per colpa di una stronza che non sapeva affrontare le persone faccia a faccia si vedeva costretta a dover ripiegare su un altro lavoro! Che vita ingiusta!

“Comunque non si preoccupi!” – concluse, amareggiata. – “Farò quello che devo. Buona serata.”
Uscì dall’ufficio più furente che mai. Ma come si permetteva? Minacciarla di chiuderle la porta in faccia! Ma era scemo?

Draco si sedette pesantemente sulla sedia. Non aveva mai perso le staffe in quel modo. Non ci riuscivano i suoi avvocati quando si mettevano d’impegno e ci riusciva una semplice magazziniera?
Purtroppo le parole di Hermione erano tutte vere, dalla prima all’ultima e per la prima volta in vita sua temette che un dipendente potesse licenziarsi e andare a lavorare per la concorrenza.
Un disastro simile doveva evitarlo a tutti i costi!









Era lunedì sei Ottobre di una nuova settimana e, con esso, il nuovo… i nuovi lavori.

Quella mattina si era svegliata con l’umore sotto i tacchi nel sapere cosa l’avrebbe attesa.
Ma perché, diavolo!, Dio metteva sulla faccia della terra persone così inutili?, si chiedeva, riferendosi alla Parkinson.
Che razza di utilità ha quella donna? Quale contributo dà all’ambiente?: nessuna! Anzi!: inquina l’aria con il suo profumo e certe volte ha il potere di rompere la barriera del suono con quella vocetta stridula che le faceva accapponare la pelle!
Dov’era la sua utilità, dove?!?

Era proprio cattiva come il veleno, Hermione ma quel suo pessimo umore era più imputabile a Draco, che a Pansy. Era lui che le aveva piantato quel coltello nella schiena e lei, da perfetta cretina, si era andata pure a fidare!

Arrivò sul posto di lavoro vestita con abiti adatti all’occasione e appresso un borsone per il cambio per il lavoro in magazzino.
Aveva curato le unghie e le mani, perché nonostante indossasse i guanti, questi erano ruvidi al loro interno e le aveva sollevato parecchie pellicine e aveva curato anche i capelli. L’unto, la polvere e lo sporco in generale li avevano sfibrati.
Quando Miky la vide le sorrise.

“Ciao Hermione, bentornata nel mondo civile.
Hermione teneva molto a Miky, perché le aveva fatto fare conoscenza di tutti, l’aveva messa a suo agio ed era stata la sua referente per il periodo di apprendistato al centralino, ma certe volte le veniva voglia di strozzarla: se ne usciva con certe sparate che temeva non dormisse di notte per pensarle!
“Già…” – fu la monosillabica risposta.
Miky ci rimase male e Hermione cercò di porvi rimedio: dopotutto era grazie a lei se era riuscita a venirne a capo con quel maledetto computer!
“Il signor Malfoy mi ha messa a lavorare in ufficio.” – spiegò, notando come il sorriso di Michelle fosse tornato.
“Mi fa piacere. Allora ci vediamo dopo, ok?”
“Sì, a dopo.”

Schiacciò il pulsante dell’ascensore e aspettò che dal quarto piano scendesse al pianoterra.
Entrò con l’umore di chi stava andando al funerale di un caro amico.
Doveva trovare un certo Oscar, che le avrebbe spiegato cosa fare e poi si sarebbe messa al lavoro. Sapeva solo che a quel piano e in quell’ufficio stavano Ginny e Lavanda, due ragazze della stessa età molto simpatiche e alla mano.

L’ufficio era già chiassoso alle otto e mezza, notò Hermione.
Intravide Lavanda e Ginny tutte intente nel proprio lavoro.
“Scusa, cercavo Oscar.” – chiese Hermione, alla prima impiegata che passava di lì.
“E’ quello là in fondo al telefono con il maglioncino verde.”
“Grazie.”
“Prego.” – rispose l’altra con un sorriso.
Si diresse a passo lento verso il ragazzo e lo trovò che sorrideva alla cornetta. Beh, doveva solo dirle ciò che doveva fare e poi poteva tornare a sorridere anche a un maialino, per quello che le importava.

“Ciao, sei tu?…”
La domanda cadde nel vuoto.
Stizzito, quel ragazzo di circa trent’anni fermò Hermione con una mano, perché lo stava disturbando. Dalla confidenza del tono, la ragazza dedusse che non si trattasse di una telefonata di lavoro.


Quella giornata era proprio iniziata male, come se anche il destino volesse darle ad intendere che quel doppio lavoro sarebbe stato a dir poco faticoso e che forse, forse, sfidare Draco Malfoy non era stata un’idea poi tanto felice.

Tanto per cominciare, la sua Lilly, la sua adorabile cagnetta, ora giacente nella cella di un obitorio canino, aveva fatto la pipì fuori dal pannolino. Hermione c’era rimasta talmente male, perché una cosa simile non era mai successa…

… il microonde aveva dato forfait e quindi aveva dovuto farsi il the alla vecchia maniera, mettendo sul fuoco una pentola d’acqua e scioglierci dentro una quantità industriale di bustine…

… il dentifricio era magicamente evaporato durante la notte…

… quel mattino, gli addetti ai lavori pubblici avevano tolto l’acqua per fare un lavoro che non poteva essere effettuato in altri giorni della settimana.
E senza avvisi alla popolazione…

… era arrivata a pelo al distributore della benzina che, stranamente, era gremito di gente…

Non sapeva spiegarsi come avesse fatto a raggiungere il posto di lavoro in orario.

Forse, si disse, erano tutte coincidenze, ma quando stava per entrare dalla porta principale, intravide Pansy Mer… Parkinson gettarle un’occhiata di pura sufficienza.
Hermione le aveva chiesto gentilmente di lasciarle aperta la porta, che ovviamente…
… le fu chiusa in faccia.

No, si disse in seguito. Le coincidenze non esistevano: esisteva solo qualcuno che ce l’aveva con lei.

Stanca di dover aspettare che quel tizio finisse di parlare con la sua fidanzata – mentre pensava alla serie di sfighe che l’avevano colpita, Hermione intuì dai soprannomi “coccolina”, “amore mio”, “fagiolino tenero” e altri nomi poco ortodossi che le stavano facendo venire la carie, che quel ragazzo stesse parlando proprio con lei – la ragazza abbassò malamente la forcella del telefono, interrompendo così quell’inutile discussione.

“…e so che… pronto? Jessy? Jessica, ci sei? Pronto? Pronto?” – il ragazzo notò una mano sulla forcella del telefono, risalì il braccio e incontrò il viso della ragazzina che voleva interromperlo. – “Ma… come ti sei permessa?”
Hermione alzò un sopracciglio, pronta a dare il ben servito a quello spocchioso.
“Senti… ho avuto un inizio di giornata tutt’altro che felice e vorrei avere altro da fare che star qui ad ascoltare la tua conversazione privata. Ora, le soluzioni sono due: o mi dai il lavoro che devo fare, oppure facciamo una capatina nell’ufficio del signor Malfoy e gli chiediamo se si può usare il telefono dell’ufficio per le conversazioni private. Ma non so se usciresti intero…” – disse Hermione lasciando la frase in sospeso.
Il poveretto si zittì immediatamente. Effettivamente se il direttore venisse a sapere di come i suoi dipendenti usano apparecchiature aziendali per fini privati, non immaginava come poteva reagire.
“Sì, ok…”
Hermione sorrise sorniona. Chissà come mai era sufficiente nominare il “big boss” che tutti diventavano di cera.
“Grazie. Cosa devo fare?”
“Tu sei Hermione, giusto?” – chiese Oscar, ancora sottosopra per la minaccia.
“Sì.”
“Allora… il signor Malfoy mi ha dato istruzioni per te. Al momento ti occuperai di controllare le fatture che arrivano dai fornitori, che non sono poche…” – disse lui, come se spaventarla in quel modo potesse ripagarlo per la minaccia subita. – “… smistare la posta, controllare le provvigioni per i nostri agenti e pagare le modelle a fine di ogni servizio.”
“Quando inizio e dove mi metto?”
Oscar l’accompagnò in un cubicolo, in mezzo a due ragazze. Era una scrivania molto spaziosa e a Hermione le scrivanie grandi erano sempre piaciute. Ci poteva mettere sopra tutti gli incartamenti che le servivano senza dover ogni volta alzarsi per prendere ciò che le serviva, ma soprattutto… poteva seguire più lavori contemporaneamente.
Cosa che le riusciva molto bene.

Aveva un cervello grande, lei. Non solo per la sua attitudine al lavoro, alla risoluzione di situazioni critiche, ma proprio nel vero senso della parola. Ci aveva già provato, ma aveva notato che se seguiva una pratica alla volta, il suo cervello finiva sempre coll’andare a quelle in sospeso. Così, si era messa tutte le pratiche sulla scrivania, seguendole tutte in una volta sola.
Il risultato? In due giorni, Hermione sistemava tutti i sospesi, portando a termine un eccellente lavoro.

“Questo è il tuo posto.” – disse. – “Loro sono Ginny e Lavanda. Se avrai delle difficoltà, chiedi a loro.”
Alias: “se hai problemi, arrangiati e non venire a scocciare me”.
Hermione si guardò un attimo intorno, salutando le due ragazze. Poi, riguardò il ragazzo fannullone.
“Sì, non temere…” – disse, con un gesto indolente della mano come a scacciare una mosca fastidiosa. – “… torna pure a parlare con la tua fagiolina.” – disse lei, rispondendo alla vera richiesta del ragazzo.
Il ragazzo in questione divenne rosso pomodoro e se ne andò, sotto lo sguardo divertito di Ginny e la risata contenuta di Lavanda.
“Ciao ragazze.”
“Ciao Hermione.” – la salutò Lavanda. – “Davvero grande quella stoccata. Era ora che qualcuno lo mettesse al proprio posto, visto che tende un po’ troppo a fare il galletto…”
Hermione fece le spallucce, come per schermirsi.
“Quelli come lui abbaiano e basta. Dove trovo gli incartamenti per il mio lavoro?”
Stavolta fu Ginny ad alzarsi e a farle fare un giro turistico dell’ufficio.
“Vieni con me. Intanto ti faccio fare un giro dell’ufficio, così saprai bene o male cosa facciamo a questo piano.”
Hermione, con un sorriso, la ringraziò.
“Allora… lì c’è il reparto fatturazione…”
Hermione scorse tre stampanti che sfornavano fogli in carta chimica a tutto andare, mentre le dipendenti, ormai abituate al ritmo con cui le stampanti lavoravano, raccattavano i fogli e li strappavano per poi imbustarle e spedirle.
“… poco più distante c’è il reparto cancelleria: se chiedi una penna che ti faccia le pernacchie, abbiamo anche quella.” – disse Ginny, evidenziando la fornitura industriale della loro cancelleria. – “Vicino ai nostri posti ci stanno gli agenti commerciali, quelli che si occupano di reperire clienti e far loro visita…”
“A-ha…” – disse Hermione, annuendo.
“… laggiù invece ci stanno i ragazzi che si occupano di organizzare le spedizioni e i ritiri, mentre là in fondo c’è lo studio di avvocati, dove il signor Malfoy ci va minimo minimo una volta al giorno e nella porta accanto ci stanno i tecnici del computer.”
“Ok… e i documenti?”
“Sì, vieni. In questo armadio trovi tutto quello che servirà per il tuo lavoro. Vuoi vedere gli altri?”
“Magari quando mi serviranno. Grazie mille, Ginny. Ora inizio a mettermi al lavoro.”
“No, non credo proprio…”
Hermione infossò la testa nelle spalle, imbarazzata.
“Perché?”
“Perché non si può iniziare a lavorare senza prima una buona dose di caffeina.”
Hermione sorrise e si avviò assieme a Ginny alla macchinetta del caffè, dove ad attenderle vi era Lavanda.
“Fatto tutto?” – chiese Lavanda a Ginny.
“Sì… ora serve un buon caffè!” – disse Ginny.
“Per me una cioccolata calda, invece.” – disse Hermione.
“Ok…”
Attesero due minuti per iniziare a sorseggiare le loro bevande in santa pace, poi si diressero alle proprie postazioni.

A Hermione fu sufficiente che qualcuno le spiegasse cosa dovesse controllare, come stabilire il giusto compenso alle modelle e come verificare che le provvigioni fossero corrette. Lavanda le spiegò dettagliatamente ogni cosa e dopo due ore di lavoro fatto assieme, Hermione poté continuare da sola.
Mise tutto sulla scrivania e, con un bel sorriso, di chi a breve avrebbe dato una bella lezione di vita a qualcuno di veramente odioso, iniziò.
Passava con agilità da una pratica all’altra e Lavanda e Ginny ne rimasero veramente stupite.
Arrivò la pausa pranzo che non se ne accorse nemmeno.




“Pranzi con noi?” – le chiese Ginny, mentre sistemava la propria scrivania.
Lavanda era in piedi che la stava aspettando.
Hermione sorrise.
“No, grazie. Adesso devo scappare in magazzino.”
“Perché?” – chiese Lavanda.
“Devo star dietro anche a quello.” – rispose Hermione, mentre finiva di battere le ultime righe al computer.
Sotto lo sguardo perplesso delle due nuove colleghe, Hermione prese il borsone che si era portata appresso e andò in bagno. Ne uscì totalmente cambiata: ora vi era una Hermione in tuta da ginnastica, pronta per il sollevamento pesi.
Le due colleghe si guardarono allibite per quel camaleontico cambiamento e si scambiarono un’occhiata perplessa.
“Che lo abbia fatto incazzare?” – chiese Ginny.
“Ho proprio in mente di sì…” – disse Lavanda e insieme all’amica scesero in mensa.


Hermione era in magazzino e si era messa all’opera per controllare che i documenti fossero stati correttamente emessi, che le destinazioni fossero giuste e, perché no?, che il ruolo di Roger – le sue scartoffie, più che altro, fossero in perfetto ordine.
Era una cosa importante, quella, forse più importante del fatto stesso che i magazzinieri indossassero le dovute protezioni durante il turno di lavoro.

In pausa pranzo c’era ben poco da fare, perché le consegne e i carichi venivano giustamente sospesi per dar modo agli operai di tirare un po’ il fiato, ma il lavoro di amministrazione era decisamente fattibile.

“Sì salve, sono Hermione della Malfoy Home. Posso parlare con George, per favore?”
“Attenda prego.”
“Grazie.”
Durante l’attesa partì una musica dell’ultimo successo discografico di Lady Gaga e Hermione, per far passare il tempo, si mise a canticchiarla.
“Ciao Hermione!” – la salutò l’uomo dall’altra parte del telefono.
“Ciao Gio!” – lo apostrofò lei. – “Tutto bene?”
“Io sì e tu?”
“Non mi lamento.” – disse la ragazza, con una faccia che diceva l’esatto opposto.
“Dimmi tutto gioia.”
“Gio, volevo sapere se quella consegna era partita.”
“Aspetta che controllo la bolletta di carico…”
Hermione lo sentì sfogliare della carta e attese.
“Allora… ieri mattina alle nove e mezzo.” – confermò George. – “Vuoi che senta il trasportatore?”
“No, no tranquillo. Luke è abbastanza puntuale.” – lo rassicurò Hermione. – “Beh grazie mille. Volevo solo sapere questo.”
“Figurati, alla prossima allora.”
“Sì, ciao!”

Hermione segnò su un post-it l’informazione per Roger ed effettuò altre quattro chiamate come quelle. In pausa pranzo poteva fare ben poco, ma almeno poteva chiamare le varie agenzie di trasporto per sapere com’erano messe con le consegne. Lì, gli addetti facevano orario continuato.
E poi era un lavoro in meno per Roger.

Mentre controllava su Internet a che punto erano le altre consegne – certe ditte, poche, a detta di Hermione, avevano cura di lasciarle il codice della spedizione in modo tale da poter andare sul sito del mittente, inserire i dati e verificare lo stato della merce – si sgranocchiava un pacchetto di crackers.


E mentre lei sgranocchiava i crackers, Draco pensava, dall’alto del suo ufficio.
Quella situazione gli stava sfuggendo di mano. Certo, lui era il datore di lavoro e poteva fare quello che voleva, ma immaginò che avrebbe fatto la figura dell’eterno indeciso se avesse spostato nuovamente Hermione da un posto all’altro della sua azienda. Non era tenuto a giustificare le proprie azioni con nessuno, tanto meno con un dipendente ma Hermione non era una lavoratrice qualsiasi.
Lei sapeva destreggiarsi in qualsiasi campo e la prospettiva di perderla gli alzava i peli sulla nuca.
Eppure non voleva lasciarla a marcire nel magazzino o a controllare le provvigioni degli agenti! Era portata per ben altri compiti!


“Allora, come va qui?”
“Bene!” – esclamò la riccia. – “Le consegne sono tutte partite e saranno qui oggi, massimo domani.” – spiegò. – “Ti ho sistemato i documenti in ordine alfabetico e adesso devo solo andare a sistemare le fatture accompagnatorie nell’imballaggio della merce prima che la chiudano.”
“Perfetto. Ah, Hermione… mi controlleresti questi documenti sulla sicurezza?”
“Sì, cosa c’è che non va?” – chiese la ragazza, studiando il documento.
“Non ho capito questa cosa qui.” – disse, indicandole un paragrafo in basso.
“Allora…” – lo lesse velocemente. – “Ah, no. Non ti devi preoccupare. Qui parlano dei controlli da fare quando le macchine hanno più di dieci anni di vita.” – spiegò. – “Con Harry è stato controllato tutto e le macchine sono state cambiate o già revisionate. Questi controlli però andranno fatti tra due anni, comunque.”
“Ah, ho capito.”

L’organizzazione di Hermione aveva portato Roger ad avere uno scaffale interamente occupato dai documenti per la Sicurezza sul Lavoro, suddivisi per categorie.
Era stata davvero una fortuna che ci fosse lei!


Hermione controllò l’ora.
Erano le una e mezza e forse era il caso di darci un taglio. Voleva farsi una doccia e avrebbe usufruito di quella dei ragazzi prima di tornare in ufficio.




Quando mancarono dieci minuti alle due, orario previsto per i dipendenti dell’amministrazione di rientrare in ufficio, Hermione si trovò già al suo posto a continuare i lavori precedentemente interrotti.

“Già qui?” – chiese una voce fastidiosa tanto quanto l’urticaria.
Prima di girarsi, Hermione serrò gli occhi, poi, con garbo e un sorriso falso come Giuda Iscariota, si girò e rispose a tono.
“Mancano solamente dieci minuti alle due, signor Malfoy.” – disse, per poi rigirarsi e continuare il suo lavoro.
“Vedo che non è scesa in magazzino, com’era stato stabilito.”
Hermione si rigirò con un altro sorriso.
“A dire il vero sono appena tornata.” – disse, lasciando basito il direttore.
Quella ragazza lo stava stuzzicando e sfidando sempre più apertamente.
“Non crede che forse una doccia sarebbe stata adatta?”
“Infatti l’ho fatta.” – rispose Hermione addirittura senza guardarlo in faccia.
Draco fumava dalle orecchie.
“E dove?” – chiese, sempre più stupito e infuriato.
“In una doccia?” – chiese lei, ironicamente.
“Ma le uniche docce sono…” – si fermò, paralizzato, mentre Hermione non capiva il suo sbigottimento. – “Ha fatto la doccia con gli operai?”
Hermione si girò di scatto, basita.
“Ma… NO!” – tuonò lei, imbarazzata. – “Ma come le vengono in mente certe idee?!”
Fortuna che non era arrivato ancora nessuno…
“Senta, signorina Granger…”
Il tono usato non piacque per niente a Hermione.
“No, mi ascolti lei, signor Malfoy…” – usò un tono stranamente remissivo mentre gli occhi diventavano leggermente lucidi. – “… io non so cosa si è messo in mente, ma non mi sono fatta la doccia assieme agli uomini, visto che loro a mezzogiorno non la fanno mai. So benissimo di non dover entrare in ufficio che puzzo come una capra, ma non immaginavo proprio che arrivasse a pensare a tanto.” – si fermò con il fiatone. Non che le importasse tanto quello che pensava il signor Malfoy, ma quello che pensava il direttore… quello sì. Non tollerava che la si facesse passare per una facile, visto che era l’esatto opposto.

Draco, dal canto suo, si rese conto che quella vendetta contro Hermione era sulle punte delle dita: un passo falso e avrebbe potuto finire davvero male. Pur di farle ammettere di aver sbagliato – ma aveva davvero sbagliato, alla fine? – era disposto a insinuare cose non vere, ma evidentemente il temperamento della ragazza era talmente forte che non glielo aveva permesso.

“Ora mi scusi… ma ho del lavoro da finire.” – concluse, senza guardarlo in faccia.
Continuò a controllare le fatture, le provvigioni e i pagamenti, visto che della posta non c’era nemmeno l’ombra.
Conscio di aver esagerato, Draco girò i tacchi e se ne tornò in ufficio.


Seduto sulla sua poltrona, reclinò leggermente il poggia schiena e chiuse gli occhi. Per quanto gli costasse ammetterlo, spergiurare su qualcuno non era un suo abituale metodo di procedimento. Aveva scelto di sfinire la ragazza con il lavoro e non con le false insinuazioni.

Hermione dimenticò in fretta le parole del signor Malfoy. Aveva ben altro cui pensare.
Aveva controllato le fatture di Settembre, effettuato i bonifici alle modelle e le mancavano solo le provvigioni da verificare. Richiuse il raccoglitore delle fatture e lo mise al suo posto e registrò i bonifici effettuati su un database di excel da inviare a fine giornata allo “stronzo”.

Ginny e Lavanda non le avevano rivolto mai la parola in quel pomeriggio. Avevano notato che era molto presa, ma anche parecchio giù di corda. Si guardarono negli occhi, ripromettendosi di parlarne con lei a fine giornata.
Che finalmente arrivò.




Molti colleghi avevano già iniziato a spegnere i computer e ad archiviare i documenti per il giorno successivo. Avevano fatto così anche Lavanda e Ginny, ma non lei.
Hermione avrebbe avuto da fare ancora una mezz’oretta e poi le provvigioni sarebbero state a posto.
“Hermione tu non vieni?” – chiese Lavanda.
“Oh, no… ho ancora una mezz’oretta da fare e poi ho finito. Ci vediamo domani, ok?”
“Ok.” – le due ragazze si diressero verso l’uscita, strisciarono il cartellino magnetico e se ne tornarono a casa.




Nel suo ufficio, Draco era chinato sul suo computer e lo stava spegnendo. Aveva un appuntamento con Pansy e non era sua intenzione e abitudine arrivare in ritardo.
Uscì dalla porta che chiuse a chiave e uscì, ma intravide una luce accesa.
“Devono sempre “dimenticarsi” la luce accesa!” – sbottò Draco scocciato.
Quando arrivò, notò che la luce proveniva dalla scrivania di Hermione.
Colpito, sì, colpito da quella dimostrazione di sfida, Draco si avvicinò cautamente.
“Hermione… cosa fai ancora qui?”
Hermione alzò lo sguardo, ma lo riabbassò subito. Non voleva neanche guardarlo in faccia.
“Sto finendo un lavoro. Non si preoccupi, vado via tra dieci minuti.” – girò una pagina e spuntò un paio di voci.
“Le straordinarie non vengono pagate.” – specificò lui, credendo che rimanesse lì per aumentare lo stipendio.
Hermione, incurante, sbuffò infastidita. Lavorava anche per ricevere uno stipendio, ma quando si metteva dietro ad un lavoro, non lo mollava se prima non lo aveva finito. Si alzò dalla sedia, poiché aveva finito prima del tempo previsto.
“Ah beh… in tal caso me ne vado subito.” – ironizzò lei.
Si diresse verso un armadio e archiviò il faldone delle provvigioni nel suo spazio. Tornò a posto e iniziò a sistemare la sua postazione, spense il computer nel silenzio più assoluto.
“Per oggi, volevo scus…”
“Non è necessario.” – ribatté lei, fissandolo negli occhi.
Ora come ora voleva solo stargli il più distante possibile. Le veniva la nausea solo a vederlo.
Draco non sapeva più che fare. In qualsiasi direzione si inoltrasse per cercare di parlare con quella ragazza era come muoversi su un campo minato.
“Volevo solo…”
“Quale parte della frase “non è necessario” non le è chiara?” – Hermione aveva in collo la sua borsa ed era pronta per uscire.
“Vedi di stare al tuo posto.” – disse lui perentorio.
“Starò al mio posto, signor Malfoy, quando lei imparerà a stare al suo. E non si azzardi mai più a darmi della puttana. Buona serata.” – disse salutando.

In quel frangente, Draco si rese conto di una cosa.
Di fronte a una ragazza del temperamento di Hermione Granger, e cioè una donna non facilmente piegabile, automaticamente la mente, tra la miriade di aggettivi che impara durante il corso della vita, ne sceglie uno solo: puttana.
Perché, poi?
In due anni di rapporto lavorativo, non ha mai dovuto richiamarla per comportamenti sconvenienti, mai un rimprovero, mai una lamentela… niente di niente. Faceva semplicemente il proprio lavoro e poi se ne tornava a casa. Si poteva quasi affermare che Hermione fosse un fantasma. Non la si sentiva, non la si vedeva… era precisa sul proprio operato tanto quanto Pansy lo era a letto. Sembrava che potesse anticipare le mosse dei suoi colleghi. Una dipendente così non l’aveva mai avuta.
I primi mesi, quando passava dall’ingresso principale – poi si era fatto letteralmente aprire una porta sul retro per non incontrare fornitori asfissianti – Hermione lo salutava con cortesia, gli lasciava su un foglio, ordinatamente tenuto, l’elenco delle chiamate e dei messaggi per lui e la posta arrivata.
Gli augurava una buona giornata e poi tornava a fare il proprio lavoro.

Non era forse questo il tipo di dipendente che avrebbe voluto ci fosse in tutti i settori dell’azienda?
Sì.
Allora perché la stava punendo? Solo per aver risposto male alla sua fidanzata?

Era stizzito.
Sì, perché credeva di ricevere delle scuse con tanto di capo chino e invece si era ritrovato invischiato in una sorta di guerra fredda dove lui, solitamente abile in quel campo, non riusciva a spuntarla, per non parlare del fatto che quella sera aveva avuto una brutale caduta di stile.
Non era sua abitudine dare della puttana a una dipendente solo perché non otteneva da lei ciò che voleva ma con lei aveva ceduto.

Si riscosse dai propri pensieri. Era leggermente in ritardo, per l’appuntamento che aveva con la sua futura moglie.




Era arrivata a casa, finalmente. Nella sua dolce, sicura e speciale casa.

Quel lunedì non era stato molto faticoso, ma era certa che proseguire a quel ritmo per un periodo che si prospettava infinito – per lo meno fin quando non avesse chiesto scusa a Pansy – avrebbe avuto delle grosse ripercussioni sul suo fisico e sulla sua mente.
Aveva preso la sua Lilly e l’aveva portata a fare i suoi bisognini. Era stata fuori circa una mezz’oretta e poi era rientrata, visto che il suo stomaco reclamava primo, secondo, contorno, frutta, dolce e un sonnifero.
Si fece arrivare una pizza con il mondo sopra. Non fece in tempo a ingoiare l’ultimo boccone che si infilò a letto, cadendo in un sonno profondo e senza sogni.
E il cane accanto, rimasto decisamente male per quell’atteggiamento, perché non aveva avuto la sua razione notturna di coccole…




Dall’altra parte della città, in un lussuoso appartamento all’ultimo piano in centro a Londra, Draco e Pansy stavano facendo del sano sesso.
Conclusero il tutto con un grido animalesco, crollando esausti l’uno sull’altro.
“Oh Draco…” – esclamò una spossata Pansy con gli occhi chiusi.
Non finì di parlare che la bocca le fu chiusa da un bacio irruento.
Draco rotolò su un lato per prendere fiato.

Sapeva che quello che aveva appena fatto aveva assunto una connotazione strana… diversa.
Aveva sempre in mente Hermione Granger (non che durante l’amplesso pensasse di voler fare sesso con lei, s’intenda): le sue parole, il suo sguardo carico di biasimo… e pur di riuscire a togliersela dalla mente aveva usato, su Pansy, tutta la sua forza, ma non era servito a niente. Nemmeno in quell’unico attimo, in cui la mente doveva – o avrebbe dovuto – svuotarsi, era riuscito a concentrarsi su quello che stava facendo.
Seccato, scocciato e infastidito, si alzò da terra e andò a farsi una doccia, lasciando la compagna sul tappeto, davanti al caminetto, semi addormentata.

Sotto il getto dell’acqua calda, che s’insinuava tra i suoi capelli, l’uomo cercava di scacciare il pensiero di Hermione Granger dalla sua mente. Ma più cercava di non pensarci e più lei rimaneva fissa lì davanti, come a volerlo punire per le sue parole cattive.
Perché sì: era stato davvero cattivo.
Aveva insinuato il peggio e lei, giustamente, si era arrabbiata e non poteva biasimarla per averlo aggredito e per avergli risposto in quel modo.
C’era anzi da dire che era stata fin troppo diplomatica: se avesse avuto un’altra di fronte, avrebbe sicuramente rimediato un bello schiaffo.

Sbarrò gli occhi, avvertendo una sensazione di fastidio, quando sentì due mani affusolate massaggiargli sensualmente le spalle.
Si scansò da lei, per quanto la doccia lo permettesse e uscì dal box, lasciandola decisamente confusa. Si sciacquò velocemente e prese l’asciugamano, dove vi avvolse il suo conturbante corpo.
“Che ti succede?” – chiese lei, andandogli dietro come un cagnolino.
Draco la osservò con la coda dell’occhio. Perché un mese fa, quell’atteggiamento di devozione lo avrebbe lusingato fino all’estremo, mentre adesso provava l’irrefrenabile istinto di gettarla dalla finestra?
“Nulla.” – fu la sua glaciale risposta.
“Draco, avanti… dimmi cosa ti turba…” – disse lei, andandogli vicino.
Sapeva che stava rischiando grosso, che lui non era il tipo da parlare dei suoi turbamenti, ma tra poco sarebbe stata sua moglie: nella buona e nella cattiva sorte.
“Ho detto nulla, Pansy… non insistere.” – sentenziò lui ancora più duramente.
“S-sarò tua moglie… non lasciarmi fuori dalla tua vita…”
E fu la goccia che fece traboccare il vaso. Draco provò un’ondata di profondo fastidio e malessere nei confronti di Pansy, che non seppe motivarsi. Aveva avuto la sensazione di dover rendere conto a lei di qualsiasi mossa o pensiero, altrimenti aveva come la certezza che non se la sarebbe scollata di dosso fino a che non avesse ottenuto quello che voleva.
Non disse nulla, il direttore della Malfoy Home. Iniziò solamente a vestirsi, mentre Pansy iniziava a piangere, pregandolo di restare.
Ma lui niente. Non ci sentiva.
Quella serata era partita proprio male e male si era conclusa.
“Ci vediamo domani, Pansy. Buona notte.”
Pansy non rispose, si limitò a fissarlo sparire dietro la porta.




Schiacciò il pulsante dell’ascensore e attese che arrivasse al piano. Una volta dentro, si appoggiò alla parete frontale e chiuse gli occhi.
Di nuovo, Hermione Granger.
“Ma cosa accidenti vuoi da me?” – sbottò stizzito.
Uscì al piano dei garage che non sembrava nemmeno lui. La camicia di seta era mezza dentro e mezza fuori dai pantaloni, la cravatta era annodata in qualche modo e la cerniera dei pantaloni era a metà della strada. Chiunque fosse passato di lì in quel momento, avrebbe urlato “al maniaco”.
Prese le chiavi della sua Porsche e l’aprì con il comando a distanza, entrò, gettando sul lato passeggero la giacca e il soprabito e guidò per tornare a casa, dove l’attendeva un buon sonno ristoratore.
Almeno sperava.

E fu così.
Appena entrato in casa, Draco andò in camera sua, avendo cura di gettare a casaccio i vestiti sull’omino e gettarsi sul letto, cadendo addormentato come un pero.









Calli-corner:

Capitolo ciccione, no?
Spero vi sia piaciuto, così come le risposte che Hermione ha dato a Draco. Beh, qui se le è proprio meritate.
Pur di piegare Hermione e farle ammettere di aver sbagliato – “sbagliato” è un concetto molto diverso per Draco e Hermione – arriva a darle della poco di buono e lei, più che giustamente, s’incazza e rimane delusa, perché non pensava che pur di sentirsi chiedere scusa, Malfoy arrivasse a tanto.

Qui spiegato il perché Hermione rimane alla Malfoy nonostante l’atteggiamento di Draco.
Beh, in primis perché se si licenziasse, la darebbe vinta a Pansy e nemmeno in un universo alternativo avrebbe permesso questo e poi perché vuole diventare la segretaria di Draco. E’ una sua ambizione.
Certo che se le cose vanno avanti di quel passo, nemmeno a sessant’anni ci arriverà.

Beh, sapete benissimo che per qualsiasi punto oscuro che non vi torna, potete scrivermi e io cercherò di rendervi le idee più chiare.
Ma adesso… spoiler!

“Chi ti ha detto che puoi darmi del tu?” – la rimproverò Pansy.
“Chi ti ha detto che puoi darmi del tu?” – la pappagallò Hermione.

Nel prossimo capitolo ci sarà finalmente un incontro/scontro tra Hermione e Pansy. A me ha fatto molto ridere quando l’ho scritto, perché di solito è una situazione che ognuno di noi sogna si avveri, ossia dire la cosa giusta al momento giusto senza possibilità per l’avversario di replicare perché le nostre parole sono talmente giuste che non possono essere contestate.

Spero di rivedervi,
callistas
  
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