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Autore: _Faraway_    05/10/2013    0 recensioni
'Intanto nessuno può capire, non si possono capire cose del genere .. Forse posso farlo solo io .. sono imperfetti, come me.'
'Questo non puoi dirlo. Tutti cerchiamo la perfezione, ma raramente la troviamo. O se l'abbiamo trovata, non la riconosciamo. Magari prima o poi scriverai qualcosa che ti soddisfa davvero. Qualcosa che secondo gli altri, sarà la perfezione. Puoi crearlo. Qualcosa di perfetto.'
Genere: Generale, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Era domenica. Esattamente le undici. La sottile luce del sole entrava dal lucernario, illuminando il margine del letto. Mi svegliai a causa delle urla delle ragazzine. Litigavano. Tanto per cambiare. Rimasi nella stessa posizione anche se sveglia. Riordinai gli avvenimenti della scorsa notte, e il mal di testa per la troppa vodka era una prova certa. Avevo l'odore del fumo addosso, avevo bisogno di una bella doccia. Mi alzai, tanto quelle continuavano a gridare e non avrei potuto riaddormentarmi ne ora ne mai. Mi feci una doccia fredda. Pensai a lungo rispetto a cosa dire a Giulia. Forse era meglio non dirle nulla, farle credere che mi ero 'goduta' la festa. Non volevo farle male dicendole che me ne ero andata, e nemmeno volevo spiegare di aver rubato dentro una villa. La conoscevo bene e sapevo il rischio che avrei corso nel farlo. Mentre mi asciugavo il volto davanti allo specchio, come ogni tanto mi capitava, mi fermai ad osservarmi. Avevo il ciuffo di capelli incollati sulla fronte. Li tirai su come potei, ma ricorrere alla cera sembrava inevitabile. In più dovevo rasarli di nuovo ai lati, perché stavano ricrescendo troppo. Presi il rasoio e lo feci subito, sapevo che non l’avrei fatto se avessi rimandato. Giravo la testa, per evitare di rasare dove non dovevo. Fui soddisfatta del risultato, e i miei occhi lo confermavano. I miei occhi .. quegli occhi color cioccolato, così scuri e penetrabili, così emotivi .. mi tradivano sempre, erano la mia parte più debole. Giulia, col tempo, aveva imparato a leggere i miei occhi, a capire come andavano le cose attraverso quei due pozzi scuri e profondi che sembravano non avere una fine. Sempre proiettati verso qualcosa che non esisteva, alla ricerca di qualcosa che non potevo trovare. Sempre assenti. Come gli occhi di mio padre. Che erano dello stesso identico colore. Scuri, e profondi. Tornai in camera e non feci altro che scrivere per tutta la mattinata. Mi sentivo particolarmente ispirata e non trattenni nulla. Scrissi rime, su rime, su rime. Non riuscivo a immaginare quelle rime cantate, più che altro recitate. Ma non avevo idea di cosa fossero, sapevo solo che mi facevano stare bene .. che era comunque poco. Non è normale fare qualcosa senza sapere cosa davvero stai facendo, è una contraddizione della realtà! All’una fui chiamata per il pranzo e scesi. Da quel giorno in poi ci sarebbe stata la cuoca, e la cosa mi rallegrava: come faceva lei le lasagne non le faceva nessuno! E mi sembrava proprio odore di lasagne quello che sentivo. Ma mi dovetti fermare prima di scendere. Mi accostai di soppiatto alla porta della stanza di mia madre e del suo compagno. Stavano parlando sottovoce, ma concitatamente.
< .. è da un po’ che ci penso, e la cosa non mi piace. Dipende da noi e pev noi non fa nulla. Mai un ringvaziamento, ed il minimo savebbe vestivsi decentemente e fave onove alla famiglia a cui appavtiene! >
< Lo so Andrew, ma non possiamo farci nulla. Ci abbiamo provato quando eravamo ancora in tempo, ma non siamo riusciti allora, che vorresti fare allora? >
< Insegnavgli che se vuole qualcosa deve sudave pev ottenevla, come io, mio padve e mio nonno pvima di noi. Sta di fatto che questa è casa mia, sono stufo dei suoi comportamenti. Se la situazione non migliova, pvovvedevemo. >
Sentii passi avvicinarsi alla porta dall’interno e scappai in fretta, scendendo le scale a tre a tre per farmi trovare già a tavola. Andrew e mia madre scesero subito dopo, lui scocciato e mia madre pensierosa. Anita, la cuoca, ci riempì i piatti e mangiai di gusto, poi se ne andò, canticchiando una di quelle canzoni vecchie dei ‘suoi tempi’. Anita aveva circa 60 anni, era tonda e in carne, con i capelli sempre legati a mò di chignon, e cucinava per noi da anni i suoi piatti migliori. Fra un po’ Andrew e mia madre avrebbero ricominciato a lavorare, e l’avrei sentita canticchiare più spesso in cucina. Ma mentre mangiavo pensavo anche alla discussione che avevo ‘accidentalmente’ ascoltato. Non c’era dubbio, sembravo proprio io il soggetto della discussione, e mi stupì di come parlò di me Andrew. È vero che spesso aveva insinuato contro di me cose pesanti ogni tanto, ma mi ero sempre fatta scivolare tutto addosso. E il suo ‘provvedimento’ mi rendeva ancora più perplessa .. che cosa aveva in mente quell’uomo fastidioso?
Stavamo tranquillamente mangiando, ma Andrew ogni tanto mi lanciava occhiate storte, e mia madre faceva saltare lo sguardo da me a lui, da lui a me. Dal canto suo, Louis giocava a spiaccicare le sue lasagne sul piatto, facendo saltare pezzetti ovunque. La signora delle pulizie l’avrebbe ucciso di notte ..
  < I gomiti dal tavolo Fvancesca, testa dvitta, e sistemati quella canottiera, se ti dicessi cosa sembvi fevivei le ovecchie dei vagazzi. > mi provocò Andrew. Rimasi stupita da quello che aveva detto. Non era da lui abbassarsi a tanto, non era da lui scherzare così pesantemente, non era da lui, uomo ‘di alto rango’ dire certe cose. Cominciavo davvero ad odiarlo. Non era più sopportabile, per nulla. Era come se avesse un conto in sospeso, come se ne avesse abbastanza. Ma non mi sembrava di aver fatto nulla. Mia madre stava zitta, come sempre. Se era Andrew a riprendermi o a schernirmi, lei non si aggiungeva mai. Lo facevano a turno. Ma mia madre non era mai arrivata all’offesa. A quanto pare non mi difendeva proprio mai, neanche di fronte a certe insinuazioni. Ellison rideva sotto i baffi, e la guardai male. Poi ritornai a guardare Andrew.
< Come se tu ti faresti problemi se fossi qualcun’altra, magari più grande. > parlai senza pensare. Avevo ricacciato indietro la bomba con più dinamite di prima.
< Attenta a come pavli, vagazzina! Vingvazia solo che puoi davmi del tu! > esclamò lui, alzandosi dalla sedia e poggiando i pugni sul tavolo.
< MI SCUSI SIGNOR FOXMAN, non volevo rivolgermi A LEI in TALE MODO! > lo canzonai, alzandomi anchio. Ero patetica, lui alto quasi il doppio di me, con tutta la sua stazza inglese.
< Potvesti pentivti delle tue azioni, bada a come ti vivolgi! >
Non riuscivo a rimanere seria ascoltando quel suo accento e quella sua erre patetica, stavo per ridergli in faccia. Ma il mio buonsenso mi costrinse a non farlo.
< Hai iniziato tu! > guardai mia madre < Mi ha provocato lui! > lei guardò prima me, poi lui, poi il suo piatto. Era davvero troppo. Spinsi via la sedia con un breve grido rabbioso e uscì dalla sala pranzo, ma non senza un bel ‘vaffanculo’ generale detto di spalle sulla soglia. Non mi interessavano le conseguenze, ma non mi sarei fatta provocare in quel modo.
Per il resto del pomeriggio feci un po’ di compiti, cercando ancora di capire perché Andrew mi odiasse, arrivando a tanto. Una cosa era certa: odiava mio padre, e sapevo anche il perché. Mia madre gli aveva raccontato che mio padre da ubriaco e drogato la picchiava. A volte aveva anche pianto. Io allora prendevo l’unica foto che avevo di mio padre, rubata da una scatola piena di foto che mia madre buttò qualche anno prima. Nella foto io e mio padre eravamo nella veranda della cucina. Avevo poco più di un anno, e mio padre mi teneva in braccio. Stesi occhi, stesso sorriso. Era difficile credere che quell’uomo, alto, premuroso e sorridente picchiasse mia madre. Era una cosa che non riuscivo a concepire ma non potevo dire nulla a riguardo, ero piccolissima e non potevo ricordare nulla. A volte le persone nascondono lati oscuri e impossibili da vedere, se non pagandone le conseguenze. Lo vedevo con mia madre. Il cellulare squillò. Non mi ricordavo neanche di averlo un cellulare. E invece era lì, sul mio letto, un vissuto Samsung SI, che non avevo intenzione di ritenere stupido o vecchio, perché era sempre perfetto. Il nome Giulia continuava a comparire imperterrito. Risposi.
< Ei dormigliona! Scommetto che ti ho svegliato io! > esclamò lei ridendo, senza neanche darmi il tempo di dire pronto.
< Veramente sono sveglia dalle dieci .. >
< Bella la festa, vero? > immaginavo lei sul letto, una mano sotto il mento, ad aspettarsi la risposta più ovvia .. per lei.
< Si Giulia, ma ormai è finita, vale la pena di parlarne ancora? > la presi a scherzare, ma mi stavo seccando. Forse perché avevo qualcosa da nascondere ..
< Hai agganciato qualche ragazzo carino? Conosciuto Max? Ed hai visto come era carino Paolo? > Max era un suo cugino più grande venuto grazie all’invito di Marina, che lei adorava. Paolo era il suo ragazzo.
< Lo sai che non mi trovo alle feste, non ho conosciuto Max, non ho visto Paolo. >
< E che hai fatto tutto il tempo? > chiese lei stizzita.
‘Pensa in poco tempo, pensa in poco tempo, pensa pensa pensa!’
< Parlato del più e del meno con quello e con quello, ballato con questo e con questo.. bevuto .. fumato .. cose così .. >
< Hai fumato? > continuò lei, ancora più stizzita.
< Si Giù, e non è una novità! E ne abbiamo già parlato, non riprenderò l’argomento! >
< Ok, ok, sei nervosa, hai il ciclo per caso? >
< No! Ecco .. > e gli spiegai cosa era successo con Andrew a pranzo.
< Ma guarda sto figlio di .. > e si fermò. Sapevo che non avrebbe continuato, manteneva immacolato il suo essere piccola e dolce anche solo col non dire cose del genere < Comunque piccola, lascialo stare, ma soprattutto, non rispondere mai più così! Potresti metterti nei guai .. >
Sapevo che aveva ragione, ma non volevo farmi provocare senza rispondere. Chiusa la telefonata, spesi il pomeriggio a studiare qualcosa e come potevo, una volta che avevano deciso di romperci le scatole già dal primo giorno. Notai che ormai non riuscivo più a studiare bene come tempo prima, riuscivo infatti a accatastare i pensieri, ma ormai non lo sapevo più fare .. ed avevo davvero poca concentrazione. Alla fine mi addormentai e non scesi neanche a mangiare. La rabbia era ancora tanta, e fosse stato per me, avrei preso a calci tutto, ma non sarebbe servito a nulla. Lo sguardo perso e assente di mia madre che mi si ripresentava in mente mi infastidiva e mi faceva incazzare di più. Solo io potevo avere una madre così sconsiderata. Ma mamma, mi dispiace, ma la figlia perfetta non esiste. Verso le undici sentii dei passi salire la scale, e mi ricordai che dovevo andarmi a cambiare e fare lo zaino. Qualcuno si sedette sull’angolo del letto e mi guardava. Sperai fosse mia madre, ma era Ellison. Continuai a fingere di dormire.
< So che sei sveglia .. > mi disse lei.
Ellison era una bella bambina, e sarebbe diventata una ragazza bellissima. Magra, alta, bionda con occhi azzurri. Anche se era fastidiosamente ochetta, quando voleva poteva essere tenera. L’unico problema erano le amicizie, l’avevano fatta crescere troppo in fretta. Aveva otto anni, e già messaggiava, si girava ragazzi anche più grandi di lei, aveva cose che nessuno poteva immaginarsi a quell’età. Ed era davvero troppo matura.
< Sei arrabbiata? > mi chiese con la sua vocina.
< No. > risposi secca.
< Invece sei arrabbiata. >
< Ho detto no. >
< Con papà, perché ti ha detto quelle cose. > mi poggiò la mano sul fianco, facendomi girare. Mi ritrovai a guardare i suoi occhi azzurri e penetranti. Ma non le risposi.
< Perché ti dice quelle cose? > insistette.
< Non lo so .. >
< Lo odi? >
< Forse si, ma a quanto pare lui odia me. >
< Ah .. >
Silenzio.
< Secondo me lui non ti odia .. > continuò < ti vorrebbe .. diversa .. >
< Senti .. > mi alzai e mi misi seduta a fatica, ero mezza rincoglionita dal sonno < Se lui mi vuole diversa, si può arrangiare, sono così e non cambio. Tu sarai pure una bella femminuccia tutta fiocchetti e pompon e lui ne sarà anche felice, ma MAI, dico MAI potrò essere così, o essere diversa da ciò che sono. E ora vai a dormire, che se a quest’ora mamma ti trova sveglia s’incazza. > e mi alzai per farmi lo zaino. Mentre prendevo i libri, sentivo il suo sguardo ancora su di me.
Mi voltai < E allora? >
Teneva lo sguardo a terra e aveva gli occhi lucidi.
< El? > mi inginocchiai davanti a lei. In quel momento mi sentii a disagio, se avesse avuto qualche problema e mi avesse chiesto aiuto non avrei saputo farlo, sia perché era una bambina, sia perché era lei, sia perché non ero capace a risolvere i miei problemi, figuriamoci quelli degli altri!
< Non voglio che te ne vai .. > mormorò < anche se non siamo sorelle, non voglio .. >
< Eh? Perché dovrei andarmene? > non capivo una parola di quello che diceva. Perché diceva queste cose?
< Hai ragione, nulla. > si alzò coi pugni stretti e se ne andò, scendendo le scale di corsa, i capelli biondi che ondeggiavano lunghi.
Non ebbi neanche il tempo di chiamarla, ero rimasta lì, imbambolata, chiedendomi se era meglio rimanere lì o correre da lei per capire cosa avesse, e cosa stesse dicendo. Decisi di rimanere nella mia stanza e di andare a dormire, ero rincoglionita, forse il giorno dopo avrei capito meglio la situazione e magari parlato con lei. Spensi la luce e mi addormentai verso l’una. Non riuscivo a dormire, mi giravo e mi rigiravo, e quando alla fine mi addormentai non mi sembrò vero.
 
Fuori sta diluviando, perchè è sabato ed io dovevo uscire, ovviamente, non per altro! Comunque, eccovi il nuovo capitolo, ci sono cose sospese stavolta, che verrano presto spiegate .. a discapito di Francesca? 
Comunque, leggeteleggeteleggeteleggete!
Stay EFP!
  
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