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Autore: BlueSkied    05/10/2013    1 recensioni
La notte dell'Epifania del 1537 Alessandro de'Medici, detestato duca di Firenze viene assassinato dall'amico e congiunto Lorenzaccio de'Medici.
Tocca allora a Cosimo de'Medici, figlio del capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere ed erede del ramo popolare della famiglia, prendere il potere.
Tra raffinato mecenatismo artistico, nuove politiche e disgrazie familiari, condurrà la Toscana verso il Granducato, con la cauta inesorabilità del suo motto.
Note: mi sto documentando il più possibile, per rendere la storia verosimile, ma qualcosa potrebbe sfuggirmi, anche perché spesso le fonti si contraddicono.
Per finalità di trama, alcuni passaggi potrebbero essere violenti.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
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15.



Nostra Signora in Maestà aveva uno sguardo severo, ammonitore, forse. I santi guardavano a lei, piccoli e reverenti, come i cittadini senesi assiepati nel duomo. Il sole infuocava il fondo dorato della pala d'altare, che quasi s'accendeva un po' di più a ogni eco di cannone. Quei colpi, alle orecchie di Piero Strozzi, affogavano i Vespri, ma avevano il vantaggio di far risuonare meno violentemente i suoi pensieri più dolorosi.
Suo fratello Leone era morto, pochi giorni addietro, e con lui erano svaniti metà dei loro successi. Quanto ai rinforzi promessi da re Enrico di Valois, non erano mai arrivati. La vittoria, prima così vicina, pareva sfuggirgli dalle dita come un pesce fradicio.
Molte delle terre del Medici si erano piegate agli Strozzi, ma ancora il conte di Marignano assediava Siena, e da mastino rabbioso che era, si rifiutava di mollare la presa, togliendogli tempo prezioso e affamando la città. Sarebbe bastato un soffio di vento a farli crollare, ma Piero non aveva nessuna intenzione di gettare i suoi sforzi e il sacrificio di Leone alle ortiche. Fissò negli occhi dipinti la Madonna di Duccio e si segnò con devozione, prima di uscire dalla chiesa a grandi passi.
La sera sembrò arrivare con lentezza esasperante, poi le spie sui bastioni gli riferirono della ritirata per la notte degli assedianti. Senza indugiare, Piero diede gli ultimi ordini al suo luogotenente De Monluc, poi fece scivolare le sue truppe, un manipolo per volta, fuori dalle mura. Lanciato al galoppo attraverso la campagna, il generale si sentì caricare di nuova determinazione: presto i medicei e gli imperiali si sarebbero messi al loro inseguimento, lasciando libera Siena di ricevere approvigionamenti, e intanto lui, Piero, avrebbe stretto ancora la sua morsa attorno al duca di Firenze. La sua meta era Arezzo. Là, la guerra sarebbe finita, in un modo o nell'altro.

Gian Giacomo de'Medici, conte di Marignano, non aveva nulla a che fare con i signori di Firenze, tranne per il fatto che comandava il loro esercito. Il duca Cosimo l'aveva assoldato per le sue provate qualità in battaglia, e per quel fittizio legame familiare, che a buon esito di quell'impresa, sarebbe anche potuto essere legittimato, ma sapeva di servirsi di un pazzo. Discutere con lui equivaleva molto a maneggiare della polvere da sparo in un campo di sterpaglie in piena estate. Ne temeva la ferocia cieca, ma non aveva esitato a sguinzagliarlo contro lo Strozzi, e con ragione.
 Il soldato che portò al conte la notizia della partenza di Strozzi e del suo esercito ne provò il motivo. Gettando un'occhiata di disprezzo al poveretto scalciante sulla forca, il Marignano sbraitò ai suoi scudieri di spicciarsi a vestirlo, poi, rinfoderando la sua enorme spada a due mani, marciò davanti alle truppe schierate:
- Non m'importa quanto ci metteremo o se dovremo stanarlo dalla sua tana come un ratto, andiamo a prendere quel figlio di puttana! - gridò ai suoi, che risposero con un boato assordante.
I senesi guardarono con timore e sollievo fiorentini, spagnoli e tedeschi allontanarsi dalle loro mura. Non tutto era perduto.

Gli uomini seduti attorno al lungo tavolo sobbalzarono, quando il pugno si abbatté sul suo ripiano lucido. Fu l'unica manifestazione d'ira che il duca si concesse, dopodiché rilesse il dispaccio passandosi le dita sulla barba rossiccia, con misura controllata.
- Lucignano, Marciano, e ora anche Foiano. Monte San Savino, Civitella e Oliveto - elencò, alzandosi e rivolgendosi a tutti i suoi ministri - Tre castelli presi, tre borghi isolati. Quando diavolo si deciderà Marignano ad affrontare Strozzi sul campo? Non voglio le sue rassicurazioni, voglio i fatti, voglio sapere se mi devo aspettare quel vile sotto le mura -
Quelli si scambiarono delle occhiate incerte, poi uno intervenne:
- Non accadrà, Vostra Eccellenza. Il conte ha accerchiato l'esercito senese intorno a Foiano. La questione si risolverà a giorni -
- Staremo a vedere come si risolverà - ribatté Cosimo, senza aggiungere altro.
Congedò il suo Consiglio e si ritirò nelle sue stanze, con la sola compagnia di Sforza Almeni. Con gran stupore di quest'ultimo, tirò una sedia davanti a sé e versò di sua mano due coppe di vino:
- Siediti e bevi - gli ordinò, vuotando la sua coppa in un sorso solo. Il cameriere obbedì.
- Questo è il prezzo dell'ambizione, sangue amaro e bile in bocca - esordì il duca, in tono stanco - Non è da cristiani, ma non ho mai voluto qualcuno morto come Piero Strozzi, e questo non è un segreto. In verità, io lo temo, come a volte temo me stesso, perché in lui è parte del mio sangue, e mi odia e ha tradito il nome di sua madre. L'imperscrutabilità del volere di Dio! Quale febbre di delirio ci spinge a massacrarci fra fratelli?
Se io e te fossimo filosofi, davvero te lo chiederei, Sforza, ma le elucubrazioni non portano mai da nessuna parte. L'unica cosa che so per certo, è che la mia strada è segnata e pure la sua, come un bivio le cui biforcazioni non s'incontreranno mai. La battaglia segnerà la mia fine o la sua. Quel che voglio è che sia la sua. Rendimi un servigio, manda qualcuno a Foiano che mi riferisca ogni mossa dei nostri e loro. Io non avrò più idea di cosa sia la pace - concluse, enigmaticamente.
Sforza eseguì, con un groppo in gola: i segreti dei potenti sono difficili da digerire.


2 Agosto 1554


La piana scelta per lo scontro, ai piedi del castello di Foiano, era chiamata dai villici in uno strano modo, " Scannagallo", dal torrente in secca che l'attraversava. Per i medicei quel nome aveva un che di profetico, e le notizie che arrivavano dal lato francese non potevano essere più incoraggianti. Piero Strozzi aveva fatto indietreggiare lo schieramento verso le colline, sperando di spiazzare il nemico, ma nel contempo si era tagliato la via di fuga sul retro, e pareva non essersene ancora reso conto.
Il Marignano sentì le prime gocce di pioggia tintinnare contro le placche metalliche dell'armatura, ma non se ne curò: lo sbattere degli stendardi con le palle medicee e l'aquila asburgica mossi dal vento era un suono molto più interessante. Significava vendetta. Troppe volte in quei pochi giorni lo Strozzi l'aveva umiliato, scappandogli sotto il naso come una talpa. Le loro forze erano pari, ma solo uno avrebbe prevalso. L'idea di scoprire chi dei due gli faceva ribollire il sangue.
Osservò le truppe schierarsi ai lati del torrente e mentre guardava senesi e francesi indietreggiare, ridacchiò fra sé. Il suo secondo, Sforza da Santafiora l'udì e gliene chiese il motivo.
- Si ride sempre prima di una battaglia - spiegò Marignano, sempre ridendo - Per non far vedere alla Comare Secca che si ha paura di lei -
Il corno quasi cancellò le sue ultime parole. La pioggia ora cadeva più forte, come a dare il ritmo. Con pochi segnali ai suoi ufficiali, Marignano diede il via all'attacco, scaricando gli archibugi sulle retrovie francesi.
Piero fu attraversato da una scossa elettrica, mentre l'acqua che gl'invadeva gli occhi lo accecava. Si era sbagliato. Sapeva il Marignano per ostinato e spietato, ma non l'aveva considerato come stratega. Pieno di rabbia e confusione per la propria avventatezza, il generale voltò il cavallo verso le ultime linee, che digradavano velocissime verso il torrente, spingendo tutto lo schieramento dalla parte opposta. Urlando a pieni polmoni, Piero costrinse gli uomini a tornare in formazione, ma ormai avevano oltrepassato la secca, trovandosi completamente in svantaggio. Senza permettere cedimenti al proprio valore, impugnò la spada e si lanciò fra i nemici, tra scoppi d'archibugio e il nitrito impazzito dei cavalli.
Il Santafiora e il suo reparto tedesco piombarono da un lato, proprio come un'aquila: schiacciarono il contingente francese e lo obbligarono ad arretrare. I fanti cadevano come spighe, i cavalieri erano abbattuti e scivolavano sotto i corpi inerti o frenetici dei loro destrieri. Più si allungavano le ore, più il mondo pareva a rovescio.
Piero non vedeva più né cielo né terra, fra le masse di corpi e armature, ma come tanti anni prima, cercava il generale nemico: affondare la spada nella gola del Marignano poteva salvargli la vita, la causa. Allontanò con una gomitata un lanciere spagnolo, disarcionò un cavaliere tedesco e imprecò in fiorentino contro un altro fiorentino, ma del generale nessuna traccia, e il suo braccio cominciava a tremare per la fatica.
Il Marignano aveva lo stesso proposito dello Strozzi. Macellava inermi picchieri a colpi di spada, mentre dava la caccia all'altro, poi lo vide: in mezzo a una mischia, si difendeva a pugni e testate, la spada chissà dove. Marignano ne recuperò una da un morto e si fece largo a spintoni:
- Strozzi! - gridò, lanciandogliela. Quello si voltò, sorpreso e l'afferrò, pronto a combattere. I soldati fecero rapidamente spazio, e i due si scagliarono l'uno contro l'altro. Le lame s'incrociarono una decina di volte, senza che nessuno potesse prevalere, poi una schioppettata interruppe il duello: Piero Strozzi cadde da cavallo, ferito forse mortalmente e il Marignano bestemmiò.
Non ci fu tempo di verificare cosa fosse successo: lo schieramento di Santafiora era tornato alla carica dei francesi che si lasciarono sopraffare, battendo disordinatamente in ritirata. I soldati senesi urlarono di porci e traditori agli alleati, ma non servì a nulla: l'ondata di nemici li travolse, costringendoli a fuggire a loro volta.
Piero si rialzò a fatica da sotto il suo cavallo ucciso. Premette una mano sul fianco e la ritirò coperta di sangue. Un fante senese lo vide e gli diede la spalla, aiutandolo ad allontanarsi dal cuore della battaglia. Insieme alle forze, lo Strozzi sentì andar via tutto il suo essere: l'impresa era fallita, e Cosimo de'Medici era vincitore. Di nuovo.

Le campane di Santa Maria del Fiore iniziarono a suonare fuori orario. Subito, seguirono quelle di Santa Croce, della Santissima Annunziata, di Santa Trinita, della Badia, di tutte le chiese, i conventi e gli oratori di Firenze. La voce correva di casa in casa, e la gente cominciò a scendere in strada, abbracciandosi e ridendo.
La duchessa scese dal letto quasi con un salto, mentre lo scampanio invadeva la sua camera. Si fece vestire in gran fretta, e per la gioia, finì per dare un bacio a tutte le sue ragazze. Ordinò che i principi fossero preparati senza altro indugio, e si fece accompagnare alle stanze del duca.
Cosimo sentì Eleonora entrare, e in barba a ogni compostezza, la prese per mano e la portò fuori, sulla terrazza:
- Ascoltate - l'esortò. Insieme tacquero e udirono il grido festante dalla piazza:
- Palle! Duca! Piero Strozzi in una buca! -
Si lasciarono sfuggire una risata liberatoria, poi lui scoppiò a piangere sulla spalla di lei.



Note:

Qui è un link alla Maestà di Duccio, l'opera citata a inizio capitolo:

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/eb/Maest_0_duccio_1308-11_siena_duomo.jpg


Quando Cosimo allude alla consanguineità con Piero Strozzi, s'intende il fatto che la madre di Piero fosse una Medici, Clarice, figlia di Piero di Lorenzo il Magnifico e moglie di Filippo Strozzi.

Il grido festante della folla è documentato da cronache dell'epoca.


Mi sono accorta troppo tardi di aver fatto un errore, anche nel capitolo precedente: Gian Giacomo de' Medici non era conte di Marignano, bensì marchese. Mi scuso del buco di memoria.

BlueSkied


 


 
  
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