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Autore: Dreamer1989    01/04/2008    10 recensioni
Lanciò un’occhiata alla stanza avvolta dal buio, solo uno sprazzo di luce proveniva da una flebile fiammella di fuoco perpetuo. Strinse i denti. Ricordò quando Sirius l’aveva accesa durante le feste di Natale, mentre intonava canzoni natalizie decisamente bizzarre. Provò ad abbozzare un mezzo sorriso, ma gli sfuggì via dalle labbra prima ancora che si stendessero in una parvenza di esso. Gli si stringeva il cuore a ritrovarsi ancora una volta chiuso lì, però non aveva alternativa. Dove altro poteva trovare riparo dalle infinite domande di coloro che volevano sentire dalla sua bocca il racconto della fine della guerra che aveva quasi distrutto il mondo magico? Hermione aprì la bocca per controbattere, ma non sapeva come esprimersi senza ricevere un’altra risposta velenosa. Inclinò leggermente il capo fissandolo, poi gli si avvicinò e gli mise una mano sul viso accennando un sorriso. Harry cercò di spostarsi da quel tocco leggero e timoroso, ma, quando lesse il dispiacere nei suoi occhi, non poté far altro che lasciarla fare. Come poteva ferire anche lei? Non se lo meritava.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Harry/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Promessa d'amore

 

 

Il continuo scrosciare della pioggia iniziava a dargli fastidio.

Si alzò dalla poltrona impolverata su cui era rimasto immobile a pensare per ore. Niente di quello che lo circondava riusciva a dargli un senso di pace, nemmeno le vecchie fotografie di lui e i suoi amici sorridenti sugli scaffali.

Trattenne un sospiro e si diresse verso la cucina.

Era così tanto tempo che non metteva piede lì dentro, eppure tutto sembrava uguale, come se la guerra non avesse mai messo piede lì dentro. Effettivamente durante il periodo di battaglia quello era l’unico luogo ancora sicuro, l’unico luogo che non era mai stato scoperto dai Mangiamorte.

I ricordi erano ancora vividi nella sua testa e lo travolsero come un fiume in piena.

Lampi accecanti.

Persone accasciate al suolo.

Rombi assordanti.

Persone che gridavano.

Nemici trionfanti.

Persone che scappavano.

Auror tremanti.

Morte.

Si passò entrambe le mani sul volto, cercando di togliersi le ragnatele che erano rimaste impigliate con gli occhiali quando aveva attraversato la porta della cucina. Lanciò un’occhiata alla stanza avvolta dal buio, solo uno sprazzo di luce proveniva da una flebile fiammella di fuoco perpetuo.

Strinse i denti.

Ricordò quando Sirius l’aveva accesa durante le feste di Natale, mentre intonava canzoni natalizie decisamente bizzarre.

Provò ad abbozzare un mezzo sorriso, ma gli sfuggì via dalle labbra prima ancora che si stendessero in una parvenza di esso.

Gli si stringeva il cuore a ritrovarsi ancora una volta chiuso lì, però non aveva alternativa.

Dove altro poteva trovare riparo dalle infinite domande di coloro che volevano sentire dalla sua bocca il racconto della fine della guerra che aveva quasi distrutto il mondo magico?

Chiuse gli occhi avvertendo un forte senso di frustrazione invaderlo. Avrebbe voluto sbattere i pugni contro il muro e gridare a tutti di smetterla, di non guardarlo con occhi adoranti perché non lo meritava, perché non aveva fatto nulla in più degli altri. Non era il salvatore che tutti volevano vedere in lui. Sì, perché si trattava di questo. La gente aveva bisogno di sentirsi protetta e di avere qualcuno in cui credere.

Ma perché avevano scelto proprio lui?

Lui che si sentiva tutto fuorché speciale.

Mosse qualche passo in direzione del tavolo che era coperto da una coltre pallida di polvere che lo rivestiva come un abito.

Con un lieve movimento della bacchetta lo ripulì e spostò una delle sedie per accomodarvisi.

Era passato un anno ormai, eppure era come se tutto fosse finito poche ore prima.

Il tempo pareva essergli contro.

Era come se ogni giorno che precedeva il successivo fosse il termine della battaglia e l’indomani, invece, l’alba della vittoria. Una vittoria che aveva lasciato i suoi segni indelebili sulla pelle e sul cuore. E il tempo non sapeva guarire le ferite, non quelle più profonde, non quelle nascoste alla vista di tutti.

Grugnì sentendo la frustrazione trasformarsi in rabbia.

Non voleva nascondersi. Non era un codardo, eppure eccolo lì, in quella casa che racchiudeva gran parte del suo passato.

Si sistemò gli occhiali sul naso e prese a fissarsi le mani che gli prudevano pronte a colpire, pronte a sfogare ogni frammento d’ira e dolore che provavano ad insinuarsi in lui.

Reclinò il capo all’indietro fissando il soffitto.

Cos’altro poteva fare?

Non aveva alternativa.

Voleva solo fuggire da quei maledetti occhi curiosi che facevano domande anche senza bisogno di parole.

Si alzò, ascoltando i brontolii del suo stomaco che reclamava cibo. Erano due giorni che non mangiava. Non era riuscito a mandare giù nulla nemmeno a casa della Signora Weasley, allarmando la padrona di casa, ma soprattutto la sua migliore amica che quella sera non smise di lanciargli occhiate di sottecchi. Ci si era messa anche lei. Lei che sapeva perfettamente cosa provava.

Lei.

Aprì tutte le credenze e tutti gli sportelli, trovando soltanto una vecchia scatola piena di biscotti duri, almeno quanto quelli che preparava sempre Hagrid ai tempi di Hogwarts, ed un barattolo di cetrioli sott’aceto, fortunatamente non ancora scaduti. Doveva assolutamente comprare qualcos’altro di commestibile, altrimenti non sarebbe sopravvissuto a lungo, il che era un’assurdità visto che se l’era cavata in situazioni peggiori di quella.

Dopo aver mangiato quel che la casa offriva, decise di farsi un bagno caldo, ne aveva proprio bisogno per sciogliere la tensione.

Salì i gradini senza fretta, scrutando una ad una la sfilza di teste di elfi domestici che parevano fissarlo di rimando.

Giunse davanti ad una porta scura dall’aria fatiscente e con cautela l’aprì. Anche il bagno era sempre lo stesso, spento, ma maestoso al contempo. Le mattonelle, una volta bianche, erano annerite e luride, come tutto dentro quella dimora. Lo specchio, che si trovava davanti alla vasca, sopra ad un grande lavandino, era talmente impolverato che non ci si poteva specchiare.

Ancora un lieve colpo di bacchetta per rendere vivibile l’ambiente.

Aprì il rubinetto della vasca, lasciando scorrere l’acqua. Poi si avvicinò leggermente allo specchio, osservando la figura asciutta e spossata che aveva davanti a sé. Negli occhi verdi come la menta non lesse altro che stanchezza e solitudine. Sul viso erano evidenti i segni della crudele battaglia. I capelli scuri erano più scompigliati del solito.

Si tolse la maglietta, lanciando un rapido sguardo alla cicatrice che partiva dalla spalla destra e attraversava un brevissimo tratto del petto.

Fece una smorfia e proseguì a spogliarsi.

Quella traccia bianca che aveva sulla pelle era frutto di una mano sleale che con un pugnale l’aveva ferito.

Scacciò via anche quel ricordo, chiudendo il rubinetto ed immergendosi nella vasca.

Il calore dell’acqua gli diede un immediato senso di sollievo che non provava da parecchio tempo. Riuscì a rilassarsi un po’ e a chiudere gli occhi, assaporando l’attimo di quiete.

Finalmente non c’erano schiere di persone che lo attorniavano e lo stordivano con le loro domande. Finalmente si era sbarazzato di tutti… tutti.

Un improvviso rumore gli fece spalancare gli occhi e lo mise in allerta.

Passi echeggiavano dal piano di sotto.

Chi era?

Uscì dalla vasca in fretta, afferrò la bacchetta asciugandosi al volo. Indossò i boxer neri e subito dopo i jeans, cercò anche la maglietta, ma non la trovava. Poco importava, chiunque ci fosse al piano inferiore non avrebbe badato di certo al suo abbigliamento.

Aprì la porta con attenzione per evitare rumori e, camminando in punta di piedi, scese le scale.

Neanche lì poteva ritenersi al sicuro.

Che fosse qualcuno che l’aveva seguito fin là?

La bacchetta alta e pronta ad attaccare, lo sguardo deciso e  risoluto.

Questo era ciò che era diventato Harry Potter, il ragazzino impacciato, ma coraggioso dei tempi di Hogwarts.

Ora di impacciato non aveva più molto, anzi quasi niente. Era un uomo. Un uomo che non lasciava mai cadere le sue difese, per nessuno e per nessun motivo.

Scese l’ultimo gradino e si guardò intorno.

I passi venivano dalla cucina. Si mosse con passo felpato in quella direzione. Aderì con la schiena al muro accanto alla porta e si affacciò leggermente.

Scorse una figura in piedi davanti alla fiamma di fuoco perpetuo. Gli si avvicinò da dietro, facendo bene attenzione a non fare rumore, per coglierla di sorpresa.

Gli puntò la bacchetta tra le scapole sussurrando:

-         Chi sei? E cosa ci fai qui? – la persona davanti a lui s’irrigidì, per poi rilassarsi il secondo successivo. Harry non abbandonò la posizione di difesa.

-         Harry? Sei tu? – chiese una voce a lui familiare.

Cosa ci faceva lì?

Come aveva fatto a trovarlo?

Sospirò.

-         Hermione, che diamine sei venuta a fare qui? – le chiese scontroso.

-         Sono venuta a vedere come stai e se posso fare qualcosa per te… - rispose la ragazza incerta.

-         Nessuno può fare niente per me – soffiò Harry più a se stesso che ad Hermione. Si allontanò dall’amica, muovendosi in direzione del tavolo.

-         Oh Harry! Perché… -

-         No, Hermione. Ne abbiamo già parlato. Sai già tutto, persino cose di cui nemmeno Ron è a conoscenza. Per cui ti prego di smetterla di tentare di farmi aprire ancora, perché non servirà a nulla – incontrò il suo sguardo per un breve istante e lo distolse immediatamente. Hermione aprì la bocca per controbattere, ma non sapeva come esprimersi senza ricevere un’altra risposta velenosa. Inclinò leggermente il capo fissandolo, poi gli si avvicinò e gli mise una mano sul viso accennando un sorriso.

Harry cercò di spostarsi da quel tocco leggero e timoroso, ma, quando lesse il dispiacere nei suoi occhi, non poté far altro che lasciarla fare.

Come poteva ferire anche lei?

Non se lo meritava. Non era giusto far del male a chi non centrava nulla. Soprattutto se questo qualcuno era l’unica persona che l’avrebbe seguito anche in capo al mondo.

Le dita di lei si muovevano lentamente sul suo viso, lasciando una labile scia al loro passaggio. Harry socchiuse gli occhi, avvertendo delle strane sensazioni invaderlo. Cercò di capirle, di contrastarle.

Era una lotta.

Sensazione contro sensazione.

Mente contro cuore.

Amore contro ragione.

Da quanto tempo la battaglia imperversava dentro di lui senza esiti?

Era così assurdo pensare che nonostante la fine della guerra contro Voldemort, dentro di lui ci fosse ancora uno scontro in corso.

Fece una smorfia indecifrabile che non lasciava trapelare nulla di quello che lo stava invadendo in quel momento.

Suono di corni.

Suono di guerra.

Suono di un battito.

Suono di cuore.

Cosa doveva fare?

Quella domanda se la poneva da parecchio ormai, ma ancora non aveva trovato una risposta adeguata. Ultimamente aveva provato a sfuggirgli, ad evitare accuratamente di trovare una soluzione a quel dilemma che lo dilaniava dentro.

Come poteva pensare a lei, quando ancora non aveva trovato pace con se stesso?

Si passò una mano tra i capelli con aria esasperata.

L’indecisione stavolta era visibile nei suoi occhi ed Hermione se ne accorse. Harry non voleva che si accorgesse di come si sentiva. Non voleva che capisse la sua confusione.

Nessuno doveva capirla.

Quando la mano di lei abbandonò il suo viso le diede le spalle. Aveva bisogno di un secondo da solo, doveva pensare, chiarirsi le idee. Mosse qualche passo verso la porta in silenzio, sperando che non lo seguisse, che non gli facesse ancora domande.

Non sentendo alcun movimento alle sue spalle proseguì fino a giungere al piano di sopra.

Si sedette in cima alla rampa di scale perdendo lo sguardo nel vuoto.

Lui che fino a pochi attimi prima aveva cercato la solitudine, ora sentiva il bisogno di averla accanto a sé.

Perché?

Perché la sua mente gli giocava questi strani scherzi?

Sospirò, non ancora rassegnato alla verità che gli gridava dentro, ma che lui si ostinava a non sentire.

Doveva nascondersi, evitare di affezionarsi, di mostrarsi fragile, senza barriere. Non voleva soffrire ancora, non voleva che qualcuno riuscisse ad entrargli dentro, a scaldargli il cuore e poi… scappare lontano da lui, lasciarlo solo nel gelo della solitudine. Preferiva la solitudine per scelta piuttosto che quella provocata dalla perdita di qualcuno. Aveva perso troppe persone per lasciarsi andare di nuovo, eppure in quel momento desiderava con tutto se stesso il calore di Hermione, la sua dolcezza, i suoi sguardi comprensivi e non compassionevoli come quelli dei passanti.

Si strinse le gambe con entrambe le braccia.

Possibile che fosse così contraddittorio? Possibile che i suoi bisogni non coincidessero con ciò che voleva?

Aveva due strade davanti a sé: seguire i sensi o seguire la mente.

Un bivio.

Un’altra scelta.

Un altro possibile dolore... ma anche un’eventuale gioia.

La strada dell’irrazionalità splendeva sotto la luce pallida della luna perlata ed appariva invitante, misteriosa, ma al contempo dubbia.

Quella della razionalità era completamente illuminata dai raggi solari. Tutto sembrava palesato agli occhi...eppure c’era qualcosa di strano. Un tranello?

Un bivio.

Un’altra scelta.

Poggiò la testa alla ringhiera in legno scuro della scalinata e fissò la finestra del piano di sotto da cui si scorgeva il cielo scuro trapuntato di stelle. La pioggia era finita, ma aveva lasciato i suoi segni sui vetri. Le gocce bagnate scendevano lente, disegnando delle figure astratte che svanivano non appena venivano tracciate.

Harry si sollevò, incerto su quello che aveva deciso. Non sapeva cosa avrebbe fatto, ma non poteva lasciarla di sotto ad attenderlo mentre lui non faceva altro che complicare le cose nella sua mente.

Scese le scale ed entrò di nuovo in cucina, dove la trovò intenta a bere un bicchiere di latte freddo.

Aveva portato cibo e bevande.

Sorrise.

Ancora una volta aveva fatto qualcosa che non le aveva chiesto. Gli donava ogni cosa senza chiedere nulla in cambio, voleva solo la sua felicità e lui non lo aveva mai capito.

Si irrigidì per un breve istante.

Forse era giunto il momento di fare qualcosa per lei.

Le si avvicinò da dietro ed iniziò a baciarle le guance che sapevano di sale. Aveva pianto. Se ne rese conto con un tuffo al cuore. Non era giusto.

L’avvolse con entrambe le braccia e l’aiutò ad alzarsi. Si guardarono negli occhi per un istante che parve eterno.

Granelli di sabbia che solleticavano il mare color menta in tempesta.

Onde che s’infrangevano violentemente sulla riva bagnando la sabbia, rendendola più scura.

Mescolanza di dolore e amore.

Il vento più lieve fece placare il mare, che dolcemente sfiorava la riva.

Indecisione ed amore.

Soave culla divennero le onde increspate di smeraldo.

In prezioso oro si trasformò la sabbia.

Stavolta era solo amore.

Hermione si lasciò accarezzare i capelli sorridendo. Sentiva un’insolita pace in quell’abbraccio.

Poggiò la testa sul petto di Harry, che le permise di ascoltare il battito aritmico del suo cuore.

Sorrise di nuovo.

Non erano mai stati così vicini. Quel contatto le diede i brividi ed Harry se ne accorse.

Le percorse la schiena con la punta delle dita e riprese a baciarle le guance passando per il collo e risalendo con estrema lentezza. Le sue labbra tracciavano il contorno del suo viso dai tratti leggeri e femminili.

Si allontanò un breve secondo per ammirarla, per essere certo che quello non fosse solo un sogno.

Appoggiò la fronte sulla sua e le sussurrò qualcosa di incomprensibile. Non importava cosa stesse dicendo, il tono della voce lasciava trapelare la dolcezza di quelle parole senza senso e le bastava.

Harry le accarezzò il viso e poi con le labbra sfiorò le sue delicatamente.

Morbidi petali che si accarezzavano dapprima con curiosità, con tenerezza e poi con lascività.

Incantato nettare della lussuria?

Incantato nettare dell’amore?

Chissà...forse entrambi.

Intrecciarono le mani in una dolce promessa infrangibile che giurava unione eterna.

Una promessa d’amore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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