Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Alphesiboei    06/10/2013    4 recensioni
Harry ha alcune certezze nella vita; la più salda è che diventerà un giornalista di successo. Zayn, d’altro canto, è tutto un’insicurezza.
[Zarry]
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo sedici.

 

Si svegliò che l’orologio segnava appena le quattro.

Non si stupì più di tanto, anzi, si poteva dire gli fosse andata di lusso. La notte precedente era riuscito a dormire solo un paio di ore e quella prima ancora avrebbe voluto proprio dimenticarla.

Solo che il suo cervello stava cercando di renderglielo impossibile in tutti i modi; gli tornava in mente il volto pallido di Harry, illuminato dalla luce bianca del salotto, il dolore alla gamba – che poteva vantare una piccola mora all’altezza del ginocchio, il sapore dell’alcol in bocca e la sensazione di leggerezza alla testa e quella, orribile, di secchezza alla gola, la mattina dopo.

Più di tutto, però, il suo cervello masochista gli inviava ricordi di Harry, il tocco delle sue mani, il respiro accelerato, i suoi capelli, più ricci e indomabili del solito. 

Lo sguardo triste e preoccupato che gli aveva rivolto non appena aveva messo piede in casa e che sembrava sincero, a dispetto di tutto.

La sua voce roca e rotta e che diceva parole che non volevano uscirgli dalla mente.

Scrollò la testa, come se con quel gesto fosse possibile liberarsi anche di tutti i pensieri indesiderati e inopportuni, e si girò su un lato – che da sempre era la sua posizione preferita per dormire. Avrebbe preferito non ricordarsi come fosse sdraiarsi in quel modo e stringere Harry. O essere stretto da lui e dalle sue stupide braccia, i piedi dell’altro che riscaldavano i suoi, sempre congelati.

Cercò di calmarsi, liberarsi da tutto e tutti; prese qualche respiro profondo: non servirono a nulla. Sapevano solo di lenzuola pulite. La notte precedente, dopo che la mattina aveva cacciato Harry, non si era curato d’altro che di far una doccia; a stomaco vuoto, quando non erano neanche le dieci, si era steso sul letto, esausto. Era stata la cosa più sciocca che avesse mai fatto, il che era tutto dire.

L’odore di Harry era ovunque e non lo lasciava stare. La parte peggiore era, però, che tutto quello gli faceva ripensare a come, fuori di sé e senza curarsi di Harry, l’avesse scopato su quello stesso materasso neanche ventiquattro ore prima. Di come avesse agito senza pensare ai sentimenti della persona che diceva di amare, neanche fosse un animale senza un briciolo di autocontrollo.

Lui non era così. O almeno sperava. A quel punto, forse, non lo sapeva più neppure lui.

Era inebriato dall’alcol, ma non poteva dare la colpa delle sue azioni unicamente alla troppa birra ingerita; quando se l’era ritrovato in casa, la mente non troppo lucida, era uscita tutta la rabbia che aveva trattenuto fino a quel momento, e tutto il resto era venuto di conseguenza.

La mattina, dopo essersi svegliato, aveva provato repulsione per come aveva trattato Harry, e si era alzato con l’intenzione di scusarsi. Poi l’aveva visto ai fornelli, nel perfetto remake di quello che era successo due mesi prima (e almeno tre o quattro giorni alla settimana fino da allora) e l’impulso era evaporato come neve al sole.

Non si era mai sentito così tradito, come da quel ragazzo che conosceva da poco più di sessanta giorni – che facevano solo millequattrocentoquaranta ore ma che sembravano infinitamente di più – e se l’era detto mille volte che era sciocco, ma non poteva farci nulla. Proprio come una volta Liam gli aveva detto che non poteva costringersi a non amare Harry, adesso non poteva fingere di non essere ferito. E forse la sua era stata una piccola vendetta, forse voleva farlo soffrire almeno un po’, perché non era giusto che solo lui avesse ogni fibra del suo essere dilaniata.

Non era cieco: quando Harry si era voltato, lasciando perdere i fornelli, aveva capito di esserci riuscito. Il fatto che quello lo facesse solo stare peggio, invece di rallegrarlo, era esplicativo – lo sapeva – ma non aveva voluto rifletterci troppo, sul momento. L’aveva lasciato parlare, dicendosi che almeno, dopo, tutto sarebbe finito. Se l’avesse mandato via, Harry non sarebbe tornato, no? Era quello che voleva, in fondo: essere lasciato in pace, lasciarsi alle spalle quella faccenda e passare oltre. Se poi tutti avessero scoperto che lui era Mick Stone grazie a quell’articolo, dimenticarla e dimenticare Harry sarebbe diventato più difficile, ma avrebbe affrontato i problemi qualora gli avessero bussato alla porta.

Fingendo un’indifferenza che non sentiva, era stato zitto per tutto il tempo, cercando di non credere a neanche una virgola di quello che le labbra di Harry stavano dicendo. Era stato difficile anche quello, come praticamente tutto quello che avesse fatto nell’ultimo periodo, ma credeva di esserci riuscito abbastanza. O almeno di aver dato l’impressione di esserci riuscito.

E quando non ce l’aveva proprio più fatta, l’aveva mandato via, non guardandolo uscire dalla porta e dalla sua vita.

Fino a quel momento sembrava aver funzionato. Almeno in parte. Harry non si era fatto vivo con lui da due giorni, non gli aveva mandato stupidi fiori per scusarsi (il che gli diceva che almeno un po’ l’altro lo conosceva) e non l’aveva assillato di chiamate.

Almeno in parte, perché era stato da Liam, anche se non capiva bene a far cosa.

Palese era invece che suo fratello avesse non solo parlato con Harry civilmente (e ok che era gentile di natura e tutto, ma dopo che gli aveva raccontato tutto lui, era così incazzato che, se avesse incontrato Harry per sbaglio, probabilmente gli avrebbe strappato via la testa) ma fosse anche arrivato alla conclusione che, anche se aveva fatto uno sbaglio enorme, Zayn avrebbe dovuto dargli un’altra possibilità.

«Ora tu vedi in lui solo il mostro nero, ma quel ragazzo tiene davvero a te. Da quando l’hai lasciato, è un morto che cammina» gli aveva detto, serio e ragionevole come solo Liam sapeva essere.

«Non l’ho lasciato» aveva replicato. «Era tutto finto, Liam. Non stavamo insieme davvero, era… non lo so neanche io cos’era, ma pensarci mi fa venir voglia di vomitare»

Liam aveva evitato di commentare l’ultima parte. A Zayn piaceva essere un po’ melodrammatico, ma allo stesso tempo sapeva che probabilmente avrebbe provato la stessa cosa pure lui, si fosse trovato nella sua situazione.

«Allora, dai a entrambi la possibilità di un nuovo inizio, di essere un voi» aveva consigliato, perché era inguaribilmente romantico.

Zayn avrebbe voluto esserne capace. Forse lo era, ma si sentiva bloccato. Dilaniato da due forze contrapposte, quella che gli diceva di cancellarlo per sempre da ogni sua cellula e quella che gli urlava di correre a riprenderselo.

La paura, che aveva influenzato tutta la sua vita, sembrava non essere intenzionata a lasciarlo stare neanche quella volta.

*

Era talmente freddo che anche con i guanti poteva sentire le sue mani screpolarsi lentamente. L’aria gelida entrava da sotto la giacca-vento e quel poco sole che aveva rischiarato il pomeriggio ormai era sceso completamente, lasciando dietro di sé solamente desolazione.

Probabilmente era Zayn a sentirsi così, e quelle erano le sciocche parole che sgorgavano dal suo animo di scrittore.

Non era mai stato una di quelle persone a cui piace piangersi addosso, mentre adesso era tutto un piagnisteo; iniziava a perdere la stima di se stesso, oltre che la poca fiducia che aveva acquisito nel corso degli anni.

Tutto ciò si andava a sommare alla lista delle cose dannatamente ridicole che gli stavano capitando e lui aveva perso da tempo il conto di quante fossero.

Benché fosse buio – e freddo, gli ricordò la punta congelata del suo naso – era contento di trovarsi lì. Ultimamente si era sentito come un vampiro nei giorni di luglio, chiuso in casa, con le tende tirate e le luci spente.

Un po’ d’aria gli avrebbe fatto bene e comunque doveva uscire per forza. Aveva gli allenamenti e non poteva abbandonare i suoi ragazzi in un momento così delicato del campionato. La domenica seguente avrebbero giocato in casa contro la testa di serie, mentre loro erano terzi, a cinque punti di distanza dalla prima e a soli due dalla seconda.

Era una partita importante e la squadra era galvanizzata e più grintosa del solito. Allenarli, quella sera, era servito a risollevargli un po’ il morale. Tutti gli avevano trasmesso la propria carica e lui l’aveva assorbita tutta; sapeva che era solo un palliativo, che, non appena avesse rimesso piede in casa, si sarebbe sentito di nuovo vagamente depresso e, tra tutte le mille sensazioni, quella era l’unica che avrebbe preferito gli restasse estranea per sempre.

«Ciao, Mister!» lo salutò Tom, borsone in spalla, pronto a tornare a casa dopo la doccia. Aveva ancora i capelli umidi e di solito Zayn l’avrebbe ripreso per quella piccola sconsideratezza. Quella sera invece, rispose al saluto che l’aveva distolto dai suoi pensieri, e poi tornò a focalizzare la sua attenzione sul pallone che aveva di fronte. Ogni tanto, dopo l’allenamento, restava a fare qualche tiro o qualche esercizio specifico. L’odore dell’erba lo tranquillizzava e dare calci a qualcosa che non fosse il sedere di Harry, in quel momento, era proprio la cosa che gli ci voleva.

Non era neanche più arrabbiato, ormai. O, almeno, non lo era con Harry. Era deluso, ovviamente, e ce l’aveva con se stesso per essere stato così ingenuo, certo. Ma, ancora di più, era infuriato con il suo cervello, con la parte più irrazionale ed evidentemente sciocca, che non faceva altro che suggerire di dare a Harry un’altra chance. Da quando l’altro aveva scoperto tutte le carte, in cucina, non faceva altro che pensare che anche se tutto quello che c’era stato tra di loro era partito con il piede sbagliato e per i motivi meno nobili, dopo era continuato e cresciuto nella giusta direzione. E poi ci si era messo anche suo fratello, a fare l’avvocato del diavolo e quella stupida voce che gli diceva di correre da Harry si era fatta sempre più insistente, ma lui continuava a metterla a tacere, perché, suvvia, come poteva?

Come poteva, anche avesse voluto e provato e riprovato fino alla morte, riuscire a fidarsi di nuovo di lui?

Liam diceva che doveva solo tentare e che Harry non l’avrebbe deluso di nuovo. E magari Zayn sottovalutava la propria capacità di cancellare il passato e voltare pagina.

Non sapeva cosa avrebbe dato per essere in grado di aprire un nuovo quaderno e cominciare tutto daccapo, con Harry.

Perché, in fondo, lui lo sapeva meglio di chiunque altro, meglio di Harry a cui negli ultimi giorni aveva mostrato solo la sua indifferenza, meglio di Niall che lo guardava preoccupato e meglio di Liam che cercava di farlo ragionare, che – rifiutando di ammettere di amare Harry – stava solo cercando uno scudo che lo difendesse da ulteriori dolori.

Che per quanto lo negasse, il problema era quello: amava Harry; sotto tutta quella coltre amara che spesso lo accecava, lo sapeva che l’unica cosa che non fosse cambiata da dieci giorni prima era quella.

La cosa che non sapeva era se sarebbe riuscito a darsi (e a dare a Harry) una seconda possibilità per essere felice, o almeno provare a esserlo. Se sarebbe riuscito a costruire qualcosa di vero, con l’altro, e vedere dove tutto ciò li avrebbe condotti.

Non sapeva quale parte del suo cervello avrebbe prevalso, alla fine, e forse quella condizione di incertezza era proprio la parte peggiore.

*

Dopo venti minuti in cui non aveva fatto altro che tirare punizioni, oltre alle gambe un po’ stanche, iniziava a sentirsi anche osservato.

Sul campo, con lui, non c’era nessuno, gli spogliatoi erano vuoti da tempo e le panchine destinate ai giocatori erano completamente libere da presenza umana.

Lanciò uno sguardo verso le tribune e scoprì che la fonte di quella sensazione opprimente nasceva proprio da lì. Forse fermarsi era stato stupido, da parte sua. Harry evidentemente si era ricordato dei suoi orari e aveva deciso che dopo un giorno abbondante di silenzio era il caso di cominciare a importunarlo di nuovo.

Probabilmente aveva anche freddo, a star fermo, seduto sulla plastica congelata. Zayn si maledisse per tutta la preoccupazione che quel ragazzo era ancora in grado di fargli provare.

Quando Harry si accorse di essere stato scoperto, si alzò in piedi, l’espressione un po’ difensiva, i passi che lentamente lo portavano ad avvicinarsi alle scale che l’avrebbero condotto sul campo da gioco.

Zayn notò come i suoi capelli facessero mostra di una frangia quasi completamente liscia: sapeva che quello voleva dire che Harry non aveva fatto altro che passarci le dita, sapeva che significava che l’altro era nervoso quanto lui. Forse di più, perché era Zayn ad avere tra le mani le sorti della loro relazione, mentre Harry non poteva far altro che restare a guardare mentre lui decideva come comportarsi, aspettare un sì o no, rodersi il fegato nell’attesa.

Zayn si morse un labbro, irritato, ancora di più perché avrebbe dovuto goderne, dei patimenti del più piccolo, non provare una fastidiosa stretta allo stomaco, a causa di essi. È perché lo ami. E, visto che lo ami, non vuoi vederlo triste. Se non vuoi vederlo triste, sai cosa devi fare, gli sussurrò all’orecchio una vocina impertinente, che aveva lo stesso accento di suo fratello e parlava parimenti veloce.

«Ciao» lo salutò Harry con la voce più roca del solito, non appena fu di fronte a lui.

Zayn evitò di pensare al motivo per il quale, all’altro, le parole uscissero più graffiate che mai. Probabilmente ero lo stesso che aveva arrossato i suoi occhi fino alle soglie del dolore, nelle ultime due notti (e mattine e pomeriggi).

Non si fidava della sua voce, per cui rispose solo con un vago movimento della testa. Se ne pentì quasi immediatamente. Forse Harry aveva pensato che Zayn non lo ritenesse degno neanche di sprecare parole, per lui, se l’espressione che aveva in viso era un indizio, anche se l’altro aveva cercato di nasconderla subito.

«Cosa vuoi?» chiese, cercando di non farla sembrare come un’accusa, anche perché, in fin dei conti, vederlo aveva scombussolato il suo stomaco e accelerato i battiti del suo cuore. Harry gli era mancato, era inutile negarlo, anche se non si vedevano solo dal giorno precedente. Ma non era mai capitato che tra loro non ci fossero telefonate o messaggi, e le ore gli erano parse incredibilmente vuote e insignificanti, senza l’altro. Quello l’aveva sconvolto, forse più della consapevolezza di non riuscire a odiare Harry. Lui che aveva sempre vissuto bene nel silenzio della sua casa, che sguazzava allegramente nella dolcezza della solitudine, aveva odiato ogni singolo minuto in cui si era forzato a star lontano da Harry.

Il più piccolo era strisciato dentro la sua vita e Zayn proprio non sapeva come imparare di nuovo a fare a meno di lui.

Non impararlo.

Questa volta la voce nella sua testa era la sua (e ne fu sollevato perché sentire voci random non è mai una buona cosa).

Era un consiglio semplicistico, che non teneva conto di mille fattori, e forse – proprio per questo – il migliore che ci fosse.

Harry aprì la bocca e questo offrì una scusa all’altro per allontanare quella tentazione che si faceva ogni secondo più forte, quasi insopportabile, e concentrarsi su quello che stava invece per dire.

«Io volevo solo…» si bloccò, forse insicuro di come continuare o di come dire quello che voleva dire. O magari perché non sapeva neanche lui cosa volesse, pensò Zayn.

«Io… niente» mormorò infine.

Zayn sentì montare dentro di sé la delusione, che però era completamente diversa da quella che aveva provato dopo aver letto l’articolo.

Era una delusione che nasceva dalla speranza di sentire qualcosa, da parte di Harry. Qualcosa che lo convincesse, qualcosa che mettesse a tacere il suo orgoglio e lo spingesse a sorridere all’altro, accarezzarlo abbraccialo baciarlo. Cavolo, quanto voleva baciarlo.

E udire la sua risata e le sue battute idiote, e sentirsi chiedere in continuazione se avesse mangiato abbastanza e parlare di libri e di tutti gli aneddoti del passato, quelli divertenti e quelli più scabrosi, e tutto il resto. Voleva tutto tutto tutto, e invece Harry se ne stava zitto.

Zayn avrebbe voluto dargli un calcio, perché se non spiccicava parola, lui come poteva dirglielo?

Perché non lottava? Solo un altro po’? Un altro po’ per loro due e per tutto quello che c’era in mezzo.

Zayn lo sapeva che tutto ciò era ridicolo, che lui poteva mandare tutti i suoi pensieri negativi a quel paese e riprendersi Harry. Ma se per l’altro, lui non era abbastanza per continuare a combattere solo per altri dieci minuti contro la sua ostinazione, allora dove sarebbero mai potuti arrivare?

Forse era meglio abbandonare tutto adesso, in tempo, prima di bruciarsi completamente, prima di ridursi in cenere, e salvare quel poco di loro stessi che era rimasto intatto.

Chiudersi quella storia alle spalle definitivamente e comprare un estintore per la prossima volta che si fossero scottati. Per un’altra storia con un’altra persona.

Forse, semplicemente, loro due non erano destino.

E, come dimostrazione definitiva, Zayn si voltò, per andare a riprendere il pallone e continuare da dove si era interrotto. Chiamami chiamami chiamami.

Ma quando si girò di nuovo, dove prima c’era Harry, era rimasto solo il nulla, concreto e pesante, della sua assenza.

 

 

 

Note:

Un capitolo ancora e poi è fatta; credo che piangerò, shhhh.

Un bacione e un grazione a tutte <3

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Alphesiboei