Capitolo sedici.
Si svegliò che l’orologio
segnava appena le quattro.
Non si stupì più di tanto,
anzi, si poteva dire gli fosse andata di
lusso. La notte precedente era riuscito a dormire solo un paio di ore e
quella
prima ancora avrebbe voluto proprio dimenticarla.
Solo che il suo cervello stava cercando di
renderglielo impossibile in
tutti i modi; gli tornava in mente il volto pallido di Harry,
illuminato dalla
luce bianca del salotto, il dolore alla gamba – che poteva
vantare una piccola
mora all’altezza del ginocchio, il sapore
dell’alcol in bocca e la sensazione
di leggerezza alla testa e quella, orribile, di secchezza alla gola, la
mattina
dopo.
Più di tutto, però, il suo
cervello masochista gli inviava ricordi di
Harry, il tocco delle sue mani, il respiro accelerato, i suoi capelli,
più
ricci e indomabili del solito.
Lo sguardo triste e preoccupato che gli aveva
rivolto non appena aveva
messo piede in casa e che sembrava sincero, a dispetto di tutto.
La sua voce roca e rotta e che diceva parole che
non volevano uscirgli
dalla mente.
Scrollò la testa, come se con quel gesto
fosse possibile liberarsi
anche di tutti i pensieri indesiderati e inopportuni, e si
girò su un lato –
che da sempre era la sua posizione preferita per dormire. Avrebbe
preferito non
ricordarsi come fosse sdraiarsi in quel modo e stringere Harry. O
essere
stretto da lui e dalle sue stupide braccia, i piedi
dell’altro che riscaldavano
i suoi, sempre congelati.
Cercò di calmarsi, liberarsi da tutto e
tutti; prese qualche respiro
profondo: non servirono a nulla. Sapevano solo di lenzuola pulite. La
notte
precedente, dopo che la mattina aveva cacciato Harry, non si era curato
d’altro
che di far una doccia; a stomaco vuoto, quando non erano neanche le
dieci, si
era steso sul letto, esausto. Era stata la cosa più sciocca
che avesse mai
fatto, il che era tutto dire.
L’odore di Harry era ovunque e non lo
lasciava stare. La parte peggiore
era, però, che tutto quello gli faceva ripensare a come,
fuori di sé e senza
curarsi di Harry, l’avesse scopato su quello stesso materasso
neanche
ventiquattro ore prima. Di come avesse agito senza pensare ai
sentimenti della
persona che diceva di amare, neanche fosse un animale senza un briciolo
di
autocontrollo.
Lui non era così. O almeno sperava. A
quel punto, forse, non lo sapeva
più neppure lui.
Era inebriato dall’alcol, ma non poteva
dare la colpa delle sue azioni
unicamente alla troppa birra ingerita; quando se l’era
ritrovato in casa, la
mente non troppo lucida, era uscita tutta la rabbia che aveva
trattenuto fino a
quel momento, e tutto il resto era venuto di conseguenza.
La mattina, dopo essersi svegliato, aveva provato
repulsione per come
aveva trattato Harry, e si era alzato con l’intenzione di
scusarsi. Poi l’aveva
visto ai fornelli, nel perfetto remake di quello che era successo due
mesi
prima (e almeno tre o quattro giorni alla settimana fino da allora) e
l’impulso
era evaporato come neve al sole.
Non si era mai sentito così tradito,
come da quel ragazzo che conosceva
da poco più di sessanta giorni – che facevano solo
millequattrocentoquaranta
ore ma che sembravano infinitamente di più – e se
l’era detto mille volte che
era sciocco, ma non poteva farci nulla. Proprio come una volta Liam gli
aveva
detto che non poteva costringersi a non amare Harry, adesso non poteva
fingere
di non essere ferito. E forse la sua era stata una piccola vendetta,
forse
voleva farlo soffrire almeno un po’, perché non
era giusto che solo lui avesse
ogni fibra del suo essere dilaniata.
Non era cieco: quando Harry si era voltato,
lasciando perdere i
fornelli, aveva capito di esserci riuscito. Il fatto che quello lo
facesse solo
stare peggio, invece di rallegrarlo, era esplicativo – lo
sapeva – ma non aveva
voluto rifletterci troppo, sul momento. L’aveva lasciato
parlare, dicendosi che
almeno, dopo, tutto sarebbe finito. Se l’avesse mandato via,
Harry non sarebbe
tornato, no? Era quello che voleva, in fondo: essere lasciato in pace,
lasciarsi
alle spalle quella faccenda e passare oltre. Se poi tutti avessero
scoperto che
lui era Mick Stone grazie a quell’articolo, dimenticarla e
dimenticare Harry
sarebbe diventato più difficile, ma avrebbe affrontato i
problemi qualora gli
avessero bussato alla porta.
Fingendo un’indifferenza che non sentiva,
era stato zitto per tutto il
tempo, cercando di non credere a neanche una virgola di quello che le
labbra di
Harry stavano dicendo. Era stato difficile anche quello, come
praticamente
tutto quello che avesse fatto nell’ultimo periodo, ma credeva
di esserci
riuscito abbastanza. O almeno di aver dato l’impressione di
esserci riuscito.
E quando non ce l’aveva proprio
più fatta, l’aveva mandato via, non
guardandolo uscire dalla porta e dalla sua vita.
Fino a quel momento sembrava aver funzionato.
Almeno in parte. Harry
non si era fatto vivo con lui da due giorni, non gli aveva mandato
stupidi
fiori per scusarsi (il che gli diceva che almeno un po’
l’altro lo conosceva) e
non l’aveva assillato di chiamate.
Almeno in parte, perché era stato da
Liam, anche se non capiva bene a
far cosa.
Palese era invece che suo fratello avesse non solo
parlato con Harry
civilmente (e ok che era gentile di natura e tutto, ma dopo che gli
aveva
raccontato tutto lui, era così incazzato che, se avesse
incontrato Harry per
sbaglio, probabilmente gli avrebbe strappato via la testa) ma fosse
anche
arrivato alla conclusione che, anche se aveva fatto uno sbaglio enorme,
Zayn
avrebbe dovuto dargli un’altra possibilità.
«Ora tu vedi in lui solo il mostro nero,
ma quel ragazzo tiene davvero
a te. Da quando l’hai lasciato, è un morto che
cammina» gli aveva detto, serio
e ragionevole come solo Liam sapeva essere.
«Non l’ho lasciato»
aveva replicato. «Era tutto finto, Liam. Non stavamo
insieme davvero, era… non lo so neanche io
cos’era, ma pensarci mi fa venir
voglia di vomitare»
Liam aveva evitato di commentare l’ultima
parte. A Zayn piaceva essere
un po’ melodrammatico, ma allo stesso tempo sapeva che
probabilmente avrebbe
provato la stessa cosa pure lui, si fosse trovato nella sua situazione.
«Allora, dai a entrambi la
possibilità di un nuovo inizio, di essere un
voi» aveva consigliato,
perché era
inguaribilmente romantico.
Zayn avrebbe voluto esserne capace. Forse lo era,
ma si sentiva
bloccato. Dilaniato da due forze contrapposte, quella che gli diceva di
cancellarlo per sempre da ogni sua cellula e quella che gli urlava di
correre a
riprenderselo.
La paura, che aveva influenzato tutta la sua vita,
sembrava non essere
intenzionata a lasciarlo stare neanche quella volta.
*
Era talmente freddo che anche con i guanti poteva
sentire le sue mani
screpolarsi lentamente. L’aria gelida entrava da sotto la
giacca-vento e quel
poco sole che aveva rischiarato il pomeriggio ormai era sceso
completamente,
lasciando dietro di sé solamente desolazione.
Probabilmente era Zayn a sentirsi così,
e quelle erano le sciocche
parole che sgorgavano dal suo animo di scrittore.
Non era mai stato una di quelle persone a cui piace
piangersi addosso,
mentre adesso era tutto un piagnisteo; iniziava a perdere la stima di
se
stesso, oltre che la poca fiducia che aveva acquisito nel corso degli
anni.
Tutto ciò si andava a sommare alla lista
delle cose dannatamente
ridicole che gli stavano capitando e lui aveva perso da tempo il conto
di
quante fossero.
Benché fosse buio – e freddo,
gli ricordò la punta congelata del suo
naso – era contento di trovarsi lì. Ultimamente si
era sentito come un vampiro
nei giorni di luglio, chiuso in casa, con le tende tirate e le luci
spente.
Un po’ d’aria gli avrebbe fatto
bene e comunque doveva uscire per
forza. Aveva gli allenamenti e non poteva abbandonare i suoi ragazzi in
un
momento così delicato del campionato. La domenica seguente
avrebbero giocato in
casa contro la testa di serie, mentre loro erano terzi, a cinque punti
di
distanza dalla prima e a soli due dalla seconda.
Era una partita importante e la squadra era
galvanizzata e più grintosa
del solito. Allenarli, quella sera, era servito a risollevargli un
po’ il
morale. Tutti gli avevano trasmesso la propria carica e lui
l’aveva assorbita
tutta; sapeva che era solo un palliativo, che, non appena avesse
rimesso piede
in casa, si sarebbe sentito di nuovo vagamente depresso e, tra tutte le
mille
sensazioni, quella era l’unica che avrebbe preferito gli
restasse estranea per
sempre.
«Ciao, Mister!» lo
salutò Tom, borsone in spalla, pronto a tornare a
casa dopo la doccia. Aveva ancora i capelli umidi e di solito Zayn
l’avrebbe
ripreso per quella piccola sconsideratezza. Quella sera invece, rispose
al
saluto che l’aveva distolto dai suoi pensieri, e poi
tornò a focalizzare la sua
attenzione sul pallone che aveva di fronte. Ogni tanto, dopo
l’allenamento, restava
a fare qualche tiro o qualche esercizio specifico. L’odore
dell’erba lo
tranquillizzava e dare calci a qualcosa che non fosse il sedere di
Harry, in
quel momento, era proprio la cosa che gli ci voleva.
Non era neanche più arrabbiato, ormai.
O, almeno, non lo era con Harry.
Era deluso, ovviamente, e ce l’aveva con se stesso per essere
stato così
ingenuo, certo. Ma, ancora di più, era infuriato con il suo
cervello, con la
parte più irrazionale ed evidentemente sciocca, che non
faceva altro che
suggerire di dare a Harry un’altra chance. Da quando
l’altro aveva scoperto
tutte le carte, in cucina, non faceva altro che pensare che anche se
tutto
quello che c’era stato tra di loro era partito con il piede
sbagliato e per i
motivi meno nobili, dopo era continuato e cresciuto nella giusta
direzione. E
poi ci si era messo anche suo fratello, a fare l’avvocato del
diavolo e quella
stupida voce che gli diceva di correre da Harry si era fatta sempre
più
insistente, ma lui continuava a metterla a tacere, perché,
suvvia, come poteva?
Come poteva, anche avesse voluto e provato e
riprovato fino alla morte,
riuscire a fidarsi di nuovo di lui?
Liam diceva che doveva solo tentare e che Harry non
l’avrebbe deluso di
nuovo. E magari Zayn sottovalutava la propria capacità di
cancellare il passato
e voltare pagina.
Non sapeva cosa avrebbe dato per essere in grado di
aprire un nuovo
quaderno e cominciare tutto daccapo, con Harry.
Perché, in fondo, lui lo sapeva meglio
di chiunque altro, meglio di
Harry a cui negli ultimi giorni aveva mostrato solo la sua
indifferenza, meglio
di Niall che lo guardava preoccupato e meglio di Liam che cercava di
farlo
ragionare, che – rifiutando di ammettere di amare Harry
– stava solo cercando
uno scudo che lo difendesse da ulteriori dolori.
Che per quanto lo negasse, il problema era quello: amava Harry; sotto tutta quella coltre
amara che spesso lo
accecava, lo sapeva che l’unica cosa che non fosse cambiata
da dieci giorni
prima era quella.
La cosa che non sapeva era se sarebbe riuscito a
darsi (e a dare a
Harry) una seconda possibilità per essere felice, o almeno
provare a esserlo.
Se sarebbe riuscito a costruire qualcosa di vero, con
l’altro, e vedere dove
tutto ciò li avrebbe condotti.
Non sapeva quale parte del suo cervello avrebbe
prevalso, alla fine, e
forse quella condizione di incertezza era proprio la parte peggiore.
*
Dopo venti minuti in cui non aveva fatto altro che
tirare punizioni,
oltre alle gambe un po’ stanche, iniziava a sentirsi anche
osservato.
Sul campo, con lui, non c’era nessuno,
gli spogliatoi erano vuoti da
tempo e le panchine destinate ai giocatori erano completamente libere
da
presenza umana.
Lanciò uno sguardo verso le tribune e
scoprì che la fonte di quella
sensazione opprimente nasceva proprio da lì. Forse fermarsi
era stato stupido,
da parte sua. Harry evidentemente si era ricordato dei suoi orari e
aveva
deciso che dopo un giorno abbondante di silenzio era il caso di
cominciare a
importunarlo di nuovo.
Probabilmente aveva anche freddo, a star fermo,
seduto sulla plastica
congelata. Zayn si maledisse per tutta la preoccupazione che quel
ragazzo era
ancora in grado di fargli provare.
Quando Harry si accorse di essere stato scoperto,
si alzò in piedi,
l’espressione un po’ difensiva, i passi che
lentamente lo portavano ad avvicinarsi
alle scale che l’avrebbero condotto sul campo da gioco.
Zayn notò come i suoi capelli facessero
mostra di una frangia quasi
completamente liscia: sapeva che quello voleva dire che Harry non aveva
fatto
altro che passarci le dita, sapeva che significava che
l’altro era nervoso
quanto lui. Forse di più, perché era Zayn ad
avere tra le mani le sorti della
loro relazione, mentre Harry non poteva far altro che restare a
guardare mentre
lui decideva come comportarsi, aspettare un sì o no, rodersi
il fegato
nell’attesa.
Zayn si morse un labbro, irritato, ancora di
più perché avrebbe dovuto
goderne, dei patimenti del più piccolo, non provare una
fastidiosa stretta allo
stomaco, a causa di essi. È
perché lo
ami. E, visto che lo ami, non vuoi vederlo triste. Se non vuoi vederlo
triste,
sai cosa devi fare, gli sussurrò
all’orecchio una vocina impertinente, che
aveva lo stesso accento di suo fratello e parlava parimenti veloce.
«Ciao» lo salutò
Harry con la voce più roca del solito, non appena fu
di fronte a lui.
Zayn evitò di pensare al motivo per il
quale, all’altro, le parole uscissero
più graffiate che mai. Probabilmente ero lo stesso che aveva
arrossato i suoi
occhi fino alle soglie del dolore, nelle ultime due notti (e mattine e
pomeriggi).
Non si fidava della sua voce, per cui rispose solo
con un vago
movimento della testa. Se ne pentì quasi immediatamente.
Forse Harry aveva
pensato che Zayn non lo ritenesse degno neanche di sprecare parole, per
lui, se
l’espressione che aveva in viso era un indizio, anche se
l’altro aveva cercato
di nasconderla subito.
«Cosa vuoi?» chiese, cercando
di non farla sembrare come un’accusa,
anche perché, in fin dei conti, vederlo aveva scombussolato
il suo stomaco e
accelerato i battiti del suo cuore. Harry gli era mancato, era inutile
negarlo,
anche se non si vedevano solo dal giorno precedente. Ma non era mai
capitato
che tra loro non ci fossero telefonate o messaggi, e le ore gli erano
parse
incredibilmente vuote e insignificanti, senza l’altro. Quello
l’aveva
sconvolto, forse più della consapevolezza di non riuscire a
odiare Harry. Lui
che aveva sempre vissuto bene nel silenzio della sua casa, che
sguazzava
allegramente nella dolcezza della solitudine, aveva odiato ogni singolo
minuto
in cui si era forzato a star lontano da Harry.
Il più piccolo era strisciato dentro la
sua vita e Zayn proprio non
sapeva come imparare di nuovo a fare a meno di lui.
Non impararlo.
Questa volta la voce nella sua testa era la sua (e
ne fu sollevato
perché sentire voci random non è mai una buona
cosa).
Era un consiglio semplicistico, che non teneva
conto di mille fattori,
e forse – proprio per questo – il migliore che ci
fosse.
Harry aprì la bocca e questo
offrì una scusa all’altro per allontanare
quella tentazione che si faceva ogni secondo più forte,
quasi insopportabile, e
concentrarsi su quello che stava invece per dire.
«Io volevo solo…» si
bloccò, forse insicuro di come continuare o di
come dire quello che voleva dire. O magari perché non sapeva
neanche lui cosa
volesse, pensò Zayn.
«Io… niente»
mormorò infine.
Zayn sentì montare dentro di
sé la delusione, che però era
completamente diversa da quella che aveva provato dopo aver letto
l’articolo.
Era una delusione che nasceva dalla speranza di
sentire qualcosa, da
parte di Harry. Qualcosa che lo convincesse, qualcosa che mettesse a
tacere il
suo orgoglio e lo spingesse a sorridere all’altro,
accarezzarlo abbraccialo
baciarlo. Cavolo, quanto voleva
baciarlo.
E udire la sua risata e le sue battute idiote, e
sentirsi chiedere in
continuazione se avesse mangiato abbastanza e parlare di libri e di
tutti gli
aneddoti del passato, quelli divertenti e quelli più
scabrosi, e tutto il
resto. Voleva tutto tutto tutto, e invece Harry se ne stava zitto.
Zayn avrebbe voluto dargli un calcio,
perché se non spiccicava parola,
lui come poteva dirglielo?
Perché non lottava? Solo un altro
po’? Un altro po’ per loro due e per
tutto quello che c’era in mezzo.
Zayn lo sapeva che tutto ciò era
ridicolo, che lui poteva mandare tutti
i suoi pensieri negativi a quel paese e riprendersi Harry. Ma se per
l’altro,
lui non era abbastanza per continuare a combattere solo per altri dieci
minuti
contro la sua ostinazione, allora dove sarebbero mai potuti arrivare?
Forse era meglio abbandonare tutto adesso, in
tempo, prima di bruciarsi
completamente, prima di ridursi in cenere, e salvare quel poco di loro
stessi
che era rimasto intatto.
Chiudersi quella storia alle spalle definitivamente
e comprare un
estintore per la prossima volta che si fossero scottati. Per
un’altra storia
con un’altra persona.
Forse, semplicemente, loro due non erano destino.
E, come dimostrazione definitiva, Zayn si
voltò, per andare a
riprendere il pallone e continuare da dove si era interrotto. Chiamami chiamami chiamami.
Ma quando si girò di nuovo, dove prima
c’era Harry, era rimasto solo il
nulla, concreto e pesante, della sua assenza.
Note:
Un capitolo ancora e poi è fatta; credo
che piangerò, shhhh.
Un bacione e un grazione a tutte <3