«Come scusa?»
chiese Harry, confuso.
L’esclamazione di James lo aveva abbastanza spiazzato.
«Ehm, lascia stare» disse il padre, cercando di
pensare a qualcosa d’intelligente per levarsi da quella
scomoda situazione.
«Ma tu hai detto “porco
Sirius”» ribatté il figlio.
«È… un modo di dire delle mie
parti».
«Che sarebbero?»
“Non dirgli la verità!”
«Marte».
“Ho detto ‘non dirgli la
verità’, non di sparare la prima cazzata che ti
viene in mente”.
«Marte?»
«Be’, in verità una luna di Marte. Sai
com’è: i prezzi sul pianeta sono aumentati negli
ultimi tempi e…»
«E immagino che quella non sia affatto una divisa di
Grifondoro, vero?» fece Harry, indicandola. James si
guardò. Per qualche strano motivo, indossava la divisa di
scuola, cosa che non aiutava.
«No, certo che no» replicò James.
«Il rosso e l’oro sono i colori nazionali di Marte.
Sai, per la terra rossa e per…»
Harry ridacchiò.
«Okay, papà, direi di farla finita»
disse. James fece una smorfia buffa, con un sorrisetto ebete e gli
occhi stralunati che gli conferivano l’aria di un folletto
che ha appena ricevuto una botta in testa.
“Papà”.
«Come l’hai capito?» chiese James, dopo
aver riacquisito un briciolo di dignità. Harry
sbuffò.
«Ti basti sapere che, ogni persona che incontravo, per prima
cosa mi diceva che ero identico a te, tranne che per gli occhi di
mamma» disse il ragazzo.
«Ah» fece James. In effetti era ovvio.
Però suo figlio –
“figlio”… gli faceva venire i brividi
accumunare quella parola al diciottenne che era davanti a lui
– era stato in gamba a recitare la sua parte e lo stesso non
poteva certo dirsi di lui.
«Volevo solo capire se eri una qualche illusione creata da un
Mago Oscuro nell’ennesimo tentativo di fracassarmi i
boccini» continuò Harry, schietto. James fece una
smorfia: certo che suo figlio aveva una bella vita, se considerava i
tentativi di omicidio di una routine. «Esame superato,
complimenti!»
«E come?»
«Semplice: se fosse stato un tentativo di farmi fuori avresti
avuto una scusa più credibile» spiegò.
«Mi dispiace dirtelo ma sei pessimo a recitare».
«Ma avrei anche potuto fingere per fare in modo che tu
abbassassi la guardia».
«In quel caso non avresti detto questo».
«Oh».
Ci fu qualche minuto di silenzio in cui James cercò di fare
un po’ di ordine nella sua testa.
«E non ti sembra strano vedere tuo padre
diciassettenne?» chiese, sinceramente sorpreso.
«Ne ho viste tante di cose strane» disse Harry.
«Fidati, dopo un po’ smetti di stupirti e passi
direttamente alla fase in cui ti chiedi perché certe
situazioni capitano sempre a te».
«Oh, quindi vuol dire che parli quotidianamente con la gente
morta?»
«No. Ma ho incontrato Silente, quindi…»
«Ah, già, è vero».
Ci fu un momento di silenzio, poi Harry si sedette a terra, seguito
poco dopo dal padre.
«Allora» fece il ragazzo.
«Perché sto parlando con l’incarnazione
da diciassettenne di mio padre?»
«Ecco, vedi… In realtà…
Okay, non so che dire…» James titubava. Non aveva
mai messo in conto un incontro con suo figlio e non sapeva quanto
sarebbe stato lecito dire sulla rinascita di Remus e Ninfadora in
un’altra dimensione.
«Comincia dal come sei finito qui» propose Harry.
James annuì lentamente, scegliendo le parole con cura.
«Ecco, ho avuto un piccolo diverbio con una vecchia
conoscenza, abbiamo combattuto…»
«Quindi era Piton».
«Già, ma avrei preferito non dire che Mocciosus mi
ha fatto il culo con la Magia Oscura».
«Sectumsempra?»
«Scusa, posso parlare io o devi continuare a
interrompermi?»
«D’accordo… Però era il
Sectumsempra, vero?»
«Sì. Ma adesso piantala!»
Harry fece finta di cucirsi la bocca. James lo fulminò con
gli occhi.
Sembrava la perfetta fusione fra lui e Lily: aveva la sua stessa
attitudine al – così lo definiva Remus –
rompiboccinismo e aveva lo spirito d’osservazione di Lily. In
realtà, la cosa lo inquietava abbastanza, ma forse era solo
perché lo vedeva da diciottenne.
Inoltre, il modo in cui parlava lo faceva sentire a disagio. Parlava
con naturalezza e in modo piuttosto schietto eppure, guardandolo negli
occhi, gli sembrava di vedere gli ingranaggi del suo cervello che si
muovevano, assimilando informazioni e facendo Merlino solo sa cosa. Era
lo stesso sguardo che aveva Silente, lo sguardo di una persona
intelligente e capace, di una persona che ha già imparato
cos’è la vita e l’ha affrontata nel modo
più brutale.
O forse James era diventato paranoico e stava pian piano scivolando
nella follia totale. Il ragazzo in questione non sapeva in cosa sperare.
«Come stavo dicendo» proseguì Potter
Senior. «Piton mi ha fatto il culo con il Sectumsempra. Poi
non so che diamine è successo, ma credo che la parte
malvagia di me sia emersa, mi abbia guarito male, abbia fatto a sua
volta il culo a Piton e poi Lily mi abbia svegliato baciandomi»
Pausa. «Lily mi ha baciato» Sorriso ebete da Troll
celebroleso.
«Aspetta… La parte malvagia di te?»
chiese Harry, sconvolto. James sbuffò.
«Sì, vedi: la mia professoressa di Difesa
nonché vampira di fiducia ha deciso di inserirmi una
personalità anti-Babbani e malvagia che esce in determinati
momenti» spiegò James. «Ma mi sembra che
qui stiamo perdendo il fulcro centrale della questione, ovvero che Lily
mi ha baciato, per farmi tornare in me mentre ero momentaneamente
assente, ma ha pur sempre baciato… il mio corpo –
e detta così suona veramente male».
Harry rabbrividì.
«E sei arrivato qui…?»
«Credo di essere in coma, o qualcosa del genere»
spiegò James. «Non ho idea di come ho fatto ad
arrivare».
Harry annuì.
«Mi dispiace dirtelo ma c’è un piccolo
particolare che non quadra con tutta la tua storia».
«Ovvero?»
«Sei morto».
«Ah, già, in effetti può essere un
problema… Mai sentito parlare di universi
paralleli?»
«Che stai facendo?» chiese Dora. Remus si
voltò leggermente ma non smise di camminare.
«Vado dalla sanguisuga» disse, quasi con un
ringhio. «Voglio sapere che diamine sta succedendo».
Dora corse verso di lui e in pochi secondi gli fu accanto.
«E non ti è mai venuto in mente che vorrei venire
anch’io, vero?» chiese, sbuffando.
«Be’, se vuoi accodarti sei la benvenuta»
rispose Remus, accennando un sorrisetto che alla ragazza parve un
po’ folle.
«Stai bene?» chiese Dora, aggrottando le
sopracciglia con preoccupazione.
«Oh, be’, considerando che uno dei miei migliori
amici è a un passo dalla morte, che un altro ha rischiato di
morire e che la persona di cui dovrei fidarmi è un bastardo
manipolatore» guardò la ragazza con la stessa
pazzia negli occhi che, questa volta, nascondeva molto male la furia
che gli bruciava dentro. «Sto una meraviglia».
Poi cominciò a correre verso l’ufficio della
Mason. Dora stava per seguirlo, quando venne bloccata da una voce che
la chiamava.
«Dove state andando?» chiese Evelyn, che osservava
i due a occhi spalancati.
«Lui forse vuole uccidere la Mason, io lo seguo per bloccarlo
prima che possa fare qualcosa di troppo stupido!»
Evelyn inarcò un sopracciglio e, qualche secondo dopo che
Dora fu partita di corsa, decise di seguirli.
«Tanto si sa che tocca sempre a me controllare tutti e
due» borbottò.
«Ricapitoliamo» disse Harry, reggendosi la testa
con una mano. «Remus, Tonks e Silente in realtà
non sono morti ma sono finiti in una dimensione parallela, che ha,
inoltre, una differenza temporale di circa vent’anni dalla
nostra».
«Esatto» fece James, annuendo.
«In questa dimensione, Tonks ha una sorella, Evelyn, e ha
solo un anno meno di Remus; inoltre, Voldemort è solo un
commesso e c’è tanto razzismo che Hitler al
confronto è un pacifista».
«Esatto… ma un po’ esagerato».
«E c’è una professoressa vampira che,
contro ogni aspettativa, ti ha fatto diventare una specie di Hulk, con
la tua parte cattiva che spunta fuori in certe occasioni e
l’unico modo per farti tornare in te è avere un
po’ d’attenzione da mamma».
«Tre su tre, complimentoni! Anche se la parte sulle
“attenzioni da Lily” è abbastanza
deprimente…»
«Quindi anche la Mason ha viaggiato» concluse
Harry. James inarcò un sopracciglio.
«Non ho detto questo».
«Già, ma se non fosse così, tutto
sarebbe dovuto andare come da noi» replicò Harry.
«Con la Mason che è solo una maniaca bastarda e
che voi sopporterete per tutto un anno».
James rifletté. In effetti, aveva senso.
La Mason l’aveva invitato nel suo ufficio e lo aveva
trasformato. Ma perché? Qual era il motivo? Cosa ci poteva
essere di diverso fra le Mason delle due dimensioni?
«Ci sono due possibilità» disse James.
«O la Mason, come dici tu, ha viaggiato fra le dimensioni,
oppure è successo qualcosa, nel suo passato, che ha
modificato la storia».
Harry annuì.
«Dovreste indagare sulla vita della Mason, allora»
suggerì.
«Già, la fai facile» sbottò
James. «Dovremo ricostruire seicento anni della vita di una
malata mentale».
«Ti suggerisco di cominciare dai libri sulle antiche casate
di famiglie purosangue» proseguì Harry.
«Se è razzista come dici, allora potrebbe
appartenere a una di quelle».
«Giusto» disse semplicemente James, un
po’ stupito.
Ci fu una pausa in cui i due ragazzi si persero completamente nei
propri pensieri.
«Non mi hai mai conosciuto, quindi?» chiese James,
anche se sembrava più un’affermazione. Harry gli
rivolse uno sguardo triste.
«Purtroppo no» disse. «Sirius e Remus
avevano provato a descrivermi i gloriosi giorni dei Malandrini, ma non
è facile racchiudere sette anni di avventure in pochi
discorsi».
James sbuffò.
«Allora vuol dire che non sai proprio nulla» disse.
«Sirius avrà sicuramente ingigantito le
cose…»
«Ha detto che avete fatto entrare un drago in Sala
Grande».
«Ecco, appunto. Remus, invece, avrà cercato di
togliere qualche dettaglio per sembrare il più innocente
possibile».
«Su questo non so che dire».
«Be’, fidati, probabilmente l’ha
fatto».
Seguì un’altra pausa di silenzio imbarazzato,
mentre i due si guardavano di sottecchi, indecisi su cosa dire.
«Posso chiederti…» prese la parola
James. «Com’è finita la
guerra?»
Harry scrollò le spalle e, per un paio di secondi, James
riuscì a intravedere il dolore mischiato a rabbia che erano
nascosti dietro a quell’aria di calma e
tranquillità, facendolo rabbrividire. Nessuno, a parer suo,
dovrebbe avere quello sguardo.
«Be’, Voldemort è morto e, per precauzione, hanno deciso di bruciare il corpo, tanto per evitare eventuali resurrezioni».
«Mi sembra anche giusto» convenne James, con un mezzo ghigno.
«Dopo ci sono stati prima due
settimane dedicate a coloro che sono morti in battaglia» lo
sguardo di Harry si fece molto più cupo. «Poi
altre due per i festeggiamenti» il ragazzo fece un
sorrisetto. «Certi hanno davvero esagerato: un paio di tizi,
in Irlanda hanno cominciato a volare ovunque e spargere giornali che
parlavano della morte di Voldemort. C’è voluto
parecchio lavoro per far dimenticare la cosa ai Babbani».
«Harry…»
«Poi siamo tornati alla normalità, più
o meno. Ci sono parecchie morti difficili da superare. Fred,
Colin… Be’, almeno adesso so che Remus e Tonks
hanno un’altra possibilità».
«Harry…»
«Chissà perché, poi. Voglio dire,
perché solo Silente e loro due sono arrivati da voi?
C’è un sacco di altra gente del vostro tempo che
qui è scomparsa…»
«Harry!»
«Che c’è?» sbottò
il ragazzo, esasperato. James indicò lentamente i piedi del
figlio.
«Stai… svanendo» disse. Harry si
guardò ma, non vedendo nulla di strano, tornò a
guardare il padre, per poi sgranare gli occhi. Delle scarpe di James
ormai s’intravedeva solo la forma e, pian piano, anche le
caviglie stavano perdendo colore.
«No sei tu che stai…» poi comprese.
«Oh. A quanto pare questi sono gli ultimi momenti che
abbiamo» disse, cupo.
Dopo qualche istante, anche James capì ciò di cui
stava parlando e si rabbuiò.
«Magari potremo rivederci» disse con poca
convinzione.
«Già, magari senza che tu finisca in coma,
okay?» fece l’altro, tentando un sorriso. James
ridacchiò.
«Sarebbe bello» disse. Ormai, vedeva Harry solo
dalla vita in su. Il ragazzo dagli occhi verdi si grattò la
nuca, prima di decidersi a parlare.
«C’è una cosa che devi sapere»
disse Harry all’improvviso.
«Cioè?» chiese James, confuso.
«Regulus. Da voi com’è?»
«Uno stronzo venduto a cui hanno inculcato idee
idiote».
«Bene. Dovete aiutarlo».
«Come, scusa?»
«Da noi, Regulus si era unito ai Mangiamorte ma, alla fine,
ha tradito Voldemort e ha tentato di distruggere un Horcrux, ma
è stato ucciso da lui prima di riuscirci»
spiegò Harry.
«Quindi vorresti dire che…»
«Che può essere salvato. Dovete cercare di dargli
una mano. Farebbe bene sia a lui che a Sirius».
James si rabbuiò leggermente.
«Non sono sicuro che possiamo riuscirci: ti ho raccontato
cosa ha fatto Piton» disse.
Harry annuì, cupo. Per qualche istante, i due si limitarono
a osservarsi, incerti, mentre sparivano nel nulla. Poi Harry
s’illuminò, come ricordandosi di qualcosa, e fece
un sorrisetto triste.
«Senti, potresti dire un paio di cose a Remus?»
«Certo». Il torace di Harry cominciava a sparire.
«Digli solo grazie, che sono felice per loro e» il
collo svaniva lentamente «che farò tutto il
possibile per Teddy».
«Teddy? Chi è, un orsetto di peluche?»
cominciò a sparire anche la testa.
«Ciao, papà… e grazie, a te e alla
mamma» disse infine Harry e, pochi istanti dopo,
svanì nel nulla, lasciando James allibito.
«Harry» sussurrò, piuttosto sconvolto da
quell’addio così rapido e con gli occhi lucidi.
Sentì qualcuno battere le mani dietro di sé, in
modo flemmatico e quasi derisorio, e si alzò di scatto.
Si ritrovò davanti alla sua esatta copia.
Di certo non era Harry: gli occhi erano nocciola e lo sguardo non era
affatto simile a quello del ragazzo.
Di certo non era James: non sarebbe mai riuscito a inserire tanta
malvagità in un ghigno e il portamento ricordava
più quello della parte oscura della famiglia Black
– ovvero quasi tutta.
Di certo era l’Altro.
«Oh, ma che addio commovente» disse, schernendolo.
«No, sul serio, eravate carinissimi! Avrei voluto farvi una
foto!»
James lo osservò meglio, indietreggiando di mezzo passo.
Invece della sua divisa scolastica, indossava un completo babbano e non
portava gli occhiali.
«Giacca e cravatta, eh? Non credo di essere il tipo che
indossa certa roba» disse James, mettendosi furtivamente una
mano in tasca, alla ricerca della bacchetta.
«Tu non lo sei, io sì. E in questo posto non ci
sono bacchette» fece l’Altro. James strinse i pugni
e lo osservò avvicinarsi lentamente. «Condividiamo
lo stesso corpo, le nostre menti sono in comunicazione. Solo che io so
come sfruttare la cosa, mentre tu rimani un idiota, come al
solito».
James strinse la mascella e non disse nulla. Sentiva una specie di
scossa elettrica su tutto il corpo e, se quella era provocata dalla
sola vicinanza con l’Altro, allora non voleva farlo irritare
in alcun modo.
«Mi piacerebbe che avessimo delle bacchette, però.
Sarebbe bello dimostrarti quanto sei debole e indifeso»
proseguì l’Altro. «Ma credo
dovrò accontentarmi di qualcos’altro».
«Di che stai parlando?» chiese James,
immediatamente prima che, in un fascio di luce, nella mano destra di
entrambi comparisse una spada. Una spada semplice, di ferro, pesante e
difficile da maneggiare. L’Altro fece roteare
l’arma con naturalezza.
«Spade?» chiese James, allibito e confuso da quello
che stava accadendo in pochi secondi. «Ma sei
matto?»
«Certo che lo sono!» esclamò
l’Altro, allargando le braccia con un sorriso folle stampato
in volto. «Tutti i migliori sono matti! E ora, vogliamo
vedere quanto sei cavalleresco, o nobile Grifondoro?»
«Che gli ha fatto?» urlò Remus,
spalancando la porta dell’ufficio della Mason, che era seduta
alla sua scrivania e stava correggendo un compito. La professoressa
alzò un sopracciglio e posò la penna.
«Oh, prego, signor Lupin, si accomodi» disse,
ironica. «Gradisce del tè?»
«Divertente» disse Remus a denti stretti,
folgorando la donna con gli occhi. «Mi dica cosa sta
succedendo a James!»
«Non so di cosa sta parlando» replicò
innocentemente la donna. Remus sbuffò di rabbia e
cercò di trattenersi dal prenderla a pugni.
«Perché lo sta facendo?» chiese Remus
fra i denti, furioso.
«Facendo cosa?» replicò ancora la Mason.
«Lupin, io non la capisco».
«FALLA FINITA!» urlò il ragazzo. La
professa lo osservò con un sorrisetto maligno.
«Ora voglio che mi ascolti con attenzione» disse
Remus, sovrastandola attraverso la scrivania. «Libera James.
Qualunque cosa tu abbia fatto, annulla la maledizione, elimina la cosa
che gli hai messo dentro, fa quel che devi fare e lascialo in
pace».
«Ipotizzando che sappia di cosa sta parlando» fece
la Mason, sorridendo. Il suo tono si fece immediatamente più
minaccioso quando proseguì. «Cosa succederebbe se
non lo facessi? Non sai che non si lascia a metà una
minaccia?»
«Rinuncerei all’ipotesi di prendere in
considerazione l’idea di non ucciderti» concluse
Remus, sibilando. La Mason rise.
«Oh, ma sentitelo» esclamò, divertita e
malvagia. Remus si raddrizzò, guardandola con disprezzo.
«E, di grazia, come vorresti minacciarmi? Cos’hai
che potrebbe uccidermi?»
Prima che Remus potesse aprire bocca, Dora spalancò la porta
dell’ufficio.
«Questa» esclamò, puntando quella che
sembrava una piccola pistola verso la professoressa e premendo il
grilletto. Il proiettile eruttò dalla canna,
evitò di un paio di centimetri il volto allibito di Remus
e… venne bloccato a mezz’aria dalla mano della
Mason, che lo osservò con cura.
«Frassino» disse, poggiandolo sulla sua scrivania.
«Vi siete dati da fare. Non ne crescono a Hogwarts».
«Oh, c’è una Stanza in cui si
può trovare questo e altro» disse una voce. Evelyn
si fece strada da dietro Dora. «Giusto per puntualizzare:
questa» indicò la pistola in mano alla sorella
«l’ho inventata io, ma ammetto che ha bisogno di
delle migliorie, come, per esempio…». Poi prese un
blocchetto per gli appunti e una penna a sfera – che a
Hogwarts erano come oro puro, impossibili da trovare – e
scrisse, mentre leggeva ad alta voce: «Trovare un modo per
aumentare la velocità del proiettile
dell’Impalettatrice».
Dora la guardò, leggermente sconvolta.
«Più tardi lavoreremo sul nome». Evelyn
sbuffò.
«Sì, magari uno meno macabro» aggiunse
Remus, osservando l’arma. «Però
è un bel lavoro e…» poi
osservò meglio il volto di sua moglie, circondato dai soliti
capelli rosa shocking «che ti è
successo?»
«Oh, questo?» fece la ragazza, indicando il proprio
labbro spaccato e sanguinante ma tenendo comunque la pistola puntata
sulla professoressa. «Sono inciampata su
un’armatura, ed era anche piuttosto sgarbata».
«Be’, anche tu saresti stata sgarbata se qualcuno
ti fosse inciampato addosso» disse Remus, paziente.
«Ma da che parte stai?» protestò Dora.
«Scusate!» s’intromise la Mason,
osservandoli con un sopracciglio inarcato. «Sbaglio o qui
stiamo perdendo il filo del discorso?»
«Soffri di manie di protagonismo?» chiese Eve con
una smorfia ironica.
«Tu non hai alcun diritto di parlare» disse Remus,
riferendosi alla professoressa. «A meno che non voglia dirci
come liberare James; in quel caso sarò ben lieto di
ascoltarti».
«Te lo dirò quando l’Inferno
gelerà» disse la Mason, con aria annoiata. Remus
sbuffò.
«Non l’ho mai capito questo modo di dire»
disse, guardando le sorelle Tonks. «Secondo Dante,
nell’ultimo girone dell’Inferno
c’è un lago di ghiaccio, quindi
l’Inferno è già gelato!»
«Remus» lo ammonì Dora.
«Giusto, sto di nuovo perdendo il filo» si
girò di nuovo verso la donna. «Quindi? Cosa
intendi fare?»
«Be’, dato che al momento non mi sembra tu abbia
nulla con cui minacciarmi» disse la donna. «Vi
suggerisco di tornare quando sembrerete in qualche modo…
ecco… meno innocui».
«Innocua sarà tua madre» disse Evelyn.
La Mason fece un sorrisetto e agitò una mano nella loro
direzione. Come colpiti da una folata di vento, i tre ragazzi furono
sbalzati all’indietro, venendo catapultati fuori
dall’ufficio.
«Ah, e questo credo sia vostro» disse la Mason,
mostrando il proiettile di legno. Lo poggiò sul pollice e
gli diede una leggera schicchera con l’indice, facendolo
tuttavia partire a una velocità mostruosa e conficcandolo
nella spalla di Evelyn, che urlò di dolore.
«Eve!» esclamò Dora, chinandosi sulla
sorella.
«Buona giornata» fece la Mason e, con un leggero
movimento di dita, chiuse la porta.
«Brutta troia» Dora si alzò, impugnando
la bacchetta e cominciò a lanciare maledizioni sulla porta
che, tuttavia, sembrava non voler cedere. «Apri la porta,
bastarda!»
«Dora, dobbiamo pensarci più tardi!» la
rimproverò Remus. La ragazza, con i capelli rossi per la
furia, si girò verso il marito, chino su Eve mentre cercava
di curarle la ferita. Immediatamente, i capelli di Dora diventarono
grigio fumo.
«Puoi fare qualcosa?» chiese. Eve gemette di dolore
mentre Remus sussurrava piccoli incantesimi di guarigione. Fra i due
ragazzi del futuro, Remus aveva più conoscenze mediche,
complici soprattutto le trasformazioni in lupo che gli avevano per cui
aveva imparato come curare le ferite che si procurava.
«Molto poco» ammise. «Dobbiamo portarla
da Madama Chips».
«Santa donna» mormorò Eve.
«Dovrei farle una statua».
«Aspetta prima che ti abbia curato» disse Dora,
accennando un sorrisetto.
«Un Grifondoro che non sa usare una spada» disse
l’Altro. «Ironico, vero?»
Con un movimento fluido, fece cozzare la sua arma contro quella di
James, che indietreggiò per l’urto. Il ragazzo era
ormai stanco e il peso della spada si faceva sentire sempre di
più.
«Che senso ha questo?» chiese, sfinito.
«Perché combattiamo?»
«Come, scusa?» fece l’Altro, mettendosi
una mano accanto all’orecchio, come per sentire meglio.
«Sono io che ho le allucinazioni o tu hai fatto la domanda
più stupida del secolo?»
James non disse nulla. Si limitò a guardare storto la sua
controparte, cercando di non mostrare il proprio respiro affannato.
L’Altro sospirò.
«Allora, come spiegarlo?» chiese a se stesso,
cominciando a camminare in circolo intorno a James che non
staccò per un attimo gli occhi da lui. «Vedi, io
sono il cattivo, la tua parte malvagia! Esprimo tutto ciò
che c’è di negativo in te e… non fare
il santarellino! In fondo, sei un grandissimo stronzo! E sai come
faccio a saperlo? Perché io sono così! E, come
ben sai, è compito della parte malvagia cercare di prendere
il controllo del corpo».
«E perché?»
«Come perché?» esclamò
l’Altro. «Insomma, è un copione
già scritto. Tu sei il tizio normale, io emergo
dall’ombra e lottiamo finché uno dei due non viene
sconfitto. Funziona così».
«Quindi vuoi dirmi che lo fai solo perché
è quello che accade in tutte le storie?» chiese
James. «Vuoi essere “vittima del
destino”?»
L’Altro sbuffò.
«Oh, piantala con queste ciance da psicologo barra filosofo
fallito» disse, roteando in aria la spada. «Non
attacca. Io lo faccio perché è
divertente… e perché, in caso riuscissi, potrei
fare quello che mi pare con il nostro corpo e, in caso fallissi,
ritornerei comunque a essere la tua parte malvagia nascosta in un
angolo della tua coscienza, pronta a farti fare cose che non puoi
neanche immaginare» spiegò. Poi fece una smorfia
scettica, guardando il ragazzo. «E poi non ci credi neanche
tu a questa stronzata della vittima del destino».
James scrollò le spalle.
«Almeno ci ho provato» disse, per poi impugnare la
spada e scaraventarsi contro il nemico, pensando di prenderlo di
sorpresa. L’Altro roteò su se stesso e
mollò un calcio al fianco di James, che perse la spada e
finì in ginocchio. Prima che potesse rialzarsi,
l’Altro poggiò la lama sulla sua spalla,
bloccandolo.
«Be’, credo proprio di aver vinto questo round. E anche molto facilmente, direi» disse da dietro James.
«Dovrai allenarti di più se vuoi
battermi». L’Altro si chinò, avvicinando
la sua bocca all’orecchio del ragazzo e cominciando a
sussurrare. «Ma vuoi davvero vincere? Cosa avresti in cambio
di una vita di bontà e altruismo?»
La mente di James evocò subito l’immagine di Lily
che gli rideva mentre si trovavano a Hogsmeade. Era strano pensare che
solo un’ora prima stesse tranquillamente passeggiando per il
villaggio con la ragazza che amava.
«Ah, giusto, la bella Evans» sussurrò
l’Altro. «La stessa ragazza affascinante che, per
ben sei anni, ti ha rifiutato e insultato continuamente, ogni singolo
giorno».
Come se qualcuno gli avesse dato un pugno, il ricordo di ogni tentativo
fallito con Lily entrò con prepotenza nella sua testa, in un
collage d’immagini dolorose.
«La stessa che, ora, ha paura di te».
Arrivò poi l’ultima immagine che aveva di Lily,
non appena lo aveva risvegliato dopo il duello con Piton. Terrorizzata.
Non c’era altro modo per descriverla.
«E chi altri avresti?» fece poi l’Altro.
«Sirius, per caso? Il tuo fratello acquisito?»
L’Altro evocò nella sua mente l’evento
accaduto l’anno scorso. La peggior litigata mai avvenuta con
Sirius, tutto per la sua idiozia e la voglia di spaccare la faccia a
Piton. Remus era stato male per settimane e non gli aveva rivolto la
parola per quasi un mese.
«Oppure Remus, il ragazzo proveniente dal futuro che,
tuttavia, sembra non fidarsi abbastanza di voi da dirvi tutto quanto,
come chi sia questo Teddy».
Ci fu una sequenza d’immagini frammentate. Sguardi sfuggenti
di Remus, scambi di occhiate tristi fra lui e Dora, singhiozzi
provenienti dal bagno durante la notte.
«E c’è anche Peter, ma sai benissimo che
di lui non puoi fidarti».
L’immagine di uno spiraglio di luce, da cui proveniva
abbastanza distintamente il suono di Remus che minacciava il topo.
Aveva saputo che era stato lui a condannarli a morte.
«Poi ci sono anche le altre ragazze, ma quanto sai veramente
di loro? Certo, Emmeline l’hai conosciuta molto…
“approfonditamente” ma non si è mai
aperta a te… Non in senso figurato, almeno».
L’Altro rise. «Chi altro c’è?
Silente, forse? Ma sai quello che ha detto Remus, di quanto
può essere manipolatore quel vecchio bastardo. Poi? I tuoi
genitori? Quelli che ormai vedi solo la mattina e la sera,
d’estate, perché sono troppo occupati a lavorare
per occuparsi del loro unico figlio?» La sua voce si fece
immediatamente più bassa e cupa. E malvagia. «Sei
solo, James».
Così dicendo, l’Altro si drizzò,
brandì la spada e, con un colpo deciso, colpì il
collo di James, paralizzato dai pensieri, e facendolo scomparire in una
voluta di fumo bianco. Senza di lui, la stanza prese istantaneamente il
suo altro aspetto: un infinito corridoio di mattoni rossi, illuminati
di tanto in tanto da torce che facevano ben poca luce; era praticamente
tutto immerso nell’oscurità.
«Alla prossima, quattrocchi» disse
l’Altro, prima di far sparire la spada con un gesto secco
della mano.
Quando James aprì gli occhi, alzandosi a sedere
boccheggiando, la scena che gli si presentò davanti fu
piuttosto strana.
Charlus, Dorea e Madama Chips, intorno a lui, lo osservavano allibiti,
così come Evelyn, seduta sul letto accanto al suo con una
benda sulla spalla destra, e sua sorella. Remus, Sirius, Peter e Lily,
accanto alla porta, sembravano terrorizzati. Mary, invece, appariva
semplicemente preoccupata e allo stesso tempo incuriosita.
«Be’… salve» disse James,
ostentando un sorriso. «Come andiamo?»
Sirius esplose nella sua risata simile a un latrato.
La sfera di metallo era poggiata al centro della scrivania e
l’anziano mago teneva le mani sopra di essa. La sfera era
attraversata da motivi geometrici ed emanava un tenue bagliore azzurro.
«Cos’è?» chiese Remus, seduto
sul davanzale in pietra della finestra che dava sul parco. Dopo aver
avuto la certezza dell’incolumità di James si era
decisamente rabbonito, ma ancora non si fidava di Silente. Perlomeno
non gli urlava contro.
«Adesso vedrai» disse il professore. La luce
intorno alla sfera s’intensificò, diventando
sempre più abbagliante. Il colore ebbe poi un brusco
cambiamento, passando dal consueto azzurro delle Passaporte a
un’inquietante nero pece. La sfera si scompose, seguendo le
linee che costituivano le figure che, ora, roteavano in aria, senza
alcun legame palpabile fra loro, in orbita intorno a una massa oscura
ed evanescente. Silente prese da un cassetto della scrivania una fiala
di vetro e, con la bacchetta, guidò la sfera nera al suo
interno che si adattò al recipiente, come fosse liquida o
gassosa.
Il professore tappò la fiala e la sfera di metallo si
ricompose, atterrando con leggerezza sulla scrivania.
«Cos’è?» ripeté
Remus, avvicinandosi al tavolo, spinto dalla curiosità. Era
sicuro che Dora si sarebbe infuriata con se stessa per non aver
assistito a un evento così strano, ma era voluta rimanere
con la sorella in Infermeria.
«Durante l’attacco a Villa Potter, a
Godric’s Hollow, immediatamente prima di riportare indietro
Sirius e i Potter, questa sfera ha assorbito la magia Oscura, ed
estranea, che lo circondava, fungendo da magazzino per un campione da
esaminare».
«Un… Estrattore d’Essenza»
constatò Remus, che ancora stava elaborando la cosa.
«Esattamente» disse Silente, osservando con
attenzione l’energia che vorticava nella fiala.
«Fortunatamente, ho ancora qualche amico
nell’ufficio Misteri che può studiare la cosa. Se
gliela consegno ora, entro martedì dovremmo avere dei
risultati».
Remus sbuffò, scuotendo la testa.
«Quindi non ha mandato Sirius a Villa Potter solo per vedere
se, per caso, qualcuno avrebbe attaccato la casa, proprio come da
noi» disse, con la rabbia che lentamente tornava a prendere
il sopravvento. «L’ha sfruttato per prendere un
campione da analizzare. Proprio come un cane da riporto, eh? Gli dai la
palla e lui te la riporta con una sorpresina dentro».
«Remus, io ho dovuto…»
«La prego, stia zitto» lo interruppe Remus con tono
stanco. Girò le spalle al Preside e andò verso la
porta, poggiando una mano sulla maniglia.
«Una volta, lei ha detto che bisogna scegliere fra
ciò che è giusto e ciò che
è facile, me l’ha raccontato Harry»
disse Remus, senza voltarsi. «Be’, mi sembra che
lei abbia deciso per il facile, questa volta».
Aprì la porta e girò leggermente la testa.
«Questo mondo è più oscuro del nostro.
Marcio, direi. Non si lasci contagiare».
E si congedò.
James chiuse gli occhi e abbandonò la testa sul cuscino.
I suoi genitori, dopo molte proteste, erano stati mandati via, ora che
era chiaramente fuori pericolo. Remus, Sirius e Peter se
n’erano andati da un po’, tornando di malincuore
nella Sala Comune, cacciati dalla rigida Infermiera. Fino a quel
momento, era rimasto a parlare con Lily. Ogni volta che la guardava,
gli ritornava in mente la sua espressione terrorizzata che gli aveva
mostrato l’Altro. Era come una tortura: gli piaceva averla
accanto, lo tranquillizzava, eppure gli bastava guardarle il viso per
sentirsi afflitto dai sensi di colpa e dalla preoccupazione, che gli
serravano il petto e gli bloccavano il respiro.
Rimanere da solo era quasi un sollievo.
Si sentiva stupido per ciò che provava e si ripeteva che era
tutta un’illusione mentale generata dall’Altro, che
gli faceva diffidare delle persone che aveva vicino, tanto da non
desiderare più la loro presenza.
Eppure, non ne era del tutto sicuro.
Sala Comune di Tassoverde
Ma buonsalve a tutti!
Bentornati con questo nuovo capitolo di The Storytellers, che altro non è che la seconda parte del capitolo precedente, poiché l'autore era troppo pigro per finirlo tutto prima di pubblicarlo! Yeeee...
Okay, a parte gli scherzi, passiamo al capitolo (che, ovviamente, per voi è la cosa più interessante... credo). Allora, ricapitoliamo.
James incontra Harry nello stesso negozio della Apple in cui era andato Silente poco tempo prima e aveva incontrato sempre lo Sfregiato (che, evidentemente, è un cliente fisso). La spiegazione (teorie, in realtà) del perché di questi incontri ci sarà più avanti.
Contemporaneamente, Remus, incazzato come una bestia e senza pensare alle conseguenze, vuole pestare a sangue la nostra cara prof-vampira, seguito a breve distanza da Dora (che inciampa una volta sì e l'altra pure) ed Evelyn (che è l'unica sfigata a farsi male; a quanto pare il mio sadismo colpisce maggiormente i più piccoli, quindi aspettatevi questa quattordicenne morta a fine storia). Quest'ultima comincia a mostrare il suo lato inventivo, che sfrutterò all'ennesima potenza già dal prossimo capitolo.
Intanto, James ed Harry parlano del più e del meno, come se salvare o no Regulus, se la prof ha viaggiato nel tempo o quale modello di iPhone ha il miglior rapporto qualità-prezzo. Poi svaniscono nel nulla come i cupcakes che erano nel mio frigorifero l'altroieri. A Harry (per una volta) non succede un tubero, mentre James si ritrova a combattere un duello all'ultima nuvoletta contro l'Altro. Ovviamente perde (ma non prima che il caro malvagio di turno gli abbia detto qualche sensuale parolina all'orecchio in modo molto ambiguo) e si risveglia sul suo letto, per poi sparare la sua battuttina del cazzo giornaliera.
La scena torna a Remus che, un po' più tardi, parla con Silente e lo manda bellamente a farsi fottere. Go, Remus, go!
Poi di nuovo si torna a James, tanto che si va a pensare che sia lui il vero protagonista della storia (e forse è così, considerando che non c'è neanche un POV di Rem-Rem), che si fa le sue pippe mentali prima di andare a letto, con problemi filosofici tali che Platone & co. si sentono semplici apprendisti e Foscolo si chiede se, alla fine, James sia più sfigato di lui.
E così si conclude il capitolo... otto? O lo consideriamo sempre come numero sette, dato che è una "parte due"? Sono questi i drammi esistenziali, altro che "perché pagare quando prelevo col bancomat".
Credo di aver concluso i deliri e passo ai ringraziamenti.
Questi vanno alle 11 persone che hanno messo la storia fra le preferite, le 5 che l'hanno messa fra le ricordate e le (O.O) 40 che l'hanno sistemata fra le seguite. Inoltre, ringrazio di nuovo Hoon21, che mi segue fin dall'inizio, e Ma_AiLing, che è arrivata più tardi ma pare anche lei piuttosto affezionata alla storia (correggimi si sto scrivendo una boiata).
Ora, credo di aver decisamente finito.
Come al solito, vi invito a recensire (non chiedo poemi, solo piccoli pareri), ché le recensioni fanno sempre molto piacere, e a segnalarmi gli eventuali errori che non ho notato durante la revisione.
Alla prossima,
Hufflerin
EDIT: Come mi è stato fatto notare, Harry è clamorosamente OOC in questo capitolo. In effetti, avrei dovuto dare le dovute spiegazioni, ma preferivo lasciarle al prossimo capitolo (in cui, vi anticipo, ci sarà una breve scena ambientata nell'Universo d'Origine). Tuttavia, avrei dovuto prevedere che sarebbe stata una cavolata, per cui mi accingo a spiegarvi il perché di un Harry così particolare (probabilmente la spiegazione che sto per scrivere è identica a quella che inserirò nel capitolo, quindi siete liberi di leggere ora o di scegliere di aspettare un po' e riceverla dalla mente di uno dei personaggi).
A mio parere, Harry è riuscito a superare le morti di tutti coloro a cui voleva bene (a partire da Cedric in poi) solo con la volontà di sconfiggere una volta per tutte l'Oscuro Signore. Tuttavia, una volta ucciso Voldemort, Harry si è trovato da solo a dover affrontare tutte le morti della guerra, senza nulla che lo spingesse ad andare avanti, solo contro le morti di Sirius, Malocchio, Fred, Dobby e molti altri.
Ovviamente, Harry non è veramente solo ma le circostanze lo costringono a chiudersi in se stesso, a far emergere un altro lato di sé (quello cinico, pungente e diretto che avete potuto vedere) perché, se avesse mostrato la sua vera faccia, probabilmente sarebbe stato distrutto dal dolore che, al momento, si costringe a far uscire solo quando si trova in solitudine.
Per me è stato normale pensare che qualcuno, dopo un trauma del genere e senza (momentaneamente) nulla a cui aggrapparsi sia caduto nel baratro. Ha amici e una moltitudine di persone che gli vogliono bene, ma non riesce a vivere credendo di essere stato il responsabile della morte di tante persone. Per cui, non riuscendo a liberarsi del dolore, si è creato una nuova faccia che, tuttavia, chiunque conosca bene sa attraversare.
A un certo punto, comunque, tutti tornano in sé qualche modo e quindi ho pensato, seguendo la (poca) logica della mia fan fiction, e se fosse la speranza a fungere da interruttore per il ragazzo? La speranza che tutti i morti della guerra siano tornati in vita in un qualche universo, con le loro memorie e con la possibilità di ricominciare (non posso confermare che il Viaggio funzioni così, c'è ancora parecchia storia da narrare per scoprirlo).
La speranza, dopotutto, è l'unica cosa più forte della paura.
Ah, e un'altra cosa: il triangoletto comico delle Tonks più Lupin. Immagino che quasi tutti vi siate chiesti perché, in una situazione del genere, si scherza e si fanno battute. Be', questa è stata una decisione mia: non volevo che il capitolo fosse in qualche modo deprimente o fin troppo serioso (un po' va bene, ma con l'esagerazione si può arrivare anche ad annoiare, o almeno io la vedo così) quindi ho pensato di bilanciare un po' la cosa. Se, tuttavia, pensate che i personaggi siano OOC o che sia qualcosa di sostanzialmente inutile e/o scialbo, ditemelo e provvederò a modificare.