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Autore: KeyLimner    08/10/2013    0 recensioni
Una donna umiliata... violentata... ridotta all'ombra di se stessa... quasi annullata dall'impossibilità di veder riconosciuto il proprio valore. E un nuovo figlio di Dio che si accinge a calpestare la terra. Questi gli ingredienti di un mondo in cui è appena stato gettato il germe di qualcosa che ci è fin troppo familiare. A voi il compito di mettere insieme i pezzi...
Genere: Drammatico, Fantasy, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Il viaggio era stato lungo e faticoso. Ma adesso, eccoli giunti al termine delle loro peregrinazioni. In un luogo dove avrebbero potuto finalmente lasciar riposare le membra doloranti.
Marika era esausta.
Nella sua mente tormentata dal delirio della febbre continuavano ad agitarsi visioni convulse, ma le sue grida avevano smesso già da un pezzo di straziare l’aria, lasciando infine la notte imperturbata nella sua quiete. Il dolore delle doglie era ormai divenuto poco più di un’eco sorda. Avvertiva le fitte come da lontano, quasi appartenessero ad uno strano incubo in cui era stata immersa tanto a lungo da non provarne più terrore, ma solo una distaccata curiosità.
In quella sera di fermento (migliaia erano i Seguaci di Assal che tornavano in patria dopo un lungo esilio per celebrare il rito del Raduno), non una sola porta si era aperta innanzi a quella povera donna sull’orlo del parto. Tutti si erano affrettati ad allontanare quei due mendichi laceri quasi con disgusto… affinché la loro vista non si imprimesse troppo a fondo nelle coscienze.
Marika non avrebbe saputo contare le volte in cui, quella notte, aveva udito pronunciare la frase “mi dispiace”. Si meravigliò di quanta ipocrisia potessero contenere quelle due semplici paroline… spesso seguite da vane scuse sulla mancanza di cibo e posti letto; e dire che in un paio di circostanze poteva giurare d’aver intravisto dei giacigli vuoti dalle porte socchiuse delle camere.
Sembrava che nessuna casa, nessuna locanda, nessuna stalla (perché anche lì, nella loro disperazione, si erano ritrovati a chiedere ospitalità), avesse posto per loro. E tutti coloro ai quali Joshua aveva indicato la moglie, esclamando con aria supplice: «Non vedete che sta partorendo?!», non avevano saputo far altro che allargare le braccia come a dire “E io che posso farci?”.
Dal dorso della mula su cui sedeva da quando le gambe non avevano più retto il peso del suo corpo, Marika levò gli occhi allucinati. Fu allora che le apparve la Salvezza.
Una grotta.
Gli occhi colmi di lacrime, si volse al cielo punteggiato di stelle. E alla più luminosa, quella che splendeva come un pallido sole proprio nel centro della volta celeste. Quella a cui aveva indirizzato tutte le proprie preghiere.
«Grazie, Signore…», mormorò.
Poi si rivolse all’uomo al suo fianco e disse con fermezza: «Fermiamoci qui».
Questi arrestò la marcia di colpo. Lasciò cadere a terra le bisacce, che gravavano sulle sue spalle da quando la moglie era dovuta montare in groppa alla bestia, costringendolo a trascinarsi incurvato sotto il loro peso fin quasi a saggiare la polvere. Marika lo osservò senza un briciolo di pietà mentre si piegava ancor di più su se stesso per recuperare il fiato.
«Sei sicura?», rantolò l’uomo, la fronte aggrottata, quando fu di nuovo in grado di articolare suoni  intelligibili. «Questo non mi pare certo il posto più adatto per far nascere il nostro bambino».
«So io quale posto è adatto. Pensi che una madre non sappia riconoscere l’odore della terra che accoglierà suo figlio?», sbottò la donna con veemenza. «E poi… se non ci sbrighiamo a fermarci da qualche parte, il tuo bambino» - sputò quelle parole con la bocca colma di veleno - «vedrà la luce sulla ghiaia della strada».
Joshua non aprì più bocca per protestare.
 Marika seguitò a guardarlo con aria torva mentre si affaccendava per sistemare tutti i loro scarsi averi sul fondo della grotta. Provava ancora un acuto senso di fastidio per l’espressione da lui usata… “il nostro bambino”
“Questo bambino non ti appartiene più di quanto appartenga ai cani che ci abbaiavano da sotto i portici stanotte”, pensò con astio. “Lui è mio. Carne della mia carne. Sangue del mio sangue. È un prodotto del mio spirito… e di Colui che dall’alto lo sorveglia e lo protegge. Lui non ti appartiene.
Joshua distese una coperta sul freddo pavimento della caverna e ve la condusse a fatica, sostenendola col proprio corpo. La fece sdraiare cautamente. Anche attraverso lo strato di tessuto, però, Marika poteva avvertire l’asperità del suolo roccioso.
Per qualche tempo rimasero lì nel buio, in silenzio. L’unico rumore udibile era il respiro affannoso di Marika.
Poi, un grido proruppe dalle labbra della donna.
“Eccolo. È Lui. Sta arrivando”.
Un lampo di esultanza accese il suo sguardo folle in concomitanza con l’insorgere di quella prima violentissima fitta. Ecco. Il momento che attendeva da nove lunghi mesi… anzi, da molto più tempo, forse addirittura da tutta la vita… era finalmente giunto.
Chiuse gli occhi, lasciandosi pervadere dal sapore inebriante di quel dolore. Quale dolce agonia…
«È ora?».
Marika aprì gli occhi di scatto per lanciare un’occhiata assassina a Joshua, che la fissava da un cantuccio.
«Zitto», sibilò.
Sperò che questo bastasse a scoraggiarlo dall’interrompere ancora quel momento di estasi.
Ma ecco che un’altra fitta, ancora più acuta della precedente, le strappò un secondo grido, e la condusse di nuovo ad uno stadio superiore di coscienza.
Con sguardo stralunato, si volse verso il soffitto della grotta. Ma i suoi occhi non registravano già più il grigiore monotono della roccia. Adesso il suo campo visivo era popolato di spettri.
 
«Marika… dai ascolto a tuo padre! Marika…».
 
La donna si guardò intorno con aria spaventata.
Quella voce… Non era possibile. Non poteva essere tornata a perseguitarla dall’oltretomba dopo… dieci anni? Quindici?
Ritrovò in se stessa tutto il terrore della bambina in attesa della punizione. Si sentì di nuovo infinitamente piccola, in un mondo troppo grande per lei… piccola, e indifesa.
 
«Mamma… ma io non voglio… Ho paura…».
«Finiscila di fare la ragazzina».
Marika poteva avvertire la lieve esitazione nel tono di voce della donna, celata sotto l’apparente fermezza. Sapeva che non avrebbe osato ribellarsi a lui. Tuttavia, non poté trattenersi dall’attaccarsi ancora alla sua gonna, perché anche quella speranza disperata era meglio della terrificante prospettiva di seguire suo padre in quella stanza.
Ma sua madre se la scrollò di dosso con violenza.
«Marika, ubbidisci a tuo padre».
«Mamma… ti prego…».
«Niente preghiere. Conserva le preghiere per Assal. Hai undici anni ormai. Sei una donna, non più una bambina piccola, e devi imparare a comportarti come tale. E a ubbidire. E ora va’».
 
Quella visione del passato svanì assieme alla voce di sua madre, mentre la bambina spariva mesta nell’oscurità oltre la porta e la porta si richiudeva di scatto alle sue spalle.
Marika, che durante quel flash si era rannicchiata su se stessa come la ragazzina del ricordo, si raddrizzò di colpo, disgustata da quell’attimo di debolezza. Lei non era quella bambina. Non più. Adesso non era più sola e indifesa: era forte… e aveva Lui.
Era finalmente giunto il momento della rivalsa.
Sin dall’istante in cui aveva scoperto di portarlo in grembo, aveva saputo che Lui sarebbe stato l’Eletto… quell’Eletto di cui le leggende che le avevano raccontato tante volte parlavano come il portatore di un messaggio di salvezza. E anche lei sarebbe stata parte di quella salvezza.
Era convinta d’aver percepito il fiorire di quella vita fin dal principio, inconsciamente, come se la voce della creatura che andava formandosi nel suo ventre le sussurrasse timidamente dall’interno “Ehi… sono io… sono qui”. Allo stesso modo, aveva sempre saputo che quell’essere angelico non era - e non poteva essere - il frutto della brutalità a cui l’uomo al quale era stata venduta da suo padre alla tenera età di tredici ani l’aveva sottoposta quasi giornalmente. Egli non poteva essere che un dono dell’amore… dell’unico amore che fosse mai esistito nella sua vita: quello per il Signore… Assal.
Quell’amore era sbocciato per la prima volta quando Marika era ancora molto piccola.
Allora nella sua vita esisteva un solo faro: sua madre. La sua luce era incredibilmente fioca rispetto a quella che in futuro avrebbe illuminato la sua intera esistenza, splendendo come un sole dorato sulla sua testa… ma all’epoca non poteva ancora rendersene conto: i suoi occhi erano ancora avvezzi all’oscurità, ciechi come quelli di una talpa abituata a vivere nel sottosuolo. Nella penombra aveva visto la luce, nella penombra di una famiglia piena di conflitti di cui stentava a capire la ragione… e di cui… a dispetto della propria totale innocenza… finiva spesso per diventare succube.
Sua madre sapeva essere dolce e sensibile. Era fondamentalmente buona, anche se anni di lotte e sofferenza avevano finito per guastare in parte quella bontà, venandola di tratti oscuri. Ma per quanto cercasse sempre di tenerla sotto la propria ala, non era riuscita a proteggerla dalla furia di suo padre. Marika faceva fatica a comprendere gli scatti d’ira dell’uomo, che potevano esplodere in qualunque momento e per qualunque motivo - anche il più banale -, con effetti disastrosi per chiunque gli stesse intorno… sicché da lui non sapeva mai cosa aspettarsi. Ne aveva una paura matta.
Sua madre ogni tanto cercava di frapporsi fra il marito e la piccola - che sembrava costituire la sua valvola di sfogo prediletta -, ma sempre in modo piuttosto fiacco, e raramente con un esito diverso dal farsi coinvolgere anche lei dagli effetti di quell’ira irrazionale. Alle volte, Marika sentiva su di sé il suo sguardo colmo di rancore, e quel rancore la disorientava e la riempiva di insicurezza.
Poi… aveva conosciuto lui.
Era stata sua zia Miriel a mostrarle per la prima volta un acquerello del Re dei Cieli, su di una cartolina per un evento organizzato dalla Confraternita di cui faceva parte. Era stata subito affascinata dall’immagine di quel Padre dall’aria bonaria, che la guardava dritto negli occhi con le braccia aperte in segno di accoglienza.
Miriel, notando il suo interesse, si era immediatamente adoperata per procurarle tutto il materiale possibile su Assal e sulla dottrina professata dai suoi Seguaci. Ogni volta che andava a trovarli - e accadeva spesso - le raccontava nuove storie sul modo in cui il Signore aveva creato il mondo a partire dall’acqua, sulle prime creature che avevano calpestato la terra… per ultimi gli uomini, cui Assal aveva affidato il compito di dominare su tutto il creato in sua vece… e infine sulle vicende che si erano succedute dopo la cacciata degli uomini dal Regno dei Cieli, intessute da incessanti - anche se pieni di contrasti e ambivalenze - rapporti con il divino.
Assal assumeva a tratti le sembianze di un padre premuroso e compassionevole, sempre pronto a perdonare… a tratti di un padrone severo, che somministrava punizioni terribili ai suoi sottoposti. Ma pure in quelle punizioni, diceva la zia Miriel, egli non era mai guidato da cattive intenzioni: era solo per essere d’insegnamento ai suoi figli che a volte li trattava con durezza.
Assieme ai precetti religiosi, Miriel le parlò anche delle varie attività della Confraternita. Marika era affascinata da quel complesso insieme di rituali che si svolgevano al suo interno… ciascuno col suo significato e col suo preciso scopo… che sembrava creare una fitta rete in cui ogni cosa aveva un suo posto e tutto - a differenza del mondo a cui era abituata - seguiva un preciso criterio di ordine… e continuava a  tempestarla di domande. Finché, un giorno, la zia non le propose di seguirla ad una riunione della Confraternita. Naturalmente, la bambina fu felicissima di accettare l’invito.
Sua madre parve un po’ sorpresa quando la figlia avanzò quella richiesta, ma non si oppose… pur non incoraggiandola apertamente. Neanche suo padre ebbe nulla da ridire.
Quando la bambina entrò nell’edificio che avrebbe ospitato la riunione si sentiva un po’ in soggezione, ma fece presto ad abituarsi: l’ambiente era piuttosto raccolto, e le persone cordiali; sembrava non vedessero l’ora di accoglierla tra di loro… il che per lei era una cosa talmente nuova e inaspettata da mandarla in visibilio.
La riunione fu estremamente piacevole.
I presenti si sedettero in circolo, ognuno col suo libro intarsiato in mano. Marika seguiva da quello di sua zia… e anche se non capiva una parola, scorreva con lo sguardo le figure che illustravano le pagine… che ormai conosceva a memoria da tempo ma non si stancava mai di ammirare. Ciascuno lesse un passo del libro, qualcuno corredando la lettura di un commento personale. Poi tutti insieme recitarono le preghiere e intonarono una cantilena. Marika si sforzò di star loro dietro mentre cantavano. Dopodiché la riunione fu sciolta. Alcuni dei signori che erano stati con loro la salutarono con una stretta amichevole, il che da una parte la spaventò, non essendovi abituata… dall’altra la riempì di calore.
Ma la folgorazione vera e propria avvenne poco dopo.
Dopo la riunione, Miriel la condusse all’interno di un tempietto sotterraneo, in cui si trovavano le tombe di una decina di famiglie riunite in una serie di nicchiette, fra le quali campeggiavano alcune immagini sacre. Tra queste, una colpì particolarmente la sua attenzione. Si trattava di una scena della creazione, in cui Assal tendeva la mano per accarezzare il corpo nudo dell’uomo che aveva appena forgiato dall’acqua di una sorgente. In quella raffigurazione, Dio aveva sembianze umane, anche se l’espressione di atavica serenità che campeggiava sul suo volto e l’aura dorata che lo circondava tradivano la sua natura divina. C’era una tale tenerezza nel suo gesto… un amore così meravigliosamente totalizzante… che nel vederlo sentì qualcosa smuoversi dentro di sé. Quell’immagine le parve tutt’a un tratto l’emblema stesso della perfezione, malgrado la semplicità del disegno e la piattezza dei colori. Per un attimo vide se stessa nei panni dell’uomo che giaceva sotto la carezza di Assal con la pura ingenuità di un bambino, e poté sentire su di sé il calore di quella mano rassicurante. “Io sarò sempre con te”, disse una voce grave nella sua mente, che riconobbe come la sua. E da quel momento seppe che sarebbe stato sempre così. Lui sarebbe sempre stato lì a proteggerla.
Prese a partecipare assiduamente a tutti i rituali della Confraternita. Non saltava mai una riunione, e recitava tutte le preghiere prescritte, attenendosi scrupolosamente alla serie di proibizioni ed obblighi che le erano stati impartiti dai membri della congrega. Nel frattempo, continuava ad approfondire la conoscenza dei testi sacri.
I suoi genitori accolsero con sorpresa, ma tutto sommato con indifferenza, la sua nuova devozione. Erano anche loro parte della comunità assalica, ma non erano mai stati particolarmente religiosi: si limitavano a osservare in modo pedissequo i più importanti precetti imposti dal loro credo, più per abitudine che per altro, e non partecipavano mai alle riunioni. La dedizione quasi ossessiva della loro figlioletta sembrava una cosa incomprensibile per loro… ma lasciarono che la piccola traesse conforto da essa.
Era poi giunta anche per lei il momento della fioritura. In età ancora piuttosto tenera - aveva a malapena nove anni - il suo corpo aveva iniziato pian piano a trasformarsi, e su di esso si erano disegnate nuove morbide forme. Quelle rotondità sconosciute la impacciavano. La facevano sentire come se il suo corpo non le appartenesse più. E come se non bastasse, in concomitanza con questi cambiamenti, gli occhi di suo padre avevano cominciato di colpo a guardarla in modo diverso. Un’attenzione che la riempiva di terrore… e che non aveva tardato a sfociare in qualcosa di più che una muta contemplazione. Marika ricordava bene… e un brivido la scuoteva sempre ogni volta che rievocava quel ricordo… la prima volta in cui aveva sentito le sue mani lascive insinuarsi sotto la casacca. Ricordava bene il tocco di quelle mani sudaticce, e la paura… la vergogna… l’umiliazione… l’insolubile conflitto tra il desiderio di fuggire e la consapevolezza di dover ubbidire.
Ma adesso tutto questo era finito.
Marika scosse il capo, strappandosi da quell’oscura nebbia di ricordi dolorosi, e proprio in quel momento sentì giungere l’ultima serie di contrazioni. Le più forti. Poco tempo dopo, udì un pianto sommesso.
I suoi occhi si riempirono di lacrime.
Non riusciva a contenere l’emozione. Era troppo forte… e il suo cuore troppo debole per sopportarla. Attraverso gli occhi offuscati vide Joshua levare quel corpicino rosa davanti ai suoi occhi, e le parve la cosa più meravigliosa e perfetta del creato. Nient’altro pareva esistere. Tutto sembrava essere stato spazzato via dalla straordinaria bellezza di quella creatura.
Quando l’uomo adagiò il bimbo fra le sue braccia, Marika lo accolse con una sensazione di muto stupore. Era così minuscolo… Possibile che un potere così grande fosse racchiuso da fattezze tanto minute? Ma sapeva che l’apparenza trae in inganno. Le sembrava tutto così incredibile… quasi fosse parte di un sogno. Un sogno da cui temeva di svegliarsi da un momento all’altro.
Poi realizzò di colpo.
Lui era lì. Non più una speranza… un’idea… il fantasma di un futuro di luce… ma una presenza concreta. Era lì, ed era suo. Solo e soltanto suo. Come niente prima d’allora.
A quella consapevolezza, un sorriso di una dolcezza infinita le curvò le labbra.
Cullò il bambino finché non si fu tranquillizzato. Quando finalmente ebbe smesso di piangere, lo guardò dritto in volto. Lui la fissò di rimando, con gli occhietti grigi spalancati.
«Benvenuto tra noi», mormorò, con voce appena udibile, perché le parole che stava per pronunciare erano indirizzate a lui e soltanto a lui. E - a voce ancora più bassa - aggiunse: «Benvenuto sulla terra, Principe dei Cieli. Questo è e sarà per sempre il Tuo Regno. Benvenuto, Figlio di Dio».

 
  
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