Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: GreMisia    08/10/2013    8 recensioni
[“Non posso crederci! Di nuovo!”.Harry si girò di scatto, le guance infuocate per essere stato colto nel fatto, cercando di coprire, inutilmente, con le mani il più possibile lo schermo del computer.“È inutile, ormai ti ho visto” sbuffò il suo migliore amico, lasciandosi cadere su un soffice puff verde acido a lato del letto.“Sei un caso perso” aggiunse, iniziando a giocherellare, distrattamente, con le bretelle rosse.Harry rivolse uno sguardo colpevole al computer che aveva spento per l’agitazione; Louis, aveva proprio, proprio ragione, ma non poteva farci niente.] una pazza ZARRY ;)
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
II PARTE



DUE ANNI DOPO
 
 
 
 
Image and video hosting by TinyPic


C’erano un sacco di cose che Harry aveva scoperto, lasciandosi dietro alle spalle i noiosi e lamentosi sedici anni e approdando felicemente ai diciannove, sentendosi un orgoglioso semi-adulto.
 
La prima era stata quell’estate di due anni fa, che sì, il bel capitano Jake tifava veramente per la sua stessa squadra e perdendosi un pomeriggio, al campetto da calcio, ad ammirare i suoi morbidi capelli biondo cenere, illuminati dalla luce del sole, che si attaccavano alla sua fronte dalla pelle abbronzata, madidi di sudore, aveva ritrovato i suoi caldi occhi marroni nei suoi adoranti, ed era bastato.
 
Quell’estate aveva perso la verginità.
 
 Aveva sentito, per la prima volta in vita sua, come potesse essere e cosa volesse veramente dire, avere la pelle calda di qualcuno spalmata addosso, ed era tutto un altro mondo.
Non aveva niente a che vedere con l’abbraccio appiccicoso di un Louis senza maglietta, durante una partita.
C’erano respiri profondi, dei lunghi brividi, graffi, dolore ed eccitazione, mani e gambe intrecciate ed era anche un difficile gioco di concentrazione.
 
Ma della serie non è tutto oro quel che luccica, Jake era soltanto bello, nulla di più ed era servito a Harry per capire che anche il sesso lo era, e molto.
 
Aveva iniziato a capire che le persone dicono tante cose, ma può succedere che facciano il contrario, che la vita è davvero imprevedibile e può succedere veramente di tutto.
 
Come la signora Baker, la sua vicina di casa, lei era sempre stata lì con i suoi biscotti secchi e ammuffiti, il suo tè macchiato di latte, troppo zuccherato e i suoi otto gatti con i nomi più sgangherati del mondo.
 
 
Tutti i santi giorni usciva di casa e li richiamava a raccolta sul giardino dall’erba alta e non curata per dargli da mangiare crocchette e avanzi, e a Harry piaceva osservare  come accorrevano in massa ad un semplice fischio e si gettavano l’uno sopra l’altro per guadagnarsi il cibo, che, comunque, sarebbe bastato per tutti.
Quando era più piccolo, aveva l’abitudine di andare a trovarla ogni domenica pomeriggio e prendere il tè con lei e sua madre tutte le volte lo ammoniva con un non prendere quei biscotti Harry! Solo il tè! E senza latte!  
 
Ma Harry li aveva mangiati lo stesso e non era mai morto.
 
L a signora Baker, invece, sì.
 
L’estate dei suoi diciotto anni aveva, probabilmente, deciso che i suoi gatti erano diventati abbastanza forti e in gamba per potersela cavare da soli o forse, più semplicemente, ne  aveva  avuto abbastanza di biscotti secchi  e ammuffiti e tè troppo zuccherato e aveva deciso di prendersi un comune  infarto, lasciandogli il rimpianto di non esserla più andata a trovare e uno scontrino, scarabocchiato con della penna rossa, dove dichiarava che Uovo Fritto, con quel suo pelo rossiccio e arruffato,  era suo.
 
Quella volta comprese che la morte esisteva veramente e che era stato solo molto fortunato a non averla incontrata prima, ma la vita intorno continuava ad andare avanti e i sette gatti, quasi sicuramente, avevano trovato altre vecchiette da cui racimolare avanzi, a parte, naturalmente, Uovo Fritto.
 
Lui se l’era portato a Londra, nel suo nuovo appartamento ed era diventato uno dei suoi migliori amici.
 
E come la signora Baker, che era sempre stata un punto fermo della sua vita, se n’era andata, tante altre cose, però, erano arrivate ed erano cambiate.
 
Louis, che era sempre stata una persona sicura e ferma sulle proprie decisioni, come aveva detto sotto quel cielo stellato di quell’estate di due anni fa, era partito in autunno per l’università a Londra, ma dopo un mese e mezzo aveva smesso e trovato un posto fisso come commesso  in un enorme negozio di elettronica.
 
C’era anche un’altra cosa che aveva detto e Harry gli avrebbe rinfacciato a vita, anche solo per il gusto di prenderlo semplicemente in giro e per aver trovato, finalmente, il punto debole di Louis Tomlinson, non che, in un certo senso, non fosse mai stato evidente. 
 
Louis aveva rifiutato e avvilito la povera Eleanor Calder, che, veramente, le aveva tentate tutte per attirare la sua attenzione, ma il ragazzo dalla buffa frangetta castana non poteva pensare, come aveva già affermato sempre durante quella notte stellata, di impegnare la sua testa e sprecare il suo tempo a ridosso dalla partenza per Londra, e non poteva certo prevedere che il giorno della sua partenza Liam l’avrebbe abbracciato forte, così forte da fargli cadere il borsone dalla spalla e, fregandosene degli sguardi  complici che Harry e Niall si stavano scambiando, gli avrebbe sussurrato un piagnucoloso non andare.
 
Harry sapeva che il suo migliore amico poteva tenere testa a qualsiasi cosa, ma non a quello, ed era finalmente arrivato il momento di svuotare  il sacco.
 
L’anno dopo fu il turno di Niall e Liam di lasciarlo.
 
Liam, dopo aver fatto domanda ed essere stato preso tra i pompieri, si era trasferito  a Londra da Louis, seguito da Niall che si era iscritto all’università per studiare musica, dopo aver passato un’intera estate in Irlanda, abbandonandoli, per ritornare nella sua vera patria, a casa dei suoi nonni e passando tutto il tempo di locale in locale a suonare.  Due settimane dopo  erano andati a trovarlo ed era stata  la loro, prima, vera e ufficiale vacanza insieme, senza genitori e tende, a parte, chiaramente, i nonni di Niall; era stato uno spasso.
 
E, poi, era toccato anche a Harry, che aveva aspettato un intero anno trepidante, valutando tutte le opportunità che avrebbe potuto avere davanti, e alla fine aveva scelto.
 
Il canto? Neanche per sogno.
 
La vita cambiava, giusto? Il canto era una storia chiusa e, ogni volta che disgraziatamente incappava in quel video che due anni fa aveva registrato con il suo amico irlandese, avrebbe voluto scavarsi una buca sottoterra profonda ventimila metri.
 
Oltre ad iniziare a capire come girava il mondo, c’erano anche delle cose che aveva iniziato a coltivare in quei due anni.
 
La fotografia.
 
La risposta a tutti i suoi perché era stata perché non provare a studiare fotografia? Che in realtà era un’altra domanda… C’era sempre stata quella passione in Harry, la voglia e il desiderio di bloccare attimi di vita, soltanto non aveva afferrato il modo, fino a quel tempo.
 
Avrebbe potuto fare una foto alla signora Baker proprio nel momento in cui fischiava, lì in mezzo all’erba alta, con quelle sue labbra rugose e i capelli bianchi raccolti in una crocchia trasandata, ma non l’aveva fatto e per quanto potesse sembrare ridicolo, si era reso conto che la memoria non gli bastava.
 
Che avrebbe voluto immagini deficienti di Liam, Louis e Niall ovunque sulla parete della sua stanza, riuscire a cogliere lati di sua sorella Gemma e sua madre Anne che con i soli occhi non poteva e catturare quelle piccolezze, come l’ultima foglia secca di un albero nel parco o una goccia di pioggia tremolante sulla vetrata della cucina, che il giorno dopo non avrebbe sicuramente ricordato.
 
Così aveva raccolto tutti i suoi risparmi e aveva comprato una macchina fotografica e, finalmente, anche lui si era trasferito in quell’appartamento di matti, una volta diplomato.
 
***
 
 
 “Benvenuto al Paradiso Del Pollo”
 
Va bene, l’unico lavoro part-time che era riuscito a trovare non era esattamente il massimo.
 
In realtà, diventava terribile se si fermava a pensare all’orripilante copricapo a forma di pollo che ogni giorno era costretto a indossare e al suo capo, che era praticamente un pazzo, con un culto per tale pollo e guai chiamarlo così davanti a lui! Era Rocky, la loro mascotte e andava trattata come una divinità.
Diventava sopportabile perché non era particolarmente stressante, e per le poche ore che lavorava, guadagnava anche discretamente.
 
“Ma non abbiamo solo pollo” aggiunse, con lo sguardo ancora rivolto verso il monitor della cassa, sussurrando, perché era quasi impensabile, ma il pesce fritto era  meglio del pollo in quel posto e anche i dolci erano buoni.
 
“Ho chiamato per un asporto mezz’ora fa”
 
La voce quasi annoiata ma calda del cliente gli fece alzare lo sguardo e wow.
 
Un ragazzo più o meno della sua età stava dall’altra parte del bancone e a Harry gli ci volle un secondo per realizzare che sì, era ancora dentro quello stramaledetto fastfood e non a un ritrovo per modelli di Dolce e Gabbana, un altro per scacciare quel dannato prurito dalle mani che richiamavano l’uso imminente della sua macchina fotografica e un altro ancora, forse più, per fare uno scanner completo.
 
Giubbotto di pelle marrone, maglietta bianca, Jeans stretti e neri, non particolarmente alto, un fisico asciutto, ma con i muscoli giusti.  Lineamenti del volto praticamente perfetti, e non perfetti nel senso che potevano sembrarlo, no, no erano perfetti nel vero senso della parola.
Zigomi alti, labbra carnose, naso dritto e a punta, occhi veramente, veramente enormi e di un denso nocciola con ciglia scure e chilometriche, una barba nera distesa sulla pelle ambrata e dei folti capelli altrettanto neri, rasati ai lati.
 
Praticamente tutto quello che Harry avrebbe chiesto dalla vita.
 
“Stai bene, amico?” gli chiese all’improvviso la creatura senza nome, con un sorriso appena accennato e uno sguardo un po’ seccato,  risvegliandolo dalla sua radiografia e dai suoi pensieri.
 
“Uh, uh, sì” cercò di riprendersi “tutto bene” disse, esibendo uno dei suoi sorrisi tutto fossette, cercando veramente di non pensare a come dovesse abbinarsi a quel dannato cappello a forma di pollo “a che nome?” chiese, cortesemente, sperando che con tutto il tempo che aveva perso a sbavare non avesse fatto freddare il suo cibo in cucina.
 
“Zayn” rispose l’altro, iniziando a tamburellare le dita lunghe sul bancone.
 
Fu in quel momento che Harry ringraziò per la prima volta nella sua vita Rocky il pollo e la moltitudine di penne che stavano ricoprendo i suoi riconoscibili capelli ricci.
 
Ma non poteva essere.
 
Andiamo Harry! Sai quanti Zayn esistono nell’universo?
 
E poi anche se fosse stato lui: numero uno, sicuramente non l’avrebbe mai riconosciuto, perché se il ragazzino Zayn Malik, per cui aveva preso una cotta cybernetica e senza senso  all’età di sedici anni, si era trasformato in un fotomodello di Vogue, anche lui aveva fatto il suo cambiamento esteriore, numero due a malapena si sarebbe mai ricordato di quel vergognoso video, quindi sarebbe stato salvo in qualunque modo e numero tre, riconducibile alla domanda sopra esposta, non era assolutamente detto che fosse lui.
 
Certo che quelle ciglia così lunghe…
 
“Ehi” lo richiamò, nuovamente l’altro, riportandolo di nuovo al presente.  Sicuramente, adesso, qualunque fosse stato il suo ordine, sarebbe stato freddo.
 
“Cognome?” gli uscì dalle labbra come un riflesso.
 
“Come, scusa?” chiese, inarcando un sopracciglio, iniziando a essere veramente seccato.
 
“Hai dato solo il nome per l’ordine o anche il cognome?” si spiegò, stupidamente cercando di arrampicarsi sugli specchi e cercando di non balbettare.
 
“Zayn Malik!” sbottò l’altro “Adesso posso avere il mio benedetto pollo al curry sicuramente freddo?!” le dita che prima tamburellavano sul bancone, adesso erano ferme e chiuse in un pugno stretto e minaccioso.
 
“Sì, subito!” disse, correndo subito in cucina, nascondendo il volto rosso e infuocato per la vergogna.
 
Afferrando dal suo capo l’ordine freddo e beccandosi una strigliata perché il suo servizio era troppo lento e lui non aveva intenzione di riscaldare l’asporto e soprattutto aveva il cappello storto, Harry pensò che oltre a cambiare e a essere imprevedibile, la vita era proprio una stramaledetta fregatura, una merda, una vigliaccheria!   
 
Fottuto Zayn Malik, doveva venire a ordinare pollo al curry proprio al Paradiso Del Pollo?
 
 
“Ecco” disse, porgendo la busta al ragazzo, che l’afferrò  ancora con l’espressione accigliata “mi dispiace se si è raffreddato” disse afferrandogli i soldi e dandogli qualche monetina come resto “so che questo non ti restituirà un piatto caldo ma…” aggiunse accennando un sorriso e iniziando a frugare sotto il bancone tirò fuori i quattro assortimenti di sorprese per il menù baby “tieni,  sono più preziosi di quello che sembra” ed era vero, avrebbe potuto perdere il posto di lavoro per aver ceduto le sorprese di Rocky, soprattutto nella settimana del supereroe.
 
Il ragazzo di fronte a lui si ammutolì per qualche secondo poi scoppiò a ridere e fu come scoprire un’altra dimensione.
 
Perché poteva ridere?
Non era giusto che creature del genere avessero anche la facoltà di ridere.
 
“Tu” disse afferrando le sorprese “sei veramente strano” aggiunse iniziando a fissarlo intensamente.
 
Troppo intensamente, e fissava la sua maglia, intensamente, che cosa aveva la sua maglia? Lo sapeva che la divisa era di un giallo sbiadito ma c’era bisogno di guardarlo così?
 
“Grazie, comunque” disse e gli tese una mano.
 
Poté sentire il sedicenne Harry Styles dentro di sé strapparsi i capelli da pecora e urlare di gioia come un ossesso:  NON POSSO CREDERE CHE STAI VERAMENTE PER TOCCARE ZAYN MALIK!
 
“Il tuo nome?” chiese l’altro, perché Harry evidentemente l’aveva dato per scontato e questo era un problema.
 
“Edward” disse cercando di convincere anche sé stesso.
 
Zayn inarcò nuovamente un sopracciglio, lo sguardo pesante di nuovo su di lui.
 
Ma era così orribile?
 
“Va bene Edward, grazie” disse e afferrando il suo bottino accennò un saluto e se ne andò.
 
***
 
La risata acuta di Louis Tomlinson riempì in modo quasi assordante l’intero spazio del loro appartamento, riuscendo in quello che era il suo principale obiettivo: farlo sentire una piccola e insignificante cacca.
 
“Non posso credere che gli hai veramente regalato le sorprese di quello stupido Pollo, con quello stupido cappello in testa!” disse, piegandosi in due dalle risate, facendo vibrare tutto il divano e disturbando così il sacro e interminabile riposo di Uovo Fritto.
 
Harry sbuffò, appropriandosi subito di un pezzo di pizza che gentilmente Liam gli aveva messo da parte sopra il tavolo della cucina e sicuramente salvato dalle fauci di Niall “A Liam piacciono quelle sorprese!” disse risentito, solo per principio, in realtà, perché Rocky era un pollo veramente ridicolo.
 
“Liam è una persona gentile” commentò l’altro, lanciandogli un’occhiataccia.
 
“A proposito, dov’è?” chiese, notando che stranamente, non era sdraiato in versione polipo sul divano con lui e sentendo uno strimpellio familiare dal corridoio, indizio, invece, che Niall c’era.
 
 “A correre” spiegò il più grande “Beh? Gli hai finalmente dichiarato il tuo amore morboso e malsano da eroina del dramma?” chiese, inarcando un sopracciglio e continuando a sghignazzare.
 
“Chi è morboso e malsano? Harry?” disse Niall, spuntando dalla sua camera, con la chitarra a penzoloni dietro la schiena e indossando dei calzini bianchi sulle mani.
 
“Chi sarebbe quello malsano?” chiese Harry, guardandogli esplicitamente le mani.
 
“Oh” disse l’altro “esperimento” spiegò, sorridendo e sventolando le mani, come se fosse la cosa più normale al mondo.
 
“Comunque no!” riprese, riportando l’attenzione verso Louis e addentando di nuovo la sua pizza “non mi ha riconosciuto e ho fatto in modo che non lo facesse”.
 
“Che vuoi dire?” chiese il più grande, confuso.
 
“Di cosa state parlando?” domandò, interrompendoli di nuovo il biondo, impegnato a tirare dei filetti bianchi dai calzini.
 
“Il nostro Harry qui ha appena servito del pollo freddo niente di meno che a Zayn Malik ” spiegò Louis con un sorriso sornione.
 
“Quello Zayn Malik?” chiese Niall, sgranando gli occhioni blu.
 
“Quello Zayn Malik” annuì Harry “ma” tentennò un attimo, perché dentro di sé sapeva che sarebbe stata la condanna a una lunga e infinita presa in giro “gli ho dato un nome falso”.
 
“Tu che cosa?!” sbottò Louis, facendo sobbalzare Uovo Fritto che piuttosto seccato, scese dal divano e andò verso la stanza di Liam, il suo rifugio preferito.
 
“Che nome?” chiese Niall, strofinandosi il naso con un calzino.
 
“Edward” ammise, abbassando la testa.
 
“Tu hai qualche problema!” disse l’irlandese, scoppiando a ridere, seguito subito da Louis.
 
“Ehi! Non sono io quello che sta indossando calzini sulle mani!” protestò indicandogli, di nuovo, le mani.
 
“E’ un esperimento!” si difese, ancora, l’altro.
 
“Povero Harold” lo prese in giro Louis, con le lacrime agli occhi, ormai completamente disteso sul divano.
 
E ti pareva.
 
Alla fine era sempre così.
 
Ormai, però, la sua figura di cacca l’aveva fatta;  l’ennesima, in realtà, con Zayn Malik.
Ma chi l’avrebbe rivisto più? Doveva soltanto gioire del fatto che era riuscito sul serio a vederlo, almeno questo sfizio se l’era tolto.
 
 
“Oh ciao! Harry!”
 
Un Liam tutto sudato in versione jogging fece il suo ingresso sorridente, ma iniziò subito a guardarlo incuriosito, notando gli altri due piegati dalle risate.
 
“No, tesoro” lo corresse subito Louis, drizzandosi sulla schiena e alzando un indice verso il ragazzo riccio
“chiamalo Edward”.
 
***
 
 
Ok.
 
No, ma andava tutto a gonfie vele.
 
Quella mattina la sveglia sul cellulare non era partita e contando che già normalmente, era solito fare almeno quindici minuti di ritardo, era partito di casa sapendo che avrebbe perso la prima lezione.
Anche per forza, perché oltre alla sveglia e ai soliti quindici minuti, s’era aggiunto Louis che aveva il giorno libero e aveva occupato il bagno, vai a capire per quale motivo.
 
Arrivato all’università, si era reso conto, infatti, che aveva perso un’ora e ne mancava ancora un’altra.
 
Così aveva deciso di mandare un messaggio a Niall, che pur frequentando un corso diverso si trovava comunque all’interno dello stesso edificio, e di fare colazione insieme, sicuro che, anche se l’irlandese prima di partire era riuscito a farla, l’avrebbe rifatta,  e che in quel momento avesse appena terminato le sue prime ore di lezione.
 
Aveva scattato numerose foto del biondo impegnato a divorare una ciambella, con la glassa rosa e zuccherosa, perché un Niall, nell’atto predatorio della colazione, era veramente uno spettacolo degno di essere ricordato tutti i giorni e anche alcune della ragazza che lavorava nella caffetteria, con le sue ciocche di capelli  fucsia, raccolte in due simpatiche code,  mentre con un’espressione corrugata e concentrata tentava di dare il resto ad un ragazzo che l’aveva riempita di monetine.
 
Subito dopo erano usciti a fare una passeggiata lì intorno e, mentre Niall parlava di come fosse stato esilarante suonare con dei calzini sulle mani e che una volta avrebbe voluto provare a suonare la chitarra con i denti come il grande Jimi Hendrix, Harry guardava il mondo attraverso il suo obiettivo.
 
C’erano tante persone che correvano con mille fogli tra le braccia, ad un uomo ne volò uno e finì dritto dentro il cestino.  Click.
 
Un uccello, una specie di piccione che raccoglieva le molliche sparse per il marciapiede, senza una zampa; chissà, forse l’aveva persa durante  una battaglia per ottenere l’amore della sua picciona.  Click.
 
Il suo professore di storia della fotografia, veramente un bell’uomo, che mangiava un panino seduto sulla panchina e cercava di togliere le briciole incastrate nel  maglione di lana.  Click.
 
Niall che continuava a parlare a vanvera di chitarre e a elencare tutti i tipi di marche esistenti, sputacchiando qua e là per la foga e l’entusiasmo, rischiando di sporcargli la macchina fotografica.  Click.
 
Una scarpa abbandonata, in mezzo al prato davanti  all’università, per essere precisi una converse verde, vecchia e bucherellata.  Click.
 
Zayn Malik che fumava seduto da solo, sulle scale, con lo stesso giacchetto di pelle marrone e i jeans neri, ma una maglietta rossa. Click.
 
Click, click, click, click, click, click, click, click, click, click, click, click, click, click.
 
“Harry?”
 
Niall cercò di riportarlo alla realtà, ma era tutto inutile, l’indice sul tasto della sua preziosa macchinetta fotografica era come incantato.
 
Quello sì che valeva la pena di  essere ricordato, dannazione! Quelle labbra così piene e scure che lasciavano uscire una densa e lenta nuvoletta di fumo grigia.
Le maniche del giacchetto arricciate in modo disordinato e quei tatuaggi, tutti quei tatuaggi, chissà se ne aveva più di lui?
 
Crescendo, Harry aveva sviluppato una vera e propria mania per quelli,  probabilmente aveva una mania per tutto quello che non poteva essere cancellato, a parte quell’orribile video su Youtube, che avrebbe voluto cancellare in qualsiasi momento, ma era sull’account di Niall e per evitare ciò, l’irlandese aveva sempre cambiato la password in continuazione e cercare di scoprirla significava entrare nei meandri della sua mente contorta: operazione impossibile.
 
“Harry! Che Diavolo!” sbottò seccato Niall, accorgendosi alla fine dove fosse riposta tutta la sua attenzione “Oh” disse,  inclinando la testa e squadrando il ragazzo moro seduto sulle scale, ignaro di tutto “Chi è?”.
 
Harry allontanò la macchinetta dal volto e inarcò un sopracciglio, come per dire non sembra così ovvio dalla mia espressione ebete?
 
“No!” esclamò l’irlandese sorpreso “Che ci fa qui?!” chiese , subito dopo.
 
Ed Harry gli riservò la stessa identica espressione di prima, perché che diavolo ne sapeva lui? Già era abbastanza sconvolto per il fatto di esserselo ritrovato davanti due giorni di seguito dopo anni in cui aveva pensato che poteva dimenticarsi, per una volta, l’intera faccenda della sua stupida cotta adolescenziale con annessa figura di merda.
 
“Probabilmente è uno studente dell’università” disse Niall, iniziando ad accarezzarsi il mento come un personaggio appena uscito da un poliziesco.
 
Harry ringraziò il mondo che fossero  abbastanza lontani e che non potesse vederli, non che sospettasse che si sarebbe ricordao dello stupido ragazzo del Paradiso Del Pollo di nome Edward, ma l’espressione di Niall era davvero idiota e se il giorno prima non aveva riconosciuto lui, beh, Niall era impossibile non riconoscerlo.
 
“L’hai mai incontrato a Musica?” chiese, ma Niall scosse la testa e sicuramente non era uno studente di qualsiasi anno dei suoi corsi perché il biondo conosceva praticamente tutti.
 
“Potrebbe fare Teatro o Arte” disse l’altro.
 
“Potrebbe, Watson, potrebbe” disse ridacchiando e scompigliandogli i capelli “Adesso sarà meglio che vada o perderò anche questa”.
 
Niall sghignazzò “E passi per lì?” disse indicando l’ingresso e ancora Zayn seduto, indisturbato, sulle scale.
 
“Non ho intenzione di entrare per la finestra” ammise, facendo spallucce.
 
“Me la godrò da qui”.
 
Dopo avergli mostrato il dito medio, iniziò ad incamminarsi verso l’ingresso dell’università appellandosi a tutti i Santi  e dei dell’universo, sperando di passare inosservato e che senza la presenza di Rocky in testa fosse più insignificante.
 
“Ehi!”.
 
Mai una dritta.
 
“Ciao” disse bloccandosi, proprio davanti al bellissimo ragazzo seduto sulle scale, che schiacciò la sigaretta, appena finita con la scarpa.
 
“Edward, giusto?”
 
Harry annuì, cercando di non scoppiare a ridere e aggrappandosi alla cinghia della sua macchina fotografica, sentendo di nuovo quel prurito alle mani.
 
“Frequenti qualche corso qui?” chiese  interessato, alzandosi e sbattendo le mani sui pantaloni neri.
 
Harry annuì di nuovo e,  prima che potesse parlare, l’altro puntò un dito verso la sua macchinetta e disse “Fotografia?”.
 
“Già, tu?” chiese, sorridendo “Che ci fai qui?”.
 
“Arte,” disse l’altro, allargando un po’ le braccia tatuate e facendo aggrappare Harry ancora di più alla sua macchinetta “fino a che non riuscirò ad aprire un negozio di tatuaggi” spiegò “faccio contenti i miei perché sono un universitario, mi acculturo e metto da parte qualche soldo”.
 
“Che anno?” chiese curioso.
 
“Secondo e tu? Perché fai fotografia?” chiese.
 
“Sono al primo” disse iniziando a salire un gradino seguito dall’altro e dirigendosi all’interno “Per la mia memoria” disse.
 
Zayn inarcò un sopracciglio poco convinto, un sorrisetto sinistro stampato sulle labbra “Pensavo che fosse quello strano cappello a forma di pollo pazzo  a renderti un po’ strambo” disse.
 
Harry ridacchiò “No, mi dispiace deluderti” disse “Scusa ma avrei lezione e” aggiunse indicando una porta dietro di lui.
 
“No, tranquillo anch’io” disse Zayn sorridendo e creando vari scompensi e battaglie interiori in Harry “Ci vediamo in giro”. Lo salutò, proseguendo per il corridoio.
 
La lezione, certo.
E adesso come diavolo avrebbe fatto anche solo a seguire una parola di quello che diceva il professore?
 
***
 
“Ti sei licenziato?!”
 
Perché le sue giornate non potevano mai procedere in modo normale? Una tranquilla giornata, senza intoppi, colpi di scena o Louis Tomlinson impazziti era chiedere tanto?
 
“Sì” disse pigramente il più grande, girando disinteressato le pagine di una rivista.
 
“Ma per quale motivo? E Liam lo sa?” chiese, preoccupato, immaginandosi già un Liam in preda all’ansia e alla preoccupazione.
 
“Mi sono stufato” spiegò, come se fosse la cosa più scontata del mondo “e Liam non è mia moglie o mia madre, posso fare quello che voglio” disse, acido.
 
“Oh, sì, sì certo” borbottò Harry, iniziando a cercare qualcosa nel frigorifero per riempirsi lo stomaco, prima di andare al Paradiso del Pollo e sgobbare come un dannato.
 
“Immagino che verrai alla mia festa?” chiese l’altro, sventolando l’ennesima pagina di quella rivista.
 
“Quale festa?” domandò, inarcando un sopracciglio.
 
“Di licenziamento” disse, di nuovo come se fosse la cosa più scontata al mondo.
 
“E di grazia da quando esistono le feste di licenziamento?” chiese, esasperato.
 
“Da quando lo dico io, puoi sempre non venire” sbuffò, facendo svolazzare la frangetta castana.
 
“Venire? Qui a casa mia?” chiese, ridacchiando, perché sul serio lo stava invitando a casa sua?
 
“Niall porterà un po’ di gente” continuò a vaneggiare l’altro.
 
“Glie l’hai detto ?” chiese, addentando una fetta di formaggio rimediata; il frigorifero era veramente più vuoto del solito, se avessero aspettato Louis o Niall sarebbero morti di fame e come al solito toccava a lui o a Liam fare la lista e la spesa.
 
“No, ma Niall porta sempre la gente”.
 
***
 
 
 
Forse quel giorno di tanti anni fa, avrebbe dovuto lasciarsi tirare le sue preziose ciocche di capelli dalla pazza Emilee, lungo i corridoi della scuola.
 
Forse quel giorno di tanti anni fa, durante l’intervallo in cortile, avrebbe dovuto lasciar morire di fame quel bambino irlandese dalle guance paffute e l’aria spersa.
 
Forse quel giorno di tanti anni fa, avrebbe dovuto gridare e ribellarsi contro i suoi compagni che l’avevano costretto a fare il rappresentate di classe.
 
***
 
 
Per cominciare, Liam, non era stato affatto sorpreso dalle dimissioni di Louis, aveva semplicemente esordito con ah, davvero? E poi l’aveva diabeticamente baciato a stampo sulle labbra, aggiungendo un rassicurante, troverai sicuramente qualcos’altro di più interessante, Lou e aveva pronunciato quel Lou, con una tale dolcezza, da essere in grado di cariare per fino i denti di Niall, a prova di qualsiasi cibaria dolce.
 
Beh, naturalmente, poi,  l’irlandese, si era focalizzato solo sull’obiettivo porta un sacco di gente.
 
Aveva iniziato a sospettare che Louis si fosse licenziato a posta, solo per trovare un motivo ridicolo per fare baldoria.
 
C’era comunque altro a cui doveva pensare, come evitare il più possibile Zayn Malik lungo i corridoi dell’università e sulle gradinate o in caffetteria  e soprattutto quel pomeriggio, dato che era appena uscito da una lezione estenuante, dove il professore gli aveva assegnato un compito difficilissimo per la fine del mese, aveva un forte mal di testa, il naso ghiacciato e gocciolante, non aveva fazzoletti, era un freddo cane e siccome era una persona intelligente, aveva dimenticato le chiavi di casa a casa.
 
Naturalmente Liam, che era la prima persona che gli era venuto in mente di chiamare, non rispondeva, giustamente perché era ancora al lavoro; Niall avrebbe avuto lezione fino a tardi, quindi una soluzione sarebbe stata quello di attenderlo lì e nonostante gli avesse mandato messaggi per poterlo rintracciare in qualche aula e recuperare le chiavi, anche lui non aveva ancora risposto; Louis, beh, sicuramente era troppo impegnato a cazzeggiare per potersi accorgere dell’incessante squillo del suo telefono, a meno che non fosse stato Liam, o  ci stava solo trovando gusto e non poteva essere sicuro che fosse a casa.
 
Ma aveva veramente freddo e avrebbe scommesso un dito che qualche linea di febbre era in arrivo.
 
Così riponendo tutte le speranze in Niall, che era anche il più vicino e dimenticandosi, per quel momento del pericolo Zayn Malik, si diresse in caffetteria per un tè caldo.
 
Fortunatamente non c’era molta gente e la ragazza dai capelli fucsia fu anche molto veloce e gentile.
 
Si posizionò su un tavolino all’angolo, afflosciandosi completamente in una poltroncina, sperando che nessuno dei pochi presenti notasse che stesse soffiando il naso con uno dei tovaglioli di carta che erano sul contenitore sopra al tavolino, ma veramente non ne poteva più, e non appena il liquido caldo e zuccherato scivolò giù per la gola poté già sentire un po’ di sollievo.
 
“Ehi”.
 
No.
 
Il mal di testa aumentò ancora di più, poté sentire anche gli occhi bruciare, adesso, oltre naturalmente alle sue guance, ma forse quello non proprio per la peste che sembrava averlo colpito in quel giorno.
 
Alzò timidamente lo sguardo dalla tazza, accennando un sorriso, mentre continuava a sorseggiare il suo adorato tè, unica ancora di salvezza e sventolò leggermente una mano.
 
“Tutto bene?” chiese subito, il bel moro sedutogli di fronte, corrugando la fronte e facendogli un gesto come di… come di soffiare il naso.
 
Oh, bene.
 
Subito, senza preoccuparsi afferrò un altro tovagliolo e si pulì il naso gocciolante e ghiacciato, arrossendo vistosamente, perché ormai se non faceva figuracce davanti a Zayn la sua esistenza era inutile.
 
Dannato raffreddore improvviso.
 
L’altro ridacchiò e iniziò a frugare dentro il suo zaino vecchio, sgualcito e pieno di scritte di pennarello indelebile “tieni” disse, accennando un sorriso e porgendogli un pacchetto di fazzoletti nuovo di zecca.
 
“Oh, grazie” disse, facendo per aprirlo e prenderne uno, ma l’altro scosse subito la testa.
 
“È tuo, io sto bene, tu non tanto, mi sa”.
 
Harry ridacchiò nervoso e infilò il pacchetto dentro la sua borsa, pensando che se l’altra volta al Paradiso del Pollo il suo io sedicenne stava per strapparsi i capelli dalla gioia, adesso stava veramente per crepare.
 
“Dod lo so” disse tirando su con il naso “credo di avere un bo di febbre” si toccò la mano con la fronte, scostando qualche ciocca riccia, ma aveva le mani congelate, nonostante avesse stretto fino a quel momento il tè.
 
Zayn scosse la testa un po’ esasperato, posò il caffè che stava bevendo “Posso?” chiese, alzando una mano, dalla pelle scura.
 
Harry annuì, ma non ebbe ben chiaro cosa stesse per fare  fino a che non sentì le dita piacevolmente fresche dell’altro sulla fronte, non ghiacciate come le sue, e dopo un’espressione piuttosto incerta, in una questione di  secondo,  anche le sue labbra.
 
Quelle erano calde, però, e morbide, e se il suo io sedicenne prima al dono di un pacchetto di fazzoletti era crepato, adesso era resuscitato e si era buttato giù da una scogliera.
 
“Dovresti tornare a casa” disse, piuttosto preoccupato, ritornando a sedersi comodo e riprendendo il suo caffè “non sono sicuro ma hai la febbre alta”.
 
Harry scosse la testa, imbarazzato “Sono rimasto chiuso fuori” disse, bevendo l’ultimo sorso di tè ormai freddo “e non riesco a rintracciare nessuno dei miei coinquilini”.
 
Zayn emise una risata fresca, sbattendo lievemente le mani sul tavolo, guardandolo probabilmente come se fosse un caso da ricovero e poi si alzò “Andiamo” disse, afferrando il suo zaino “sto a pochi metri dall’università, ciò significa coperta, termometro e qualche medicina immediati per te” aggiunse, incamminandosi verso l’uscita dalla caffetteria, senza ammettere repliche.
 
***
 
 
A: Niall
 
Ho la febbre, tra un’ora dovrei essere al lavoro, sono a casa di Zayn Malik, ti prego vieni a recuperarmi.
HAI MANGIATO IL TELEFONO????
 
***
 
 
L’appartamento di Zayn era piccolo, anche perché lui viveva da solo, ma soprattutto era caldo e accogliente, pieno di quadri e schizzi e il suo divano era la cosa più bella che potesse capitargli al momento.
Non appena erano arrivati, l’aveva subito fatto stendere e farcito di coperte dalle trame scozzesi, gli aveva passato un termometro, quando poi aveva scoperto che aveva solo quel tè sullo stomaco era andato in cucina a scaldare un po’ di brodo di pollo spiegandogli che ne aveva in quantità industriali, perché ogni settimana sua madre gli preparava un sacco di roba per paura che morisse di fame, e adesso era lì, di fronte a lui seduto su una sorta di tappeto persiano e a giocare con un cuscino giallo, lo fissava con quei grandi occhi nocciola e quelle ciglia lunghe, che mai aveva pensato in vita sua, avrebbe potuto  constatare esistessero davvero.
 
“Di solito non mi comporto così” ammise, sbattendo un po’ le palpebre e inumidendosi le labbra carnose, intontendo ulteriormente Harry che già si sentiva un pezzo avanti.
 
“Così come?” chiese, cercando di sistemare al meglio quel dannato arnese sotto l’ascella.
 
“Così” disse l’altro, allargando le braccia.
 
Oh.
 
“Io… non vorrei…” incominciò subito Harry, cercando di uscire da quel groviglio di coperte.
 
“No, no” lo fermò subito l’atro, facendolo ristendere, afferrandolo lievemente per le spalle “io ti ho chiesto di venire, non fare lo scemo” disse, sorridendo “stavo solo dicendo che…” cercò di spiegarsi “lascia perdere” disse ritornando a sedersi sul tappeto e togliendosi le scarpe.
 
Quello che sapeva Harry è che aveva veramente un gran mal di testa e quell’atteggiamento non lo stava aiutando, anzi glielo stava solo facendo peggiorare.
 
Al loro vero primo incontro, non virtuale, aveva avuto l’impressione che Zayn fosse una persona un po’ scostante, chiusa e restia alla confidenza.
 
Ma quello era strano e, forse, la verità era che probabilmente per Zayn ritrovarsi gentile, così gentile, con una persona appena conosciuta (conosciuta tanto per dire) doveva essere un evento catalogabile come la fine del mondo.
 
Forse gli stava accadendo quello che stava succedendo a Harry, che per la prima volta non riusciva a spiccicare parola, quando in realtà era una vera e propria macchina creatrice di discorsi lunghi e senza senso, e arrossiva, evitava il più possibile i posti dove avrebbe potuto incontrarlo, quando normalmente avrebbe fatto di tutto per appiccicarsi a lui, da vero e proprio filantropo quale era.
 
Forse era come se Zayn stesse subendo il suo stesso disagio, ma con un effetto completamente diverso.
 
“Io di solito parlo molto” disse, arrossendo e seppellendo il naso sotto le coperte.
 
“Io per niente” disse l’altro, sorridendo e guardandolo intensamente e forse sì, forse aveva colto nel segno “Vado a vedere se è pronto in cucina, sei sicuro di averlo acceso il termometro?” chiese, inarcando un sopracciglio.
 
E, no.
 
Naturalmente stava misurando la febbre con quell’aggeggio spento.
 
***
 
 
 
 
“Quanto?”.
 
“38 e 6” borbottò tra le coperte.
 
Gli occhi di Zayn si allargarono, preoccupati “Tachipirina, subito! Ma prima devi mangiare questa dannata brodaglia” disse, facendo oscillare pericolosamente il piatto colmo di liquido fumante, mentre si rimetteva comodamente seduto sul tappeto.
 
Harry cercò di aprire il più possibile le palpebre pesanti, l’odore forte del brodo lo stava solo facendo sentire peggio, era dell’idea che se avesse anche solo ingerito un cucchiaio di quella roba, avrebbe finito per vomitare tutto; sarebbe stato scortese rifiutare dopo che l’altro gliel’aveva preparato, ma proprio, no.
 
“Non ce la faccio” biascicò e si rannicchiò ancora di più in cerca di calore.
 
“Forse dovresti provare a dormire un po’” disse l’altro, appoggiando il mento sulle braccia conserte sopra le ginocchia, continuando ad osservarlo  “Il sonno risolve sempre tutto”.
 
Harry annuì, perché cos’altro poteva fare e lanciò uno sguardo spaesato alla sua borsa, abbandonata ai piedi del divano.
 
“Se qualcuno dovesse chiamare, ti sveglio subito” disse Zayn, come se gli avesse letto nel pensiero e alzandosi afferrò la borsa, chiedendo un silenzioso permesso con lo sguardo, per poterci frugare dentro e recuperare il telefono, che gli fu subito accordato.
 
Lo vide faticare un po’, ma poi trovarlo e appoggiarlo su un piccolo mobiletto accanto al divano, dove c’era una grande lampada di tela rossa, che accese per spengere la luce forte del salotto e rendere l’ambiente un po’ più accogliente per Harry.
 
Ma il riccio non ne aveva davvero bisogno, un occhio era già mezzo chiuso e l’altro lo stava raggiungendo, mentre continuava a seguire il più che poteva l’esile figura di Zayn e l’ultima cosa che vide fu proprio il moro che tirò fuori la macchina fotografica dalla sua borsa e nel suo nebbioso dormiveglia, gli chiedeva se poteva guardare le sue foto, come dire di no?
 
Mugugnò una risposta indefinita e chiuse entrambi gli occhi; adesso voleva solo dormire.
 
 
***
 
 
 
“–dward”.
 
 
C’era il cielo, quel bellissimo cielo stellato, l’aria calda ed estiva, i rumori piacevoli della natura che accompagnavano le loro risate e le note dolci e frizzanti della chitarra di Niall.
La sua risata contagiosa e assordante, i capelli catarifrangenti, quelli di Liam ancora cespugliosi e voluminosi, le sue camicie da boscaiolo, Louis con le sue magliette a righe e quell’orribile, davvero orribile taglio di capelli e lui che sembrava una pecora smarrita e non toglieva mai quella sciarpina  verde, rubata a sua madre, nemmeno con quaranta gradi all’ombra.
 
Non erano mai cresciuti, erano rimasti lì sempre insieme, a raccontarsi veramente di tutto, dalle cose più felici, a quelle più tristi, sotto quelle lucciole giganti, come le aveva chiamate un giorno Niall quando aveva rubato due lattine di birra dalla scorta nella tenda di suo padre e ci aveva dato dentro di gusto, delle lucciole con il sedere davvero, davvero grosso.
 
Gli erano mancati, quella sensazione di libertà, quel genuino suono di chitarra e quel bruciacchiato profumo di marshmallow.
 
“E’ stato davvero gentile, non è vero?” la voce di un giovane Liam richiamò la sua attenzione dal cielo.
 
“Chi?” chiese, guardando anche gli altri due, che ridacchiavano sotto i baffi, in cerca di risposte.
 
“Zayn” spiegò “è stato veramente gentile” disse di nuovo, offrendogli quel suo caratteristico sorriso dolce e rugoso.
 
“Oh” borbottò, arrossendo “sì”.
 
“Tu invece sei stato molto stupido!” la voce sottile e acida di Louis lo raggiunse, insieme al suo sghignazzare.
 
“Che cosa ho fatto!?” sbottò risentito, sbattendo i piedi per terra, interrompendo un accordo di Niall che non aveva mai smesso di suonare fino a quel momento, ma riprese subito.
 
“Non importa quello che hai fatto“ disse Liam “solo, Haz… è stato così gentile”.
 
“Ho capito, è la terza volta che lo dici, inizio a preoccuparmi” piagnucolò.
 
“Dovresti dirgli la verità” concluse timidamente Liam, mordicchiandosi il labbro inferiore.
 
“E’ stupido! E non vedo tutta questa importanza” disse, incrociando le braccia minaccioso “Harry, Edward non fa la differenza!” .
 
Louis iniziò a ridere ancora più forte e crollando sopra Liam si aggrappò alle sue spalle “come può essere così stupido?!” chiese, scuotendolo un po’.
 
Harry sbuffò, seccato.
 
“Ma ti ha cucinato del brodo di pollo!” disse all’improvviso Niall, che aveva alzato la testa dalla chitarra di nuovo.
 
“Tu, continua a suonare” lo ammonì subito.
 
Liam tornò serio e strinse un po’ Louis in un abbraccio “Haz…”
 
 
“–ward”.
 
“Edward”.
 
“Ehi, Ed”.
 
Harry aprì gli occhi, lo colpì immediatamente la luce del sole, insieme a un leggero sottofondo musicale, e poi quella piacevole sensazione, ma forse non così piacevole, che stesse ancora sognando, anche se intorno a lui non c’era più un branco di sedicenni sghignazzanti e fastidiosi ma, a pochi centimetri, le svolazzanti ciglia e la bocca carnosa di un bellissimo ragazzo dalla pelle scura e ricoperta di tatuaggi.
 
“Edward”.
 
Edward?
 
Sbatté energicamente i grandi e acquosi occhi verdi e fu come ricevere una secchiata di acqua fredda.
 
Quello non era un bellissimo ragazzo, quello era Zayn, il che complicava tutto il pacchetto, e lui era bloccato, febbricitante, chissà da quanto, dentro il suo appartamento e aveva appena fatto un sogno inquietante.
 
Lo sapeva da solo che stava combinando un sacco di guai e che era un imbranato cronico, non c’era bisogno che Liam, con quel nido in testa, gli apparisse come la Madonna ad illuminargli la via.
 
Cosa pensava, che non gli si congelasse il sangue, a vederlo ad una distanza così ravvicinata  e a non sentire un melodioso Harry?
 
“Mi dispiace svegliarti, ma tra un’ora devo andare a lezione” disse senza spostarsi e guardandolo intensamente.
 
“Oh, scusa” disse subito, spostando le coperte e sentendosi un po’ intontito “Che ore sono?”.
 
“Le otto” rispose, infilando, finalmente, una maglietta grigia.
 
“Che cosa?! Ma da quanto sono qui?!” scattò, percependo subito una dolorosa fitta alla testa.
 
“Hai dormito tutto il pomeriggio e la notte, ogni tanto ho controllato ma continuavi ad essere bollente come una stufa” disse l’altro, con quel sorrisetto leggero e sinistro che iniziò a pensare gli fosse caratteristico.
 
Tutta la notte?
Controllava?
Che fine avevano fatto i suoi amici?
 
Si alzò velocemente per andare a recuperare il telefono, ma il movimento improvviso gli fece girare la testa e perdere l’equilibrio e naturalmente Zayn lo afferrò subito.
 
La sua presa stretta sui fianchi e il respiro fresco a pochi centimetri.  Che aveva fatto di male?
 
“Ha chiamato un tipo strano” disse, inarcando un sopracciglio.
 
Diavolo, poteva essere una persona così perfetta?  Forse se si fosse concentrato solo un po’ di più, avrebbe trovato un piccolo brufolo o un neo, una macchia, qualsiasi cosa!
 
“Urlava come un pazzo, ho rischiato di perdere l’udito” continuò a spiegare, senza lasciare quella dannata presa sui fianchi.
 
Perfetto.  “Louis” disse senza il minimo dubbio, iniziando a scuotere la testa.
 
“Già” .
 
Era un uomo morto.  “Che cosa ti ha detto?” chiese, iniziando a guardare i suoi calzini e le scarpe nere di Zayn.
 
“Sinceramente, un sacco di cose senza senso, ma dopo, mi ha passato un altro tizio”
 
“Liam” disse, speranzoso, questa volta.
 
“Già, gli ho detto che saresti rimasto qui, che eri troppo malato per muoverti, e non l’avessi mai fatto” disse, ridacchiando “È andato in panico, ha detto che avrebbe avvertito dove lavori e di richiamarlo non appena ti fossi svegliato”.
 
“Oddio” borbottò a testa bassa.
 
“Come stai adesso?” chiese l’altro, tornando serio e sfiorandogli, improvvisamente, la fronte con la mano e come il giorno prima, posandoci le labbra “Sembrerebbe un po’ meglio”.
 
Doveva abituarsi a questo? No, perché stava diventando un po’ debole di cuore.
 
“Dovresti misurare di nuovo la febbre e mangiare assolutamente qualcosa” disse allontanandosi da lui e tirandolo per un lembo del suo maglione sgualcito verso il tavolo della cucina dove c’erano un po’ di tè e dei biscotti.
 
“Grazie” disse afferrando un biscotto al cioccolato e iniziando ad avvertire positivamente la fame “mi dispiace di essermi addormentato per così tanto” arrossì, dal momento che ormai sembrava fosse l’unica cosa che gli riuscisse a fare davanti a lui.
 
“Non preoccuparti, mi restituirai il favore” disse l’altro assestandogli un debole pugno sul braccio.
 
Harry sorrise e iniziò ad accelerare la sua colazione perché Zayn aveva lezione e non voleva farlo ritardare, subito dopo avrebbe chiamato Louis, visto che ormai era mattina, per farsi venire a prendere e una volta a casa si sarebbe rintanato in camera sua per tutta la giornata per potersi riprendere dalla febbre e dagli eventi.
 
“Non so davvero come ringraziarti” disse per l’ennesima volta una volta fuori di casa, aspettando Louis e avvolgendo un’immensa sciarpa di lana verde che il moro gli aveva imposto di prendere in prestito.
 
Zayn sorrise e gli spettinò i capelli già arruffati con ancora la forma del cuscino “Troverai il modo” disse “Ora, però, scappo” aggiunse, dandogli una leggera stretta sulla spalla “Ci vediamo in giro”.
 
Lo vide correre via verso la strada per l’università e pregò che Louis arrivasse in fretta, perché aveva veramente bisogno di essere nella sua stanza e realizzare quello che era appena successo.
 
***
 
 
Naturalmente gli altri lo avevano preso in giro fino alla morte.
 
Gli ci erano voluti ben due giorni per riprendersi, giorni in cui era stato a stretto contatto con un disoccupato Louis, che aldilà delle aspettative si era comportato da infermierina premurosa, ricoprendolo di coccole, telefilm scadenti, tè caldo e lasciandosi fotografare tutte le volte che aveva voluto.
 
Ma in quei due giorni non aveva fatto altro che pensare a quanto, come gli aveva ricordato in modo petulante il piccolo Liam, Zayn Malik fosse stato gentile con lui.
In fin dei conti era un completo estraneo, per quanto lui si fosse trovato in difficoltà, e anche se aveva pensato, per sdebitarsi, di invitarlo a quella stupida festa che ci sarebbe stata nel prossimo finesettimana a casa loro (rimandata di una settimana perché volevano essere sicuri che stesse bene), aveva subito riposto l’idea nei meandri più sconfinati del suo cervellino, perché ormai era Edward.
 
Non sapeva per quanto sarebbe continuata quella pantomima, se lui e Zayn sarebbero mai diventati amici seriamente, ma lì ci sarebbero stati  Niall e quei dannati capelli e, anche se di un biondo un po’ più spento, avrebbero fatto saltare tutta la sua copertura.
 
Così, una volta rientrato all’università, si era messo a cercarlo, ma naturalmente non l’aveva mai trovato, avrebbe voluto scambiare due parole con lui, iniziare a sapere qualcosa di più e ringraziarlo ancora, ma niente, e così una sera appena uscito dal lavoro, maledicendosi come al solito perché puzzava di fritto fino al midollo, tirando fuori la macchina fotografica, che era sempre con lui, e prendendo una foto di un bambino con la bocca sporca di cioccolato proprio davanti al locale, gli era venuta l’illuminazione.
 
Era rientrato, aveva preso una porzione di pollo al curry, una di pesce fritto e qualche dolce (giusto per dimostrare la sua teoria che erano più buoni in quel posto e che il pollo fosse un diversivo per puntare l’attenzione su Rocky) e aveva iniziato a dirigersi verso l’appartamento di Zayn, cercando di non sentirsi idiota perché, uno non era invitato, due erano le dieci di sera e poteva avere benissimo altri programmi e tre, beh, si sentiva sempre idiota.
 
E adesso dopo aver bussato per ben due volte e iniziando quasi a vedere quel mostro chiamato ansia prendere forma e pronto a fare un banchetto con la sua carne e le sue ossa, stava per fare marcia indietro, sicuro che Niall avrebbe fatto buon uso di tutta quella roba.
 
“Ed?”.
 
La luce dal pianerottolo lo colpì insieme a una fitta all’altezza del petto, perché lui si chiamava Harry, ma erano solo piccoli dettagli insignificanti.
 
“Ehi, Zayn” disse voltandosi e accogliendo l’immagine dell’altro ragazzo con i capelli spettinati, i vestiti stropicciati e gli occhi gonfi di sonno.
 
Ops.
 
“Stavi dormendo?” chiese subito “Non volevo disturbare, ma sono uscito ora dal lavoro e ho pensato di…” alzò il sacchetto profumato e pieno di cibo, sventolandoglielo sotto il naso.
 
Zayn si spostò immediatamente e lo tirò dentro per un braccio, richiudendo la porta dietro di sé “Cibo” disse, senza guardarlo in faccia, impossessandosi del bottino.
 
All’interno dell’appartamento c’era il caos più totale, il grande tappeto del salotto era pieno di fogli di carta, ovunque pennelli e barattoli di vernice, una grande tela al centro, stracci, posacenere pieni, lattine e bicchieri di carta nei punti più improbabili.
 
“È scoppiata una bomba?” chiese, guardando un paio di boxer appesi sopra la lampada rossa del salotto.
 
“Peggio, sono in fase creativa, mi ero addormentato mentre stavo pensando” disse, sbuffando in modo buffo “ed è da ieri che non mangio, sei come un dono dal cielo” lo prese in giro sventolando le lunghe ciglia.
 
“Immagino di sì” disse, ridacchiando e seguendolo in mezzo a quel casino, stando ben attento a non pestare qualcosa di importante, si sedette  a terra sul tappeto.
 
***
 
Prevedibilmente, Zayn Malik era una persona piacevole.
 
Poteva essere diversamente? Assolutamente no. Harry avrebbe voluto che fosse fastidioso, vuoto, insopportabile, che ogni tanto un pezzetto di pollo gli si incastrasse tra i denti e diventasse ridicolo e disgustoso, ma niente, al massimo quello poteva succedere giusto a lui.
 
Quindi, oltre ad essere la creatura più bella che avesse mai visto dalla tenera età di sedici anni era non solo intelligente e interessato alle arti, ma divertente e un po’ mammone, particolarmente attaccato alle sue tre sorelle delle quali aveva parlato per mezz’ora e aveva una risata nasale veramente adorabile e, cosa ancora più importante, non si era mai scandalizzato durante i suoi racconti riguardo a quelle tre bestie dei suoi tre coinquilini (omettendo il nome di Niall); piuttosto si era interessato.
 
Ci doveva essere la fregatura da qualche parte.
 
“Che significato ha quello?” chiese all’improvviso Zayn, puntando la forchetta sul tatuaggio di Harry dietro il braccio: due mani che si danno una stretta.
 
“Oh” emise sorpreso, rigirando la pelle del braccio “È il mio tatuaggio preferito” disse, sorridendo dolcemente “quando l’ho fatto non avevo un’idea ben precisa, ma se ci pensi può voler dire molte cose”.
 
“Credo di sì” annuì l’altro.
 
“Quello?” Chiese, poi, il riccio puntando il dito verso il braccio ricoperto di tatuaggi del moro, ma indicando precisamente quello di una piccola figura assomigliante a una ragazza.
 
“Questo…” iniziò un po’ vago “io avevo un’idea ben precisa quando l’ho fatto” disse con un sorrisetto appena accennato “ma non è il mio preferito e preferirei non averlo fatto”.
 
“Ah” disse imbarazzato, abbassando lo sguardo; forse aveva toccato un tasto dolente.
 
“Ma è un bel tatuaggio, non lo è?” chiese l’altro.
 
“Sì, sì lo è” rispose frettolosamente Harry, facendolo ridacchiare.
 
“Comunque, dovrei rimettermi al lavoro” disse, alzandosi e iniziando a raccogliere le cartacce “e avevi ragione, il pesce e il dolce sono molto meglio, e io mi sarei licenziato solo per quel cappello, tra l’altro.”
 
“Andresti d’accordo con Louis, allora” disse, scuotendo la testa e aiutandolo a ripulire e portando qualche avanzo in cucina e afferrando poi la borsa e il giacchetto.
 
“Dovresti rimanere” disse all’improvviso Zayn, avvicinandosi e togliendogli la borsa dalla spalla.
 
“Cosa?” chiese, cercando di sembrare il meno sorpreso possibile.
 
“Abbiamo appena finito di mangiare” disse facendo spallucce e, in effetti, forse aveva ragione e Harry come al solito stava cercando di darsela a gambe, ma era stato anche troppo bravo a presentarsi in quel modo e resistere tutto quel tempo.
 
Così si sistemò accanto a lui, di nuovo su quel dannato tappeto, davanti a quell’enorme tela, l’odore forte di vernice diffuso per tutta la stanza e lo vide iniziare a contemplare lo sfondo,  completamente dipinto di un rosso scuro già asciutto e poi alzarsi di scatto e andare verso lo stereo.
“Zayn” disse in tono secco non appena sentì le prime note uscire da quell’arnese “R&b, sul serio?” doveva essere uno scherzo, non poteva aver cambiato gusti musicali durante tutto quel tempo?
 
Zayn annuì “Non ti piace?” chiese, sempre con quel solito sorrisetto stampato in faccia.
 
“Direi di no” disse, scuotendo decisamente la testa.
 
“Casa mia, decido io”.
 
E chiaramente non faceva una piega.
 
Così Zayn, piegato sopra quella tela, quel maglione blu bucherellato e macchiato di vernice, che gli stava largo almeno dieci volte, uno straccio tutto macchiato di vernice rossa penzolante dalle tasche dei pantaloni, degli enormi occhiali dalla montatura spessa per vedere e concentrarsi meglio, la fronte e le sopracciglia aggrottate pensieroso, era uno spettacolo a cui pensava non avrebbe mai partecipato.
 
E non appena lo vide afferrare un pennello, intingerlo sulla vernice blu e appoggiarlo sulla superficie, le mani iniziarono nuovamente a prudergli, la gola seccarsi e non poté davvero trattenersi, questa volta.
 
“Zayn?”
 
“Mhh” borbottò l’altro, completamente assorto nei suoi ghirigori bluastri.
 
“Posso scattarti delle foto?” chiese, sentendo le sue guance andare a fuoco.
 
Zayn spostò i grandi occhi nocciola dalla tela a lui, le labbra leggermente dischiuse in un sorriso “Hai bisogno di ricordare questo momento?” chiese, una sottile presa in giro nella voce e Harry avrebbe voluto dare delle forti testate sulla parete color panna accanto a lui fino a perdere conoscenza “Ok” disse, poi, senza aspettare alcuna risposta e riprendendo a tracciare delle grosse linee blu a casaccio.
 
Andò a recuperare la sua adorata macchina fotografica e ritornò proprio dov’era prima, accanto all’altro ragazzo; avvicinò l’obiettivo all’occhio e attraverso quella lente nitida, Zayn e la sua opera d’arte in fase di elaborazione sembravano un quadro perfetto.  Click.
 
Il click più bello che avesse mai scattato fino a quel momento;  il braccio e la mano di Zayn si spostavano lentamente sulla superficie, i colori creavano un contrasto forte con la sua pelle scura e la sua espressione persa in chissà quale mondo mentre seguiva i suoi stessi movimenti. Click.
 
Ad un certo punto si fermò, dopo aver cambiato pennello e aver steso un po’ di giallo, e iniziò a fissare il suo lavoro così intensamente che pensò che la tela potesse prendere fuoco o aprirsi una voragine proprio lì in mezzo.  Click.
 
Senza preavviso intinse una mano su un barattolo di vernice verde e iniziò a imbrattare l’opera. Click.
 
Harry sgranò gli occhi, allontanando per un secondo la macchina fotografica dal viso: questo andava aldilà di ogni possibile fantasia erotica.
 
Click, click, click, click, click, click, click, click, click, click, click, click, click, click.
 
Un braccio era già diventato verde per metà, lentamente si stendeva passando il colore ovunque in maniera casuale e non poteva essere un caso se l’aria sembrava  esserediventata più pesante e calda.
 
Si fermò di nuovo a pensare e prese un barattolo di vernice viola, ed ebbe seriamente paura, perché tutto ciò non poteva essere tollerato.
Nella sua testa c’era stato solamente il casto desiderio di mangiare del pollo scadente per ringraziarlo di avergli fatto da badante mentre il suo naso colava come una cascata del Niagara, non, assolutamente, non vederselo intinto e sporco di vernice in quel modo.
 
Perso tra questi pensieri, non si accorse che Zayn era finito proprio davanti a lui e con la mano pulita gli toglieva la macchinetta dal collo, posandola al sicuro e lo conduceva  davanti alla tela, in silenzio, tirandolo per la manica della maglietta.
 
“Zayn?” chiese, ma non arrivò nessuna risposta, soltanto qualcosa di fresco e viscido che si rivelò essere proprio la vernice viola.
 
Il moro aveva intinto la sua mano dentro il barattolo e adesso con quel sorrisetto, che Harry avrebbe volentieri strappato a morsi, la spostava sopra la tela, proprio come aveva fatto lui precedentemente con quella verde.
 
“Co… cosa stai facendo?” chiese, cercando seriamente di ignorare le dita sporche di Zayn strette tra le sue che lo indirizzavano in movimenti circolari sopra il materiale ruvido e colorato della tela.
 
“Sto dipingendo” disse, con tutta la semplicità del mondo e se prima avrebbe voluto spaccarsi la testa sul muro adesso non sapeva veramente più cosa fare “Obiezioni?” chiese, inarcando un sopracciglio e girandosi verso di lui minaccioso.
 
Oh, no e perché mai doveva averne “Fai pure” sbuffò, cercando di non scoppiare a ridere.
 
“Ok” ribatté subito l’altro, afferrandogli l’altra mano e immergendola in un altro barattolo di vernice marrone e distendendolo in avanti, con entrambe le braccia adesso.
 
Non doveva pensare che la posizione fosse un po’ ambigua, giusto? Non doveva affatto fare caso alla gamba di Zayn a contatto con la sua, un profumo di colonia quasi nauseante, il suo respiro lento e rilassato  e il calore della sua pelle provenire da sotto la stoffa del suo dannato maglione bucherellato, giusto?
 
E siccome era la persona più fortunata dell’universo, il suo cavolo di ginocchio tremante decise di inciampare all’improvviso sul piccolo e insignificante scalino formato dalla tela, facendogli perdere l’equilibrio e cadendo proprio al centro del quadro sporcandosi tutto e formando una sagoma a forma di Harry, proprio lì al centro.
 
“Interessante” disse l’altro prima di scoppiare a ridere e raggiungerlo sopra, rotolandosi un po’ e imbrattandosi tutti i vestiti di mille macchie colorate, appoggiando accidentalmente una mano su un suo fianco e tirandolo più vicino a lui, disegnando così una scia.
 
“Sono tutto sporco” piagnucolò Harry, scorgendo i riccioli sulla fronte gocciolare di un brillante blu.
 
“Ovviamente” disse l’altro, facendo scivolare una mano lungo la tela e lasciandogli poi una manata gialla sulla guancia.   
 
“Ehi!” trasalì, dandogli una piccola spinta e sporcandolo ancora di più.
 
Zayn scoppiò di nuovo a ridere e Harry pensò che se non avesse rischiato di rovinare la sua macchina fotografica e sporcargli tutto l’appartamento, più di quanto già fosse, si sarebbe alzato e avrebbe scattato un milione di fotografie di lui spalmato su quella tela e coperto di mille colori.
 
“Ho rovinato il tuo quadro” disse poi, iniziando a sentirsi in colpa, perché per l’ennesima volta, a causa della sua goffaggine, aveva combinato danni.
 
Zayn non rispose, lo vide raccogliere con  un dito un po’ di vernice, e iniziare a passarlo lentamente  sulla sua guancia.
Cercò di concentrarsi sul movimento che stava facendo, la sua pelle che diventava sempre più bollente anche solo per quel minimo tocco; sembrò stesse disegnando il contorno di una stella, che strisciò via con il palmo della mano e subito dopo si avvicinò con il volto, così vicino, come quella mattina che si era svegliato sul suo divano, ma questa volta pensò di non cercare nessuna imperfezione o brufolo, perché non aveva alcun senso, perché aveva molta più importanza bearsi di quello che stava accadendo piuttosto che preoccuparsi delle sue solite stronzate.
 
A cos’altro avrebbe dovuto pensare se non alle labbra di Zayn, quando le attaccò alle sue, e alle sue mani, quando si intrufolarono sotto la sua maglia in cerca della sua pelle calda?
 
Probabilmente che avrebbe dovuto fermarle e alzarsi da quel viscido pasticcio di colori, lasciandolo e lasciandosi insoddisfatto, per poter spiegare e dire qualcosa come:  mi dispiace, non esiste nessun Edward, o perlomeno esiste,  ma non è esattamente il mio nome più importante, io sono Harry, Harry Styles quel triste ragazzino che ha importunato la tua estate di due anni fa, con un po’ più di spalle, un po’ più di altezza e un po’ più di capelli.  E poi, avrebbe anche potuto nascondersi per tutto il resto della sua esistenza.
 
No, non era esattamente la soluzione più facile e divertente, soprattutto se dall’altra parte, se pur con un nome falso e per niente carino, c’era la possibilità di avere la sua lingua in bocca e la sua mano dentro i pantaloni.
 
Poi, certo, Zayn si era rivelato e si stava rivelando una persona veramente interessante, ma per adesso, era ancora fermamente convinto che Harry o Edward non avesse tutta questa importanza.
 
Piuttosto Zayn che lo rigirava sopra una tela e lo macchiava di rosso, verde, giallo e blu, quello aveva molta, molta importanza.
 
Le sue dita avevano tracciato una moltitudine di macchie lungo le sue gambe nude e il moro lo ammirava estasiato, mentre i loro corpi continuavano a lasciare stampi sulla superficie.
 
“Mmmh… Seurat” lo sentì sussurrate tra un bacio e l’altro, mentre veniva trascinato sopra di lui.
 
“Che cosa?” chiese, non riuscendo a capire.
 
“Non ha importanza” disse sorridente, accarezzandolo e passandogli le dita tra i capelli colorati “Cercalo su google” soffiò sul suo collo, scendendo verso la sua intimità.
 
E bene.
 
Le stelle.
 
Vuoi che fare sesso sopra una tela e completamente immerso di vernice non era una cosa da tutti i giorni, vuoi l’atmosfera, ma quello che sentì riuscì a renderlo felice e spaventarlo allo stesso tempo.
 
Forse fu probabilmente per questo che la mattina dopo, con il colore secco, alle prime luci dell’alba se l’era data a gambe.
 
***
 
Georges Pierre Seurat , pittore francese, nato come  impressionista, massimo esponente del movimento puntinista.
 
Impressionista…
 
<< Caratteristiche della pittura impressionista erano i contrasti di luci e ombre, i colori forti, vividi, che avrebbero fissato sulla tela le sensazioni del pittore di fronte alla natura. Il colore stesso era usato in modo rivoluzionario: i toni chiari contrastano con le ombre complementari, gli alberi prendono tinte insolite, come l'azzurro, il nero viene quasi escluso, preferendo le sfumature del blu più scuro o del marrone. Fondamentale era dipingere en plein air, ovvero al di fuori delle pareti di uno studio, a contatto con il mondo. Questo portò a scegliere un formato delle tele più facile da trasportare; il pittore cerca di fissare sulla tela anche lo scorrere del tempo, dato dal cambiamento della luce e dal passare delle stagioni. >>
 
Un po’ come la fotografia, forse.
 
Puntinista?
 
<< L'interesse di Seurat nell'individuare l'esatto complementare di ogni colore consiste nel fatto che ogni colore si intensifica se viene avvicinato al suo complementare e si annulla quando viene mescolato con quello, formando un grigio di particolare tonalità a seconda della proporzione della loro mescolanza. Inoltre, due colori non complementari non «stanno bene» insieme se avvicinati, ma risultano invece armonici se sono separati da una tinta bianca, mentre due tinte dello stesso colore ma di diversa intensità, avvicinate fra loro, hanno la caratteristica di dare sia un contrasto, dovuto proprio alla loro differente intensità, che un'armonia, grazie al loro tono uniforme.>>
 
Ah.
Inquietante.
 
***
 
“Ti prego,  di’ qualcosa”
 
Era tutto inutile, nessun rumore e neanche un cenno.
 
“Per favoreee, ne ho bisognooo” .
 
Ma nonostante le sue continue lamentele e la sua prostrazione sopra l’orribile moquette bianca in camera di Liam, Uovo Fritto continuava a russare indisturbato sul suo letto preferito nella casa.
Ne aveva abbastanza pure lui dei suoi piagnucolii e del suo piangersi addosso, perché l’ho fatto di qua e cosa ho combinato di là.
 
Insomma! Lui era solo un gatto, che diavolo gli era girato in testa alla vecchia signora Baker quando l’aveva lasciato in eredità a quel moccioso?
Se avesse potuto prevedere che avrebbe dovuto sopportare tutta quella lagna, quando l’unica sua preoccupazione era racimolare avanzi dal piatto di Liam (perché era l’unico buono di cuore che glie ne lasciava, Niall nemmeno a pensarci) e dormire in santa pace, se la sarebbe data a zampe da un bel pezzo, insieme a tutti i suoi fratelli.
 
“Che sta succedendo qui?”.
 Liam entrò in camera sua, zuppo di pioggia, sfregando un asciugamano tra i corti capelli castani “Riunione di famiglia?” chiese, accucciandosi accanto a Harry e iniziando ad accarezzare Uovo Fritto affettuosamente.
 
“Non sta collaborando” borbottò Harry, lanciando uno sguardo omicida al suo gatto che fino a quel momento non l’aveva calcolato minimamente e ora si stava permettendo di fare le fusa rumorosamente, estasiato, al tocco del suo amico.
 
“Forse perché lo stai stressando” ridacchiò Liam, alzandosi, in cerca di panni asciutti nell’armadio.
 
“Sta piovendo forte?” chiese, rendendosi conto che dalla mattina, da quando si era alzato, non aveva messo il naso fuori di casa.
 
“Già, ha iniziato da poco, però” disse infilando una felpa “Vuoi un passaggio per il lavoro?”
 
Harry scosse la testa, perché Liam era appena tornato e l’ombrello sarebbe bastato.
 
“Sai” iniziò l’altro, risedendosi accanto a lui, con quel tono che conosceva fin troppo bene, quello stesso tono che il Liam diciassettenne aveva usato per avvertirlo, giorni prima, in sogno come una creatura mistica. “potresti provare a parlargli”.
 
Il riccio scosse la testa di nuovo, iniziando a tirare i fili lanuginosi della vecchia moquette “Per dire cosa?”.
 
Da quando aveva miseramente abbandonato l’appartamento di Zayn, dopo la notte più bella della sua vita, doveva ammetterlo, non solo aveva cercato di evitarlo ancora di più, ma si era comportato come un completo deficiente.
Si era ridotto a nascondersi dietro i vicoli, corridoi, aule vuote, alberi e la schiena di Niall, sperando, come al solito, che pure lui passasse inosservato, tutto questo perché non sapeva assolutamente come affrontare la situazione.
 
Gli piaceva Zayn.
 
Gli piaceva tanto Zayn, ma non come quando aveva sedici anni: gli piaceva la sua voce, il suo sorriso a metà, il suo appartamento nel caos più totale, il suo orrendo gusto nel pollo, le sue coperte scozzesi, il suo amore per l’arte, l’enorme quantità di provviste che aveva in frigo a causa di sua madre,  le sue vernici e suoi pennelli, i suoi orripilanti gusti musicali, come l’aveva baciato, come le sue dita si erano macchiate di colore e l’avevano stretto e insomma, Zayn.
 
E non c’era momento in cui non riguardasse le sue fotografie, imbambolandosi e perdendosi tra i ricordi di quella sera.
 
In pratica, un gran casino, perché per una cazzata di anni fa si era scavato la fossa da solo.
 
“La verità” disse, naturalmente, Liam, sorridendo dolcemente.
 
“Uno, riderebbe di me e non vorrebbe vedermi mai più, perché mi considererebbe una persona troppo ridicola e due” continuò, tappando la bocca di Liam con una mano, perché stava già cercando di interromperlo “e due, potrebbe arrabbiarsi e sentirsi preso in giro, perché anche se è una cavolata, è comunque una bugia, e non vorrebbe vedermi mai più, quindi” disse, liberandolo “l’esito è comunque lo stesso, n-o-n v-e-d-e-r-m-i m-a-i p-i-ù “ sillabò.
 
Liam sospirò “Non lo saprai mai, non sei nella sua testa”.
 
 
 
 
***
 
La morale di quella serata era divertirsi, giusto?
 
Quindi perché non avrebbe dovuto farlo?  Finalmente, per la gioia di Louis e Niall, era sabato e quindi, inevitabilmente, il giorno della festa di licenziamento di Louis.
 
Liam aveva passato tutto il giorno a riordinare la casa, il che non aveva avuto alcun senso perché all’arrivo del primo amico del biondo irlandese si sarebbe scatenato, sicuramente, il caos più totale, ma un Liam che fischietta una canzone romantica di Leona Lewis al ritmo di straccio e scopa faceva tutti più felici e soprattutto calmava Louis, il che non era cosa da niente.
 
Louis e Niall invece si erano dedicati tutto il giorno alla raccolta d’alcool mentre Harry era stato costretto ai fornelli.
 
E adesso mentre scattava una foto di Liam e Louis che si baciavano liberamente circondati dalla gente, che era veramente, veramente tanta, e di un Niall con le guance arrossate e la maglietta sporca di birra che trascinava un suo amico e compagno di corso di nome Josh in giro per il salotto, con la chitarra in mano, mostrandogli l’uso e l’utilità effettiva dei calzini,  che erano stati ribattezzati in Musicalzini, come poteva non divertirsi.
 
“Non bevi, Ed?”
 
Click.  Il dito scattò impulsivamente, come sempre di fronte a lui.
 
Che diavolo ci faceva Zayn (bello come il sole tra l’altro, tanto per cambiare) in casa loro e perché gli stava offrendo la loro birra?
 
Come un automa afferrò la bottiglia di vetro, lasciando che la macchina fotografica gli ricadesse sul petto, incapace di realizzare se stesse sognando e incapace di capire cosa stesse succedendo.
 
“Niall, mi ha invitato” disse l’altro facendo tintinnare la birra con la sua e offrendogli un sorriso sinistro.
 
Niall??
 
Harry sgranò i grandi occhi verdi, ricercando subito quelli blu dell’irlandese che adesso, seduto accanto a Liam e Louis, evidentemente complici, lo guardavano beffardi.
 
Avrebbero pagato per questo, oh sì, avrebbero sicuramente pagato per questo, tutti e tre.
 
Inevitabilmente arrossì, mandò giù un bel sorso di birra e si schiarì la voce “Lui l’ha fatto?”.
 
“Già” annuì l’altro, sempre con quel sorrisetto stampato in volto.
 
“Non pensavo che voi due vi conosceste” disse, socchiudendo un po’ le palpebre.
 
“Oh, ci sono un sacco di cose che non sai” disse l’altro, facendo il vago e guardando un punto impreciso della stanza.
 
Ok, forse era arrivato il momento di vuotare il sacco, tanto, peggio di così, non poteva andare di certo.
 
Afferrò Zayn per il maglione e facendosi spazio tra la folla lo tirò fino in camera sua, richiudendo la porta dietro di sé a chiave, senza accendere la luce, perché sicuramente il buio sarebbe stato terapeutico.
 
“Devo preoccuparmi?” chiese, subito, Zayn, inarcando un sopracciglio al suo gesto e alla stanza scura illuminata soltanto dalle luci provenienti  da fuori dalla finestra.
 
Harry sbuffò e, appoggiando le mani grandi sulle sue spalle, lo fece sedere a forza sul letto “Siediti e bevi” consigliò, prendendo un grande respiro, anche se in realtà una dose massiccia d’alcool sarebbe servita a lui, quindi ne prese un bel sorso anche lui della sua.
 
“Cosa c’è?” chiese l’altro, indicandolo con la verde bottiglia di vetro.
 
“Mi dispiace” disse infine, abbassando la testa, facendo ricadere i riccioli castani davanti agli occhi.
 
“Per cosa, esattamente?” chiese, continuando a deriderlo con lo sguardo.
 
“Da dove incomincio?” sussurrò più a sé stesso, continuando a guardare il pavimento interessato.
 
“Ah non lo so, se non lo sai tu… sono tutto orecchie” disse l’altro appoggiando la bottiglia per terra e distendendosi un po’ sul letto morbido, gesto che non aiutava per niente la sua concentrazione.
 
Come non aiutava il fatto che erano da diversi giorni che non lo rivedeva, nemmeno tanti, ma comunque troppi, visto e considerato che l’ultima volta era nudo e sopra di lui, che continuava a indossare quel maledetto giubbetto di pelle con il potere di tirare fuori il meglio di Zayn, ma il peggio di lui, e che aveva quel dannato profumo, così forte e buono.
 
“Sono proprio uno stupido” disse, facendo un passo verso di lui e appoggiando la sua birra sul comodino accanto al letto.
 
“Bel modo di iniziare un discorso” ammise, iniziando a mangiucchiarsi il labbro inferiore e stendendosi un po’ di più, accavallando una gamba.
 
Va bene. Adesso era stronzo, però.
 
Harry iniziò a torturarsi meccanicamente le maniche della camicia “Io…” cercò di formulare un discorso, dire qualcosa che avesse senso compiuto, ma in quel momento nella sua testa c’era il terrore più puro misto a imbarazzo barra eccitazione assoluta.
 
“Tu?” chiese il moro, facendo un piccolo cenno con la testa e scavallando la gamba ottenendo così di tenerle leggermente aperte, un lembo del maglione grigio alzato che scopriva un po’ di pelle scura.
 
No. Era proprio, proprio bastardo.
 
“Io non so proprio da dove incominciare” disse quasi strozzando, cercando di scacciare dalla mente i mille pensieri poco casti che lo avevano assalito.
 
Fece un altro passo e naturalmente, dato che era la persona più fortunata del mondo, inciampò su qualcosa di soffice che emise un soffio e un miagolio lancinante e che lo fece cadere dritto addosso al moro.
 
“Ma che diavolo !” imprecò il più grande, guardando il gatto piuttosto arrabbiato che si accucciava di nuovo indisturbato su un angolino.
 
“Uovo fritto” sussurrò Harry, evitando il suo sguardo.
 
“Sei serio?” chiese, cercando di non scoppiare a ridere.
Il riccio annuì sentendo lo sguardo pesante di Uovo Fritto e chiedendogli scusa mentalmente; perché non si era rifugiato in camera di Liam come faceva sempre? Doveva scegliere la sua proprio quella sera?
 
Zayn sbuffò annoiato e poi, accennando di nuovo quel sorriso sbarazzino, lo afferrò al collo, trascinandolo ancora più vicino e si impossessò delle sue labbra.
 
Fu di nuovo come vedere le stelle, il sapore della birra fresca misto con il suo e le sue mani curiose e desiderose tra i capelli, poteva essergli mancato così tanto qualcosa di appena assorbito e conosciuto?
Evidentemente sì, visto che il cuore sembrò scoppiargli nel petto e la pelle, al primo contatto, squagliarsi.
 
La cosa certa era che quello non era il modo migliore per fare un discorso, era sicuramente un bel modo per passare il tempo, ma non il discorso.
 
“Zayn” cercò di staccarsi da lui, mentre sentiva le sue labbra scendere verso il collo, ma era tutto così confortevole e piacevole, le mani calde dietro la schiena, sotto la camicia, era come dire di no alla cioccolata dopo mesi e mesi di astinenza.
 
Le labbra rosse e veloci, i sospiri… era tutto così automatico e allo stesso tempo imprevedibile.
 
“Harry”
 
La pelle morbida, le ciglia svolazzanti, il respiro profumato e
 
Un momento.
 
“Che cosa?!” scattò, come punto da una tarantola.
 
Zayn ridacchiò “Harry” sussurrò di nuovo sulle sue labbra.
 
Harry sbatté lentamente le palpebre, perché aveva detto il suo nome, il suo vero nome e, cavolo, come suonava bene detto da lui.
 
 “O Hello Kitty” disse distaccandosi un po’ “come preferisci tu, ma quello lo utilizzerei solo per le serate un po’ più trash” aggiunse, inarcando un sopracciglio.
 
Bene.
 
“Lo sapevi?” chiese cascando dalle  nuvole, ancora seduto sopra di lui e non riuscendo a smettere di seguire con lo sguardo le linee del tatuaggio sulle clavicole.
 
“Quanto pensavi fossi stupido?” disse l’altro risentito.
 
“Quando l’hai scoperto?”
 
La risata nasale di Zayn risuonò per la sua stanza e sperò veramente che rimanesse impressa attraverso quelle mura per poterla riascoltare a suo piacimento e si sentì abbastanza melenso dopo aver pensato questo.
 
 “Dalla prima volta che ti ho visto al fastfood con quell’orribile cappello” disse l’altro stringendolo per i fianchi.
 
Harry sgranò gli occhi verdi, sorpreso, perché, lui si era reso la vita impossibile con quella farsa e Zayn invece sapeva tutto fin dall’inizio, la vita poteva essere più stronza?
 
“La targhetta”
 
“Come, scusa?” chiese, non sapendo minimante di cosa stesse parlando.
 
“La targhetta” spiegò Zayn, indicando un posto impreciso nel petto “della tua divisa, c’era scritto Harry a caratteri cubitali” disse ridacchiando “Mi ha fatto pensare un po’”.
 
Se Harry fino a quel momento aveva pensato che esistevano Louis Tomlinson e le sue prese per il culo a farlo sentire una cacca, beh quello era decisamente peggio.
 
“Senza contare le conferme che ho ricevuto dopo” disse l’altro con ovvietà.
 
“Quali?” chiese, ancora più preoccupato.
 
“Da dove incomincio” fece il vago, tirandolo ancora  più vicino “-ho riguardato quel video di due anni fa”
 
“Oh no” si lamentò, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo.
 
“Eri adorabile” lo prese in giro l’altro.
 
“Continua” disse, minaccioso.
 
“La prima volta che ti ho visto parlare all’università, di conseguenza, ho riconosciuto subito Niall, quando hai dormito da me ho visto le foto, tra l’altro” si avvicinò al suo orecchio “ho trovato particolarmente interessanti quelle di me, mentre fumavo sulle scale”.
 
“Oh Dio” esclamò, sbattendosi una mano in fronte disperato.
 
“Quando ho risposto al telefono la stessa sera, Louis urlava come un indemoniato Harold di qua e Harold di là, prima che si rendesse conto che ero io; ti ho cercato su Facebook come Harry Styles e sei uscito, addirittura come Harold Edward Styles, non ti bastava un nome?”  chiese prendendolo in giro “potevi comunque inventarti qualcosa di più fantasioso”.
 
Harry sbuffò e gli dette una piccola spinta.
 
“E come se non bastasse, qualche giorno fa, dopo che eri stato da me, Niall mi ha invitato a questa strana festa e mi ha raccontato tutto”.
 
“Bastardo” borbottò il riccio.
 
“Era preoccupato” disse, sdraiandosi e trasportandolo con lui “Ma ora non lo è più”.
 
“Perché?” chiese Harry, intrecciando una gamba con la sua.
 
“Perché già sapevo chi eri” disse, mentre iniziava a slacciargli il primo bottone della camicia “E perché mi piaci sul serio, Harry” concluse, guardandolo dritto negli occhi.
 
Harry sentì come il mondo fermarsi, Uovo fritto smettere di ronfare e la musica assordante proveniente dall’altra parte della casa smettere di suonare.
 
C’era solo Zayn, le sue mani bloccate all’ultimo bottone della sua camicia e quell’aria frizzante tra di loro.
 
“Anche tu” disse scontatamente.
 
“Lo so” ridacchiò Zayn “altrimenti non avresti fatto tutto questo casino”.
 
Harry scosse la testa a quella  situazione a quanto, a volte, anzi diciamo quasi sempre, riusciva a complicarsela  “Mi dispiace di averti mentito” disse, sincero.
 
“Sei perdonato se ora la smettiamo di parlare” disse l’altro togliendogli la camicia “e fai uscire quella bestia sovrumana dalla stanza” aggiunse,  puntando il dito verso Uovo Fritto che lo stava guardando in modo minaccioso.
 
Harry scoppiò a ridere e, dopo aver fatto uscire dalla stanza un offeso Uovo Fritto, si fiondò come un lampo sul suo letto, pronto alle braccia di Zayn, pronto a Zayn come Harry, come il vecchio, il nuovo e quello che sarà Harry e non come un qualsiasi Edward.
 
FINE 


Hey!!
UN PARTO! Fatemi un pò sapere cosa ne pensate! Sarei veramente molto felice ;)
UN GRAZIE ENORME ALLA CHIA! Grazie per avermi sopportato, come sempre ! E'  tutta tua , forse un pò troppo mielosa per i tuoi standard ma se non lo era non era miaaaaa! Grazie anche a chi ha letto e leggera e si interesserà in qualsiasi forma e modo a questa robba ! ;)

Un bacione


Gre

 
  
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: GreMisia