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Autore: Some kind of sociopath    09/10/2013    4 recensioni
Anno 1769: Haytham E. Kenway, dopo il suicidio dell'amico Jim Holden e la morte della sorella Jenny è tornato a Boston alla ricerca di Tiio. Lei è sopravvissuta all'incendio del villaggio, nonostante il figlio non lo sappia, e Haytham ha intenzione di ricucire la sua famiglia, quella che non è riuscito ad avere nella propria gioventù. Ma non ha messo in conto gli altri Templari, il suo vecchio Gran Maestro Reginald Birch e la piccola e fastidiosissima Confraternita degli Assassini...
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Il testo dei primi due capitoli è stato rivisto e modificato. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate al riguardo e quale "versione" preferite, ;)
 
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Altro personaggio, Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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I ain't never been afraid to die,
look a man in the eye.

– Janelle Monaé, Givin' Them What They Love.

 
– Haytham.
Mi lanciò uno sguardo strano, a metà tra il sorpreso, l’imbarazzato e l’infuriato. Il guaio era che potevo capirla. Potevo capirla benissimo. Washington aveva fatto dare alle fiamme il suo villaggio. Suo figlio – mio figlio – era fuggito, credendola morta.
E si era alleato con gli Assassini, per amara, assurda ironia della sorte. Come uno schema. Assassino, Templare, Assassino, e poi chissà. Forse mio nipote – se mai ne avessi avuti – sarebbe stato un Templare come me.
– Haytham – mi chiamò di nuovo. Sapeva che poco prima l’avevo sentita, ma speravo avesse capito che stavo riflettendo. Pensando a ciò che avevano fatto Charles, Thomas e gli altri a quel bambino. Loro non sapevano. Non avevano nemmeno idea che fosse mio figlio! Non potevano immaginarlo. Ero sconvolto. Vederla lì, dopo tutti quegli anni, gli stessi occhi e il volto solcato da qualche ruga in più – come me, immagino – ma l’aria mille volte più triste… non era come me l’aspettavo. Era sbagliato. Era tutto sbagliato.
Non era così che volevo rivederla.  
Chiusi gli occhi e strinsi i pugni, guardandola con profondo rammarico. – Non sono stato io – sussurrai, come un bambino che si discolpa per aver mangiato la marmellata con le dita. Come avrebbe fatto il signorino Haytham anni e anni prima. Il bambino orgoglioso, il cocco dei genitori che avevo smesso di essere da tempo. Da quando mio padre era morto.
Mi guardò. Ero seduto a terra, sulla neve, con le braccia strette attorno alle ginocchia. Avrei voluto dirle che mi dispiaceva, perché era la verità. Avrei voluto dirle che ero stato un idiota ad abbandonarla e poi a tornare. Avevo altre idee, altri guai per la testa, ma vederla era come riaprire una ferita che non si era mai chiusa del tutto. Infettarla con le dita sporche e le unghie rotte.
Non mi avrebbe mai perdonato, io lo sapevo. Lo sapevo. – Lo so, Haytham – disse semplicemente, carezzandomi una spalla. – Non sei così cattivo.
Non c’erano malizia o sarcasmo nella sua voce. Mi riteneva cattivo, allora? Lo ero?
Sono un uomo che uccide altri uomini. Ciò mi rendeva cattivo? Lo fanno anche gli Assassini. Lo facevano anche i brav’uomini durante quella maledetta guerra. Andiamo, lo aveva fatto anche lei, all’epoca. Aveva ammazzato dei soldati, no? Uomini che magari avevano una famiglia e grandi aspirazioni, ma avevano compiuto il patetico errore di arruolarsi nell’esercito sbagliato. Come se poi tutti i casini bellici derivassero da loro.
Però io ero diverso, non è così? Io sono un Templare e solo a causa del maledetto anello che porto al dito sono per definizione più cattivo dei portatori di lama celata, degli Assassini. Nonostante porti pure quella. Forse avrei dovuto sventolargliela sotto il naso, magari le cose sarebbero andate diversamente. Avrei dovuto dirle che portare quell’arma indicava la profonda bontà che ho nel cuore. Che sarei stato un bravo bambino.
E se gliel’avessi detto più di un decennio prima, quando ancora ero certo che mi amasse, che fosse felice – o qualcosa del genere – forse avrebbe riso. Era bellissima quando rideva, più che mai.
Imprecai a mezza voce, passandomi le dita tra i capelli, e glielo chiesi. Non potevo resistere con quel peso sulla coscienza. Ero tornato per lei, per scusarmi, e avrei fatto qualsiasi cosa. Anche saltellare su una gamba sola pronunciando i voti matrimoniali in latino.
Voti matrimoniali. Dio, che razza di illuso. – Sono cattivo perché non sono un Assassino? – sibilai. Non riuscii a controllare la rabbia che misi in quelle parole. Assassino. Vedete, è un termine universalmente cattivo, se scritto con la minuscola. Ora per lei rappresentava la bontà. Pace. Uno scopo che la vita tra i Mohawk non le aveva mai dato. Quello stesso che avevo cercato di fornirle io, che aveva accettato senza indugi e di cui aveva condiviso scopo e modalità. Soltanto dopo, quando aveva saputo la verità, aveva cambiato idea.
Semplicistico. Cristo, se lo era.
In ogni caso, gli Assassini erano pazzi. Promettevano libertà e… e fratellanza e tutte quelle cose assurde che l’umanità non metterà mai in pratica. Io li conosco, gli uomini.
Tiio scosse la testa. – No – rispose fissando l’orizzonte. – Io mi sono sempre fidata di te. Ti ho visto con… con quella. – Indicò la lama celata con un cenno. La lama celata che avevo rubato, che in quanto Templare secondo lei non meritavo. E il mio retaggio dove lo metteva? Dio, mi sembrava di essere un cane a una corsa. Dovevo certificare il mio maledetto pedigree per partire e, una volta entrato nella pista, dovevo anche cercare di vincere. Forse stavo chiedendo troppo. – Però sei un Templare. E non sostieni Washington. – Al contrario di lei, supposi.
George Washington. Io ne ho visti di idioti, e ho visto anche un sacco di idioti al potere. Washington ne era l’emblema. Eppure, Gesù Cristo, non aveva rinunciato ad atterrarlo e puntare un coltello alla sua bella gola quando cercavo di uccidere Edward Braddock. Avrebbe potuto tagliarla, così non avrei dovuto subire tutte le sue idiozie politiche negli anni a venire.
La guardai e schioccai la lingua con rabbia. – Che cosa significa? – Ero fuori di me. Mi presentavo da lei per ricongiungerci e l’unica scusa che sapeva trovare a tutto ciò che era successo tra noi era Washington. La politica, le mie scelte, tutto ciò che tra noi non avrebbe dovuto funzionare. Ma non era così. Aveva funzionato allora e poteva farlo di nuovo. Solo che aveva paura.
Avevo appena perso il mio migliore amico, attaccato per il collo a delle corde per i panni. Mia sorella era morta. Volevo soltanto tornare da lei, sentire di nuovo la sua voce confortante e calda che mi sussurrava all’orecchio quanto ogni cosa sarebbe andata bene. O che, anche fosse andata male, ci sarebbe stata lei. Non era così. L’avevo persa anni e anni prima. Era come se fosse davvero morta nell’incendio che, a quanto sapevo, qualcuno aveva appiccato al suo villaggio. Come se ne fosse rimasto solo lo scheletro, un guscio vuoto.
Dove sei, Tiio? Dov’è la donna che amo? – Stai dicendo che le divergenze politiche ci hanno separati? Non voglio essere io adecidere la sorte di questo paese – dissi, rosso in viso nonostante il gelo. Perché? Perché per amarci dovevamo per forza pensarla allo stesso modo su tutto? Io avrei fatto qualsiasi cosa per restare con lei. Avrei fatto qualsiasi cosa per averla ancora con me. – So che dovrei esserlo, ma non voglio. Sappi che Washington, il vostro bravo generale che lotta per l’indipendenza, ha bruciato il tuo villaggio. – Perché di sicuro non ero stato io. E se c’era qualcuno interessato alle terre che i Mohawk continuavano a occupare era l’esercito. Se gli anziani non volevano parlare con me non potevo certo piombare lì e far saltare tutto in aria. Lei mi conosceva, diavolo. Sapeva che non era il mio modo di procedere, non nell’immediato, almeno. Porca miseria, non ero nemmeno nelle Colonie quando accadde! Per non parlare della parte più bella, mio figlio che scappa pensando fosse colpa mia. Non riuscivo davvero a credere alla sfortuna che avuta.
– Haytham – mi ammonì, e mi sentii come quando le bambinaie mi fulminavano con lo sguardo per aver fatto qualcosa di sbagliato. Potevo essere il prediletto di mio padre, ma le briciole per terra e i soldatini in ogni angolo della casa mi avevano fatto prendere un po’ in odio, all’epoca. Sbuffai, esattamente come facevo allora. Era inutile. – Washington vuole il meglio per il Paese.
Mi alzai di scatto, infuriato. – Ha rischiato di ucciderti! – sbottai, guardandola torvo. Non le avevo mai riservato uno sguardo simile. – Io non voglio il bene del Paese. Io voglio il bene della mia famiglia. Ho te. Ho un figlio, adesso. Eppure ci siamo divisi a causa di maledette ideologie. Non siamo diversi come pensiamo, Tiio.
Sorrise appena, per nulla turbata dal mio scatto d’ira. – Non sai quanti Templari lo dicano, Haytham. Abbiamo lo stesso scopo, ma modi di agire diversi. Uniamoci! – Fece il verso a qualcuno che poteva essere me come Charles o come qualsiasi altro Templare. Era vero. Era una cosa che succedeva spesso. E di solito – indovinate? – erano sempre gli Assassini a declinare. Però era la verità, diavolo. Non aveva certo esitato quando l’avevo aiutata ad ammazzare Braddock. I miei modi di agire le erano piaciuti, allora.
Stavo impazzendo. – Non mi interessa un’alleanza politica – sussurrai, cercando di mantenere la calma. – Voglio solo la famiglia che non sono riuscito ad avere quando ero giovane. – La famiglia che nessuno sembrava volermi concedere.  
Ridacchiò tra sé, quasi maligna. Era sempre stata molto realista, forse troppo. Eppure mi piaceva quel lato di lei. Mi era sempre piaciuto, mi portava coi piedi per terra. – Non è più possibile, Haytham.
– Non è vero! – sbottai. Di nuovo, me la stavo prendendo come un bambino. Uno stupido ed insulso bambino troppo cresciuto, che s’infuria appena i genitori non gli concedono ciò che vuole. – Io ti amo – sussurrai. Perché quelle parole suonavano così male, dette da me? Non gliel’avevo mai detto? Non ricordavo, sinceramente. Sì, sì, potete prendere la frutta marcia e tirarmela addosso, ma questa è la verità. Non mi era mai sembrata il tipo da volerle sentire a ogni costo. E poi quelle parole mi procurarono una fitta al petto, come se avessi finito il fiato dopo un lungo discorso. Erano solo tre piccole parole, in fondo. Tre parole come altre, no?
No. Oh, santo Dio, no. Per niente.
Rise di nuovo. – Non mi hai mai amato, Haytham.
Ebbi davvero la tentazione di trapassarla da parte a parte con la spada. Come poteva essere così cieca? Ero lì! Avevo attraversato mari e monti, avevo abbandonato i miei fratelli solo per venire da lei! Ero al suo fianco per avere una famiglia, non per portarla dalla mia parte. Ero lì per lei e mio figlio. Ero sparito soltanto perché lei mi aveva fatto una scenata. Ero tornato. Perché non poteva perdonarmi? Non c’era niente che avessi amato quanto lei. Non c’era niente che mi stesse più a cuore. Cazzo, sono un uomo. Che avrei dovuto fare, dopo che mi aveva cacciato? Chiudermi al Green Dragon e piangere tutte le mie lacrime? Sussultare tra le braccia di Charles mentre lagnavo la perdita della mia donna? Al diavolo.
C’era di mezzo anche un bambino. Come poteva dirmi cosa del genere quando avevamo avuto un figlio insieme? Mio figlio… – Come si chiama?
Mi scoccò un’occhiata guardinga. – Di chi stai parlando?
Roteai gli occhi. Ero arrabbiato come non mai. – Di nostro figlio, Tiio. Lo sai benissimo – risposi con i pugni stretti.
Abbassò lo sguardo, lasciandosi andare a uno sguardo triste e sconsolato. Quello che amavo. O non avevo mai amato, secondo lei. – Non riusciresti in ogni caso a pronunciarlo, Haytham.
La ammazzo, pensai. La uccido adesso e non se ne parla più.
Trattieniti.
Mi stava davvero innervosendo. Non potevo essere un Templare e un buon padre nello stesso momento? Mio padre lo era stato, ma lui era un Assassino, stava dalla parte dei buoni. Dalla parte di Tiio. – Ci proverò – sussurrai, ripensando a quanto mi era stato difficile pronunciare il suo nome. Per quello la chiamavo sempre Tiio. Era stato forse quello ad attirarla? O la mia mirabolante prestanza fisica, o forse – forse – la mia lama. Finché le era stata utile.  
Abbozzò un sorriso, come se sapesse che non ne sarei mai e poi mai stato capace. – Ratonhnhaké:ton – disse. Aggrottai la fronte, imprecando, poi mi rimisi il cappello in testa.
– Bene – mormorai. Avevo saputo ciò che mi interessava, e da lei non avrei ottenuto nient’altro. Era così seria. Così chiusa, poco disposta al perdono. Sentivo il petto chiuso in una morsa gelida. Solo guardarla negli occhi mi faceva male. – Vado.
– Prima ripetilo – esclamò con aria di sfida.
Roteai gli occhi. Oh, voleva giocare. L’aveva divertita una volta, sfidarmi, e le piaceva ancora. Cristo, il fatto è che piaceva anche a me, ed ero maledettamente facile da leggere. Per lei, per chiunque altro. Ero debole. In quel momento più che mai. E Tiio era testarda quanto un mulo, come al solito. – Radonaghédon. – Ripetei il nome così come l’avevo sentito e lei annuì. – Con o senza la tua approvazione, vado a cercare nostro figlio.
Si strinse nelle spalle e sul suo viso si dipinse un’espressione triste. – Gli Assassini ti uccideranno non appena metterai piede nella tenuta, Haytham – sussurrò. – E conoscere il nome di mio figlio non ti concede nessun diritto su di lui.
Parlava di diritti. Proprio lei. Lei, a cui Washington, che tanto ne parlava, li aveva succhiati via tutti assieme alla sua casa e al suo villaggio. – È anche mio figlio! – sbottai, esasperato. – Io sono suo padre, maledizione! Lui non mi conosce! Non sa nulla!
– Ma crede che tu mi abbia uccisa e abbia dato fuoco al nostro villaggio. – Grazie, cara. Adesso sì che mi sento bene, non rischio nemmeno lontanamente di crollare. La voglia di fare del male a qualcuno, a chiunque, mi stava dilaniando il petto come un animale feroce. Era tutto così difficile, maledizione. Parlare con lei, parlare di bambini, una cosa che conoscevo a malapena. Tornare. Tornare era la parte più complicata. E avrei dato qualsiasi cosa per rendere tutto semplice.
Non avevo quella possibilità. Imprecai a voce alta, dando un calcio alla neve fresca con foga. – Tu sai che non è così! – gridai. – Eppure non vuoi aiutarmi! Perché?
– Avresti dovuto pensarci prima di unirti alle persone sbagliate. – Ah, allora si trattava di questo? Era una vendetta per averle nascosto che facevo parte dei Templari? Oh, Dio. Quindi aveva fatto l’amore con me perché mi amava o perché pensava avessimo lo stesso scopo? Mi aveva baciato nel Tempio perché credeva che le sarei stato ancora utile? L’aveva fatto per questo?
Andiamo, non… Non poteva essere così. Non anche lei. Ci doveva essere qualcuno di buono nel mondo, no? Che ignorasse gli orpelli che portavo alle mani, sulla redingote, e mi amasse per ciò che ero. Non per ciò che pensavo, ma per come lo facevo. Avevo sempre creduto che quella persona fosse lei, che lo sarebbe stata in qualunque caso. Ma non era così.
Un favore, d’accordo? Non seguite mai una causa. Non siate fedeli a niente. E se una donna vi chiede di che fazione politica siete, assicuratevi di aver ben capito la sua, poi ripete tale, anche se non avete la minima idea di cosa facciano. Mi avrebbe risparmiato un sacco di problemi.  
– Non puoi farmi questo – ringhiai. – Non puoi strapparmi mio figlio solo perché sono un Templare! Io credo negli ideali dell’Ordine e il fatto che certi uomini li sfruttino a loro vantaggio non significa niente! Io non sono così! E anche negli Assassini esistono traditori, no?
Sollevò le sopracciglia, sorpresa, quasi preoccupata, e abbassò la voce. – Adesso sei diventato un traditore, Haytham? – sussurrò. Perché mi odiava a tal punto? Che cosa le avevo fatto di male? Anni prima l’avevo liberata da uno schiavista, Silas Thatcher. L’amavo. Eppure ero sempre io il lupo cattivo. Certo. Facile basarsi su un incendio senza conoscere la realtà dei fatti. Qualcuno al villaggio, oltre Connor, aveva visto Thomas, Charles e William dare fuoco alla palizzata, alle capanne? Se era così allora perché camminavano impuniti sulla terra? Perché ero io l’unico a dover pagare?
Non era giusto. Non c’era niente di giusto quel giorno. – Sai che non lo sono – bofonchiai. – Intendevo dire che anche alcuni Assassini sfruttano i dogmi a loro vantaggio.
– Non è sempre così.
– Appunto – sibilai nel tentativo di mantenere la calma. – Le persone non sono tutte uguali, Tiio.
Lei trasalì, perché avevo sguainato la spada. Non le avevo mai puntato un’arma contro, ma non lo stavo facendo nemmeno adesso: la punta d’acciaio sfiorava la neve. La tenevo in mano come un bastone da passeggio o un ombrello, da buon gentiluomo londinese. Il peso dell’elsa in mano mi aiutava a riflettere – giuro. Che cosa avevano gli Assassini che noi non avevamo? Volevano la libertà, pensando che avrebbe portato alla pace. Io volevo la pace portata dall’ordine. I principi dei Templari erano chiarissimi. Alcuni pensavano volessimo conquistare il mondo. Non era nei miei piani. Io volevo solo la fine della guerra e la mia famiglia unita. Perché gli Assassini si rifiutavano di capire che volevamo la stessa cosa? Solo perché alcuni di noi avevano agito a favore del totale controllo del mondo non significava che tutti fossero così. – Haytham, smettila – sibilò Tiio, una serpe pronta a sputarmi in faccia il proprio veleno. – I Templari vogliono l’ordine totale. I sottomessi e i potenti.
– Credi sia ciò che voglio io o ciò che vuole l’Ordine?
Abbassò la testa. La stavo mettendo alle strette. – Ciò che fate è sbagliato – grugnì, come a voler convincere solo se stessa.
– Voglio la pace. Ecco cosa voglio – esclamai. – Non mi interessano i principi dell’Ordine. Io voglio solo stare bene con te e mio figlio, anche se siete Assassini o… o quello che è. Non me ne importa.
La vidi avvampare. – Ne sei sicuro?
Che cosa avevo da perdere? Niente. E poi era la verità. Io volevo mio figlio. Volevo Tiio. Volevo far capire che non ero cattivo. Ero un Templare, certo, e allora? Avevo perso troppe cose, troppe persone per lasciarli andare. Dovevo fermarli. Mettere punti fermi nella mia vita prima che fosse troppo tardi. – Sì, Tiio – sussurrai. – Ne sono sicuro.
– I Templari non dovrebbero passare tempo con gli Assassini. Tu… – Abbassò il capo mentre mi avvicinavo cautamente a lei, la spada riposta nel fodero. – Non avremmo mai dovuto…
– Lo so. – Agii d’istinto. – Eppure è ciò che voglio.
Feci un passo verso di lei e le diedi un bacio sul collo. Rimase rigida. – Mi dispiace – sussurrò.
E capii ciò che stava succedendo troppo tardi, quando qualcuno mi strinse le mani intorno al collo.
  
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