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Autore: esse198    09/10/2013    1 recensioni
la protagonista è Dora, una ragazza di venticinque anni. molla tutto, cambia città e cambia vita, anche se non completamente. conoscerà persone nuove, ma soprattutto una ragazzina di sedici anni da cui scaturirà un confronto di due personalità ed esistenze simili, ma dalle sfumature significative.
è la storia di chi prova a cambiare e ci riesce, ma anche di chi ci prova, ma non riesce ad andare avanti, di chi prova tanta fatica nel farlo.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anna trascorreva diversi pomeriggi nel suo garage, nella sua “isola”, così come la chiamava lei. In quel periodo però c’erano diversi impegni a tenerla occupata. Tornava da scuola alle tre del pomeriggio, in quella casa vuota si preparava qualcosa da mangiare mentre guardava il suo amato “O.C.”. Allora andava da Dora. Le piaceva moltissimo stare con lei, raccontarle cosa le accadeva, parlarle dei suoi amici. E anche Dora le raccontava alcune cose che la riguardavano. Per Anna, Dora era ormai una specie di sorella maggiore. Lei non era una di quegli adulti sapientoni, pieni di certezze, che sanno sempre come vanno le cose, che tendono a demolire i suoi sogni, a far apparire tutto scontato e banale. Dora la ascoltava sempre con interesse e riusciva ad emozionarsi con lei, come una ragazzina, ma aveva quella maturità, tipica di una ragazza di venticinque anni, da cui Anna poteva attingere consigli preziosi, dispensati sempre con discrezione, senza la pretesa di avere ragione a tutti i costi. C’erano poi le capatine dai ragazzi e nel loro “covo”, e le uscite saltuarie con Giulia e Angela. Quest’ultima era sempre divisa tra l’amicizia con Martina e quella con Anna. Angela era una ragazzina molto timida e insicura e questa la faceva apparire sempre molto pacata e mite, negli ultimi tempi però la ragazza non era soltanto mite, ma sembrava come depressa, triste, quasi rassegnata. A che cosa potesse essere rassegnata, era difficile capirlo. Non parlava mai di sé, si limitava a partecipare, a farsi vedere, cercava di mostrarsi allegra, come se andasse tutto bene. Ma dentro qualcosa la stava lentamente logorando. Anna si accorgeva di questo, perciò cercava di starle vicina, per capire, per aiutarla.
Alcuni pomeriggi le ragazze si riunivano nell’isola di Anna, a parlottare, a spettegolare, a ridere, a fantasticare. E c’erano anche le visite di Roberto. Veniva a trovarla qualche volta, soprattutto quando capitava che a scuola non si vedevano per un po’ di tempo.
Capitò uno di quei pomeriggi. In garage c’erano Anna e Roberto. Stavano a chiacchierare, lui le parlava del gruppo musicale, faceva i soliti pronostici sul corto che avevano spedito per il concorso. Lei ascoltava paziente, pensando a quanti progetti facevano quei ragazzi senza riuscire a portarli a termine, per un motivo o per un altro. Come quella del gruppo, progetto sfumato per vari motivi, il principale: Elia si era ritirato, lasciando la band senza un tastierista. Del corto invece ancora nessuna notizia. Anna lo ascoltava mentre era intenta alla colorazione di un suo disegno. Stava usando gli acquerelli, ma aveva previsto l’uso anche della tempera e dei pastelli. Una specie di esperimento, chissà cosa sarebbe venuto fuori.
Ad un certo punto la ragazza si mise a cercare intorno, sul tavolo, con le mani tastava dappertutto, fino a che, incontrando lo sguardo interrogativo di Roberto, spiegò:
-Non trovo i pennelli piccoli.
-Dove li avevi messi?
-Non mi ricordo. Forse non li avevo nemmeno presi. Dovrebbero essere nei cassetti di quel comodino.
-Guardo io. – disse Roberto. Dopo aver guardato nei cassetti e non aver trovato nulla, Anna tolse via i cassetti e guardò in fondo al mobiletto.
-Saranno caduti. – disse poi.
Ai lati del mobile, all’interno, c’erano delle fessure. Le sue mani cercarono anche lì. Ma non trovarono soltanto i pennelli: c’era una busta ingiallita, un po’ stropicciata, l’indirizzo e il timbro postale erano un po’ sbiaditi. Anna se la trovò tra le mani, sorpresa e incuriosita. Pensò subito ad una delle lettere che suo padre aveva mandato alla madre in passato. Da un po’ di anni non c’erano state più lettere, forse per l’avvento del telefonino.
-Sarà sfuggita al malloppo delle altre. – disse la ragazza quasi emozionata.
Aveva una voglia matta di sbirciare, di leggere, ma sapeva che forse non era corretto. La curiosità vinse il buon senso. La lettera era proprio di suo padre e iniziava riprendendo un discorso già affrontato in qualche altra lettera precedente. La ragazza si aspettava romanticherie, frasi affettuose, una vera e propria lettera d’amore. Nonostante il padre si assentasse per molto tempo, lei nutriva per lui un grande affetto, quando tornava era sempre molto affettuoso con lei, con sua madre. Quella lettera però non era una lettera d’amore. L’espressione di Anna cambiava mano a mano che andava avanti nella lettura, il suo viso sbiancava, sgranava gli occhi, s’intristiva, s’impietriva. E Roberto a vederla si preoccupò, le chiedeva cosa c’era scritto, cos’era successo, voleva aiutarla, ma lei non rispondeva. Solo alla fine, con tono cupo e serio, a bassa voce, disse di lasciarla sola. Lei però non si muoveva, era rimasta seduta sul divanetto, con quel foglio tra le mani, sconvolta, ma come volesse apparire impassibile. Non c’erano lacrime, non c’era rabbia. Roberto non riuscì a trattenersi dal prenderle il foglio, lei non fece resistenza. E lesse. Il padre non usava mezzi termini, c’erano molte parole di dispiacere, chiedeva il perdono, ma diceva che non sarebbe tornato indietro. Ormai a Siena aveva formato la sua nuova famiglia, non si sentiva di lasciarla. “In fondo le cose tra noi non funzionavano più, lo sappiamo bene tutt’e due. Qui ho conosciuto questa donna con cui sto molto bene e mi ha dato una bambina meravigliosa e presto ne avremo un altro, stavolta sarà un maschietto. Finalmente mi sono deciso a dirti la verità.” Non c’erano parole per Anna, sembrava che non le appartenesse, solo alla fine della lettera finalmente scriveva: “Anna resta comunque mia figlia e chiamerò sempre per sapere come sta, verrò a trovarvi, lo farò perché ho dei doveri nei vostri confronti. Non voglio perdere Anna. Per questo ti prego di fingere con lei. Non voglio farla soffrire. Non voglio deluderla.”
C’erano ancora gli ultimi saluti.
Roberto rimase sconvolto quanto lei. Alzò lo sguardo verso Anna. Lei fece altrettanto. Forse i suoi erano stati molto bravi, forse lei era stata troppo ingenua a non capire cosa stava realmente accadendo alla sua famiglia. E sua madre? Come aveva potuto fare finta di niente in questo modo? Questo e molto altro Anna non riusciva a spiegarsi. Forse ancora non ci credeva, forse avrebbe potuto anche riderne come di un grande, colossale scherzo. Ma la mente cominciò ad associare tante piccole cose, le lettere mancate, le telefonate sempre meno frequenti e sempre più brevi. In effetti era sempre lei a parlare con suo padre, sua madre si limitava a dirgli poche parole e poi lasciava spazio ad Anna. Come aveva fatto a non accorgersene? Erano, questi, i pensieri che frullavano nella mente di Anna, senza un ordine, ma accavallandosi e creando ulteriore confusione. E le stesse emozioni erano state tutte represse. Aveva capito che Roberto aveva letto la lettera, glielo aveva permesso senza un vero motivo. Forse non avrebbe voluto, forse non avrebbe dovuto, quella era una questione molto personale, lui non c’entrava niente con questa storia. Oltretutto lui rimaneva lì impalato, senza dirle nulla, quasi più turbato di lei.
Ma Roberto aveva di fronte una ragazza dall’animo impenetrabile, non trasmetteva nessun segnale, nessun messaggio. E quando lei lo pregò ancora una volta di andarsene e di non dire niente a nessuno, lui cercò di insistere per aiutarla, ma lei lo respinse con calma, ma anche con decisione. Allora pensò che forse era meglio lasciarla sola.
La rivide l’indomani a scuola. Rimase ancora più turbato nel vederla avanzare nell’atrio completamente serena. La vide avvicinarsi a Giulia.
-Ehi! Che fine hai fatto ieri sera? Ti ho chiamata. – le chiese quest’ultima.
-Ah, sì, ho staccato il telefono. Mi sono messa a studiare. Ho preparato diritto e scienze, così oggi mi faccio interrogare.
-Ma stai male? – esclamò Giulia stupita da un tale slancio di zelo.
Le raggiunse Roberto.
-Anna, come stai? – le chiese subito.
-Bene, tutto bene. – e gli sorrise.
Roberto non ci credeva. La prese a parte.
-Quello che è successo ieri…
-E’ tutto ok. Davvero. Va tutto bene. – insisteva lei.
E sembrava dire veramente. Il ragazzo stava pensando se stava impazzendo, se quello che era accaduto il giorno prima se l’era inventato. Lei intanto era tornata dai suoi compagni. In quel momento arrivava Vincenzo e vedendo il suo amico ancora impalato a guardare Anna, gli chiese:
-Ehi! Che hai?
-Niente.
-Ma ti piace Anna?
-No, non è questo, è che…
-È che?
-Niente, lascia stare.
-Ce n’è di gente strana. – commentò Vincenzo tra sé, allontanandosi e andando verso il portone della scuola.
-Non lo dire a me! – gli fece eco Roberto seguendolo, ancora pensieroso.
Anna continuò ad essere tranquilla, come se nulla era accaduto. Roberto pensò che forse la ragazza aveva parlato con la madre, può darsi che aveva scoperto che non era vero niente di quello che era scritto nella lettera. Eppure non era del tutto convinto di questa versione. Lei era sfuggente, quella era una maschera, non era vero che andava tutto bene.
 
Qualche giorno dopo Teresa, la madre di Anna, venne a bussare alla porta di Dora. Era mattino presto. Dora andò ad aprire.
-Buongiorno Dora. Scusi se la disturbo a quest’ora. Anna è qui?
-No. Perché? – disse preoccupandosi.
La donna s’innervosì e disse:
-Stanotte non ha dormito a casa.
-E non l’ha avvisata?
-No. Ho provato a chiamarla, ma non ha risposto.
-Si sarà fermata da Giulia o da qualche altra sua amica.
-E perché non mi ha avvisato? Non è da lei.
-Sta pensando ad una fuga?
-Sì, anche se non riesco a capirne il motivo. Però ho notato che in questi ultimi giorni era un po’ strana, non so, era pensierosa, assente. Come se stesse preparando qualcosa. E poi c’è un’altra cosa…
-Cosa?
-Lo zaino non c’è e nemmeno il borsone. I libri sono tutti in camera sua, tutti al loro posto. Dove può essere andata?
-Senta, ci penso io. Adesso vado a scuola. Vado a vedere se è lì, e se non c’è cerco di capire se qualcuno sa qualcosa.
Detto questo Teresa andò al lavoro. Dora chiamò Giacomo per chiedergli di accompagnarla. Lui non fece domande, passò a prenderla dopo pochi minuti. Insieme andarono al liceo di Anna, ad Arcame. Giunti lì i ragazzi erano ancora nell’atrio ad aspettare la campanella. Dora vide Giulia e andò da lei. La ragazza non sapeva nulla. Stavano andando verso il portone, con l’intenzione di chiedere ai professori, ma Roberto li fermò: aveva capito che si trattava di Anna.
-E’ successo qualcosa ad Anna? – chiese il ragazzo.
-Tu ne sai qualcosa? – ribatté Giacomo, un po’ minaccioso.
-Cosa le è successo? – insisteva Roberto. Ma all’ennesima domanda dei due, decise di andare via.
I due lo seguirono. Lui provò a chiamare Anna al cellulare, ma non rispondeva. Cominciò ad agitarsi. Quella calma apparente di Anna, quella razionalità, quella maschera e adesso era accaduto qualcosa di brutto. Venivano a cercarla. Quindi non sapevano dove fosse. Al cellulare non rispondeva. Roberto pensò subito al peggio. Ancor più se si pensava all’altra disavventura che aveva subito. Chi poteva dirlo che la ragazza aveva superato il trauma dell’aggressione? Si voltò di scatto verso i suoi inseguitori per chiedere con decisione cos’era successo.
Dora capì che il ragazzo era spaventato. Bisognava capire, soprattutto sapere quello che il ragazzo sapeva. Allora spiegò al ragazzo tutto quanto. Questi sembrò tranquillizzarsi un po’. Poi gli arrivò uno squillo di Anna. E lui provò a chiamarla. Non rispose. Gli arrivò un messaggio: “Sto andando da mio padre. Nessuno lo sa. Di sicuro mi staranno cercando. Ti prego coprimi. Ho bisogno di fare questa cosa. Tornerò nel giro di pochi giorni.”
Allora i tre si calmarono.
-Informo sua madre. – disse Dora prendendo il telefonino. Roberto la fermò.
-No, vado a parlarle io.
Roberto sapeva molto più di loro, Dora avrebbe voluto capire anche lei. Forse quella non era una semplice ragazzata, non era una semplice sorpresa per suo padre. Anzi, sarebbe stata una sorpresa, ma non una di quelle piacevoli.
Roberto andò al supermercato dove lavorava la madre di Anna. Era stato accompagnato in macchina da Dora e Giacomo, i quali gli avevano fatto un po’ di domande. Lui rispondeva vagamente, dicendo che si trattava di questioni personali, di problemi familiari, che lui ne era a conoscenza solo per caso e di quello che aveva intuito aveva comunque le idee molto confuse e imprecise. Dora poté capire soltanto che qualcos’altro aveva sconvolto la vita di Anna. Qualcosa di complicato, qualcosa che faceva male. E forse ancora una volta aveva trovato il coraggio di affrontarla questa cosa. Si chiedeva dove trovava una tale forza d’animo.
Roberto incontrò Teresa. Quest’ultima fu sorpresa di vederlo insieme a Dora e al professore. Partì allora prevenuta, pensando che fosse lui la causa dei problemi di Anna, ma quando apprese la vera motivazione della sua fuga, la sua prima reazione fu quella di chiamare la figlia per ordinarle di tornare indietro. Roberto cercò di convincerla a non farlo.
-Forse Anna ha bisogno di questo confronto per capire, forse per farsene una ragione. La lasci fare. Lei sa meglio di me che è una ragazza responsabile. Mi ha detto che tornerà presto.
-Ma tu… come sai…
-Per puro caso. Solo per puro caso.
La donna allora decise che l’avrebbe lasciata in pace. Anche se le sarebbe costato troppo. Tra madre e figlia c’era un rapporto di profonda fiducia. Anna aveva sempre stimato la madre, per forza, per volontà, per la sua enorme capacità di intenderla, riusciva sempre ad essere madre e amica allo stesso tempo, e non era facile. Anna non le nascondeva nulla, o almeno le cose che una madre è giusto che sappia, anche se vagamente, per questo Teresa aveva deciso di darle una possibilità. Molte erano le domande che avrebbe voluto fare alla figlia, molti i perché che non trovavano risposta, ma aveva deciso di rimandare tutto al suo ritorno.
E non dovette aspettare a lungo. La ragazza tenne fede alla promessa e tornò solo dopo due giorni. Tornò a Sàfito in una mattinata d’aprile, nell’ora piena di sole, a mezzogiorno. Andò a casa, sistemò la sua roba, preparò un bel pranzetto. Poi uscì e si diresse al supermercato. Incontrò la madre proprio davanti l’entrata. Teresa abbracciò sua figlia sollevata. Passeggiando le due chiarirono. E Anna spiegò:
-Scusa mamma, per averti fatto preoccupare. Volevo verificare se era vero quello che ho letto nella lettera, e se era vero volevo che lui lo sapesse e che sapesse che gli avevo voluto così bene che adesso è tutto molto più difficile. È assurdo. Non volevo che tu mi fermassi.
-Cosa farai con lui?
-Non lo so, non ho ancora deciso. Lui era il mio principe, non m’importava il fatto che non era molto presente, gli volevo bene incondizionatamente. Forse continuerò a volergli bene, ma sarà tutto molto più complicato. Ma tu come hai fatto ad accettare una cosa del genere?
-Non l’ho mai accettato. Tu avevi bisogno anche di un padre, non potevo privartene, né riuscivo a dirti la verità. Siamo andati avanti così.
-Mi prenderò il mio tempo per elaborare. – concluse Anna usando quell’ultima parola con una sottile ironia, come si riferisse ad un lutto.
Anna sembrava serena. Sembrava essere tornata da una guerra, una guerra senza vinti né vincitori. Una guerra che lasciava solo vittime.
Durante il pomeriggio andò a salutare i suoi amici. Andò da Dora e le spiegò un po’ la situazione senza andare troppo in fondo nelle cose. Andò nel “covo”, consapevole che vi avrebbe trovata anche Giulia, visto che il mercoledì di solito si riunivano lì, (soprattutto da quando Marco e Giulia avevano preso a frequentarsi, a modo loro).
Marco, appena la vide entrare, la salutò provocatoriamente dicendo:
-Ma guarda, è tornata la fuggitiva.
Vincenzo invece si rivelò un ammiratore:
-Da te non me lo sarei aspettato, sei stata grande, la prossima la organizziamo insieme.
Anna sorrideva, assorbiva le battutine senza ribattere. Poi incrociò lo sguardo di Roberto, questi la salutò, con sguardo sollevato. Non ebbe modo di avvicinarla perché Giulia la monopolizzò.
Giulia l’accolse affettuosamente, preoccupata, ma anche un po’ offesa per aver dato notizie soltanto tramite Roberto. Infatti durante la sua assenza Anna aveva mandato soltanto pochi messaggi a Roberto, questi avrebbe poi tranquillizzato tutti gli altri. Così fu il turno di dare un po’ di spiegazioni anche alla sua amica, ma ancora una volta affrontò l’argomento per sommi capi.
 
-Scusa, - disse Anna a Roberto, qualche giorno dopo, quando lui andò a trovarla nella sua “isola”. I due, finalmente soli, si sedettero sul divano e parlarono un po’. – scusa se ti ho messo in mezzo, con i miei messaggi. Eri l’unico a sapere come stavano le cose, l’unico che non mi avrebbe chiesto spiegazioni, l’unico che non mi ha detto di tornare, né cosa fare. L’ho apprezzato molto. Anche per aver fatto da mediatore, ti ringrazio per tutto questo.
-Dai, smettila. L’importante è che stai bene.
Anna lo rassicurò. Poi decise di raccontargli tutto. Roberto fu il primo a conoscere la sua avventura, le sue impressioni, le sue emozioni.
-Sono arrivata là e mi ha aperto una donna. Doveva conoscermi, forse aveva visto qualche foto, perché è sbiancata, ha cercato di convincermi che avevo sbagliato casa. Ma arrivò mio padre con in braccio un bambino di tre anni. È sbiancato pure lui. Non avevo niente da dirgli. Mi bastava averlo colto in fallo. Me ne sono andata. Lui mi ha seguita, ha cercato di spiegarmi, mi ha chiesto perdono. Io gli ho detto che non meritavo questo. Non meritavo questo… - ad Anna si ruppe la voce, leggeri singhiozzi disturbavano il suo racconto, e piccole lacrime discrete venivano giù insolenti. – gli ho voluto un bene dell’anima, ho creduto a tutte le sue bugie, lui era il mio principe azzurro che veniva a salvarmi quando mi facevo male, quando qualche bambino, o bambina, mi tormentava. Era un mito per me. Chi verrà a salvarmi adesso?
-Non esiste il principe azzurro. Esistono le persone con i loro errori, con i loro i difetti, con il loro affetto e con la voglia di starti accanto, di aiutarti. Io forse non saprò salvarti, ma ti aiuterò, se servirà. Dico “se servirà” perché mi sembri abbastanza in gamba, sei forte. Comunque non sei sola.
-Scusa, non volevo piangere…
-No, anzi, mi conforta. Significa che sei normale, quando quel giorno sei rimasta impassibile e poi il giorno dopo sorridevi ho avuto paura. Ho detto: “O sono matto io o è matta lei.”
La ragazza si mise a ridere. Poi si alzò e dal cartellone prese un foglio. C’era un volto, il volto di un uomo, dai lineamenti rotti, attraversato dagli elementi di un paesaggio. E c’erano gli occhi, e sotto gli occhi un cielo grigio, poi la punta del naso e come baffi c’erano degli alberi, anzi, abbozzi di piante, le guance chiazzate di erbe e fiori quasi appassiti. Sotto il mento poi faceva capolino una mezza fontana e attorno ad essa il pavimento di una piazza. Il tutto era molto astratto, le linee non erano precise e i colori un po’ smorti, un po’ violenti.
-Che te ne pare? – chiese Anna.
-È… impressionante. – rispose Roberto colpito.
-Sulla strada del ritorno mi sono fermata a Dikota. Ho fatto un giretto per il parco, poi mi sono seduta in una delle panchine della piazzetta. Ed è venuto fuori questo.
-Guarda, è bellissimo. Dice un sacco di cose ed è spiazzante, è fulminante. Certo, i colori io li cambierei, alcuni. Però l’idea è davvero interessante.
Continuarono a parlare, a commentare varie cose. Anna era molto grata a quel ragazzo e sentiva che qualcosa, nei suoi sentimenti, stava cambiando.
  
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