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Autore: insomnia_    10/10/2013    10 recensioni
Foto. Ora il mio tavolo ne è pieno. Di tutti i tipi, di tutti i colori, di tutte le emozioni. Di tutto l’amore che provo per quei ricci ribelli e quegli occhi verdi. Di tutti i sorrisi che sono riuscito a strappargli tra una carezza e l’altra, mentre cercava di togliermi la macchina fotografica di mano. Harry non si stancava mai di prendermi in giro per questa mia passione, ma nello stesso tempo adorava essere il mio soggetto preferito da inquadrare.
Foto. Una volta le amavo, poi ho visto quella della tua carta d’identità che tanto odiavi apparire al telegiornale. E le ho odiate anche io.

Larry || One Shot || 2220 parole.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Will we surrender?'
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Waves 

 

 

Foto. Tante, tantissime. Ne scattiamo a milioni durante la nostra vita, ma perché?

Ho sempre pensato che fossero per ricordare qualche bel momento, per sorridere a distanza di anni su scatti sbiaditi dalla memoria. Infatti non fotografiamo i brutti momenti, di quelli non ce ne facciamo un cazzo. A noi servono i sorrisi, a noi serve ricordare ciò che era stato bello di noi.

Ma mi trovo a pensare, a distanza di pochi giorni – forse ore, chi se ne importa più del tempo? – che tutto questo sia solo una grande presa per il culo.

Se noi non possiamo più rivivere quei momenti, perché ci ostiniamo a riguardarli? Perché ci ostiniamo a piangerci sopra sapendo che nulla di tutto ciò può tornare da noi?

Nell’ultima foto sorridevi, Harry. All’aeroporto, stretti in un abbraccio, avevamo deciso di scattarne una.

“Per vedere quanto ti abbronzerai in questi giorni”, avevo detto. Stupido.

A nessuno frega più della tua abbronzatura, specialmente quando ti avrei dovuto dire qualcosa in più di “Ci vediamo a capodanno”.

 

***

 

Sono anni ormai che mia madre, già nel mezzo della vecchiaia, ha deciso di trasferirsi in Tailandia. Aveva detto di avere bisogno di un mare caldo da guardare quando sarebbe morta, ma nel profondo so che ha scelto quel posto per ricordare le infinite vacanze trascorse su quelle spiagge quando ancora lei e mio padre erano giovani ed innamorati. E come biasimarla?

Lì c’era tutto il relax di cui aveva bisogno, in quella piccola pensione sulle coste di Thao Lak che tanto le piaceva.

Sono anni ormai che mia madre, però, vuole tornare nella scura e fumogena Londra per Natale. Non mi ha mai lasciato il tempo di discutere, chiudendo con un secco “Voglio tornare per qualche giorno dalla mia famiglia”. Così, di consuetudine, il 24 dicembre, la vado a prendere all’aeroporto insieme a Gemma, mia sorella.

Quest’anno, tuttavia, ho ricevuto una chiamata dalla piccola pensione: mia mamma sta male, e per quanto lì si prendano cura di lei, non c’è modo che ci possa raggiungere a Londra.

Così ora sono qui, in aeroporto, e invece di aspettarla vado a raggiungerla. Alla fine, un po’ di vacanza a me e mia sorella non ci farà del male. Tornerò a capodanno, così da passarlo con Louis.

“Vieni qui Harry, ti faccio una foto così vediamo quanto ti abbronzerai in questi giorni”, esordisce quest’ultimo, prima che io passi il metal-detector. Mi avvicino tranquillo e sfoggio uno dei miei sorrisi migliori: so che lo fanno impazzire.

“Probabilmente tornerò rosso pomodoro”, scherzo, facendo vedere il mio passaporto all’ufficiale di polizia.

Louis sbuffa prima di scivolare sotto la corda che divide l’interno dell’aereoporto, “Ci vediamo a capodanno”, e mi lascia un veloce bacio sulla guancia, pieno di sentimenti, pieno di “mi mancherai” e pieno di “arrivederci”.

 

Quando prendo posto sull’aereo i miei pensieri volano istintivamente su di lui. Sia Gemma sia mia mamma – tutto ciò che ora rimane della mia famiglia – non sanno nulla di “noi”, e nulla devono sapere.

Nulla, perché alla fine non esiste un vero e proprio “noi”. Ricordo come se fosse ieri tutto ciò che abbiamo passato insieme. Ricordo la prima volta che ci siamo incontrati, per puro caso, in un ristorante di lusso.

Entrambe avevamo un appuntamento con una ragazza, ma non capendo esattamente la prenotazione il cameriere ci aveva rifilato lo stesso tavolo. Ricordo precisamente l’imbarazzo palbabile che all’inizio aveva animato la nostra serata, e ricordo esattamente le risate che verso mezzanotte ci avevano riscosso l’anima inebriata dal vino costoso. Ricordo anche che avevamo corso per Londra, finendo ubriachi su una panchina sperduta di Hyde Park.

“Ragazze,” aveva sbuffato Louis.

Io avevo riso all’istante, perdendomi sempre un po’ di più nei suoi occhi umidi. “E chi le capisce,” avevo risposto.

Louis si era passato una mano tra i capelli, e aveva sorseggiato un po’ di vino. “Meglio i ragazzi, eh?”.

E ricordo come avevamo fatto l’amore sotto le stelle, incuranti di tutto e di tutti, semplicemente persi uno dentro l’altro, senza capire il perché e senza voler pensare al futuro.

Come vivevo con lui non vivevo con nessuno, ma era appunto questo: vivere. Noi viaggiavamo con i nostri cuori e  ci sussurravamo parole dolci seguite da una pacca sulla spalla, come fanno i veri amici. Ogni tanto ci baciavamo sotto le stelle o sotto i salici, per poi andarci a fare un goccio al bar e sfiorarci le mani di sfuggita.

Ed è passato poco più di un anno dal nostro incontro, e ancora noi non abbiamo visto il volto delle ragazze misteriose di quella sera. E ancora a noi non ce ne importa, e ancora noi viviamo dell’amore dell’altro senza dirlo mai, lasciandolo impresso nell’aria intorno a noi.

Perché sì, io amo Louis, eppure non gliel’ho ancora detto, ineffabile. Ma probabilmente lo sorprenderò quando inizierò il 2005 con una dichiarazione. Insieme.

***

 

Foto. Ora il mio tavolo ne è pieno. Di tutti i tipi, di tutti i colori, di tutte le emozioni. Di tutto l’amore che provo per quei ricci ribelli e quegli occhi verdi. Di tutti i sorrisi che sono riuscito a strappargli tra una carezza e l’altra, mentre cercava di togliermi la macchina fotografica di mano. Harry non si stancava mai di prendermi in giro per questa mia passione, ma nello stesso tempo adorava essere il mio soggetto preferito da inquadrare.

Foto. Una volta le amavo, poi ho visto quella della tua carta d’identità che tanto odiavi apparire al telegiornale. E le ho odiate.

 

***

 

Il mare tailandese è una delle cose più belle e rilassanti che io abbia mai visto. È azzurro, è cristallino, è puro. È pieno di vita e di allegria.

Non posso fare a meno di pensare che gli occhi di Louis si confonderebbero con tanta perfezione. Anche loro sono puri, forse ripuliti da tutte le lacrime che gli ho asciugato con baci leggeri, promettendogli che non ne avrebbe mai versate per colpa mia.

Gemma sta raccontando gli sviluppi della relazione con il suo ragazzo alla mamma, e quest’ultima sembra ascoltare famelica ogni dettaglio, così decido di passeggiare un po’ sulla costa: per ora non sentiranno la mia mancanza.

I miei piedi affondano passo dopo passo nella sabbia bianca. Mi beo di ogni dettaglio del paesaggio, pensando che se Louis fosse stato qui avrebbe sicuramente fotografato ogni singolo centimetro per poi esclamare un semplice “Per ricordare, quando sarò vecchio”, alzando le spalle.

Inconsapevolmente al suo pensiero sorrido come un idiota, tanto da spaventare alcuni bambini che giocano a palla sul bagnasciuga. Se solo potessi camminare mano nella mano con lui, in questo momento; se solo potessi passare il Natale in sua compagnia, se potessi presentarlo a mia madre come “il mio ragazzo”.

All’improvviso desidero averlo vicino più di ogni altra cosa. Desidero di sentire i suoi capelli sul mio viso, sferzati dal vento; desidero il suo corpo bagnato sopra il mio, nell’acqua cristallina; desidero solo poter perdermi nel mare dei suoi occhi invece che nel mare di Khao Lak.

Ma lo sento lontano. Lontano e irraggiungibile. Lontano e il “ti amo” disperso da qualche parte nell’oceano indiano.

Il mio cuore affonda un poco. Scava nelle mie viscere, come un brutto presagio. Scava nelle viscere, come un avvertimento.

Affondo ancora nella sabbia bianca, il mare puro a lambirmi i piedi.

È il 25 dicembre 2004, e io torno con il cuore pesante come una pietra da mia mamma e mia sorella.

 

***

 

Foto. Quella dell’aeroporto la continuo a guardare. Dio solo sa quanto sento la necessità di averti vicino. Mancavano quattro giorni e saresti tornato. Ma sono passate quattro ore e sei mancato tu, Harry.

Il tuo nome rimbomba come un’eco lontana nella mia mente. Ti sento, ti sento, ma non riesco a prenderti. Ci sei solo nelle foto, ormai scolorite dalle troppe lacrime.

Perché non ci pensavo, Harry. Perché aspettavo la tua chiamata delle quattro, impaziente. Perché non mi è venuto in mente di chiamarti alle otto, così, solo per sentire la tua voce. Perché sono stato un coglione e mi sono tenuto dentro troppo.

Perché alle quattro e cinque minuti ero già preoccupato, ma ho dovuto aspettare lo speciale delle cinque sulla BBC per esplodere.

È apparso solo il titolo “Oceano Indiano scosso da onde anomale”, e poi non ho sentito più un cazzo. E poi il mio cuore ha perso un battito. Forse due, forse tre. Forse ha smesso di muoversi e sto solo immaginando di vivere. Perché le mie gambe hanno ceduto e il sangue ha smesso di pompare.

Perché ho vomitato tutta la merda che avevo in corpo. Non mi serviva più se non c’eri tu.

E poi la sera, sul tardi, sono apparse le liste dei possibili scomparsi. E la tua foto era lì, scolorita ed inerme, senza sorriso, senza amore, senza vita.

***

 

Festeggiare Natale sulla spiaggia cristallina è stata, per me e mia sorella, una delle esperienze più belle. C’era l’albero, c’erano le calze con i dolci, c’era tutto. Il residence era decorato alla perfezione, e ancora la mattina dopo si vedevano nastri rossi sparsi per la spiaggia e bambini giocare con i loro nuovi giocattoli.

Sono le nove di mattina del ventisei dicembre, qui a Khao Lak, e io ho deciso di svegliarmi presto per fare una passeggiata sulla stessa spiaggia malinconica di ieri.

Vorrei chiamare Louis, dirgli che qua è bellissimo, e che sarebbe perfetto se solo ci fosse lui. Vorrei chiamarlo e dirgli che per capodanno ho una sorpresa per lui. Che a capodanno avrà voglia di fare l’amore con me come non ne ha avuta mai.

Penso alle sue labbra, penso alla sua carnagione chiara. Penso che fra soli quattro giorni sarà di nuovo tra le mie braccia, cullandosi beato.

Mi ricordo ancora di quel giorno, quando gli presi il viso e gli asciugai tutte le lacrime. Aveva appena litigato con Zayn, il suo migliore amico. Lui l’aveva abbandonato, e io gli avevo promesso che con me non sarebbe capitato. Passeggiavamo tranquilli tra Hyde Park, e in quel momento non mi sono sentito a disagio quando ho preso la sua mano tra le mie e gli ho sussurrato “Non sa cosa si è perso quel coglione”. Lui aveva riso e mi aveva baciato, sotto gli sguardi perplessi delle persone attorno a noi.

“Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata”, aveva risposto poi. E io seppi che quella sarebbe stata la cosa più vicina ad un “ti amo” che sarebbe mai potuta uscire dalle sue labbra.

E mi accontentai. Mi accontentai, consapevole dei nostri limiti. Ma ora non mi accontento più, preso da qualche forza sovrumana ed indescrivibile. E non riesco ad aspettare.

Mi alzo dal bagnasciuga, riprendendo la strada di casa per telefonargli. Anche se è notte in Inghilterra, lo sveglierò, ma non riesco a trattenermi. Il mio corpo ed il mio cuore vogliono buttargli in faccia quello che davvero provo per lui, l’amore sconfinato e quasi impossibile che mi ha animato per tutto questo tempo.

Mi riempio di un’insolita euforia, e incomincio a correre.

Sono le dieci in punto, qui a Khao Lak, e io ancora sono distante da casa. La gente si sta risvegliando, le famiglie incominciano ad affollare la spiaggia, contenti e ancora pieni dal pranzo di Natale.

I sorrisi infestano il luogo, e il mio non tarda ad arrivare. Sorrido così tanto che gli angoli della bocca incominciano a farmi male; accelero nella foga delle emozioni.

Arrivo a casa, saluto mia mamma e mia sorella, appena svegliate. Incomincio a cercare il telefono ovunque. Non mi importa quanto pagherò, non mi importa se Louis sta dormendo. Non mi importa se non è capodanno, non mi importa del mondo, non mi importa di nulla. Voglio solo sputare il "ti amo", e sentirlo sorridere dall'altra parte del mondo, per dimostrargli che il nostro amore può superare qualsiasi oceano. Sento il bisogno di farlo.

Finalmente prendo il telefono, ed esco dalla casa: voglio dirglielo con il mare davanti a me, perché sarà un po’ come guardarlo negli occhi.

Sono le dieci e ventotto minuti, quando raggiungo la spiaggia, con il telefono pronto. Sono le dieci e ventotto minuti, qui a Khao Lak, e il mare non c’è più.

È distante, si allontana sempre di più, e penso di essere in un sogno.

Mi stropiccio gli occhi affannato, la spiaggia ormai è lunga chilometri, e i coralli e i pesci giacciono su di essa, inermi.

Poi sento le grida di mia sorella. Mia mamma cerca di dirmi qualcosa, ma non ascolto. Non capisco, ma mi sento pesante e immobile. Compongo il numero, e ho tempo di sentirlo squillare due volte.

 

Sono le dieci e ventinove, qui a Khao Lak, e la telefonata a Louis Tomlinson non è mai partita. Affogata tra le onde insieme a me.

 

***

 

Foto. Le mie, quelle del coglione che sono. Quelle dell’album di Hyde Park. Quelle dove gli occhi di Harry splendono di mille colori anche se la foto è in bianco e nero. Quelle dove io sorrido perché lo sta facendo lui. Quelle che ritraggono momenti in cui ho pensato di dirgli i miei veri sentimenti.

E poi quella spenta. Quella del telegiornale.

Quella sulla lista dei dispersi, che piano, pianissimo, si sposta tra i deceduti.

E qualcosa, dentro di me, affoga. Insieme a lui, insieme al mio amore. Mi sento rompermi dentro. Sento il cuore esplodere e le sue schegge conficcarsi nella mia carne. Sento le lacrime scendere, sento il mio pugno sbattere contro il muro. Sento le mie urla, senza capirle davvero.

Piango il suo nome, piango il mio. Mi aveva promesso che lui non se ne sarebbe andato. Mi aveva promesso che lui non mi avrebbe fatto piangere.

Piango le parole non dette mai, e piango quelle senza importanza dette troppo spesso.

Piango. Avrei dovuto dirgli “ti amo”, invece di un semplice “ci vediamo a capodanno”.

 

È il trentuno dicembre 2004, qui a Londra, e l’anno è finito insieme a me.




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Salve gentaglia. Se siete arrivati a leggere fin qui, beh, lasciatevelo dire: vi amo. Questa OS ha una storia particolare, l'ho scritta tutta d'un fiato, oggi, anche se la stavo programmando da giorni.
Ha dentro un po' di me stessa, ci ho lasciato un pezzettino di cuore. Magari è una cagata, ma io mi ci sono "immersa" letteralmente, ecco. 
Ovviamente è un riferimento allo Tsunami che ha devastato gran parte dell'Oceano Indiano nel dicembre 2004, in particolare in questo paese turistico della Tailandia, dove le morti sono state più di quattromila (cifra stimata). Per scriverla ho letto parecchie testimonianze di sopravvissuti che si trovavano sul luogo e, ve lo giuro, ho pianto. Ho pianto tantissimo. E' qualcosa di talmente tragico che non ci sono parole per descriverlo.
Non so, sarà anche per l'ora, ma al momento non mi va di scrivere molto nelle note. Volevo solo ringraziare Cristina perché l'ha letta in anteprima e mi ha cosigliato /obbligato/ di pubblicarla.
Spero davvero che vi possa piacere. Ringrazio tutti quelli che leggeranno e/o commenteranno in anticipo. Grazie infinite.
Alessia. :) 



 

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