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Autore: AxXx    11/10/2013    2 recensioni
La guerra è alle porte, i regni del continente di magnamund si preparano ad affrontare l'invasione dei Signori Delle Tenebre che si preparano ad attaccare dal regno di Kazas, situato a Nord-Ovest, circondato da un'immensa catena montuosa.
Tutti i regni si preparano alla guerra, scegliendo da che parte schierarsi. Chi saranno gli eroi che decideranno le sorti della guerra?
[Finita la selezione personaggi! Ignorare il primo capitolo, chi c'è c'è, chi non c'è non c'è!]
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                    Nell’Oscurità

 
 
 
 
 
 
 
I tre compagni entrarono nella sala del trono. Al centro vi era un enorme tavolo ovale con sopra una cartina precisa di Sommerland. Alcune pedine erano state posizionate sulla mappa e, accanto alla mappa vi era una riproduzione della città. Il tutto avrebbe dato l’idea di un gioco se non fosse stato che tutto quello era riprodotto dalla realtà.
Gli strateghi stavano discutendo animatamente, muovendo le pedine il varie posizioni, cercando di riprodurre le possibile strategie del nemico e rispondere al meglio, ma senza mai giungere ad un accordo. Era impossibile prevedere le mosse del nemico senza conoscere i numeri esatti dell’armata. Bisognava, inoltre, essere a conoscenza di quali unità avesse a disposizione il nemico, inoltre, senza rinforzi e senza i Cavalieri del Sole a guidarli, difficilmente avrebbero vinto.
Tutti, però, ammutolirono, all’ingresso dei tre nella sala. Kaim osservò con attenzione i presenti: al centro vi erano una trentina di persone, tra nobili, generali e strateghi tra i quali riconobbe il Comandante Val, con l’armatura e l’arco a tracollo. Tra di loro vi era, inoltre un mago dalla lunga tunica rossa e il mantello marrone, con un alto cappello a punta. Solo di vista lo conosceva, ma era certo che si trattasse di Elminster il Mago Rosso, fondatore dell’ordine delle Stelle di Toran, immortale e potente, forse unica speranza della città.
Poco lontano un giovane mago dai capelli blu, stava consultando la mappa, di Magnamund e si era voltato verso di loro. Probabilmente uno dei proseliti dell’Ordine delle Stelle.
Il Re era seduto su un alto trono, posto in cima a una scalinata. Il volto era stanco e spossato, probabilmente per la difficoltà dell’assedio. Dal taglio che aveva una guancia si poteva capire che aveva anche partecipato personalmente ad alcuni scontri. Molto coraggioso da parte sua, ma anche pericoloso. Senza una guida il regno sarebbe caduto molto presto. Certo, la sua presenza sarebbe stata di grande aiuto per il morale delle truppe.
“Cavaliere del Sole, il vostro arrivo è una buona notizia per noi e le nostre forze, ma la perdita dei tuoi fratelli può significare solo la fine. Senza la loro esperienza e la loro forza, la nostra fine potrebbe essere certa.” Disse il sovrano vedendoli arrivare, mentre tutti gli altri ammutolivano.
“Mi dispiace, mio Signore. I miei fratelli hanno fatto di tutto per difendersi, ma l’oscurità i ha ingoiati. Mi solleva solo il fatto che essi abbiano combattuto fino alla fine, adempiendo al loro giuramento. Porto anche notizie di vostro figlio. Egli sta guidando le truppe a nord, ma il grosso dell’armata si sta dirigendo qui. Presto Holmagard sarà invasa.” Disse il giovane guerriero, accarezzando il pomello della spada, preoccupato.
“Indubbiamente siamo in difficoltà, ma non permetteremo che i Signori Prendano la città. Se necessario, combatteremo fino alla morte.” Sentenziò il comandante Val con decisione, subito accolto con favore da diversi presenti.
“La vostra morte non salverà la città. Ma avete ragione: lo scudo dell’est non deve cadere. L’unica cosa che possiamo fare è combattere fino alla fine. Il fatto è che, però, non abbiamo aiuto. Se potessimo contare su degli alleati, potremmo vincere.” Rispose lo stregone Elminster accarezzandosi la barba pensieroso.
La discussione degenerò presto in un resoconto su quanti messaggeri erano stati mandati e che non avevano fatto ritorno. Avevano provato di tutto, ma alla fine, l’unica cosa di cui erano sicuri era che la Vassagonia li aveva traditi.
Anche le dimensioni dell’esercito erano incredibili: trentamila guerrieri delle tenebre, diecimila vassaki da sud a cui presto si sarebbe quasi sicuramente aggiunta una flotta proveniente da nord per bloccare ogni approvvigionamento.
“Le nostre aspettative sono di tre mesi nei casi migliori. Nel peggiore forse nemmeno due. Se, però, i nostri alleati di Hammerdal intervenissero con le loro armate potremmo vincere. Inoltre sono loro a custodire la Spada Astrale, è l’unica arma in grado di abbattere i Signori Delle Tenebre.” Affermò alla fine, Elminster battendo il suo bastone sul terreno.
“Scusate… cos’è la Spada Astrale?” Chiese Kat, perplessa, osservando gli altri nobili.
Tutti la osservarono sorpresi, quasi fosse venuta da un altro pianeta.
“La Spada Astrale è, probabilmente, l’arma più potente che abbiamo a disposizione. Essa fu creata nel lontano passato, durante l’era dell’Oscurità Perenne e abbatté il Campione delle Tenebre Hagerkan. Creata da tutte le razze riunite è, probabilmente, il più grande simbolo dell’alleanza mai esistito. Creata partendo dal minerale misterioso estratto da un meteorite che il Padre Sole fece precipitare sulla terra, essa fu lavorata dai più abili fabbri nanici, temprata nelle fiamme di un drago, e incantata dai maghi più potenti di tutte le razze. Le storie narrano che, nell’incantarla essi infusero nella spada le loro stesse anime, lasciando i loro corpi morti. L’unica cosa certa, però è che è l’unica arma in gradi di sconfiggere i signori delle Tenebre.” Spiegò Elminster con tono calmo e pacato.
“Non esattamente, ci sono incantesimi in grado di ucciderli, ma solo temporaneamente. Essi, alla fine, rinascono dopo pochi mesi, massimo un anno. Solo la Spada Astrale, li uccide definitivamente.” Precisò il giovane mago di Toran.
“Il che, però ci riporta a un problema già accennato.” La spada è custodita a Durenor, capitale di Hammerdal, nostri alleati e vicini. Tuttavia temiamo che essi non abbiano ricevuto i nostri messaggeri. I Servi del Male devono averli intercettati e uccisi.” Aggiunse tristemente il sovrano con occhi stanchi.
Presto la discussione degenerò di nuovo su quanti erano morti nel tentativo e quanto fosse difficile. Paura si sparse nella sala e nel cuore dei nobili finché la possente voce del Sovrano non riecheggiò nelle sale, riportando l’ordine.
“Invero bui tempi ci attendono, tuttavia l’arrivo del Cavaliere del Sole mi infonde speranza. Forse, con il suo aiuto e quello di Elminster, potremmo resistere fino all’arrivo dei rinforzi. Tuttavia vanno avvertiti. Ci serve una persona coraggiosa, ma scaltra e veloce, abituata a viaggiare, dal piede veloce e furtivo, in modo che possa sfuggire alle insidie del Nemico, in questo periglioso viaggio.” Fu la proposta. Nessuno la accolse.
Ben pochi potevano vantare queste abilità e non erano in quella stanza. Ancora paura, avvolse la sala rotta da un improvvisa voce femminile.
“Andrò io a chiamare Durenor!” Urlò Aleida, facendosi avanti.
Sotto gli occhi di tutti la fanciulla non si mosse, mai uomo aveva dimostrato coraggio tale da essere paragonato a quella che, con tanto ardire si faceva avanti per affrontare quelle insidie. Con passo fermo si chinò dinnanzi al re.
Egli stupito la osservò: “Il tuo coraggio indubbiamente è senza pari, ma io la mia fiducia non posso concederti, dato che in questa corte non ti ho mai visto, ma se ivi sarà qualcuno che per te sarà garante, allora tale sarà la tua missione.”
“Io sarò il suo garante, ella mi è stata alleata e ha in dispetto i Signori delle Tenebre. Il suo piede rapido e la sua abile ombra saranno meglio di qualsiasi cavallo in questa missione.” Disse, subito, kaim facendosi avanti, anche lui con un inchino.
E allora sul volto del re non vi fu più l’ombra del dubbio: “Che sia preparata una spedizione per costei via nave, che solo il capitano e pochi fidi compagni sappiano la verità e siate rapidi perché le Tenebre si muoveranno subito per impedirci di trovare ciò che le può dissipare.”
L’ordine fu subito recepito e una guardia corse rapidamente, mentre subito i nobili e i comandanti si misero a discutere del modo migliore per far giungere la nave a destinazione. Kaim, certo di non esser più utile si rivolse al banedon, che, curioso, si era rivolto a Kat per conoscere meglio i Dragoviani.
“Buondì, Cavaliere, la notizia della perdita dei tuoi compagni mi rattrista, ma confido che la tua spada non tremi nelle battaglie a venire. Il tuo comando e la tua forza saranno ora messi a dura prova. Io son banedon, della corporazione di Toran e sotto il comando del mio maestro sono qui con venti miei prodi compagni, in difesa della città.” Annunciò quello, vedendolo arrivare.
“Non temere mago, la mia perdita rafforza la mia furia. La scaglierò contro ogni servo del nemico avrò innanzi, ma starò attento affinché ella non mi accechi.” Furono le tranquillizzanti parole del cavaliere.
“Questo mago è molto colto, sono felice di poter mettere un freno alla tua curiosità, la mia razza è assai lontana ed è certo che i tuoi fratelli ne sappiano poco, nonostante la grande sapienza.” Aggiunse, Kat, con un sorriso.
Presto i tre si trovarono subito d’accordo su molto, iniziando a parlare del loro passato e di quello che facevano, ma in qualche modo, c’era sempre qualcosa che nessuno voleva rivelare. Kat notò subito che Banedon era molto restio a parlare di colui che gli avesse insegnato l’arte della magia, quasi se ne vergognasse.
Infine, Fu Kaim ad andarsene per primo, adducendo il fatto che fosse ancora debole per le ferite. Una donna, vice del Comandante Van si prese l’incarico di condurlo e lo aggiornò sulla situazione, spiegando la poca forza di Holmagard, nei primi giorni, senza sapere dell’orda, molti gruppi di soldati si erano dispersi per contrastare le avanguardie, ma, rimasti intrappolati, non avevano avuto speranze contro le schiaccianti forze nemiche e i pochi supersiti erano dispersi nelle campagne, impossibilitate a tornare.
Dalla sua candida stanza, kaim, rimasto solo, osservò la città dalla fortezza, costruita in cima a una collina. Quattro erano le cinte di mura che la difendevano e i bianchi edifici, si ergevano maestosi, con guglie di chiese costruzioni imponenti. Più avanti le case si facevano più povere, fino a diventare agglomerati di case senza ordine, con stradine e viuzze strette e tortuose con poche strade principali asfaltate che portavano alle cinque porte e al porto della città. Esse erano fiancheggiate da immensi edifici di venditori e caserme che, come una barricata proteggevano la via principale dall’ondata di case dietro di loro.
All’esterno una massa informe nera di bestie orribile che avanzava inesorabilmente il cui numero era tale che era impossibile dire quanti fossero. Tale era la massa che si disperdeva all’orizzonte, tanto che, nemmeno dall’alta cittadella di Holmagard se ne scorgeva la fine.
Il giovane si lasciò cadere sconsolato, ma non cedette alla paura. Incrociò le gambe e si mise a meditare, portando la calma nella sua mente, portandola a espandersi, come un mare di colori. Sentì le voci, le paure e i timori della gente, sotto la Candida Fortezza e le urla di guerra dei mostri vuoti di mente e di cuore, oltre le mura difensive.
“Partirò sta’ notte.” Lo interruppe la voce di Aleida.
Così concentrato il giovane si distrasse subito e alcuni oggetti che si erano messi a levitare, sollecitato dalla forza del suo pensiero ricaddero a terra, infrangendosi o sbattendo rumorosamente.
“Buona fortuna, necessaria in questi tempi bui. Che il Sole possa illuminare sempre il tuo cammino.” Gli augurò, il giovane, con un inchino.
“Ti ringrazio, amico mio… volevo anche scusarmi per il nostro ‘primo incontro’. Io ho cercato di ucciderti, eppure continui a darmi fiducia. Non so dire se tu sia pazzo o coraggioso, ma sappi che ti devo molto.” Disse lei dopo un attimo, abbassando gli occhi, con un misto di dispiacere e di rispetto.
“Non è nulla, sono felice di averti aiutato. Ti ringrazio anche io per non avermi abbandonato alle porte della città. E anche per esserti offerta volontaria.” Rispose lui, scuotendo la testa, felice di aver trovato un’amica fedele in quei momenti difficili.
“Voglio fare ammenda. Ti ringrazio ancora. Posso chiederti come hai fatto a far fluttuare quegli oggetti?” Chiese, indicando le brocche e i secchi che giacevano abbandonati a terra.
“Solo concentrazione, niente magia… sono capacità di concentrazione che noi Cavalieri del Sole apprendiamo fin dagli inizi del nostro addestramento. Con una forte concentrazione possiamo usare la nostra mente per difenderci da parte delle magia, controllare a distanza gli oggetti, combattere mentalmente. Questo ci aiuto per difenderci dalle influenze maligne delle creature Oscure. Alcuni dei maestri avrebbero potuto soggiogare mentalmente un intera guarnigione di soldati.” Spiegò il giovane illustrando il lungo e difficile addestramento del Castello. L racconto fu per lui doloroso, ma anche molto liberatorio, quando si aggiunse anche kat, che aveva terminato il suo discorso con banedon.
Solo a tarda notte, l’assassina si congedò per dare inizio alla sua missione.
“Tieni, possa proteggerti nei momenti difficili.” Sussurrò la dragoviana, dando qualcosa alla compagna. Una scaglia che aveva perso in battaglia.
“Grazie… Possano Sole e Odineos affiancarvi in battaglia.” La ringraziò Aleida, con un sorriso, mentre usciva silenziosamente dal palazzo, senza che occhio potesse scorgerla.
 
 
 
 
 
 
 
La mezzelfa avanzò tra le celle della fortezza di ghiaccio tenendo la testa bassa, mentre le mani di coloro che vi erano imprigionati. Alcuni chiedevano aiuto con occhi disperati e doloranti, altri, rassegnati e devastati dagli esperimenti, erano rannicchiati negli angoli delle celle, senza ricordi e senza speranze, in attesa della morte. Diversi erano ridotti a poco più che scheletri rinsecchiti, che balbettavano frasi sconnesse e senza senso in attesa della fine. Ignorando tutto ciò lei procedette lungo i gelidi corridoi della fortezza, fino a giungere a una grande laboratorio.
In esso vi era chiuso il suo caro padre: Vonatar, intento a portare avanti uno dei suoi tanti esperimenti.
Su di un tavolo, vi era una giovane fanciulla, un’elfa dai lunghi capelli dorati tenuta ferma da una gabbia magica. Il suo volto era rigato di lacrime e ogni volta che i terribili ragni estrattori dello stregone prendevano un po’ del suo sangue, emetteva delle flebili grida di dolore.
“Padre…” Sussurrò la giovane dai capelli blu, inchinandosi davanti allo stregone, intento ad analizzare il sangue tenuto sospeso in una bolla di energia, con una strana lente.
“Figlia mia. Come ti senti oggi?” Chiese la voce roca del vecchio, che si pulì le mani, con uno straccio.
“Bene, padre. Ero intenta ad allenarmi nei miei alloggi, ma ho saputo che volevate vedermi? Ho dei nuovi ordini?” Chiese la mezzelfa rispettosamente, guardando negli occhi il proprio genitore che le accarezzò il viso con dolcezza.
Anche se non erano padre e figlia, ormai il loro legame era tale. Lei ricordò quello che era successo molto tempo prima. Anche se la sua razza era quasi sempre accettata ovunque, non mancavano coloro che li deridevano e li odiavano per i loro capelli blu.
Per quello sua madre era stata allontanata dal palazzo a Durenor, dove il nobile Maresciallo Logain l’aveva buttata fuori con la sola scusa di non essere ‘umana’.
“Non ho bisogno di una puttana mezzelfa! Tu e la tua figlia bastarda potete anche andare al diavolo!” Urlò l’uomo, furioso, dando una spinta alla povera donna che, per anni, aveva fedelmente servito in quella dimora.
“Mio signore, vi prego… ho servito qui per anni, se mi cacciate, mia figlia morirà, vi prego!” Supplicò la donna tenendo dietro di se kara che, all’epoca aveva solo sei anni.
La piccola si riparò dietro la gonna della madre, cercando di non guardare gli occhi crudeli di colui che le stava cacciando. Troppe volte l’aveva visto punire duramente i propri servi per ogni minima cosa. Così diverso dal padre che era noto per essere un uomo benevolo e comprensivo.
“Fuori, maledette puttane!” Urlò il maresciallo, sguainando la spada, puntandola contro la mezzelfa.
Jiana, spaventata, si allontanò subito, stringendo la figlia, inseguita dalle ingiuriose urla del crudele umano. Nei giorni seguenti la donna mendicò per le strade della città, contando sulla pietà della gente, ma nessuno volle concederle una moneta. Disperata e affamata, si aggirò come un fantasma tra le vie strette, cercando di consolare la piccola Kara che, affamata, guardava la madre con occhi tristi e spenti.
Alla fine la povera donna morì di stenti in mezzo alle strade della città.
Pianse, Kara, per giorni le sue lacrime si confusero alla pioggia che scrosciava incessante bagnando le strade di pietra e il viso della bambina che non lasciava uomo avvicinarsi al corpo della madre. Pregò tutti gli Dei perché le restituissero i genitori adorati, ma nessuna fu la risposta dei padroni del cielo.
Un giorno, però, un uomo passò per la grande strada di Durenor, accompagnato da una scorta di uomini armati. Accanto a lui un giovane dai capelli blu, un mezzelfo, proprio come lei. Il mago era gobbo, dal naso adunco, tuttavia emanava una specie di ‘aura di forza’, quasi come se la sua sola presenza bastasse a rinvigorire la gente.
Poi, quello si voltò e distesa, in mezzo alla strada vide Kara distesa a terra, ormai sola e senza speranza, decisa a lasciarsi morire. Eppure il duro viso di quell’uomo si dischiuse in un moto di pietà.
“Banedon, mio allievo, prendi quella ragazzina e che sia portata con me, come se fosse mia figlia. Che ella sia nutrita e coperta e che possa sempre usufruire delle mie attenzioni.” Ordinò quello con voce imperiosa.
La sorpresa si dipinse sul volto di Kara, mentre gli uomini del mago la portavano in spalla fino a lui che, con un solo tocco ne guarì tutti i mali.
Da quel giorno, mai tradì la lealtà di Vonatar.
 
“In effetti sì… tu e il Generale Nefros dovrete rimanere qui a vegliare sulla Fortezza di Ghiaccio. Al raduno di Picco della Zanna parlerai tu in mia vece. Io ho necessità di andare alle porte di Holmagard, ove la mia flotta dovrà bloccare ogni accesso navale alla città.” Spiegò il Mago, mentre la giovane tornava al presente.
“Certo, padre. Ogni cosa per voi.” Rispose Kara con un inchino, sorridendo, grata della fiducia che in lei era riposta.
“Eccellente, figliola… ho preparato per te una piccola sorpresa che ti aiuterà.” Disse lui, mostrando una lancia lunga due metri e mezzo.
Il manico era nero con rune rosse come il sangue che lo solcavano fino alla punta che terminava con tre punte simili ad un artiglio.
“Questa è la Straziacuori. Quest’arma è letale e potente, un solo colpo al petto e con essa sarai in grado di strappare il cuore degli avversari.” Spiegò il mago consegnandogliela con rispetto. “Non per niente sei il Demone Blu.” Aggiunse sorridendo e accarezzandole i capelli.
“Vi ringrazio, padre. Giuro che non vi deluderò.” Disse lei, dopo averla fatta roteare e saggiandone il peso. Era un’arma stupenda.
“Prega gli Dei Oscuri affinché mi concedano la vittoria, allora.” Rispose il Mago afferrando la sua asta nera per poi sparire in un portale che sembrava fatto di fiamme nere.
La figlia rimase per qualche secondo ad osservare tristemente il punto in cui suo padre l’aveva abbandonata, dopodiché si avviò verso la porta, ma no prima di aver chiamato le guardie.
“Portate quello scarafaggio nelle segrete! Io ho altro a cui pensare.” Ordinò facendo un cenno sprezzante all’elfa ancora dolorante legata al tavolo da laboratorio.
Quella non oppose resistenza e fu trascinata via in catene, ma non prima che ebbe scoccato alla mezzelfa uno sguardo supplicante.
“Fermi!” Ordinò, allora Kara, avvicinandosi all’elfa. “Parla.”
Quella non disse nulla ma si limitò a guardare l’altra con disperazione, chinandosi, in ginocchio davanti alla giovane dai capelli blu.
“Vuoi essere libera?”
L’elfa si limitò ad annuire.
“Bene.” Sussurrò kara.
Con un singolo colpo vibrò la lancia e colpì la schiava in pieno petto. L’arma trapassò il fragile corpo come se quasi non esistesse e, tra gli artigli, sotto una pioggia di sangue, vi era conficcato il cuore ancora pulsante dell’elfa.
La povera donna provò a divincolarsi, aggrappandosi disperatamente alla mezzelfa, mentre lacrime di disperazione le rigavano il volto.
“Ora sei libera.” Sussurrò freddamente Kara mentre il corpo dell’altra si accasciava in un mare di sangue che bagnava le candide sale della Fortezza di Ghiaccio.
 
 
 
 
 
 
 
Erine si avvicinò di nuovo al fratello e lo abbracciò teneramente, anche se entrambi erano ancora sporchi di sangue. Ormai l’armata aveva raggiunto le porte della città e si preparava ad assediarla. Le bianche mura difendevano le abitazioni che presto sarebbero state abbattute.
Le scale e le torri avrebbero preso le torri, le catapulte erano pronte e allineate e le loro forze superiori di numero.
“Fratello… possiamo andare nella nostra tenda?” Chiese dolcemente la bambina, staccandosi da lui, con uno strano sorriso sul volto.
“Certo. Andiamo.” La incoraggiò lui prendendola per mano con dolcezza.
Scortati da due possenti Drakar furono portati a un tendone circolare abbastanza grande dal colore rosso e nero con un teschio rosso con un coltello che lo trapassava. Il vessillo del Signore delle Tenebre Krangetskull. All’interno vi erano due brande abbastanza comode, con tanto di coperte e una specie di comodino portatile.
“Quanto ci metteremo a vendicarci? Sono rimasti i Cavalieri del Sole nell’Impero di Nautilus. Anche loro devono morire, vero, fratello?” Chiese la bambina, sedendosi sulla branda, facendo roteare in mano il pugnale nero che aveva sottratto agli assassini Bark e Turik.
“Loro sono solo degli sciocchi. C’è un Cavaliere del Sole qui… sarò lui il primo a morire per la nostra vendetta.” Sussurrò il piccolo di otto anni che osservava con odio il coltello che teneva in mano. “Nessuno ci ha aiutati, nessuno ha voluto nostra madre… che siano dannati gli spiriti, i Cavalieri del Sole e l’ipocrisia umana. Saremo noi a vincere, questa volta.”
“Calma, Nire… dobbiamo avere pazienza, ricordi? Dobbiamo comunque essere cauti.” Sussurrò la sorella, accarezzandogli la spalla.
I due si guardarono negli occhi rossi come il sangue e si abbracciarono di nuovo.
“La mamma meritava di meglio… quel Cavaliere del Sole l’ha uccisa. Dobbiamo ammazzarli tutti.” Sussurrò lei freddamente.
All’improvviso una guardia Drakar si fece avanti e si inchinò davanti ai due.
“Miei signori, il Signore delle Tenebre desidera incontrarvi.” Disse rialzandosi osservandoli sospettoso da dietro la visiera dell’elmo.
“Certo… puoi andare.” Disse il maschio, sfoggiando un sorriso verso la sorella che rispose mostrando i denti aguzzi. Volevano divertirsi un po’, dopotutto.
Con una magia Erine fece inciampare il soldato che cadde in avanti sorpreso e spaventato per la mancanza di un punto di appoggio. Subito, Nire puntò la mano contro la spada che la guardia portava al fianco e quella si sciolse, uscendo dal fodero. La lama scivolò fuori nello stesso istante in cui il Drakar cadeva e finì con tagliargli il ventre all’altezza dello stomaco.
Il soldato urlò, mentre i due fratelli ridevano crudelmente dell’orribile scherzo, facendo accorrere le guardie.
“Portate via questo sciocco… dev’essere inciampato su se stesso.” Ordinò il piccolo, uscendo tenendo per mano la sorella.
L’accampamento dei Drakar era ancora in costruzione, a distanza di sicurezza rispetto alle armi di Holmagard e i soldati tenevano sotto controllo le possenti porte della città per assicurarsi che nessuno ne uscisse. Alcuni issavano palizzate e torrette d’avvistamento, altri montavano le tende, molti scavavano le trincee e altri ancora montavano la guardia.
La tenda di Krangetskull era ampia e circolare, rosso e nero, con un’alta bandiera nera con il suo simbolo cucito sopra, con due Hellgast di guardia, armati di lance e spade.
Alla vista dei due bambini le due bestie sovrannaturali emisero un flebile sibilo, ma li lasciarono passare.
Erine e Nire, questa volta, stettero attenti a ciò che facevano. L’interno della tenda era incredibilmente buio e opprimente, senza nemmeno una torcia ad illuminarla. Perfino la luce che avrebbe dovuto filtrare dalle piaghe e dalle lacerazioni della tenda sembrava ritirarsi. Avvolti da quell’innaturale oscurità i due avanzarono fino a trovarsi ai piedi di un trono di pietra che si trovava al centro della tenda.
“Mio signore.” Sussurrò il bambino inchinandosi insieme alla sorella.
Davanti a loro, tra l’oscurità, vi era una figura orribilmente deforme, dal corpo scheletrico, alto due metri, al fianco una spada a due mani enorme e che sembrava avvolta da un aura di fiamme nere. Le mani erano scheletriche e deformi, incredibilmente grande rispetto al corpo e il volto, appena coperto dal cappuccio, era una maschera scheletrica dagli occhi di fuoco con grumi di carne marcia ancora attaccati al viso.
I due capirono subito che era solo grazie al loro addestramento psichico che non erano ancora impazziti dalla paura e dal terrore.
Il Signore delle Tenebre si alzò dal trono che fu ingoiato dalla terra, e avanzò verso di loro squadrandoli con le orbite vuote.
“Voi siete inutili qui. So qual è il vostro compito, ma non sono qui per fare da balia a due mocciosi. Uccidete il Cavaliere del Sole e andatevene. Le nostre operazioni militari hanno la priorità. Se vi scoprirò ad intralciarle o a mettere bocca sulle mie decisioni, farò in modo che possiate tornare a Helgedad… pezzo per pezzo. Spero di essere stato abbastanza chiaro.”
“Si, mio Signore.” Risposero in coro i due fratelli con la paura negli occhi.
 
 
 
 
 
 
 
Non riesco a crederci… ho fatto l’ennesimo capitolo e non sono morto. Amatemi. Ok, come già accennato la storia torna a vedere il punto di vista dei cattivi, qui, per altro, pochi, perché ci saranno moooolti altri cattivissimi campioni del male.
Be’, mi sa che questo sarà un aggiornamento che aspetterà moooolto tempo ad avere un successore. Però ditemi cosa ne pensate.
AxXx

 
  
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