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Autore: anqis    11/10/2013    5 recensioni
Da quella notte, cominciammo ad uscire insieme. Io smisi di fumare, perché lo facevi tu per me e tu di bere, giusto per essere equi e perché la patente io ancora non l’avevo presa. Le uscite al freddo si trasformarono in serate sul divano, le poche parole pronunciate ad insulti e qualche dimostrazione di affetto.
«Ti voglio bene.»
«Te lo scordi. La spazzatura la porti giù tu.»
«Ti odio, ragazzina.»
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ora con te.'
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"Maybe.. you'll fall in love with me all over again."
"Hell" I said, "I love you enough now. What to do you want to do? Ruin me?"
"Yes. I want to ruin you."
"Good" I said, "That's what I want too."

Ernest Hemingway - A Farewell to arms.



Polpastrelli bruciati, scarpe rotte.


Il freddo dà una sfumatura livida al buio del crepuscolo e sono contenta che le tende di camera mia siano abbastanza pesanti da nascondere l’ombra riflessa sui vetri mentre faccio le valigie.
Sorrido malinconica a me stessa. Mi domando come io possa davvero considerare questa stanza mia, quando le lenzuola sanno di muschio bianco e dopobarba, di te e dei nostri abbracci; quando la tua vecchia maglietta dei Nirvana, quella che ormai profuma anche di me, giace ancora sulla poltrona davanti alla finestra, illuminata dal solo raggio di sole che riesce a farsi strada tra le tende pesanti di polvere e lo illumina come per attirare l’attenzione del mio sguardo e ricordarmi che no, questa stanza non è mia, ma nostra.
Nostra, mi ha sempre spaventato questo aggettivo e tu lo sapevi. Per questo, le mattine dopo che ti fermavi da me, te ne andavi al sorgere dell’alba. Gli occhi ancora sporchi della sabbia di Morfeo, gli scarponi in mano e la maglietta infilata all’incontrario, perché davvero, la mattina eri un disastro. Mi sfioravi la fronte con le labbra e la pelle a quel contatto bruciava, marchiata da quel bacio che sapeva tanto di “Me ne vado, ma torno”. Io strizzavo solamente le palpebre e non osavo aprirle, per paura che se avessi socchiuso gli occhi, tu mi avresti sorriso e forse ti saresti fermato per colazione. A quel punto tra me e te, noi, tutto sarebbe cambiato, sarebbe diventato reale e diverso.
Diverso era per me sinonimo di sconosciuto e non c’era nulla che più mi facesse paura di non sapere cosa sarebbe successo il domani, non dopo che ero riuscita a riprendere le redini della mia vita scombussolata. Non dopo aver sprecato anni della mia vita ad osservare tutto ciò che mi circondava lasciarmi con il tempo, che inarrestabile non si fermava, non mi aspettava. Le lancette ticchettavano, i secondi trascorrevano ed io ero sempre lì a chiedermi quando sarei riuscita ad uscire da quello strano limbo di polpastrelli bruciati, sigarette pestate e notti buie senza alba in cui sopravvivevo.
Poi eri arrivato tu, freddo come quella notte di Febbraio. Con quegli occhi scuri e vuoti di chi vaga per le strade in cerca di calore, ma trova solo vento e ancora più gelo, nonostante tutti i passi compiuti e le scarpe rotte. Così simili ai miei che non ti avevo allontanato come facevo invece con tutti gli altri. Pensavo che offrendoti quella sigaretta ed un posto gelido sul marciapiede al mio fianco, avessi trovato il degno compagno con cui distruggermi, finirmi una volta per tutta. E lo avevi pensato anche tu, quando allo scoccare delle tre e quindici di mattino, avevi gettato la sigaretta per terra e ti eri allungato verso il mio viso infrangendo le mie labbra con le tue. Era stato un bacio passionale, violento e duro, le tue dita tra i miei capelli chiari come la luna, la mia mano dietro la tua nuca a stringere i tuoi scuri come la notte. Sospiri sulla bocca dell’altro e forse, una lacrima. Se fosse tua o mia, non me lo ricordo, ma il sapore è impresso nella mia mente come fuoco sulla pelle: salato ed amaro.
Avevamo fatto l’amore senza neanche conoscere i nomi l’uno dell’altro, i gemiti soffocati contro i cuscini, le tue labbra ovunque tranne che sulle mie e la luna, unica spettatrice di quello spettacolo angoscioso. Io che mi aggrappavo alle tue spalle come se fossero l’ultimo appiglio prima di precipitare nel baratro, tu che lasciavi le impronta della tua stretta sui fianchi sottili e troppo magri. La mattina dopo te n’eri già andato ed io mi ero sentita ancora più vuota del solito. Mi ero raggomitolata su di me e soffocando i tremiti, mi ero convinta che era tutto normale e che un caffè mi avrebbe aiutata a spegnere quel freddo che mi ghiacciava lo stomaco.
Non mi sarei mai immaginata di rincontrarti in quello squallido locale ad un appuntamento a quattro organizzato da quella pazza della mia amica Cèlie e quell’idiota del tuo coinquilino.
«Lei è Eliane.»
«Ci conosciam-.»
«Piacere di conoscerti, Zayn» mi avevi interrotto.
Ad un certo punto, la pasta del mio piatto era caduta, la tua guancia si era arrossata e la mia sedia ribaltata. Finalmente mi avevi guardata negli occhi, perché anche se ora le neghi, mi ricordo il modo in cui avevi deviato ogni mio sguardo. Come un prigioniero medievale rinchiuso per anni in una cella circondato dal solo buio cerca invano di proteggersi gli occhi dal sole per non venirne accecato. Cèlie si era alzata in piedi, ma ormai ero già uscita di corsa dal locale. Arrabbiata con te, con me, e sola, come sempre, mi ero ritrovata a camminare senza neanche un cappotto lungo le strade che davano sull’imponente Senna. Se speravo che tu mi rincorressi? Sì, lo ammetto, fu forse per quello che esitai sulla porta del ristorante. Ma tu rimasi lì seduto ad osservare un punto in preciso di fronte a te. Infondo, oltre ad ogni lembo delle nostri pelli ed i propri nomi, cosa sapevamo di entrambi? Solo che navigavamo sulla stessa nave e che ormai eravamo vicini ad affondare.
Per questo, quasi caddi dalle scale quando ti trovai sulla porta del mio appartamento. Seduto a terra con le gambe distese, le mani nelle tasche del giubbotto di pelle e gli occhi scuri che subito trovarono i miei. Ti chiesi cosa ci facessi lì e tu semplicemente mi rispondesti: «Scusa».
«Per cosa? Per essertene andato senza dire niente o per aver finto di non conoscermi?» ti domandai ironica colmando gli ultimi gradini che ci separavamo.
Tu tentennasti ed io, come per aiutarti, sorrisi. Sospirasti raccogliendo un ginocchio al petto ed appoggiandoci su un braccio rispondesti: «Per non poterti dare ciò che vuoi.»
«Cosa vorrei?»
«Amore.»
Se fui sorpresa, non lo mostrai. Mi sedetti proprio affianco a te, come quella notte di Febbraio, e ti baciai. Fu solo uno sfioramento di labbra leggero come il battito di ali, ma bastò per sciogliere il grumolo di ghiaccio che si era creato dentro di me. «Cosa hai provato?» ti chiesi allontanandomi.
«Calore» dicesti.
«Anche io» concordai, «Pensi possa bastare come inizio?».
Non rispondesti subito e chiusi gli occhi con il timore che quando li avrei aperti non ti avrei più trovato lì, affianco a me. Invece, sentii un fruscio e poi l’odore familiare del fumo. «Possiamo provarci» fu quello che mormorasti.
Da quella notte, cominciammo ad uscire insieme. Io smisi di fumare, perché lo facevi tu per me e tu di bere, giusto per essere equi e perché la patente io ancora non l’avevo presa. Le uscite al freddo si trasformarono in serate sul divano, le poche parole pronunciate ad insulti e qualche dimostrazione di affetto.
 «Ti voglio bene.»
«Te lo scordi. La spazzatura la porti giù tu.»
«Ti odio, ragazzina.»
Dopo quel primo passo compiuto da me, è stata tutta una salita con la tua mano tesa. Sei tu che mi hai insegnato a cucinare i pancake senza bruciare il fondo, sei tu che mi hai insegnato a convivere con una persona senza azzannarla, ad apparecchiare per due, a rispettare i turni del bagno – o quasi -. E ad accettare i tuoi vestiti, maglietta dopo maglietta in giro per casa, perché lo sapevi che avevo paura, e soprattutto tu, io diventato quel noi. Non posso dire che sia una salita tranquilla. Litighiamo così tante volte che ancora mi domando se abbiamo fatto la scelta giusta. Urliamo cercando di sovrastare la voce dell’altro, ti picchio perché nonostante io parli troppo, non sono brava con le parole mentre tu quando vuoi ferire le trasformi in coltelli dalle lame affilate. Piangiamo, io di fronte a te perché non riesco a trattenerle e so che ti fa male, tu nascosto dalla porta del bagno. È amore? Non lo so, l’unica cosa di cui sono sicura è che da allora non sento freddo.
Non lo sento, mentre tu entri di soppiatto in quella che sarà la nostra ex camera e mi abbracci – o mi intrappoli – da dietro, mentre strofini il mento ruvido ed ispido di barba contro il mio collo perché lo sai che proprio non lo sopporto. Non lo sento, mentre chiudi le mie valigie ancora aperte sul letto, le butti a terra e con un sorriso sulle labbra piene mi dici: «Mi mancherà questo letto».
«Questa non è una scusa per-» non mi lasci parlare che già la tua bocca è sulla mia, sollevata in un sorriso divertito. Rido contro i suoi denti e sospiro, ho appena sistemato le lenzuola, la mia colonna di magliette si è riversata sul parquet e proprio non mi importa.
 
 


Angolo autore.
 
Buonasera a tutte.
Allora, come sempre sono a corto di parole – a volte penso seriamente che i miei angoli autori non servano proprio a niente, così giusto per dare aria alla bocca o alla mie tastiera. Non ho molto da dire, questa one shot l’ho scritta in realtà per un tema scolastico per le vacanze, dalla frase iniziale consegnata bisognava trattarci una storia di propria fantasia ed ovviamente non potevo non scrivere di uno dei ragazzi camuffandolo per bene con un nome francese (la scelta è ricaduta su Thomas che io personalmente adoro). Non doveva essere così triste, davvero, ci ho provato a scrivere qualcosa di divertente, ma il risultato è stato questo ahaha! Ma come ha detto la mia beta – ehi Gaia! – nonostante sia un po’ forte e triste, il finale è positivo.
Una cosa importante: questa storia farà parte di una raccolta di cinque one shot, ognuno su una coppia, quindi molto presto farete la conoscenza della migliore amica di Eliane e del coinquilino squinternato di Zayn! Le ho scritte di impulso senza costruire una trama o altro, così per il gusto di farlo e liberare un po’ la mente – infatti ora sono priva di ogni sorta di ispirazione, mi sono completamente prosciugata e non ne ho ancora terminata una. Ah, e se avete notato, la one shot si sviluppa a Parigi, colpa della mia momentanea fissa per i nomi francesi.
Okay, penso di avervi detto tutto, quindi.. spero davvero che vi sia piaciuta, mi sono impegnata molto e sono un po’ soddisfatta del risultato. Grazie per esservi fermate ed esservi sorbite questo. Spero mi lascerete i vostri pareri, ci tengo molto a leggerli.
 
Ancora grazie, alla prossima one shot.
Anqi.
 
Ps.
Date un’occhiata alla mia ultima one shot “Things I can’t” (cliccate il titolo)? Ed ho una fanfiction in corso, “Ci sto provando”, se avete voglia di passare.
 
   
 
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