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Autore: Michelle Verace    11/10/2013    14 recensioni
Stati Uniti d'America, Washington, Seattle, 2014.
Kevin ha diciannove anni, è stato bocciato tre volte e non è un genio incompreso.
Tra donne, feste e alcool, quando l'unico obiettivo della sua vita è realizzare il suo più grande sogno di diventare attore, non avrebbe mai immaginato di innamorarsi di Michelle, sedici anni, che potrebbe già essere all’ultimo anno di liceo. Perché lei non è come tutte le altre: molto più che intelligente, è stata sottoposta a un test che ha scientificamente dimostrato che il suo quoziente intellettivo è nettamente superiore a quello della maggior parte del genere umano. Ma quello che entrambi non sanno è che una setta di scienziati, decisa a rivoluzionare la razza umana attraverso macchinari ultratecnologici capaci di trasmettere gli impulsi nervosi da un cervello a un altro e di duplicarli all'interno di uno stesso organismo, è seriamente intenzionata a ucciderla e ad eliminare dalla faccia della terra tutti quelli come lei, i geni, per creare un mondo senza differenze.
Kevin si ritroverà ad affrontare forze più grandi di lui e inimmaginabili pericoli, per proteggere la ragazza che ama.
Anche a costo della sua stessa vita.
[LA STORIA VERRA' RISCRITTA COMPLETAMENTE E PUBBLICATA CON UN NUOVO TITOLO]
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'DC Enterprise'
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P r i m o   c a p i t o l o
 



 
 

Voglio fare l’attore.
È questo quel che vorrei dire adesso al professor Jefferson, ma so già che me ne pentirei all’istante se lo facessi. Contenermi è difficile, eppure anche io, che amo spingermi fino a limiti inimmaginabili, riesco a capire quanto poco mi converrebbe. Nonostante ciò, vorrei spiegargli quanto la sua materia sia inutile, quanto ogni singolo alunno del suo corso si annoi durante le sue lezioni. Probabilmente, non mi ascolterebbe neanche. Probabilmente, soltanto perché sono io, io che lui odia con tutto se stesso, mi rimanderebbe a posto senza nemmeno darmi il tempo necessario per svolgere l’esercizio.
«Signor Morgan, stiamo aspettando.»
Lo guardo, e vorrei ucciderlo con le mie stesse mani. Non saprei dire cosa mi trattenga. Ormai non ho più niente da perdere.
Giusto, l’esercizio. L’esercizio che ho appena trascritto alla lavagna e che non ho ancora cominciato a svolgere. Mi torco le mani e guardo con la coda dell’occhio il cassino. Se lo afferrassi e cancellassi tutto… no, sarebbe un’ulteriore mossa che non alzerebbe affatto la mia media già abbastanza scarsa. Sono stato bocciato. Tre volte. E non so davvero quanto darei per scappare da questo inferno.
«Stiamo aspettando.» ripete, e ora ho la certezza che niente potrebbe più fermarmi.
Anzi, qualcosa, o meglio qualcuno, c’è.
Jefferson chiama un nome. Una ragazza. Quella nuova. Quella che ha sempre i capelli raccolti in uno chignon e gli occhiali da vista inforcati sul naso.
Non è la prima volta che la vedo.
È quel genere di persona che non puoi non notare. Non so niente di lei, a parte che è l’intelligentona della classe ma, non appena si alza di malavoglia dal suo posto per avvicinarsi alla lavagna, decido che da questo momento in poi non farò altro che impicciarmi nei suoi affari per scoprire qualcosa che davvero mi interessi.
«Signorina Thompson, mi auguro davvero che anche lei non mi faccia attendere troppo.» Lo dice con un tono sarcastico, canzonatorio, e tenere a mente le motivazioni secondo cui non posso assolutamente piantargli qualsiasi cosa al petto mi risulta ancora più difficile ora che lei è a fianco a me.
Così sposto la mia attenzione su qualcosa di molto più interessante di Jefferson e dell’esercizio. È più piccola di me, avrà i suoi sedici anni ─ forse è una di quelle “bambine prodigio” e avrà anche saltato un anno ─ e in questo momento sembra assai più spaventata di me. Non che io lo sia ma… insomma, non è questo il punto. È come se non sapesse proprio dove mettere le mani.
Io una mezza idea ce l’avrei… e non mi riferisco affatto alla lavagna.
Arrossisce, quasi mi avesse letto nella mente, e adesso sono io, quello teso e imbarazzato.
«Mi delude, signorina…»
Jefferson non finisce neanche di parlare che la ragazza, non prima di avermi lanciato un’occhiata di… scuse?, comincia a ricoprire di calcoli ogni angolo rimasto della lavagna, come se non avesse fatto altro per anni. Come se ci fosse nata, con i numeri. Come se li masticasse a colazione.
«Eccellente.» Jefferson mi ha rubato le parole di bocca.
Buck le avrebbe già infilato la faccia nei gabinetti. Non gli va giù quando le donne dimostrano di essere capaci di fare qualcosa meglio di lui. E anche io, se non si fosse trattato di lei, ma di un'altra ragazza, avrei reagito allo stesso modo. Non so dire di preciso che cosa abbia di diverso rispetto alle altre. Ma ho la certezza, nonostante non la conosca affatto, che qualcosa di diverso c’è, e il desiderio di scoprire di che si tratti mi rende pazzo, euforico, voglioso di rivolgerle le parola.
Non lo faccio. Guardo a bocca spalancata ciò che ha scritto.
Un’equazione. Numeri, segni che si ripetono. La matematica è una lingua che non potrò mai imparare. Eppure penso che, se fosse lei ad insegnarmela, diventerebbe la mia materia preferita. E me ne convinco davvero soltanto quando si volta verso di me e i suoi occhi grigio-verde si soffermano sul mio viso.
Non arrossisce, è pallida, ed è naturale che me ne chieda subito il motivo. Ha le spalle incurvate, le labbra strette tra i denti, come se volesse scomparire, come se avesse fatto qualcosa che non doveva. Perché? Dovrebbe essere contenta di avermi umiliato. I secchioni amano sempre rivendicare la loro intelligenza. E lei? Lei no. È forse spaventata?
Sto per rassicurarla, o almeno ci provo, ma Jefferson ci manda subito a posto, mormorando qualcosa di me che non mi do neanche la pena di ascoltare. Ripete sempre la solita solfa: che sono un incapace, che non studio, che dovrei ripetere le elementari, che non combinerò mai niente nella vita. E magari ha anche ragione. Ma non mi importa. Non adesso.
Si siede al primo banco, accanto a una sedia vuota. Non capisco perché nessuno le faccia compagnia, sembra così innocua… Poi trovo subito la risposta. Tutti la temono, tutti la odiano perché è brava, perché è intelligente. Ed è un motivo così stupido! Ma, da un lato, sono contento che sia sola. Così non dovrò minacciare nessuno per prendere posto vicino a lei.
Domani, penso. Domani le parlerò. Lo ripeto più per convincermene che per altro. Vorrei avere il coraggio di alzarmi sotto gli occhi di tutti e sederle vicino. Com’è la sua voce? C’è un solo modo per scoprirlo e, a meno che non voglia osservarla ogni giorno immaginando come sia ma senza mai saperlo davvero, oggi è la mia occasione.
Così aspetto. Aspetto che la lezione finisca, che il professor Jefferson interroghi qualcun altro. E nel frattempo la guardo, abbozzando uno schizzo della tenue forma del suo profilo sul banco. Non sono bravo a disegnare ─ non ho mai preso l’arte sul serio ─ ma adesso sento l’esigenza di… di catturare quel momento, di raffigurare ciò che vedo sulla carta. E i suoi capelli castani cominciano a prendere forma, e così la curva dolce del suo collo, e la mano che con dolcezza lo accarezza… e la penna che i suoi denti mordicchiano ripetutamente e le spalle e gli occhiali che nascondono quel suo sguardo pudico e riservato…
«Dio, da quando sei diventato così pappamolle?»
L’ho pensato ma non sono stato io a dirlo.
Buck si sporge dal suo banco per sbirciare il ritratto, cominciando a ghignare tra sé e sé.
«Fatti i cazzi tuoi.» Lo fulmino con lo sguardo e copro il disegno con la mano. Non deve assolutamente vederlo, non voglio che metta gli occhi addosso a lei. Ci prova con tutte le ragazze a cui piaccio e non gode affatto di buona reputazione. Forse non lo fa neanche di proposito, perché quando ho bisogno del suo aiuto c’è, ma è ugualmente fastidioso.
«Dài, fammi vedere.»
«No.»
«Morgan, avanti…»
«Ho detto di no, stronzo!»
«Solo un’occhiata… Voglio sapere per chi ti sei preso una cotta.»
Arrossisco. Vorrei prendermi a calci, e insieme a me anche Buck.
«Non mi sono preso una cotta per nessuno!» E invece sì. Non è amore, ma i suoi occhi mi hanno conquistato.
Per fortuna la campanella mi salva. Cancello il disegno ancora incluso prima che Buck possa vederlo, poi aspetto che tutti escano dall’aula.
Lei è sempre l’ultima a uscire. La noto distrattamente ogni giorno nei parcheggi senza guardarla davvero, mentre incespica sui gradini con gli occhi sempre altrove, sempre persi in un mondo che nessuno conosce. E non so davvero spiegarmi come sia possibile non averla mai degnata di uno sguardo, di un vero sguardo, prima d’ora.
Quando mi avvicino per parlarle, lei si volta subito verso di me. Non si aspettava che mi facessi avanti, probabilmente pensava di essere rimasta sola, perché strabuzza gli occhi e sbatte un paio di volte le palpebre. Sembra quasi che non riesca a credere a quello che vede, ma ricambia comunque il mio sguardo, senza timore, come se volesse sondare il terreno e interpretare le mie vere intenzioni.
«Ciao.» dico, e per un attimo penso che potrei arrossire. Prima non l’avevo notato, nonostante fossimo alla stessa distanza in cui ci troviamo adesso, ma i suoi occhi… sono incredibilmente luminosi. Sarà la luce, eppure ora, dal grigio-verde di poco fa, sembrano quasi violacei, e non so spiegarmi come sia possibile tanta bellezza. Sì, sono cotto della stessa ragazza che mi ha involontariamente umiliato di fronte alla classe e al professor Jefferson. Con quei capelli castani, lisci e lunghi fino alle spalle, un po’ anonimi, gli occhi scoperti e non più nascosti dagli occhiali come a lezione: mi porterà alla follia, ne sono certo.
«Ehm…» Si muove nervosamente sul posto, schiarendosi la voce e fissandomi come se si aspettasse una mia risposta.
«Hai detto qualcosa?» Stupido, vorrei prendermi a calci in culo.
Sorride divertita, ma non avvampa. Non è come tutte le altre ─ adesso ne ho davvero la prova ─ che arrossiscono anche se e quando mi metto le dita nel naso. Lei è diversa. Secchiona, schiva, riservata ma… sicura di sé. A suo agio con il proprio corpo e con la propria mente. Sembra anormale, sembra non aver bisogno di niente, come se avesse già tutto. Mi piace. La voglio. Deve essere mia.
«A parte che mi sono scusata con te per l’esercizio? Ti ho chiesto che cosa ci fai ancora qui.»
Questa volta sono io a strabuzzare gli occhi. «E perché avresti dovuto scusarti?»
Alza un sopracciglio e storce appena un po’ la bocca. Non so decifrare la sua espressione. È… dubbiosa? Scettica? Non si fida di me?
«Fai sul serio?» domanda infatti.
«Per quale motivo non dovrei?»
Abbassa lo sguardo sui suoi libri ancora incustoditi sul banco e inizia a raccoglierli tra le braccia. Non sono troppo pesanti per lei?
«Oh, be’,» Ha la faccia di una che sta parlando con un bambino, «sei un ragazzo e di solito ai ragazzi non piace quando una ragazza dimostra di essere migliore di loro in qualcosa.» Sospira. «Pensavo che a fine lezione ti saresti avvicinato per farmela pagare.»
Piego gli angoli della bocca in un sorriso abbagliante. I miei pensieri si spostano su tutt’altro piano; su un piano molto più eccitante di lei con la faccia nel water dei bagni.
«E come avrei potuto punirti, secondo te?»
Sto flirtando spudoratamente. Ci sto provando come faccio con tutte.
E lei se ne accorge. «Bene.» mormora tra sé e sé. «È da nemmeno un mese che mi sono trasferita qui, e già il grande Kevin Morgan ci prova con me.» Sorride, ma nessun’ombra divertimento raggiunge i suoi occhi. «Dovrei esserne lusingata.» Ma non lo è. Lo capisco senza che lei lo dica.
Mi passa accanto prima che possa rendermene conto, infilandosi negli spazi tra i banchi per raggiungere l’uscita.
«Aspetta…» La seguo, cercando disperatamente un’occhiata che non arriva. Guarda dritto davanti a sé, cammina impettita, fiera. È arrabbiata? «Hai frainteso... Non ci stavo provando affatto con te.» Bugia. Bugia. Ma l’importante è che ci creda.
Si lascia andare a una risatina, guardandomi al di sopra della propria spalla. La raggiungo subito, affiancandola senza alcuno sforzo, anche se… Caspita, è veloce.
«Non sei affatto bravo a mentire.»
«Ce l’hai con me? Ti ho offesa?» Mi scappa di bocca e allora non posso più fare nulla per fermarmi.
«No, non mi hai offesa.» Mi guarda negli occhi, con le labbra carnose schiuse in un piccolo sorriso ─ mi schiaffeggerà se la bacio? ─ poi scuote la testa come le fosse venuto in mente qualcosa di stupido.
«E allora perché scappi via da me?»
Sgrana gli occhi e si ferma di botto. Si volta interamente verso di me.
«Sei strano.» commenta, e non so se il suo sia un complimento oppure no. Vorrei chiederglielo, ma non mi lascia né tempo né modo di parlare. «Non mi interessi, semplicemente.» Scrolla le spalle e incrocia le braccia al petto.
Alzo un sopracciglio. Dentro di me, sono sempre più eccitato, eppure cerco di non darlo a vedere. Non voglio che pensi che per me lei è una sorta di conquista. Lo è? Domanda interessante.
«Non mi conosci.»
«Eccellente scoperta!» Schietta. Ironica. Credo già di amarla. «Non ti conosco, quindi non mi interessi.»
«Questo vuol dire che… se tu mi conoscessi, potrei piacerti?» Decido di sfoderare uno dei miei sorrisi migliori, nonostante sappia ormai che con lei la solita tattica non funziona.
Arrossisce. Arrossisce! Per la prima volta sono felice che una ragazza l’abbia fatto. Non si aspettava che rispondessi così. «Non sei il mio tipo.» dice, e riprende a camminare.
«Non ti credo.»
«È la verità.»
«Hai esitato.»
«Non è vero.»
«Hai esitato!»
Socchiude gli occhi e sospira.
Non mi accorgo che abbiamo raggiunto il parcheggio finché una folata di vento non mi colpisce in pieno viso. Lei è accanto a me e i suoi capelli lunghi mi sfiorano le spalle. Quando si è avvicinata così tanto? Sono stato io? O entrambi?
Se ne sono andati tutti. La piazza è completamente deserta.
«Vuoi un passaggio?»
Dì di sì, dì di sì...
«No, grazie.»
Le afferro un braccio e la faccio girare verso di me.
«Hai intenzione di fartela tutta a piedi?»
«Abito qui vicino, non c’è bisogno.»
«Stai mentendo ancora.»
I suoi occhi sfuggono ai miei. Si fissa le scarpe.
Devo trattenermi per non afferrarle il viso tra le mani. Perché non mi guarda?
«Devo tornare a casa.» Strattona appena il braccio e indietreggia.
Capisco che è meglio lasciar perdere. Per ora.
La guardo allontanarsi e, prima che possa ripensarci, urlo: «Sei un genio per caso?»
Si volta subito di scatto. Riesco a distinguere i suoi occhi verdi anche a distanza.
«Perché dici così?»
Scrollo le spalle. Non lo so nemmeno io. Mi è… scappato. È stato un pensiero fulmineo.
«Be’, sai… tu…» Respiro profondamente, lasciando la frase in sospeso. «Lascia perdere.»
«Sei strano.»
«L’hai già detto.»
«Sei davvero strano!»
«Quando sorridi, ti si formano le fossette alle guance.» Okay. Adesso voglio davvero uccidermi. E dissotterrarmi, anche. Da quando sono diventato così… sincero? Impulsivo? Io non sono così. Non faccio complimenti alle ragazze. Di solito accade il contrario!
«Ora sei decisamente strano.» Ma sorride sempre di più.
Le piaccio. Le piaccio? Se è ancora qui, in un parcheggio deserto, insieme a me, qualcosa vorrà pur dire.
«Come ti chiami?»
È sorpresa. «Come? Non lo sai? Eppure avrei giurato che lo sapessi.» È sarcasmo, quello? «Non dovrei mica sorprendermi. Kevin Morgan ricorda soltanto il suo, di nome.»
«Rispondimi.» la incalzo, sempre più raggiante. Ed incuriosito. Questa ragazza è… esiste davvero?
«E togliermi tutto il divertimento?»
Mi scocca un’ultima occhiata, poi si volta e mi abbandona lì, completamente inebetito.
Sto sognando, non c’è altra spiegazione.
Eppure, quando corre via senza più voltarsi indietro, il pensiero che sia tutto reale è così forte che non riesco a lasciarlo andare.











Note d'autore:
Mi sono divertita tantissimo a scrivere questo capitolo! E' stata un'emozione unica. Era come se... come se io fossi sia Kevin che Michelle! Incredibile! Sentivo le sensazioni di entrambi scorrermi addosso e... e ridevo come una pazza, quasi avessi assistito davvero alla scena! Non so se è stato così anche per voi; mi rendo conto che, essendo la mia prima storia, non sia ancora molto brava a trasmettere ciò che sento, ma mi auguro che almeno una risata, anche una lacrima di pietà!, vi sia scappata. Accetto qualsiasi critica. Sono aperta, pronta a tutto.
Prima di lasciarvi, vorrei ringraziare coloro che mi hanno recensito, ragazze davvero stupende!
Dedico a loro questo capitolo: Tanny, Bice_97, Lara D_Amore e Amartema. Siete state davvero gentilissime!
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