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Autore: Eriok    13/10/2013    2 recensioni
Una storia, divisa tra i giorni nostri e il tempo degli Dei dell'Olimpo, tra le originali Xena e Gabrielle, e la loro futura generazione, e cosa ancora possono fare gli dei, in un mondo che non crede più in loro.
Tra magia, tecnologia, sparatorie e mafia le due donne scoprono un mondo corrotto e sporco, e hanno il dovere di difendere i più deboli a colpi di spada, sais e - qualche volta - pistole.
La cavalleria non è morta, solo, aveva bisogno della giusta reincarnazione per agire.
Non manca l'amore, quello mai attuato, tra Xena e Gabrielle, e come il tempo - e la morte - non ucciderà mai i loro sentimenti.
Un medaglione. Un anello.
*Prima volta che scrivo in questa categoria, quindi siate CRUDELI e SINCERE! E non preoccupatevi, non mordo, quindi recensite con tranquillità.*
Genere: Azione, Erotico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altro Personaggio, Gabrielle, Un po' tutti, Xena
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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REBORN

- Al tempo degli Dei dell'Olimpo -

 

Marte camminava con passo incalzante, dirigendosi verso le tre donne, le parche.

«Cosa avete predetto, riguardo a Xena!? Rispondetemi!» urlò, minaccioso. Le donne, intente a filare i destini e a tagliarli, risposero meste, scandendo le frasi tra di loro.

«Solo ciò che è...».

«Quello che potrebbe essere...».

«O che sarà.».

Il dio, ancora più arrabbiato, scagliò una palla infuocata contro la più vicina colonna, facendo sobbalzare le donne, ma che non fermarono il loro operato.

«Cosa vuol dire!? Spiegatevi meglio sorelle, o vi giuro che non sarò benevolo al prossimo tiro.» gli occhi brillavano di furia. Il dio della guerra, vestito di pelle e armato di spada alla cinta, incuteva terrore nel solo osservarne l’ombra.

Nel silenzio che si susseguì spuntò, con una folata di luccichio, Venere, la dea dell’amore.

«Marte, calmati.» le disse la giovane dea, bionda di capelli e armata di tacchi.

I muscoli, prima tesi di Marte, si rilassarono lentamente.

«Noi diciamo solo il vero...» rispose l’anziana, scrutando con forza lo sguardo dell’uomo che non si era abbassato, né spento.

«Se poi le nostre parole non vuoi ascoltare...» aggiunse la giovane.

«Questo problema non ci riguarda.» ribadì la piccola, guardandolo con sguardo innocente. Le loro mani però lavoravano, incessanti, occupate nel mantenere l’equilibrio del mondo e del tempo. Della giustizia e dell’ingiustizia, della vita e della morte degli esseri umani.

«Ascoltami, fratello, loro mi hanno rivelato che l’anima di Xena potrà essere rilegata nell’aldilà della vicina Cina fino a quando non l’avrà depurata. Dopo la fine delle anime da lei uccise, che finalmente riposeranno in pace, potrà di nuovo compiere il cammino della reincarnazione, come è deciso dal mondo ultraterreno della cultura cinese. Tu non puoi fare niente, purtroppo, come non possiamo fare niente per gli angeli del Paradiso. Sono gli dei di un altro mondo, di altre culture, nate ancora prima di noi. E tu questo lo sai bene.» la giovane donna parlava con voce mesta, ricordando l’amica morta.

«Tsk.» scocciato, Marte svanì in una nuvola che sapeva del vago odore della polvere da sparo.

«Scusatelo sorelle...» mormorò poi la bionda, rivolgendosi alle parche. Le tre annuirono.

«Noi conosciamo i moti del suo cuore...» proferì amorevolmente l’anziana, sorridendo con dolcezza.

«...e capiamo il suo dolore...».

«...ma non possiamo fare di più, ci spiace.» la piccola, con voce squillante, fece trasparire il dolore che provava.

Venere svanì con un sorriso di circostanza, rapita da una nuvola di profumo orientale.

 

 

- ai giorni nostri -

 

«Padre, dov’è Amelia?» domandò, trovando l’uomo seduto poco più in là nel corridoio.

«Gabrielle!» si alzò preoccupato, prendendola per le spalle. «Stai bene?» domandò.

«Sto bene, grazie.» il padre, sinceratosi della salute di lei, rispose alla domanda.

«È andata via poco fa... mi sembrava turbata...» disse, e prese la mano della figlia. Gabrielle lo guardò, era così dimagrito, così sciupato, bianco in volto.

«Andiamo a casa, ti prego... Non sopporto più di stare qui...» e la figlia annuì. Sentì, come d’un tratto, il peso del padre su di sé, era così stanco, spossato. E ricordò che, come lei aveva perso la nonna, lui aveva perso la madre che lo aveva cresciuto e accudito per tutti questi anni.

«Sì, andiamo padre...» l’uomo ringraziò con un sorriso piccolo piccolo, nascosto agli angoli della bocca.

Arrivando a casa la sentirono vuota, enorme, e colorata di cupi colori. Con un silenzio tale che spaventò entrambi. Portò il padre a riposare nel suo letto, e attese fino a che non si assopì. Raccolse qualche sua solitaria lacrima, prima di vederlo crollare.

La giornata, che sembrava così lunga, non era neppure volta a mezzogiorno. Quando sentì un disturbo allo stomaco, la figlia scese per preparare da mangiare. Accarezzò la colonnina della cucina, come raccolta in mille pensieri, e vide come la colazione di stamattina era stata interrotta. C’era ancora la ciambella al cioccolato della nonna morsa per metà...

Si ritrovò a piangere senza accorgersi, e si accasciò al suolo molto lentamente, come in a rallentatore, stringendosi il petto. Prorompeva il ricordo, il dolore, la mancanza di qualcosa che prima c’era e oggi non c’è più. Che era partito, senza mai ritornare.

Nell’attimo in cui appoggiò le ginocchia al suolo però, sentì una carezza delicata sulla spalla, un peso leggero. Una lacrima asciugata.

«Nonna...» il fantasma evanescente, così come era arrivato, se ne era andato. La collana tintinnò. La donna vi poggiò sopra una mano, e fu cosciente che non tutto era perduto. Che lei era ancora lì, in qualche maniera.

Ripulì il tavolo, e preparò un piatto di pasta. Il barattolo di ragù fatto in casa era ancora lì, con la scritta veloce di lei attaccata sopra.

Aprì il barattolo, la ricetta della nonna era sua ora, nella mente passavano i ricordi dell’anziana e quel piccolo atto gentile, d’amore, la fece sentire un po’ meno sola in quella cucina. Era lei che seguiva i suoi passi, come se fosse con lei a cucinare, proprio in quel momento.

«Sei tutta uguale a lei...» la voce del padre da dietro le spalle la fece sussultare.

«Scusami.» proferì l’uomo.

«Non ti preoccupare, padre...come stai? Hai fame?» domandò la figlia apprensiva. L’uomo si perse nel guardarla negli occhi.

 

«Hai fame?» la donna prorompente, girando il mestolo, lo guardava dall’alto della sua statura, l’odore di sugo nell’aria che invitata al pasto.

«Da lupi!» sghignazzò il ragazzino, sorridendo. La donna rispose ridendo, quanto era dolce il suo bambino senza un dente davanti.

 

«Da lupi...» rispose l’uomo, il ricordo era passato in un secondo, di fronte agli occhi di entrambi. Gabrielle sorrise.

«È quasi pronto.» rispose, continuando a girare il mestolo. Anche suo padre, nel suo cuore, aveva una parte di lei che non se ne sarebbe mai andata. Lei era sempre lì, con loro...nei loro cuori.

L’uomo si avviò al salotto collegato alla cucina, preparando velocemente il tavolo.

Gabrielle soffiò sul cucchiaio, per assaggiare il sugo, mentre la pasta bolliva. Una leggera musica di violino si propagò nell’aria.

“Padre...” l’uomo aveva amato tanto il violino, nella sua vita. La musica, per la nonna, era un passatempo come un altro, ma più di tutto amava quando suo figlio suonava. Sembrava la sagra del paese in casa, solo per lei. E poi ballavano, e ridevano...

Ma la musica che usciva da quel violino era triste, stridente, come una lancia che penetra l’aria e ferisce, squarcia. Come a ribadire che non ci saranno più fiere, e banchetti allegri. Che la fiera era finita. Che non ci sarà mai più, niente, da festeggiare.

La musica terminò in un crescendo di suoni acuti, per poi concludersi. L’uomo abbassò l’archetto, e respirò fino in fondo.

“Scusami...” una lacrima che cade sulle corde.

E riprese a suonare.

Era una ballata.

Gabrielle, dall’altra parte del muro, soppresse il pianto con una risata. “Stupido, stupido padre...”.

 

 

Amelia attraversò l’atrio di casa sua con passo veloce, la colazione abbandonata a metà era ancora lì. Quel nome sussurrato l’aveva resa inquieta.

“Com’è possibile...! Come fa...a sapere...”.

L’immagine di Gabrielle, in lacrime, che la chiama...

Xena...”.

«No, ora basta.» prese il telefono e fece un paio di telefonate. Parlò con accento pugliese, e la voce che rispondeva era di un uomo.

«Conto su di te, Salvatore.» e chiuse la comunicazione. Se quella donna sapeva qualcosa del suo passato lei lo doveva sapere. E Salvatore sa come cercare nelle conoscenze delle vite altrui senza calcare troppo la mano.

Scese in scantinato, guardando i macchinari per il restauro lì, ancora nuovi. L’anello, dentro il cofanetto, era lì che aspettava.

Doveva avere quell’anello. Lo voleva indossare.

Aveva un fascino particolare, come se la richiamasse a sé, come un qualcosa di viscerale e antico.

E il potere che aveva quell’anello su di lei non le piaceva. Voleva togliersi subito quello sfizio, e indossarlo.

Stava facendo quella cosa addirittura di nascosto da suo marito, andato in Italia per degli affari.

Doveva trovare la ragazza per lui, e testarla, per poi inserirla nel piano di ristrutturazione e vendita in nero di beni culturali precedentemente rubati a uno scavo.

Ma l’uomo non sapeva che lei la voleva soltanto per quell’anello. Sarebbe stato distrutto se lei non lo avesse sostituito con una copia. Quando lo aveva visto sembrava come se avesse visto un fantasma. E disse di distruggerlo, mentre la moglie guardava l’anello con bramosia.

Lei era la moglie di un capo mafioso, quindi valeva poco o niente, ma lei era speciale. Lo aveva catturato con la forza, non con la malizia. Perché era riuscita a combattere per le strade contro di lui, e vincere. Lo aveva conquistato con il sapore del suo corpo appena sfiorato, e della brama di potere che lei aveva.

Lei voleva il potere, lui anche. Solo che lei era molto più furba.

Amelia, un nome suadente, che ti entra nella mente e non esce più.

Era quella la sua forza, distrarre con la malizia e conquistare con l’astuzia.

Dopo il matrimonio, lei aveva ottenuto anche i contatti di lui. Se ci fosse stata una guerra tra bande, lui si sarebbe ritrovato solo, e lei contornata da un esercito. Lui era il suo pupazzetto, il suo toy boy. Solo che lui, questo non lo sapeva, e a lei andava più che bene.

Era anche discreto a letto, per quanto non sia stato il migliore di quelli che aveva avuto in precedenza.

Ma in questi anni stava diventando stancante. Quasi insopportabile.

Voleva disfarsene. Ma, non sapendo come mai, si ritrovò reticente sotto questo punto di vista.

Lei, la femme fatale, non riusciva ad affondare il coltello su di lui.

E Amelia odia non avere tutto sotto controllo.

 

 

   
 
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