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Autore: aliasNLH    13/10/2013    3 recensioni
«Tu lo sai, vero, che quando un uomo compra dei vestiti alla propria ragazza, lo fa perché vuole toglierglieli personalmente?» mormorò, rispondendo finalmente all’interrogativo.
Max deglutì, improvvisamente accaldato per via del contatto di quella mano – per non dire altro, considerato il fatto che si trovava tra decine di corpi sudati e uno in particolare felicemente spalmato su di lui.
Molto felicemente, in effetti. Avvampò.
«M-ma… io non sono la tua ragazza» cercò di erigere una – blanda – difesa a quello che sembrava qualcosa di inevitabile.
«Questo è vero» gli sussurrò in risposta, sfiorandogli il lobo con le labbra «non sei una donna».
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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I’m not a Murderer


02
 
 
Dove si affrontano argomenti in cui mai ci si sarebbe aspettati di imbattersi
 
    «Signor Castor, di questo cosa ne pensa?»
    La domanda della ragazza accanto a lui lo costrinse a smettere di passare le mani sulla morbida stoffa della camicia che aveva in mano per riportare l’attenzione anche sugli altri capi esposti. Ancora tre scaffali aspettavano la sua visita, ma proprio non riuscì a fare a mano di rimanere lì, tra le mani sempre la stessa camicia – che non aveva alcuna intenzione di indossare – e tutti i sensi all’erta.
    Il tatto, impegnato a seguire gli intrecci del tessuto.
    Il gusto, inibito dalla caramella alla cannella che gli era stata offerta poco prima e che gli avrebbe impedito di sentire qualunque altro sapore per almeno altre tre ore.
    La vista, occupata a fissare apparentemente il nulla – ma in realtà concentrata su una minuscola crepa che ornava il fondo del ripiano.
    L’olfatto, impregnato da un improvviso quanto intenso odore di cloro, che lo rendeva strano, perché l’ultima volta che era entrato in un piscina, era stato in occasione di una gara di suo fratello Eleo durante il suo secondo anno alle elementari – correntemente, il fratellino stava vivendo il suo quindicesimo anno.
    E infine l’udito, estremamente teso ad ascoltare una serie di discorsi – in qualche caso, apparentemente – privi di senso, scaturiti da un gruppetto entrato nel negozio poco più di mezz’ora prima.
    C’erano la voce vagamente stridula che continuava a ripetere a qualcuno di entrare. Quella profonda che commentava di tanto in tanto i capi esposti, a propria volta commentata da una di tonalità più fredda e pacata. Poi c’erano due voci quasi identiche, che si rincorrevano e sovrastavano un’altra, dal timbro più profondo, ma animata quasi quanto la prima.
    E infine c’era la voce che aveva sentito per ultima. Era arrivata parecchi minuti dopo le altre, e all’inizio era stata talmente bassa e bofonchiante che non l’aveva presa in considerazione, nella sua analisi del rumoroso gruppo che gli era piombato tra capo e collo in negozio – chiaramente al di sotto dei loro standard.
    Quindi l’aveva ignorata, almeno fino a quando non l’aveva sentita alzarsi per negare qualcosa con forza.
    “Puoi scordarti che io indossi qualcosa che potrei sgualcire solo con lo sguardo!”.
    Era una voce alta, ferma e chiaramente maschile, ma possedeva un timbro gentile che lui aveva associato in precedenza solo a sua sorella Clio.
    Forse era stato quello il motivo per cui inizialmente si era interessato a lui.
    Poi, alle risate sguaiate di una delle altre voci, si era voltato per vedere finalmente quel gruppo eterogeneo – che iniziava a diventare fastidioso.
    Non fu difficile associare le voci alle persone che stazionavano davanti ai camerini – apparentemente con il solo scopo di fare confusione in un rispettabile punto vendita come quello.
    Le due voci quasi uguali appartenevano – senza ombra di dubbio – ai gemelli che si stavano contendendo lo stesso cappello, subito fuori da una tendina tirata. La voce fredda doveva essere quella del moro silenzioso appoggiato al muro lì accanto, e quella profonda al ragazzone dalla pelle scura poco più in là, nel reparto camicie.
    Infine le voci esagitate non potevano che appartenere agli ultimi due, quelli che si stavano squadrando con astio – misto ad un divertimento che sembrava essere loro abituale –, tra loro un paio di jeans.
    Ci mise poco a capire che la voce che più lo aveva interessato era nascosta alla vista dall’unica tendina tirata nella zona camerini, a provarsi finalmente qualcosa. Distrattamente si chiese cosa potesse aver scelto, domandandosi subito dopo perché pensava potesse importagli una cosa simile.
    «Allora?» sentì uno degli ex contendenti alzare la voce e mulinare una delle maglie più costose della collezione primavera-estate, senza il minimo riguardo «Cosa stai facendo lì dentro? Vuoi una mano?»
    Un ringhio li raggiunse da dietro la tendina e Castor si fece un’idea della situazione. Per un qualche motivo sorrise e fece un cenno a Silvye, la commessa, avvicinandosi al ragazzone privo di delicatezza. Con la scusa di voler prendere una maglia, studiò da vicino la situazione.
    Sorvolando sulla strana voglia di assegnare un volto – e magari un nome – alla voce che tanto lo aveva colpito in precedenza, il negozio stata iniziando a diventare troppo rumoroso per i suoi gusti.
    La sua improvvisa vicinanza non passò inosservata perché vide chiaramente i gemelli squadrarlo con sospetto e il tipo dalla faccia apatica scrutarlo da capo a piedi con fare arrogante. Anche Silvye stessa lo osservava con la coda dell’occhio, sebbene impegnata ad intrattenere uno dei ragazzi con una felpa di una certa bellezza – a parere di Castor.
    Stava giusto per chiedere a uno dei ragazzoni – quello dalla pelle scura, che gli sembrava il più affidabile – di andarsene e permettere a tutti gli altri clienti di usufruire in tranquillità dei servizi offerti dalla boutique, quando la tendina venne tirata a mostrare il ragazzo appena cambiatosi.
    Alto più di lui, aveva capelli corti castano chiaro, di una sfumatura tragicamente simile al miele di acacia – Castor non riuscì a fare a meno di paragonarlo, nel vedere le ciocche arruffate arricciarsi al getto di aria condizionata del corridoio, al miele servito su una tartina al sesamo. Gli occhi, seminascosti dalle lunghe ciglia e dall’espressione contrariata, brillavano di un azzurro cupo, quasi grigio. La linea decisa del collo scompariva troppo in fretta nello scollo della maglia rossa – un colore che non gli si addiceva – e proseguiva lungo le braccia, perdendosi tra il guizzare nervoso dei muscoli.
    Castor espirò lentamente facendo scorrere lo sguardo sulle labbra morbide e lungo le gambe fasciate strettamente dai jeans che si tendevano ad ogni passo. Con uno sforzo cercò di reprimere l’impulso di prenderlo, voltarlo e vedere l’effetto di quel tessuto sul sedere.
    Il sorriso lieve che aveva assunto per convincere il gruppo ad andarsene si allargò leggermente, mentre con fare sicuro si avvicinava al giovane. E gli posava una mano sul petto.
    «Questo colore ti dona poco» gli mormorò facendo scorrere la mano fino a riuscire a toccare la pelle con la punta delle dita «se permetti adesso ci penso io a te».
 
°°°
 
    Allacciandosi, le dita tremanti dallo sforzo – di non rompere un tessuto tanto delicato e prezioso – Max chiuse l’ultimo bottone della camicia in seta, nascondendolo dentro un’asola decorata con un laccio di una tonalità più scura. Fece un respiro profondo e scostò la tenda, mostrandosi.
    Jamie e Joakim sembravano spariti nel nulla – o si erano imboscati in qualche altro negozio, per quanto ne poteva sapere lui – così come Lionel, che sembrava scomparso, probabilmente assieme alla biondina con cui lo aveva visto prima.
    Brook e Bach lo guardarono con attenzione mentre Dorian fischiò in apprezzamento, voltandosi verso una quarta persona, seduta sul pouf lì accanto.«Non c’è che dire. Ora sì che sembra un ragazzo».
    «Grazie tante» lo rimbeccò Max, più amaro di quanto non avesse voluto. Perché prima a cosa somigliava? Ad un mendicante?
    «Indubbiamente» eccola quella voce maledetta, seguita dal frusciare della camicia che il suo proprietario aveva indosso «almeno gli abbiamo tolto l’aria del topo di campagna».
    «Disse il topo di città» ancora una volta si trovò a rispondere ad una frecciatina rivolta a lui, incrociando le braccia e lasciandole immediatamente cadere lungo i fianchi, il pensiero improvviso che avrebbe sgualcito la stoffa se si fosse lasciato andare a quel gesto abituale.
    Castor sedeva comodamente, le gambe elegantemente incrociate e una mano inanellata al volto.
    «Suvvia, Maximillian, non mi dirai che sei deluso dagli abiti che ho scelto per te?»
    Da quando gli aveva detto il suo nome – un’imprecisata manciata di minuti prima, o forse ore? – quell’uomo non aveva fatto altro che ripeterlo e infilarlo in ogni sua frase. Lo assaporava e rigirava tra le labbra e la lingua per poi esalarlo in un languido sospiro. Ogni volta facendolo rabbrividire.
    Non sapeva come comportasi.
    Non aveva idea di cosa quel Castor volesse da lui.
    Non era nemmeno sicuro di volerlo sapere.
    E intanto continuava a provare vestiti su vestiti da lui scelti.
    “Non hai buon gusto, disponibilità economica e classe. Un trinomio catastrofico cui intendo cercare di mettere un freno” aveva esordito deciso, fissandolo con quelle iridi azzurro cielo a cui non aveva capito come non fosse riuscito a dire di no. Oppure di farsi gli affaracci suoi.
    «Non te l’ho certo chiesto io» bofonchiò in risposta, ben attento a non farsi sentire. Il rischio che quello stravagante damerino decidesse di costringerlo a pagare ogni capo provato ancora pressante nella sua mente.
    «La tua incapacità di destreggiarti in un negozio di moda mi ha imposto di darti una mano» ribatté nuovamente serafico il rosso, aggiustandosi la piega perfetta di un polsino.
    «Non te l’ha chiesto nessuno» ripeté Max, tornando a borbottare da dentro il camerino, mentre si spogliava e iniziava a rimettersi i propri pantaloni.
    Tuttavia aveva – evidentemente – sottovalutato le intenzioni di quel ficcanaso sconosciuto perché, mentre era intento ad allacciarsi l’elastico, la tenda venne scostata e una nuova pioggia di abiti gli cadde in testa. Con i capelli arruffati liberò il volto da una giacca leggera in camoscio e puntò lo sguardo arrabbiato sul molestatore.
    Castor lo stava fissando con un sorrisetto soddisfatto.
    «Nessuno ti ha detto che potevi cambiarti, lo sai questo, vero?»
    «Fuck you» gli sibilò contro, sfoggiando una delle eleganti espressioni che aveva imparato ad adottare da Lionel «non sei nessuno per dirmi quello che devo o non devo fare!»
    «Forse» rispose quello, allungando una mano, le dita tese e pallide in contrasto quella sua pelle lievemente scura «ma sono anche l’unico che sa cosa è meglio per te».
    «E questo» cercando di ignorare quella maledetta mano accanto al suo petto – troppo vicino, accidenti – prese tra le braccia due paia di jeans, una camicia di sangallo, delle maglie sottili e la famosa giacca, ponendoli a scudo tra loro «dovrebbe essere quello di cui ho bisogno?»
    «Può darsi» gli disse enigmatico «tuttavia se prima non li provi non lo sapremo mai».
    «Chi ti dice che lo farò?»
    Max non seppe definire per quale motivo non avesse ceduto all’istinto che gli gridava di prendere quel damerino raffinato per i capelli cangianti e sbatterlo fuori da lì, per potersi rivestire in santa pace e tornarsene a casa con il portafoglio intatto – sebbene con l’orgoglio un po’ troppo ammaccato per i propri gusti. Non seppe nemmeno giustificare il calore improvviso che gli si era scatenato sul petto, quando la mano fredda dell’altro gli si appoggiò addosso, spingendolo con lentezza indietro, entrando nel camerino con lui.
    Castor alzò la testa per guardarlo dritto negli occhi e le dita della mano si aprirono sul petto ancora scoperto. Sapeva di cannella – fu l’unico pensiero coerente che Max riuscì a formulare nell’averlo così vicino.
    «Preferiresti che fossi io a vestirti?» gli domandò malizioso nell’allontanarsi leggermente «O a svestirti, se preferisci».
    Max arrossì fino alla punta dei capelli e lo spinse fuori dal camerino, tra le occhiate perplesse dei più e fin troppo consapevolmente divertite di Bach.
 
 
Ottimo!
Capitolo corto, ma non meno importante. Insomma… qualcuno mi può dire dove posso trovare pure io un Castor? Grazie mille!
 
E ancora una volta tutto il mio affetto e il mio ringraziamento a 3ragon che ha caritatevolmente acconsentito a farmi da Beta.
 
 
Baci
NLH
  
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