I’m
not a Murderer
02
Dove si
affrontano argomenti in
cui mai ci si sarebbe aspettati di imbattersi
«Signor
Castor, di questo cosa ne pensa?»
La
domanda della ragazza accanto a lui lo costrinse a smettere di passare
le mani
sulla morbida stoffa della camicia che aveva in mano per riportare
l’attenzione
anche sugli altri capi esposti. Ancora tre scaffali aspettavano la sua
visita,
ma proprio non riuscì a fare a mano di rimanere
lì, tra le mani sempre la
stessa camicia – che non aveva alcuna intenzione di indossare
– e tutti i sensi
all’erta.
Il
tatto, impegnato a seguire gli intrecci del tessuto.
Il
gusto, inibito dalla caramella alla cannella che gli era stata offerta
poco
prima e che gli avrebbe impedito di sentire qualunque altro sapore per
almeno
altre tre ore.
La
vista, occupata a fissare apparentemente il nulla – ma in
realtà concentrata su
una minuscola crepa che ornava il fondo del ripiano.
L’olfatto,
impregnato da un improvviso quanto intenso odore di cloro, che lo
rendeva
strano, perché l’ultima volta che era entrato in
un piscina, era stato in
occasione di una gara di suo fratello Eleo durante il suo secondo anno
alle
elementari – correntemente, il fratellino stava vivendo il
suo quindicesimo
anno.
E
infine l’udito, estremamente teso ad ascoltare una serie di
discorsi – in
qualche caso, apparentemente – privi di senso, scaturiti da
un gruppetto
entrato nel negozio poco più di mezz’ora prima.
C’erano
la voce vagamente stridula che continuava a ripetere a qualcuno di
entrare.
Quella profonda che commentava di tanto in tanto i capi esposti, a
propria
volta commentata da una di tonalità più fredda e
pacata. Poi c’erano due voci
quasi identiche, che si rincorrevano e sovrastavano un’altra,
dal timbro più
profondo, ma animata quasi quanto la prima.
E
infine
c’era la voce che aveva sentito per ultima. Era arrivata
parecchi minuti dopo
le altre, e all’inizio era stata talmente bassa e
bofonchiante che non l’aveva
presa in considerazione, nella sua analisi del rumoroso gruppo che gli
era
piombato tra capo e collo in negozio – chiaramente al di
sotto dei loro
standard.
Quindi
l’aveva ignorata, almeno fino a quando non l’aveva
sentita alzarsi per negare
qualcosa con forza.
“Puoi scordarti che io indossi
qualcosa che potrei sgualcire solo con lo sguardo!”.
Era
una
voce alta, ferma e chiaramente maschile, ma possedeva un timbro gentile
che lui
aveva associato in precedenza solo a sua sorella Clio.
Forse
era stato quello il motivo per cui inizialmente si era interessato a
lui.
Poi,
alle risate sguaiate di una delle altre voci, si era voltato per vedere
finalmente quel gruppo eterogeneo – che iniziava a diventare
fastidioso.
Non
fu
difficile associare le voci alle persone che stazionavano davanti ai
camerini –
apparentemente con il solo scopo di fare confusione in un rispettabile
punto
vendita come quello.
Le
due
voci quasi uguali appartenevano – senza ombra di dubbio
– ai gemelli che si
stavano contendendo lo stesso cappello, subito fuori da una tendina
tirata. La
voce fredda doveva essere quella del moro silenzioso appoggiato al muro
lì
accanto, e quella profonda al ragazzone dalla pelle scura poco
più in là, nel
reparto camicie.
Infine
le voci esagitate non potevano che appartenere agli ultimi due, quelli
che si
stavano squadrando con astio – misto ad un divertimento che
sembrava essere
loro abituale –, tra loro un paio di jeans.
Ci mise poco a capire che la voce che più lo
aveva interessato era nascosta alla vista dall’unica tendina
tirata nella zona
camerini, a provarsi finalmente qualcosa. Distrattamente si chiese cosa
potesse
aver scelto, domandandosi subito dopo perché
pensava potesse importagli una cosa simile.
«Allora?»
sentì uno degli ex contendenti alzare la voce e mulinare una
delle maglie più
costose della collezione primavera-estate, senza il minimo riguardo
«Cosa stai
facendo lì dentro? Vuoi una mano?»
Un
ringhio li raggiunse da dietro la tendina e Castor si fece
un’idea della
situazione. Per un qualche motivo sorrise e fece un cenno a Silvye, la
commessa, avvicinandosi al ragazzone privo di delicatezza. Con la scusa
di
voler prendere una maglia, studiò da vicino la situazione.
Sorvolando
sulla strana voglia di assegnare un volto – e magari un nome
– alla voce che
tanto lo aveva colpito in precedenza, il negozio stata iniziando a
diventare
troppo rumoroso per i suoi gusti.
La
sua
improvvisa vicinanza non passò inosservata perché
vide chiaramente i gemelli
squadrarlo con sospetto e il tipo dalla faccia apatica scrutarlo da
capo a
piedi con fare arrogante. Anche Silvye stessa lo osservava con la coda
dell’occhio,
sebbene impegnata ad intrattenere uno dei ragazzi con una felpa di una
certa
bellezza – a parere di Castor.
Stava
giusto per chiedere a uno dei ragazzoni – quello dalla pelle
scura, che gli
sembrava il più affidabile – di andarsene e
permettere a tutti gli altri
clienti di usufruire in tranquillità dei servizi offerti
dalla boutique, quando
la tendina venne tirata a mostrare il ragazzo appena cambiatosi.
Alto
più di lui, aveva capelli corti castano chiaro, di una
sfumatura tragicamente
simile al miele di acacia – Castor non riuscì a
fare a meno di paragonarlo, nel
vedere le ciocche arruffate arricciarsi al getto di aria condizionata
del
corridoio, al miele servito su una tartina al sesamo. Gli occhi,
seminascosti
dalle lunghe ciglia e dall’espressione contrariata,
brillavano di un azzurro
cupo, quasi grigio. La linea decisa del collo scompariva troppo in
fretta nello
scollo della maglia rossa – un colore che non gli si addiceva
– e proseguiva
lungo le braccia, perdendosi tra il guizzare nervoso dei muscoli.
Castor
espirò lentamente facendo scorrere lo sguardo sulle labbra
morbide e lungo le
gambe fasciate strettamente dai jeans che si tendevano ad ogni passo.
Con uno
sforzo cercò di reprimere l’impulso di prenderlo,
voltarlo e vedere l’effetto
di quel tessuto sul sedere.
Il
sorriso lieve che aveva assunto per convincere il gruppo ad andarsene
si
allargò leggermente, mentre con fare sicuro si avvicinava al
giovane. E gli
posava una mano sul petto.
«Questo
colore ti dona poco» gli mormorò facendo scorrere
la mano fino a riuscire a
toccare la pelle con la punta delle dita «se permetti adesso
ci penso io a te».
°°°
Allacciandosi,
le dita tremanti dallo sforzo – di non rompere un tessuto
tanto delicato e
prezioso – Max chiuse l’ultimo bottone della
camicia in seta, nascondendolo
dentro un’asola decorata con un laccio di una
tonalità più scura. Fece un
respiro profondo e scostò la tenda, mostrandosi.
Jamie e
Joakim sembravano spariti nel nulla – o si erano imboscati in
qualche altro
negozio, per quanto ne poteva sapere lui – così
come Lionel, che sembrava
scomparso, probabilmente assieme alla biondina con cui lo aveva visto
prima.
Brook e
Bach lo guardarono con attenzione mentre Dorian fischiò in
apprezzamento,
voltandosi verso una quarta persona, seduta sul pouf lì
accanto.«Non c’è che
dire. Ora sì che sembra un ragazzo».
«Grazie
tante» lo rimbeccò Max, più amaro di
quanto non avesse voluto. Perché prima a
cosa somigliava? Ad un mendicante?
«Indubbiamente»
eccola quella voce maledetta, seguita dal frusciare della camicia che
il suo
proprietario aveva indosso «almeno gli abbiamo tolto
l’aria del topo di
campagna».
«Disse
il topo di città» ancora una volta si
trovò a rispondere ad una frecciatina
rivolta a lui, incrociando le braccia e lasciandole immediatamente
cadere lungo
i fianchi, il pensiero improvviso che avrebbe sgualcito la stoffa se si
fosse
lasciato andare a quel gesto abituale.
Castor
sedeva comodamente, le gambe elegantemente incrociate e una mano
inanellata al
volto.
«Suvvia,
Maximillian, non mi dirai che sei deluso dagli abiti che ho scelto per
te?»
Da
quando gli aveva detto il suo nome – un’imprecisata
manciata di minuti prima, o
forse ore? – quell’uomo non aveva fatto altro che
ripeterlo e infilarlo in ogni
sua frase. Lo assaporava e rigirava tra le labbra e la lingua per poi
esalarlo
in un languido sospiro. Ogni volta facendolo rabbrividire.
Non
sapeva come comportasi.
Non
aveva idea di cosa quel Castor volesse da lui.
Non
era
nemmeno sicuro di volerlo sapere.
E
intanto continuava a provare vestiti su vestiti da lui scelti.
“Non
hai buon gusto, disponibilità economica e classe. Un
trinomio catastrofico cui
intendo cercare di mettere un freno” aveva esordito deciso,
fissandolo con
quelle iridi azzurro cielo a cui non aveva capito come non fosse
riuscito a
dire di no. Oppure di farsi gli affaracci suoi.
«Non te
l’ho certo chiesto io» bofonchiò in
risposta, ben attento a non farsi sentire.
Il rischio che quello stravagante damerino decidesse di costringerlo a
pagare
ogni capo provato ancora pressante nella sua mente.
«La tua
incapacità di destreggiarti in un negozio di moda mi ha
imposto di darti una
mano» ribatté nuovamente serafico il rosso,
aggiustandosi la piega perfetta di
un polsino.
«Non te
l’ha chiesto nessuno» ripeté Max,
tornando a borbottare da dentro il camerino,
mentre si spogliava e iniziava a rimettersi i propri pantaloni.
Tuttavia
aveva – evidentemente – sottovalutato le intenzioni
di quel ficcanaso
sconosciuto perché, mentre era intento ad allacciarsi
l’elastico, la tenda
venne scostata e una nuova pioggia di abiti gli cadde in testa. Con i
capelli
arruffati liberò il volto da una giacca leggera in camoscio
e puntò lo sguardo
arrabbiato sul molestatore.
Castor
lo stava fissando con un sorrisetto soddisfatto.
«Nessuno
ti ha detto che potevi cambiarti, lo sai questo, vero?»
«Fuck you» gli
sibilò contro, sfoggiando
una delle eleganti espressioni che aveva imparato ad adottare da Lionel
«non
sei nessuno per dirmi quello che devo o non devo fare!»
«Forse»
rispose quello, allungando una mano, le dita tese e pallide in
contrasto quella
sua pelle lievemente scura «ma sono anche l’unico
che sa cosa
è meglio per te».
«E
questo» cercando di ignorare quella maledetta mano accanto al
suo petto –
troppo vicino, accidenti – prese tra le braccia due paia di
jeans, una camicia
di sangallo, delle maglie sottili e la famosa giacca, ponendoli a scudo
tra
loro «dovrebbe essere quello di cui ho bisogno?»
«Può
darsi» gli disse enigmatico «tuttavia se prima non
li provi non lo sapremo
mai».
«Chi ti
dice che lo farò?»
Max
non
seppe definire per quale motivo non avesse ceduto all’istinto
che gli gridava
di prendere quel damerino raffinato per i capelli cangianti e sbatterlo
fuori
da lì, per potersi rivestire in santa pace e tornarsene a
casa con il
portafoglio intatto – sebbene con l’orgoglio un
po’ troppo ammaccato per i
propri gusti. Non seppe nemmeno giustificare il calore improvviso che
gli si
era scatenato sul petto, quando la mano fredda dell’altro gli
si appoggiò
addosso, spingendolo con lentezza indietro, entrando nel camerino con
lui.
Castor
alzò la testa per guardarlo dritto negli occhi e le dita
della mano si aprirono
sul petto ancora scoperto. Sapeva di cannella – fu
l’unico pensiero coerente
che Max riuscì a formulare nell’averlo
così vicino.
«Preferiresti
che fossi io a vestirti?» gli domandò malizioso
nell’allontanarsi leggermente
«O a svestirti, se preferisci».
Max
arrossì fino alla punta dei capelli e lo spinse fuori dal
camerino, tra le
occhiate perplesse dei più e fin troppo consapevolmente
divertite di Bach.
…
Ottimo!
Capitolo
corto, ma non meno
importante. Insomma… qualcuno mi può dire dove
posso trovare pure io un Castor?
Grazie mille!
E ancora una
volta tutto il mio
affetto e il mio ringraziamento a 3ragon
che ha caritatevolmente
acconsentito a farmi da Beta.
Baci
NLH