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Autore: sic58    14/10/2013    11 recensioni
Bella ed Edward, amici da una vita, si scoprono innamorati tra i banchi di scuola, ma la fine del liceo segna anche la rottura della loro storia perché, in qualche strano modo, lui sente che l’amore finirà per tappargli le ali sui suoi progetti futuri.
È così lei parte per il college in un’altra città, mentre lui resta lì continuando a inseguire i suoi sogni.
Dopo quattro anni sono diversi e lo sono altrettanto e soprattutto i mondi ai quali adesso appartengono.
Bella è una semplice ragazza che lavora in un locale e che trascorre le giornate con gli amici e il fidanzato.
Edward, invece, ha realizzato i suoi sogni. Pilota nella classe regina del motomondiale è il nuovo talento del momento, la superbega, il marziano che a soli 20 non è solo un nastro nascente, ma un vero e proprio problema colossale per i suoi avversari.
I due si rincontrano e nel tempo di uno sguardo capiscono che l’attrazione che li ha sempre legati in passato non è mai sparita, ma tanti saranno gli ostacoli che li attendono lungo la via...perchè vivere accanto a qualcuno che non teme la morte può risultare, a volte, più difficile del previsto.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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La seguente storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro e i personaggi citati sono di proprietà di Stephenie Meyer

 

2.

Pov Bella

Dopo un’ora e mezza d’aereo, finalmente stavamo sorvolando i cieli della California. A detta delle hostess mancavano dieci minuti all’atterraggio nell’aeroporto di Monterey, una cittadina situata tra Los Angeles e San Francisco e affacciata sull’Oceano Pacifico.


Mi sporsi dal finestrino godendomi il panorama da quell’altezza e sorrisi quasi senza accorgermene. In 20 anni non avevo viaggiato molto. Le uniche volte in cui mi ero ritrovata a prendere l’aereo era stato quando mi ero trasferita a Seattle e poi quelle poche volte in cui mi ero decisa a tornare a casa, a Portland per rivedere la mia famiglia.

Pur atterrando a Monterey era ovvio che la destinazione vera e propria di quel viaggio fosse Laguna Seca, uno dei circuiti automobilistici e motociclistici degli Stati Uniti.

Proprio guardando il paesaggio sotto di me mi resi conto che il pilota aveva appena iniziato le manovre di atterraggio.

Mezz’ora dopo io e gli altri eravamo fuori dall’aeroporto alla ricerca di un taxi che ci portasse in hotel. Non ci mettemmo molto a trovarlo e in pochi minuti ci immergemmo nel traffico della città e arrivammo in albergo circa dieci minuti dopo.

Io, Jane e Jessica prendemmo una tripla, mentre i ragazzi dovettero accontentarsi di una quadrupla. Era già pomeriggio inoltrato quando ci sistemammo nelle nostre stanza e decidemmo di farci la doccia e uscire subito dopo per andare a mangiare qualcosa da qualche parte.

Mi infilai sotto la doccia prima delle altre visto che, a differenza delle mie amiche, io ci mettevo molto di più a prepararmi.

Tre ore dopo tutti fummo pronti e, approfittando della calda serata dei primi di Luglio, ci incamminammo a piedi nel più vicino pub.

La serata passò velocemente e nel pieno del divertimento. Tutti erano raggianti dell’esperienza che avremmo affrontato, tutti meno che io, ma cercai di non darlo a vedere. E quando a serata inoltrata tornammo in albergo ci ripromettemmo di metterci subito a letto in modo da essere pronti la mattina seguente per iniziare il nostro “tour” nel circuito considerando che il giorno seguente, come tutti i sabato di gara, si svolgevano le prove libere al mattino e le ufficiali nel pomeriggio e avremmo, quindi assistito alla FP3 e alla FP4, per poi passare alla Q1 e Q2 che avrebbero stabilito i posti in classifica per la gara del giorno seguente.

Mi misi a letto di buon grado e non ci misi molto a riuscire a prendere sonno.

 

Eravamo, come sempre accadeva nel fine settimana, in una delle tante piste americane. Questa volta si trattava di un circuito vicino casa, quindi ero salita anche io in macchina con i ragazzi per andare a dare il mio appoggio.

Edward partecipava ai campionati americani di motociclismo e quell’anno era particolarmente importante per lui in quanto si sarebbe giocato l’ingresso in una competizione di maggiore successo: il motomondiale e nello specifico la Moto3.

Se tutto sarebbe proceduto al meglio, nel giro di qualche anno lui si sarebbe facilmente ritrovato a gareggiare nella classe regina, il MotoGp. Per farlo, ovviamente, servivano vittorie e grandi risultati, ma Edward aveva tutte le carte in regola per raggiungere i suoi obiettivi, ma soprattutto per fare del suo sogno una realtà.

La gara odierna, purtroppo, non l’aveva visto salire sul gradino più alto del podio, ma solo nello scalino appena più basso.. Era arrivato secondo dopo una lotta all’ultima curva con un altro ragazzo di diciassette anni come lui.

Si era chiuso nel paddock del suo piccolo team e aveva iniziato ad urlare e buttare tutto all’aria. Era chiaro come la pressione di quell’anno lo colpisse in modo particolare e io non sapevo davvero cosa fare. Ero la sua ragazza e Dio solo sapeva quanto lo amavo, ma quando si trattava di corse, Edward diventava un’altra persona e io non sapevo mai come gestirlo.

“Si può sapere che ti prende?” gli domandai entrando lì dentro e costringendolo a guardarmi negli occhi.

“Niente, cosa vuoi che mi prenda?” mi rispose lui retorico senza prestarmi nessuna attenzione.

“Non hai mai reagito così. È solo una gara, una fottuttissima gara. Non puoi fare così ogni volta che non arrivi primo”.

“Le cose cambiano, ma tu che ne sai, eh? Niente, tu non sai un cazzo di niente” mi urlò arrabbiato.

Era chiaro che mi stesse usando come valvola si sfogo e potevo pure accettarlo, ma i modi di fare che stava iniziando ad avere nei miei confronti negli ultimi tempi, beh quelli proprio non potevo sopportarli.

Mi diede le spalle pronto ad uscire da lì dentro, ma io non gliene diedi il tempo perché lo afferrai per il polso bloccandolo e costringendolo nuovamente a guardarmi.

“Il campionato va storto e allora mi butti fuori dalla tua vita? È così che funziona?” gli domandai guardandolo intensamente negli occhi.

Avevo bisogno di risposte e dovevo averle subito.

“Questa è la mia vita” mi rispose occhi negli occhi “questa” aggiunse urlando e indicando con lo sguardo il paddock intorno a noi.

“Questa non è la tua vita” gli risposi urlando quasi quanto lui “è solo il modo in cui speri, un giorno, di guadagnarti da vivere” continuai abbassando il tono di voce.

Restammo in silenzio per qualche attimo mentre lui si sistemavo la tuta da corsa. Dopo qualche secondo si avvicinò a me e fissandomi intensamente negli occhi prese a parlare.

“Sta a sentire. Non voglio continuare a correre per questi campionatini per dilettanti. Io voglio arrivare più in alto, io voglio diventare un professionista e per farlo ho bisogno, quest’anno,  di vincere questo cazzo di campionato. E sai che c’è? Che per vincere devo concentrarmi, il che significa che non posso pensare a noi” mi disse più serio che mai “perciò, che ti stia bene o meno, adesso la mia vita è solo questo” concluse finendo di allacciarsi la tuta.

Restai in silenzio per un attimo colpita e del tutto affondata da quelle sue parole. Lui continuò a guardarmi negli occhi e credo non ebbe grossi problemi a notare che ero in procinto di piangere e che, con molta probabilità, se non lo avevo ancora fatto era solo per non dargliela vinta, solo per mostrarmi forte più di quanto in realtà non fossi.

Con quelle parole, con quel tono mi aveva completamente sconvolta. Non pensavo saremmo mai arrivati a quel punto.

“Se è così” presi a dire prima di fare una nuova pausa impaurita nel continuare “se è così io che cosa sono? Che cosa diavolo sono io per te, Edward?” conclusi senza distogliere lo sguardo da lui.

Lui non mi rispose subito. Abbassò gli occhi per qualche istante come se volesse trovare le parole adatte, poi, però, riprese a guardarmi.

“Una distrazione” mi rispose occhi negli occhi prima di allontanarsi da me per afferrare il casco che aveva appoggiato sulla sedia pochi istanti prima “adesso scusami, ma...” riprese a dire senza completare la frase, ma indicando solamente la pista là fuori come a dirmi che il lavoro lo stava chiamando.

Mi lasciò lì e, senza curarsi di me, delle mie lacrime, della mia disperazione uscì fuori, salì sulla moto e dopo aver dato gas iniziò a percorrere la stessa pista che qualche ora prima gli era costata il secondo posto.

Era finita. Una storia di due anni finita perché, improvvisamente, io ero diventata una distrazione o, forse, perchè con la mia presenza costante nella sua vita, a lungo andare, avrei rischiato di tappargli le ali.

 

Mi svegliai di soprassalto portandomi in posizione seduta sul letto. L’avevo sognato di nuovo.

Dopo tre anni, quel sogno era tornato a tormentarmi.

Per il primo anno, dopo la nostra rottura, sognavo quel momento tutte le notte trasformando le mie dormite in incubi. Poi, con l’andar del tempo avevo preso a fare quel sogno sempre meno, fino a che non era sparito del tutto, ma eccolo che adesso era tornato.

Mi resi conto di essere sudata e non mi stupii più di tanto visto che, nonostante fossero passati degli anni, quella scena aveva su di me sempre lo stesso effetto.

Quello non era un sogno, quello era successo davvero…quello era stato il momento in cui i miei progetti futuri con lui erano crollati, il momento in cui l’amore mi aveva tradito, il momento in cui lui mi aveva lasciata dando spazio al suo di futuro.

Non potevo fargliene una colpa se per me il futuro equivaleva a noi insieme, mentre per lui tutto ciò che il futuro rappresentava era una moto, parecchi circuiti e tanti titoli mondiali.

La cosa che, a distanza di anni, mi faceva sorridere era che, almeno, le mie sofferenze non erano state vane in quanto lui era riuscito davvero a realizzare i suoi sogni.

Quell’anno terminò e vinse il campionato americano e fu ingaggiato da un team che lo portò dritto al motomondiale. In sella ad una Moto3 iniziò i suoi primi passi nel mondo dei grandi, ma terminò il suo primo anno al 10° posto nella classifica mondiale con 83 punti saltando quattro gare a causa di infortuni. L’anno successivo fu quello della svolta, invece. Cambiò team salendo su una KTM e guadagnò durante la stagione dodici pole position, dieci vittorie e due terzi posti vincendo il titolo con 310 punti.

La stagione successiva segnò il suo passaggio ad una classe superiore, la Moto2 e in sella ad una Suter del team Repsol si portò a casa il secondo titolo mondiale con una gara d’anticipo e guadagnandosi un posto su una moto ufficiale del team Yamaha nella classe regina, la MotoGp.

Quell’anno vista la giovane età e dovendosi confrontare con piloti di più alta esperienza non partì favorito, ma dimostrò subito la sua tenacia e il suo talento. Arrivò a podio in tutte le gare della stagione, meno una che lo vide uscire a quattro giri dalla fine a causa di una caduta, e già al secondo Gp dell’anno vinse diventando il pilota più giovane a vincere una gara nella classe regina. Si laureò campione del mondo con tre gare d’anticipo venendo eletto il miglior rookie dell’anno.

Anche quest’anno era nuovamente in cima alla classifica iridata dopo aver disputato solo cinque gare, di cui due lo avevano visto al secondo posto, mentre le altre tre lo avevano decretato vincitore. Laguna Seca era il sesto Gp dell’anno e io ero lì, a Monterey, a guardarlo di presenza.

Nonostante avessi cercato di allontanarmi da lui, ero comunque rimasta dietro la tv a vivere la sua carriera, la sua ascesa nel mondo che tanto aveva sognato: quello fatto di moto, paddock, circuiti e corse. Sapevo tutto di quello che aveva fatto negli ultimi quattro anni e anche non volendo ammetterlo a me stessa sapevo di essere, forse, la sua più grande fan.

E come non poteva essere così? Io c’ero quando era salito sulla prima Minimoto quando era un bambino, c’ero a tutte le corse che aveva fatto prima di passare alle moto grandi e c’ero quando aveva realizzato che da grande era il pilota il mestiere che desiderava fare.

Scacciai via quei pensieri e controllai l’orologio. Erano le sei del mattino così mi alzai andando a farmi una doccia cercando di non svegliare le ragazze.

Un’ora dopo ero già pronta e mi sedetti sul letto ad aspettare che le altre si finissero di sistemare visto che erano state svegliate qualche minuto prima dalla sveglia.

Alle otto in punto uscimmo dalla camera e raggiungemmo la sala da pranzo al piano inferiore dove trovammo già i ragazzi. Consumammo la colazione offerta dall’hotel e, nel frattempo, non potei fare a meno che notare l’euforia di Jake che sprizzava felicità da tutti i pori.

Mi resi subito conto che era il momento giusto per dire loro dei pass che Vic mi aveva fatto avere.

“Devo dirvi una cosa” esordì approfittando di un attimo di silenzio.

“Spara” mi disse Paul ridendo curioso di sapere cosa avessi da dire.

Presi la borsa e afferrai la busta che la mia vecchia amica mi aveva spedito per posta qualche giorno prima.

“Questi sono vostri” gli dissi appoggiando la busta sul tavolo.

Jake curioso la afferrò e vide il contenuto fece un sorriso che man mano si allargò sempre di più.


“Non ci credo” mi disse guardandomi negli occhi.

“Dovresti crederci, invece” gli risposi.

“Si può sapere che diavolo c’è lì dentro?” intervenne Embry curioso afferrando la busta dalle mani dell’amico.

Jake nel frattempo si alzò e mi prese in braccio facendomi girare come fossi in una giostra.

“Io ti amo” prese a dire mentre gli occhi di tutti si puntarono su di noi “ti amo” ripeté nuovamente.

“Ci stanno guardando tutti, scemo” gli feci notare.

“E che guardino” commentò solamente lui.

Stavo per rispondergli quando sentii Embry, Paul e Alec lanciare un urlo e qualche istante dopo anche le ragazze fecero lo stesso: era chiaro che avessero capito cosa c’era dentro la busta.

“Bella tu sei…” provò a dire Paul “sei…non trovo neppure la parola giusta” continuò “sei semplicemente una grande” concluse alzandosi e buttandosi addosso a me così come tutti gli altri.

Quando finalmente ci decidemmo a darci un contegno prendemmo ognuno le rispettive posizioni al tavolo.

“Si può sapere come hai fatto ad averli?” mi chiese Jane sorridendomi.

“Ho un amico a Portland che conosce un po’ il giro e tramite amici di amici è riuscito a farmeli avere” mentii spudoratamente.

Nessuno di loro sapeva di Edward e sicuramente avrebbero continuato a non saperne nulla. Era meglio così, per tutti.

“Ma li avrai pagati una fortuna” commentò Jessica.

“Non molto, a dire il vero” continuai con le bugie “questo amico ha fatto in modo che spendessi pochissimo” conclusi.

Avevo chiesto a Vic di non dire a James che quei biglietti servissero a me. Non volevo che lei mentisse al suo ragazzo, semplicemente non volevo che lui lo sapesse altrimenti avrebbe finito per correre da Edward e rivelargli tutto visto che quei due un segreto l’uno con l’altro non sapevano tenerselo.

“Vedremo i piloti, i paddock, le moto. Cazzo, non ci credo” prese a dire Jack più a se stesso che a noi.

Lo guardai e scoppiai a ridere e gli altri mi seguirono a ruota.

“Durano tutto il week-end” iniziai a spiegare riferendomi appunto ai pass “e fanno parte di un pacchetto che ha offerto il team Yamaha per questo Gp. In sostanza con questi possiamo muoverci più o meno dove vogliamo. Possiamo vedere i paddock, la zona adiacente i box e possiamo avvicinarci ai Tir delle scuderie dove i piloti, i meccanici e i giornalisti circolano liberamente. E ovviamente sono validi per incontrare i piloti e fare foto e autografi” spiegai ricordandomi ciò che Vic mi aveva detto al telefono.

“Cazzo, cazzo, cazzo” prese a dire Paul “ma che aspettiamo? Andiamo dai” concluse alzandosi dal tavolo.

Lo seguimmo a ruota e un quarto d’ora dopo essere entrati in taxi giungemmo la nostra destinazione ritrovandoci all’ingresso del meraviglioso circuito di Laguna Seca.


Entrammo e osservammo tutto come fosse la prima volta ed in effetti lo era, era davvero la prima volta e lo era per tutti.

In passato mi ero ritrovata ad entrare in qualche circuito dove si correva, ma erano piccoli e decisamente non maestosi e organizzati come quello che avevamo di fronte.

Grazie ai pass riuscimmo subito a entrare nel vivo della giornata. Una gentilissima signora del team Yamaha, il team per il quale avevamo i pass, accompagnò noi e tutti quelli che possedevano i pass nel bellissimo “Tuck ospitalità” del Team. Era meraviglioso: climatizzato e con ampi spazi per sedersi dove c’erano Tv che trasmettevano le immagini dal circuito nonché le tabelle dei tempi. Ci venne consegnato perfino il programma del week-end: prove libere, prove ufficiali, warp up e partenza delle gare.

La signorina prima di allontanarsi ci diede anche le informazioni di base per muoverci all’interno del paddock senza creare problemi a nessuno.

“Cazzo guardate lì” disse Paul a noi altri “c’è Scott” continuò.

Guardammo in quella direzione è Alexis Scott, pilota nel team Honda, si muoveva sopra uno scooter per spostarsi da un posto all’altro con maggiore agilità e dietro di lui c’erano anche altri piloti che, da lontano, non riuscimmo ad individuare bene.

“Per quanto mi riguarda la cosa più bella è il costante rombo dei motori in pista che si sente in sottofondo” mi lasciai scappare mentre tutti i miei amici si voltarono a guardarmi sconvolti.

Non avevo mai ammesso di amare quello sport e fingevo di guardarlo solo per far contenti loro, quindi le miei parole erano risultare piuttosto strane.

Scrollai le spalle per la gaffe fatta sperando che non dicessero nulla e, alla fine, mi andò bene perché mi sorrisero e tornarono tutti a concentrarsi su ciò che ci circondava.

Iniziammo un giro d’orientamento e ci accorgemmo ben presto che erano tantissime le cose da vedere, ma la cosa più strabiliante fu quando ci avvicinammo vicino all’ingresso del box Yamaha. Da lontano vidi da un lato il box del team satellite e dall’altro lato quello del team ufficiale e proprio in quel momento i piloti si infilarono i caschi e solo quando ci avvicinammo un po’ di più ringraziai il fatto che li avessero già messi, almeno non sarei stata costretta a vederlo in volto.

Nonostante questo era impossibile non riconoscerlo grazie alla tuta e, comunque fosse, ero certa l’avrei riconosciuto lo stesso anche in mezzo a centinaia di altre persone.

Era lì, di fronte la sua moto pronto per cominciare le prove di quella giornata. Parlava animatamente con alcuni ingegneri, mentre alcuni meccanici erano al lavoro per gli ultimi ritocchi nelle varie moto. Lui era completamente applicato a parlare con un foglio in mano con sopra stampato il circuito e cercava di spiegare all’uomo di fronte a lui qualcosa che, vista la distanza, mi era assolutamente impossibile comprendere.

“C’è Cullen, oddio” urlò Jake euforico come lo avevo visto poche volte.

Su una cosa non c’erano dubbi: il mio ragazzo era un tifoso sfegatato di Edward. L’aveva iniziato a seguire fin dalla Moto3 e non lo aveva mai abbandonato. Diciamo che negli ultimi quattro anni Jake era stato sempre dietro a quel pilota esordiente di cui non conosceva nulla se non la passione per le moto e io, ironia del destino, mi ero ritrovata quotidianamente a dover parlare dell’unica persona di cui avrei fatto volentieri a meno di nominare.

“Dio quanto è bello” commentò Jessica ammaliata.

“Ha una tuta che lo fascia per intero e un casco in testa” le feci notare quasi infastidita per farle capire che conciato in quel modo era difficile notare la sua bellezza.

“Lo so” mi rispose lei “ma quello lì è bello sempre. E poi non vedi come gli dona bene la veste di pilota?” mi domandò.

Scossi la testa decidendo di non risponderle, del resto serviva a poco. Per quanto fastidio mi desse ero ormai abituata agli apprezzamenti che le ragazze in generale facevano su di lui: in fondo era pur sempre un personaggio pubblico.

“Guarda un po’ che mostro di moto” mi disse Jake mettendomi un braccio intorno al collo.

Mi scansai immediatamente senza riuscire a capire perché lo avessi fatto, poi per non destare troppi sospetti gli sorrisi.

“In effetti è meravigliosa” commentai.

E lo era, lo era davvero. Quell’anno, a differenza degli anni passati, avevano deciso di creare due moto Yamaha ufficiali non perfettamente uguali come succedeva di solito. Una era rimasta con i colori blu e bianca, come da tradizione, l’altra, invece, oltre ad avere i colori bianco e blu aveva anche il nero.

La prima era toccata al secondo pilota, mentre la seconda era di Edward e il numero 23 sul cupolino ne era la prova.


Era bella, stupenda. Aggressiva e irruenta come il pilota che la cavalcava. Lui, invece, aveva sostituito la classica tuta blu e bianca con una blu e gialla e un casco di vari colori.

Lanciai uno sguardo dentro il paddock e non mi fu difficile individuare James seduto a parlottare con due uomini del team e poco distante Vic che tranquillamente beveva del caffè da un bicchiere. Mi scappò un leggero sorriso nel vederla sempre la stessa, sempre insieme al ragazzo del quale si era innamorata a quattordici anni e dal quale non si era più separata.

Anche se l’invidia non faceva parte del mio carattere, per un attimo un pizzico la provai, ma era invidia buona, genuina. Era l’invidia di una ragazza che aveva perso l’amore e che non poteva non farsi stringere il cuore alla vista di un amore che, invece, era durato nel tempo.

I miei pensieri vennero interrotti dal suono della sirena, segno quindi che le prove stavano per iniziare. I meccanici accesero le moto ed i piloti, in fretta, salirono su di esse e partirono. Edward e qualche altro pilota rimasero fermi ancora qualche istante a controllare le ultime cose, poi lui salì in moto e partì abbassandosi la visiera e sollevandosi dalla moto per sistemarsi meglio la tuta. Qualche istante dopo non lo vidi più.

Io e gli altri restammo vicino ai paddock ad assistere alle prove libere controllando i tempi sul giro, stando attenti ai commenti dei tecnici sparsi per tutti i box e notando con non poca sorpresa come fosse facile raggiungere e superare la soglia dei 300 km orari.

In poco tempo si fece l’ora di pranzo e così ci spostammo a mangiare dei panini che avevamo comprato quella stessa mattina e sistemato dentro gli zaini, poi andammo a visitare le tribune e alla fine tornammo nel paddock per vivere la tensione delle qualifiche ufficiali dal box mentre i ragazzi approfittarono di quei momenti anche per fare delle foto con le ombrelline senza ovviamente far mancare i loro commenti.

Le qualifiche furono cariche di adrenalina e segnarono un vero e proprio grande show. Ben quattro piloti si contesero la pole fino all’ultimo secondo arrivando tutti ad un decimo l’uno dall’altro, ma alla fine fu proprio Edward ad aggiudicarsi la pole position di quella gara, la quarta di quella stagione.

Nel pomeriggio, al termine delle prove, le persone senza i pass cominciarono a lasciare i prati e gli spalti dell’autodromo, mentre il paddock continuava ancora a vivere tra piloti, tecnici, staff e ovviamente tutti quelli che, come noi, avevano avuto la fortuna di avere i pass e quindi di poter restare in mezzo a quella gente.

Ci fecero spostare presso “l’aerea ospitalità” per l’incontro con i piloti e fu in quel preciso istante che cominciò a venirmi una fifa incredibile. Si erano mostrati tutti moto gentili e disponibili nel farci fare foto e autografi, ma la mia paura era che in mezzo a tutti loro arrivasse lui.

Al momento c’erano tutti tranne i due piloti ufficiali Yamaha, quindi Edward e il suo compagno di team, e quando ci avvisarono che anche loro sarebbero arrivati a breve io compresi che non potevo più restare lì.

“Vado a cercare un bagno” dissi a Jake.

“Un bagno?” mi domandò stranito “proprio adesso? Sta arrivano Cullen” mi spiegò “Edward Cullen, hai presente?” continuò.

“Lo so, ma la mia vescica non credo sia disposta ad aspettare che lui arrivi. Se me lo perdo oggi ci sarà comunque la gara di domani” provai a dire.

“Come vuoi” mi rispose solamente baciandomi a fior di labbra.

“Non pensare che noi veniamo con te” mi disse Jane.

“Io Edward Cullen non me lo perdo” continuò Jessica che aveva fatto di lui il suo personale idolo in tutti i sensi.

“Tranquille, faccio da me” risposi già sicura che mi avrebbero detto in quel modo.

Sorrisi loro e mi allontanai senza sapere bene dove andare. Camminai per qualche minuto senza una meta precisa sperando che il tempo passasse in fretta e che, quando mi decidessi a tornare, i politi fossero già andati via. Era ridicolo quello che stavo facendo. Avevo fatto in modo di avere i pass e adesso scappavo per non vedere quel ragazzo.

La verità era che avevo una fottuta paura non tanto di ritrovarmelo di fronte, quanto di specchiare i miei occhi in quegli azzurri che erano i suoi e di accorgermi che quei quattro anni non erano serviti a nulla perché era ancora lui che mi portavo dentro.

Senza nemmeno accorgermene, e forse per ironia del destino, mi ritrovai esattamente davanti al Tir di Edward. La sua faccia stampata sulle pareti del grande camion e il numero 23, il suo numero, disegnato praticamente da tutte le parti non lasciava spazio a fraintendimenti.

Di sicuro lui doveva essersi già spostato “nell’aria ospitalità”, quindi probabilmente quello che avevo di fronte era un posto parecchio sicuro. Mi soffermai davanti al Tir e guardai la foto che lo ritraeva disegnata a caratteri cubitali e, stranamente, mi scappò un sorriso perché in quell’immagine vedevo esattamente l’Edward di cui mi ero innamorata anni prima. In quella foto c’era una vitalità senza eguali e quel sorriso sghembo che mi faceva impazzire. La cosa più bella, comunque, era vedere quel sorriso riflesso nei suoi occhi e, questo, mi era davvero mancato di vederlo durante tutte le sue interviste, come se non fosse più capace di farlo.

Distolsi lo sguardo e mi voltai per allontanarmi, ma non appena diedi le spalle al camion per tornare a camminare vidi l’ultima cosa che mi sarei aspettata di vedere.

Edward, con indosso un paio di jeans e una maglietta del suo team, segno che si fosse già tolto la tuta, era di fronte a me e mi guardava come se avesse visto un fantasma: era chiaro che non si aspettava di vedermi.

Lo vidi osservarmi sconvolto, finchè il suo sguardo si trasformò in un debole sorriso come se fosse felice di vedermi lì, davanti a lui.


Cazzo, cazzo e cazzo. Ero nei guai. Che diavolo avrei fatto adesso?

“Bella?” domandò ancora sorpreso in un sussurro appena udibile.

Avrei tanto voluto scappare, correre via, ma sapevo di non poterlo fare. Io non ero mai stata una codarda e mai avrei voluto diventarlo.

“Ciao Edward” riuscii solamente a dirgli accorgendomi che le parole mi stavano morendo in gola.

Forse, solo quando sentì me pronunciare quelle parole si rese conto che ero vera e fece per avvicinarsi a me, ma più lui si avvicinava più io tendevo ad allontanarmi finchè non mi ritrovai con le spalle al camion accorgendomi che non potevo scappare, non potevo andare da nessuna parta.

Quanto a lui, invece…beh, lui si avvicinò sempre di più finchè non me lo ritrovai ad una spanna dal viso.

Cazzo ero decisamente in trappola.

 

 

 

 

Spoiler:

“Tu stai con un altro?” mi domandò sconvolto.

“Si”.

“Da quanto?”

“Due anni, più o meno” gli risposi.

Lui cambiò espressione e una maschera di rabbia gli ricoprì il volto, ma cercò di non darlo a vedere.

“E lo ami?”

“Non credo siano affari tu”.

“Lo ami?” mi ripetè.

“Edward…” tentai di dire.

“Cazzo” urlò “ti ho chiesto se lo ami” mi disse ancora una volta sempre con un tono di voce abbastanza alto.

“Io…” stavo per dire, ma mi interruppe.

“No” rispose lui al mio posto “no che non lo ami perché altrimenti non mi avresti baciato, non in quel modo” mi rivelò sicuro di sé.

“Quello è stato un errore”.

“Ah si?” mi disse avvicinandosi nuovamente a me “è stato un errore?” ripetè malizioso usando le mie parole.

“Devo andare” gli dissi voltandogli le spalle.

Non mi diede il tempo di fare un passo che me lo ritrovai con il viso sul mio collo e il suo respiro che veloce e forte si infrangeva sulla mia pelle.

“Dimmi che lo ami come hai amato me e ti lascio andare” mi disse.

“Avevamo 17 anni, l’hai detto tu”.

“E che significa?”

“Che forse credevamo che fosse vero amore, ma non lo era”.

 

 

…Sic58…

 

 

Per chi volesse seguirla ho in corso un’altra storia sempre con protagonisti Edward e Bella. Si intitola “This crazy love” e la trama è la seguente:

Isabella Swan è una ragazza di Seattle che conduce una vita normale finchè qualcosa non irrompe nella sua normalità sconvolgendo ogni cosa. È per questo che, insieme al fratello, decide di trasferirsi a New York dal padre per iniziare una nuova vita cercando di buttarsi alle spalle il suo passato. Qui conosce degli amici e sembra ritrovare un’apparente stabilità. 
È nella Grande Mela che incontra Edward Cullen, un ragazzo difficile dal passato oscuro. Lui è sexy, miliardario, irresponsabile, ribelle, irrispettoso delle regole e, a volte, perfino autodistruttivo. Un ragazzo cresciuto tra i motori, le donne e il sesso e che vive la sua vita in continua lotta con il mondo, sempre accompagnato dagli amici di una vita.
Bella ed Edward non potrebbero essere più diversi, eppure sullo scenario di una New York magica e caotica i due si incontrano, si scontrano e imparano a conoscersi, ma tanti ostacoli li attendono dietro l’angolo.
Lei lotta con le questioni irrisolte che ha lasciato a Seattle, mentre lui combatte ogni giorno con le scelte passate, tra tutte quelle di essersi allontanato inesorabilmente dalla sua famiglia.
Saranno in grado di scacciare via i fantasmi passati e aprirsi nuovamente, o per la prima volta, all’amore?

Vi lascio anche il mio contatto facebook nel caso qualcuno voglia contattarmi: https://www.facebook.com/sic.efp

  
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