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Autore: BlueWhatsername    14/10/2013    6 recensioni
CRUSH: fam. 'cotta'.
O meglio...
CRUSH: fam. 'cotta', sostantivo onomatopeico che ricorda il suono della testa in suddetti casi di, appunto, 'presa violenta verso qualcuno', in cui l'unica soluzione desiderata è sbatterla violentemente al muro - o un po' da tutte le parti, meglio.
... Ma perché diamine l'ho scritto, poi? Oh beh, dovreste solo che provare.
[ dal diario di Alexandra Holes ]
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il tè faceva schifo.
Era un dato di fatto che qualsiasi cosa uscisse dalla – dannata – cucina diretta al suo appartamento dovesse fare schifo.
Liam storse il naso, portandosi alle labbra la tazza con la colazione.
Fu costretto a posarla nemmeno due minuti dopo, visto il sapore aspro di limoni che gli percorse le narici e la gola.
<< Buongiorno… >>
Si volse, sorridendo al padre, fresco nel suo completo nero, tirato a lucido come un calice d’argento.
Hector Payne gli si sedette accanto, agguantando con gesti eleganti una tazza e versandosi una generosa dose di tè.
Lo bevve in tranquillità, dal suo volto traspariva una soddisfatta pacatezza che solo quell’intruglio al limone sapeva dargli.
Come piaceva a lui, manco a dirlo.
Liam si concesse qualche fetta biscottata con la marmellata, senza staccare gli occhi dal tavolo, incontrare lo sguardo del padre poco gli sarebbe piaciuto, specie di prima mattina.
Ingoiò il suo ultimo boccone, ristorandosi il palato con un goccio di caffè e facendo per alzarsi.
<< Programmi per stamani? >>
Hector lo squadrava seriamente, i capelli grigi avevano perso il loro splendore castano già da qualche anno, ma gli occhi scuri erano sempre gli stessi, fondi ed indagatori.
<< Devo controllare gli ultimi accordi per quel campo da tennis che avevamo in progetto qualche anno fa… >> rispose il figlio, attento a non far vibrare la voce o a non battere ciglio << … Gli appaltatori sono tornati alla carica e… >>
L’altro liquidò la questione con un’alzata di mano, esplicativa quanto annoiata.
Liam si sollevò, acciuffando la giacca posta sulla sedia ed infilandosela, sistemandosi il colletto all’enorme specchio vicino alla porta.
Senza rendersene conto, si passò una mano tra i capelli, aggiustandosi quel dannato ciuffo di capelli che gli ricadeva costantemente in avanti.
Si riscosse solo quando qualcuno si schiarì la voce, alle sue spalle.
<< Non si usa più utilizzare il pettine? >> lo apostrofò pigramente Hector, servendosi una fetta di crostata e controllando delle carte sul tavolo.
Liam sospirò, borbottando un che di incomprensibile che comunque non sfuggì alle orecchie del padre.
Questi sollevò lo sguardo, sinceramente colpito.
<< Prego? >>
Il figlio si bloccò, preso in contropiede.
<< Non penso d’averti insegnato ad esprimerti a monosillabi, Liam. >>
Già, non gliel’aveva proprio mai impartita una dottrina simile.
Così come non gli aveva mai insegnato a comprendere lo sbaglio o la rinuncia.
C’era un’unica cosa che sapeva fare bene, Liam, e fin da bambino, e quella cosa era vincere.
In qualsiasi campo, in qualsiasi modo, non importava a spese di chi, l’importante era guadagnarsi una fetta – se non tutta – di gloria.
E Liam questo lo aveva imparato così bene e così in fretta che non aveva mai dato da pensare al padre, nemmeno una volta gli aveva lasciato intendere che il più delle volte avrebbe voluto solo nascondersi e soffocare in se stesso, che avrebbe preferito perdere qualcosa che non rinunciare costantemente ad una parte di se stesso.
Sempre una soddisfazione, per il padre, scoprirlo il migliore in tutto, a scuola, nello sport, nella vita sociale, a lavoro.
Sapeva bene di come il figlio esercitasse il proprio ruolo e ne era estremamente soddisfatto, pure se mai glielo dava ad intendere.
<< Scusami, credo che quel tè mi abbia ustionato la gola, prima… >> si giustificò lui, acciuffando alcune carte dal mobile e aprendo la porta.
Stava scappando, come sempre, e la cosa era quanto mai patetica.
<< A proposito, cos’è questa storia che ho sentito ieri sulla cucina? Come mai è rimasta chiusa? >>
Liam si bloccò di nuovo, deglutendo.
Si impose di non ribattere come gli sarebbe venuto spontaneo o avrebbe iniziato ad inveire contro quel cazzone patentato registrato all’anagrafe come Louis Tomlinson.
Che tra loro due non scorresse buon sangue era appurato, chiunque lo sapeva.
Ma che addirittura si permettesse, quel cretino là, di arrivare nella hall per fargli una scenata per delle carote… No, decisamente inammissibile.
Come dire che chiunque avrebbe potuto mettere in discussione la sua autorità perché quella mattina si era alzato col piede sinistro dal letto.
Chiudere la cucina, la sera prima, gli era sembrato più che giusto, tanto per ricordargli chi comandava e chi gestiva la situazione.
<< Nulla, semplicemente un po’ di disinfestazione e… >>
Il padre sembrò fulminarlo con lo sguardo.
Scattò in piedi, le labbra serrate.
<< Prego? Hai chiuso la cucina per… La disinfestazione? >>
Liam impallidì, mentre la morsa allo stomaco lo prendeva in pieno, facendolo arretrare.
Vigliacco.
<< Ce n’era bisogno… >> perseverò, fingendosi serio ed attento, come a suo padre piaceva che fosse, che si mostrasse a chiunque << … Ho pensato che… >>
<< Non devi pensare, Liam, devi fare come dico io. >> lo freddò l’altro, perentorio, sbattendo un palmo sul tavolo, la tazza di tè oscillò pericolosamente.
<< Ma… >>
<< Quest’albergo è tra i migliori della città, non ammetto che la cucina venga chiusa per una bazzecola simile e di sera! Ma come ti viene pensato, eh? Cosa ti ho insegnato io, finora? >>
Bel quesito, quello.
Liam distolse lo sguardo, mentre un sordido accenno di malessere si impadroniva di lui.
<< Louis cosa ha detto? >>
A quella domanda fu costretto a tornare con lo sguardo dov’era prima, il cuore che gli rimbombava nelle orecchie.
<< Ha fatto come avevo detto, non aveva molta scelta. >> e la sua voce risuonò metallica, quasi vuota.
Hector annuì, pensieroso, dopodiché ritornò a sedere, afferrando le carte che stava leggendo prima.
Liam sospirò, uscendo dalla stanza, senza impedirsi di farla schioccare un po’ troppo duramente del solito.
Chiuse gli occhi, mentre ogni parola gli rimbombava nel cervello, fin dentro lo stomaco.
Scosse il capo, avviandosi verso la hall, sentendo la pesantezza dell’esistenza gravargli addosso come un macigno.
Anche il suo modo di essere lo era, era pesante e focoso, era completamente differente da come aveva abituato gli altri a concepirlo.
 
 
 
 
 
<< Allora? >>
Alexandra sobbalzò, quando la voce dell’altra le perforò il timpano, perentoria.
<< C… Cosa dici? >> balbettò, squadrandola indispettita.
Emma ridacchiò, divertita, continuando a scattare foto con la sua Reflex d’ultima generazione.
Probabilmente al loro ritorno a casa avrebbe avuto solo ricordi di piccioni e angoli sporchi di città, vista la capacità della fotografa di immortalare i particolari più bizzarri in assoluto.
Ritorno a casa…
Si trovò a sorridere, pure se avvertì un nodo malinconico alla bocca dello stomaco.
E dopo soli due giorni, la cosa non era molto normale, ma…
… Lo aveva già detto che quella città aveva qualcosa di magico?
Respirare quell’aria umidiccia ed appiccicosa, che ti si incollava addosso, dentro, era inspiegabilmente piacevole, ascoltare il chiacchiericcio spiccio dei passanti che si urtavano, che si salutavano, che biascicavano impastati ‘Have a nice day!’ o anche ‘Good morning’ ancora pieni di sonno la scombussolava non poco.
Per poco non cadde quando Emma le diede di gomito, in direzione di un bar non troppo lontano, poi annuì, felice di potersi concedere una seconda colazione coi i fiocchi.
Non che la prima fosse andata male, solo…
… Oh beh, se avesse rivisto quel tizio c’avrebbe senza dubbio tenuto a ricordargli che non poteva rubarle l’ultima parola come e quando voleva lui.
Poteva farlo con i suoi sottoposti, certo, ma non con lei.
E si trovò alquanto stranita da quella cosa, poco da fare, non era abituata a perdere la parola in un discorso, meno che mai con uno chef dal sorriso birichino e dagli occhi più stramaledettamente sinceri del mondo.
Ed era stato anche educato, accidenti.
<< Penso che se i camerieri sono sc… >> attaccò Emma, quasi andando a sbattere contro la porta.
Alexandra ridacchiò, salutando e sedendosi ad un tavolino appartato.
<< Fa’ silenzio, niente brutte figure! >> la rimproverò, poggiando la sua tracolla sulla sedia libera accanto.
I capelli color rosso ciliegia oscillarono davanti al viso dell’altra, quando dissentì con un sorrisetto.
<< Good morning! >>
Una ragazza con taccuino e penna in mano le squadrava con un sorriso da orecchio a orecchio, i suoi occhi castani scintillavano e due trecce di capelli color mogano le scendevano dalle spalle.
Emma inarcò un sopracciglio, quasi scoppiando a ridere, intimando all’amica di occuparsi delle ordinazioni anche al posto suo.
<< Hi! >> Alexandra sorrise, gentilmente << Uhm… Coffee, for two. And… Pastries, just… Four? >> e guardò l’altra, come per una conferma.
La cameriera scriveva il tutto velocemente, senza battere ciglio.
Quando risollevò lo sguardo, sorrise timidamente.
<< Chocolate? >> chiese poi, per rassicurazione.
<< Sounds ok! >>
E quando si allontanò, Emma si concesse una risatina.
<< Che soggetti questi inglesi… Credo potrei scriverci una tesi sul loro modo di essere! >>
Alexandra scosse il capo, proprio mentre le squillava il telefono.
Il cuore le raggiunse la gola quando lesse da chi proveniva la chiamata.
<< Hello?! >> trillò, difatti, gioiosa, sedendosi comodamente sulla sedia, lanciando ad Emma un’occhiata esplicativa; questa sorrise, mimando un saluto che avrebbe dovuto raggiungere l’altra parte della cornetta.
<< Honey! >> la voce di suo padre la raggiunse forte e chiara << How are you? Was the journey ok? >>
Sorrise, tra sé e sé, notando la spiccata nota d’accento britannico che più le era mancata in quei – quasi – due giorni.
<< Daddy… >> sospirò, mentre Emma ridacchiava sommessamente: le mollò un calcio sotto al tavolo, intimandole di fare silenzio << … Don’t you worry, everything’s ok, the hotel is so confortable and… London is quite enormous, can’t believe how much we have still to visit and… Oh! We’ve planned to go ‘round and… Just take as many photos as we can and… Ah! Told you ‘bout… Daddy?! Are you listening to me?! >>
Anthony scoppiò in una fragorosa risata, lasciandola quanto mai basita.
<< Keep calm, honey! >> disse, nel suo classico tono premuroso << Mum and I were a little worried but… Your voice makes me happy ‘cos you are happy, I can notice! >> sospirò, strappandole un altro sorriso, che fece ridere la sua migliore amica, nemmeno a dirlo << Is Emma ok? >>
Alexandra rivolse un’occhiata analitica all’altra, rivolgendole un’espressione enigmatica a cui l’interpellata rispose con un calcio nel polpaccio.
Oh beh, se avessero continuato, a fine giornata avrebbero avuto bisogno di stampelle.
<< Yeah, she is… You know what?! I guess she’s in love! >> esclamò, ed Emma quasi non si strozzò.
Le rivolse un’occhiata sanguinaria che venne totalmente ignorata, nemmeno a dirlo.
<< Who with? >> ridacchiò suo padre, divertito.
Alexandra parve pensarci un attimo, poi liquidò la questione con una risata, graziando la sua amica e concedendole un sospiro soddisfatto.
<< Gotta go… >> mormorò Anthony poco dopo << … Enjoy the city, babe, I love you! And, keep in mind… If you decide to fall in love, you have to know nothing is really the way it seems… Only London is exactly as you get it, just perfect! >>
E quelle parole la scossero un poco, ma trovò comunque il modo di rispondere.
<< Love you back, daddy… >> disse solo, dolcemente, poi appese, riponendo il telefono in borsa.
Non attese nemmeno cinque secondi, Emma, per scoppiare a ridere.
<< Cosa c’è? >> la apostrofò l’altra indispettita.
<< Nulla, è che siete così strani tu e tuo padre… Vivete in un mondo tutto vostro! >>
Ed Alexandra non stentò a darle ragione.
<< Here I am! >>
Una voce le fece scattare, nel momento in cui qualcuno pose due tazze davanti a loro, insieme ad una brocca di caffè ed un vassoio con quattro paste al cioccolato.
<< Thank you… >> mormorò Emma, ammiccando, rivolgendo un sorrisetto alla cameriera di prima.
Questa sorrise, e sembrava davvero tanto felice di rendersi utile, notò Alexandra.
Aveva una luce insolita negli occhi, pareva davvero molto più che una semplice ragazza intenta a servire colazioni in un bar.
<< You’re welcome… >> rispose solo, e si allontanò.
Alexandra scosse il capo, afferrando la tazza riempita di caffè che Emma le stava porgendo.
Per poco non la azzannò quando un tonfo la distrasse.
Emma emise un verso strozzato quando notò la cameriera che aveva appena portato loro la colazione a terra, con il block notes all’aria e anche il vassoio vuoto in giro.
<< Cazzo… >> sibilò, rivolgendo all’amica uno sguardo preoccupato.
Questa pose la tazza sul tavolo, facendo per alzarsi, ma qualcuno la precedette.
<< Mary Hobson, what happened here?! >> tuonò una voce, che scoprirono appartenere a un tizio che pareva più un armadio a quattro ante dotato di capacità motorie.
La ragazza chiamata Mary si risollevò in tutta fretta, scusandosi frettolosamente e sparendo dietro al bancone.
Emma si concesse un sospiro, tornando a bere il suo caffè, imitata dall’altra, che pure aveva uno sguardo quanto mai preoccupato.
Forse aveva sbagliato suo padre a definire Londra come perfetta…
… Magari imprevedibile sarebbe stato più appropriato, senza dubbio.
 
 
 
 
Un’altra giornata del genere e avrebbe buttato qualcuno di sotto.
Tra i camerieri che sbagliavano ordinazioni, i suoi aiutanti che bruciavano la carne, salavano male, confondevano le salse e facevano cadere la panna per i dessert, non poteva certo dirsi insoddisfatto.
Furioso.
Quello sì che sarebbe stato meglio.
Louis sbatté il camice nell’armadietto, lanciandoci oltretutto anche il capello stupidissimo che era costretto ad indossare e quell’orrendo senale pieno di tasche che non gli serviva a niente se non ad infastidirlo ancora di più.
E, tanto per rendere il fine giornata ancora migliore, i jeans non gli entravano nemmeno bene e la camicia che aveva indossato quella mattina era sgualcita.
Imprecando tra i denti si rivestì, chiuse l’armadietto con un tonfo scocciato e sì incamminò all’uscita.
E faceva anche freddo, fanculo.
Si strinse nel giacchino di pelle che si era infilato la mattina, mentre l’aria fredda delle due di notte di Londra lo investiva in pieno.
Uscì dalla hall, guardandosi nervosamente intorno nemmeno avesse il terrore di vedere il diavolo.
Che poi sarebbe stato sicuramente più affabile di Liam Payne, senza dubbio.
E non appena si immise in strada, inciampò, scivolando sul marciapiede e quasi sbattendo la faccia sul cemento.
<< Sta’ attenta! >> biascicò una voce in un italiano impeccabile.
Qualcosa gli venne sfilato da sotto i piedi e si rese conto solo in quel momento che era una borsa.
Lo notò quando vide qualcuno con rossi capelli color ciliegia infilarsela sotto il braccio.
Si rialzò, massaggiandosi le ginocchia, mentre la ragazza – l’amica della tizia di quella stessa mattina, poi! – si scusava, intonando un inglese un po’ impacciato.
Difatti non era la sua voce, quella di prima…
<< Sorry! >> proruppe infatti qualcun altro, parandoglisi davanti, capelli di quell’azzurro non passavano certo inosservati.
<< Very, very sorry… >> disse ancora la ragazza, guardandolo negli occhi, mentre la sua espressione si modellava in una sgomenta.
Lo aveva riconosciuto, Louis ne era sicuro.
<< No problem… >> scandì infatti, scoccandole un sorrisetto pronunciato, sistemandosi con noncuranza la giacca, mentre lei lo guardava con una luce ambigua: probabilmente non aveva gradito di essere stata liquidata in quel modo, quella stessa mattina.
La ragazza rimase ferma, era impassibile mentre lo squadrava da cima a fondo.
La sua amica, quella con quel rosso psichedelico in testa, la stava pizzicando su un gomito, mentre le rivolgeva strani sibili in una lingua incomprensibile.
Lei parve riscuotersi, nel momento in cui le sorrise, di poco accennata.
<< Did you like the breakfast? >> esordì Louis di punto in bianco, rivolto direttamente a lei, a quella zazzera di capelli azzurri che splendevano alla luce dei lampioni e della auto che passavano.
Lei si accigliò un attimo, poi sorrise.
<< Thought the chef was better than expectations… >> rispose, cadenzando un impeccabile accento britannico, cosa che sembrava – almeno all’apparenza – acuirsi con il suo umore poco più piccato.
O almeno, così gli sembrava.
Louis si accigliò a quell’uscita: possibile non l’avesse riconosciuto?
Eppure la credeva più accondiscendente, quella mattina, almeno, lo era stata.
Gli stava dicendo che doveva migliorare nella sua cucina?!
Impudente
<< But… >> perseverò lei, incrociando le braccia << I can say it was not so terrible, even if the chef was quite annoying this morning… >> chiarì, e stavolta Louis fu certo che si stesse riferendo proprio a lui.
<< Why? >> si ritrovò a chiedere, divertito dal giochetto che egli stesso aveva innescato.
La ragazza scosse i capelli, la cornice azzurra attorno al suo viso era quasi ipnotizzante.
<< Expectations always fail… ‘Cos everything is never as it seems, don’t you know that? >> ribatté, decisa, superandolo, con tanto di amica appresso.
Louis rimase fermo, un inspiegabile sorrisetto ad incurvargli gli angoli delle labbra.
Fregato al suo stesso gioco?
C’era da aspettarsele delle belle, poco ma sicuro.
 
 
 
 
 
 
 
 
SPAZIO AUTRICE.
Salve gentaglia (?)
I’m back u.u
Premetto, a me questo capitolo pare molto scemo (?), ma ho voluto metterlo lo stesso.
Il titolo? *-* Sì, ultimamente ho (ri)perso le staffe per HSM. <3
Oh beh, debbo salutarvi, gli impegni chiamano (:
Oh, e grazie per le recensioni al capitolo precedente <3
Saluti carissimi <3
  
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