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Autore: whitemushroom    14/10/2013    4 recensioni
Alcuni anni prima delle vicende di FF IX, Kuja si trova per conto di Garland in una missione in apparenza semplice. La realtà è molto più complessa, perché l'osservatore stellare ha già iniziato a far girare la ruota che condurrà l'angelo della morte a trionfare su tutta Gaya. L'ignaro Jenoma scoprirà che i mostri peggiori sono quelli contro cui non si può combattere, ma farà anche un incontro che cambierà per sempre il suo destino...
Questa storia può essere letta in modo totalmente autonomo ma può anche essere considerata come il seguito della one-shot "Non un Jenoma"
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Kuja
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non un Jenoma - e altri racconti.'
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Il distruttore di Gaya -capitolo 1-


Uno. Due. Tre.

Uno. Due. Tre


I passi dei burmesiani erano perfettamente cadenzati anche quando correvano.

Uno. Due. Tre

Uno. Due. Tre


“Comandante Fratley, l’ho visto andare in quella direzione!” disse la voce oltre la porta, apparentemente femminile. “Credo si stia dirigendo verso la superficie, sta tentando la fuga!”
“Molto bene! Bloccate tutte le uscite. Noi andremo alla Sala della Campana, attendo un vostro rapporto!” rispose il burmesiano al di là del portone metallico.
Squittì qualche altro ordine e si allontanò con le sue guardie. I loro passi si diressero verso i piani alti, divennero sempre più flebili e poi svanirono, lasciando solo l’oscurità e il rivoltante odore di muffa che permeava quelle caverne. Solo quando fu certo che gli unici rumori fossero il battito del suo cuore e l’acqua che cadeva dalle vasche di nutrizione, Kuja riprese a respirare. Si staccò dalla parete e si mosse nella stanza nell’oscurità più totale, scivolando tra una vasca e l’altra senza emettere nemmeno un fruscio. Poi, indispettito, creò tre globi di luce che lasciarono il palmo della sua mano ed attraversarono la stanza.
Detestava le tenebre.
I suoi occhi in realtà potevano vedere al buio anche meglio di un burmesiano, ma si sarebbe sfregiato il viso con una daga rovente pur di ammettere che le modifiche di Garland sul suo corpo avevano una qualche utilità. E poi odiava quell’oscurità così tangibile e densa.
Gli ricordava la sua cella.
Le luci flebili illuminarono solo alcuni punti dell’immensa stanza scavata nella roccia, rivelando scaffali, tomi e alambicchi. E i teschi.
I crani di almeno cinquanta draghi erano disposti lungo le pareti. Ve ne erano di grandi quanto il suo pugno ed altri così enormi che avrebbero potuto inghiottirlo in un sol boccone; su alcuni di essi erano stati dipinti di rosso e verde dei simboli che non conosceva, probabilmente in memoria delle vittorie dei burmesiani su quei grandi predatori dell’aria, sui signori di tutte le creature di Gaya. Si lasciò sfuggire un sorriso amaro.
“Il mio teschio non finirà su quella parete …” disse tra le labbra, anche solo per spezzare la coltre di silenzio.
Distolse lo sguardo da quei trofei e seguì la magia che impregnava quel luogo e tutti i livelli che conducevano in profondità, si lasciò trasportare da quella sensazione come un predatore a caccia della sua vittima fino al fondo della stanza, dove le luci illuminarono il motivo che lo aveva spinto fin nelle profondità delle grotte di Gizamaluke.
Garland non lo lasciava mai scendere su Gaya senza una missione da portare a termine. Lui dava un ordine, e Kuja eseguiva. Fine della questione.
Aveva fatto di tutto in quegli ultimi anni: aveva riaperto la via per la città segreta di Oeilvert, si era fatto notare dalla nobiltà di Alexandria, gli aveva portato il cuore di innumerevoli creature mostruose e si era perfino intrufolato nella biblioteca dell’isola perduta di Daguerreo sottraendo agli anziani custodi le loro preziose conoscenze. Tutto senza porre domande: le uniche volte che aveva chiesto spiegazioni, l’osservatore stellare si era degnato di rispondergli con due sfere infuocate nella schiena. Ma quelle missioni erano l’unica opportunità per uscire da Pandemonium, quindi aveva imparato a tacere ed a godersi il sole, il vento ed il cielo di Gaya ad ogni visita.
Ma quella missione era diversa. Non era lì per portare qualcosa a Garland.
Il suo volto si specchiò nel guscio argenteo delle uova. Girò con cura intorno alla vasca, estendendo tutti i sensi alla ricerca di allarmi o trappole. Sfiorò la superficie liscia come uno specchio, percependo sotto le dita il battere forsennato dei cuori dei draghi. Richiamò a sé le luci e osservò rapito l’incredibile gioco di riflessi che illuminava quel luogo, l’angolo più protetto di tutta la caverna; una luce che faceva sembrare il cristallo azzurro di Branbal niente più che una lampadina per stupidi Jenoma ipnotizzati. Ed era tutta sua.
C’erano poche cose più potenti del sangue di drago, su quello i libri erano concordi. Chi se ne nutriva poteva ottenere il potere degli invincibili dominatori dei cieli, o almeno era questo che affermavano tutti gli autori. Cosa molto idiota, aveva sempre sostenuto Kuja, visto che nessun essere vivente si era mai avvicinato a meno di trenta passi da un drago senza essere incenerito. Fandonie nate dalla fantasia di scrittori annoiati. L’osservatore stellare gli aveva comandato di scendere in quelle grotte ammuffite e divorare le uova custodite gelosamente dai burmesiani, ma non aveva mai creduto nemmeno per un secondo che potessero dargli il potere necessario per essere l’angelo della morte che Garland voleva.
Fino a quel momento.
Le uova argentate traboccavano di vita. Ne prese una, appoggiandola sul palmo della mano. Sotto quel fragile guscio c’era un cuore che pulsava, immerso nel sangue magico. Lo scrutò meglio, cercando di immaginarsi la forma arcuata del drago, la coda ancora abbozzata e le sottili ali strette intorno al corpo ancora privo di scaglie, debole ed indifeso come tutte le forme di vita non ancora formate, proprio come i Jenoma appena usciti dalle loro capsule.
“Patetico …” sussurrò. Poi strinse le dita.
Le sue unghie azzurre distrussero il sottile guscio d’argento ed il sangue colò tra le dita. Non fece in tempo ad apprezzarne il potere che si sentì pervadere da un’ondata selvaggia. Prima anche solo di poter riflettere si trovò con la bocca immersa nel sangue, i denti stretti intorno alla testa del cucciolo; li affondò nella carne e strappò le vertebre dal resto del corpo con una violenza inaudita.

…….... sangue …

Strappò le piccole ali e aprì in due quello che rimaneva del drago. Si gettò sulle viscere in preda ad una convulsione profonda, sentendo il sangue, il calore, la magia, tutto il potere scendergli lungo la gola. Era … inebriante.

…… cosa …?

Il corpo sembrava pervaso dalle fiamme. Divorò anche la pelle, sentendo il cuore battere al ritmo forsennato della creatura che aveva appena sbranato, un rimbombo sordo dentro le orecchie mentre si gettava persino sui resti del guscio, leccando avidamente il caldo liquido rosso che era schizzato sulle sue dita, sul pavimento e contro la parete. Saltò sul bordo della vasca di nutrizione, e quando vide le altre sei uova rilucere sotto i suoi occhi non trattenne un verso di selvaggio piacere che gli nacque dal fondo della gola.
Fu in quel momento che vide il mostro.
Aveva un sorriso feroce dipinto sul volto, ed i denti appuntiti facevano comparsa tra le labbra grigie dischiuse; gli occhi erano color della brace accesa, vividi, puntati proprio contro i suoi. Tutto quello che aveva di vagamente umano erano la testa, le braccia e le gambe, ma la sua lunga coda rossa sferzava l’aria come un serpente furioso, il corpo pronto a balzare. La pelle era candida, resa ancora più spettrale dalla chioma di capelli rossi che scendeva scompigliata fino alle spalle, maestosa come una criniera in cui qualche scienziato pazzo doveva aver intrecciato delle piume color fuoco per il solo scopo di vederne il divertente effetto finale. La bestia doveva aver appena finito di mangiare, perché da sotto le zanne sbucavano i resti di qualche malcapitata creatura e del sangue lo ricopriva dalla testa ai piedi.
Kuja respirò a fondo, cercando riparo e forza nel potere che aveva appena assorbito; si avvolse in un incantesimo di protezione, ma quando si mise in posizione di attacco l’altro fece lo stesso, osservandolo con le sue iridi infuocate. In quegli occhi c’era dipinta una smania primordiale che lo inquietava nel profondo, perché delle tante creature che aveva ucciso nessuna avevo uno sguardo simile, che sembrava provenire dal centro di Gaya. Nonostante il sangue di drago gli stesse pulsando di energia fin dentro lo stomaco, le iridi bestiali del nemico lo investirono con un senso di disgusto, odio e paura.
Perché quegli occhi erano i suoi, e lo fissavano riflessi nei fragili gusci argentati.
Cercò di mettere un freno al terrore che lo attraversava. Si spostò sul bordo della vasca, ma l’immagine animalesca lo seguì, guizzando da un uovo all’altro e provocandolo con la coda rossa bene in vista.
“Vattene …” biascicò, improvvisamente disgustato dal sapore di sangue in bocca. Non posso essere io!
Sentì il nuovo potere entrare in risonanza con la magia delle altre uova, ogni fibra del suo corpo tesa verso i draghi. Lo chiamavano, alimentavano la sua fame, eccitandolo a tal punto da riscaldargli il cuore. Tutto quello di cui aveva bisogno per diventare un vero angelo della morte era in quella vasca, dai capelli alla punta della coda non desiderava altro che buttarsi a capofitto sulle uova ed ingozzarsi di quei piccoli e patetici cuccioli per poi assorbirne il potere fino all’ultima goccia di sangue. Si protese verso il secondo uovo, e le labbra grigie riflesse nel guscio rivelarono un sorriso stralunato e orribile, con i denti macchiati di rosso bene in evidenza che si facevano sempre più grandi man mano che si portava vicino alla vittima. “VATTENE!”
Reagì nell’unico modo che conosceva. Chiuse la bocca e serrò i denti nel proprio polso, fino all’osso.
Il dolore lo scosse oltre ogni limite. Approfondì la stretta, e l’uovo cadde senza rompersi nella vasca. Il desiderio del potere e della magia lo scuoteva nelle viscere, ma più quello si faceva intenso e più rispondeva aumentando la presa. Garland aveva maledettamente ragione. Il dolore funzionava.
Sempre.
Quando raggiunse l’apice si sentì svuotare di qualsiasi cosa, e cadde riverso sul pavimento della caverna. La sete di potere era ancora forte, ma il dolore riusciva a tenerla a bada. Si lanciò un incantesimo guaritivo sul polso destro e rimase lì, ipnotizzato, fissando le sue mani di nuovo lunghe e candide, le unghie azzurre tra cui si dipanavano i fili della magia. Anche i capelli che gli spiovevano davanti alla fronte erano tornati color argento, ma il suo corpo sembrava agitato da un fuoco interiore. Si guardò intorno, fissando i resti del drago appena sbranato. Era stato davvero lui a fare una cosa simile?
Era quello il viso dell’angelo della morte?
“Bastardo …” mormorò, senza forzarsi di fermare le lacrime. In quella caverna nessuno avrebbe visto la sua debolezza.

Sei stato pensato per distruggere, Kuja. È normale che provi piacere nel farlo.

Gli tornarono in mente alcune parole che Garland gli aveva rivolto diverso tempo prima, quando gli chiedeva di descrivergli in dettaglio le emozioni che provava nell’uccidere le sue prime vittime.
Ma solo adesso ne capiva davvero il senso. “Maledetto …” sibilò, guardando un punto imprecisato del soffitto con gli occhi umidi. “COSA VUOI DAVVERO DA ME, GARLAND?”
Spense le luci e si acquattò al buio, tenendo la testa tra le mani. La magia delle uova di drago continuava a reclamarlo, però si strinse le ginocchia al petto e rimase immobile; la coda si agitava per l’eccitazione, ma la forzò con tutto l’odio e l’autocontrollo che gli rimanevano e la costrinse a tornare sotto i vestiti, avvolgendola con violenza intorno alla gamba sinistra. Rimase in quella posizione finché le lacrime non si asciugarono.
È questo che volevi?
Volevi solo una bestia addomesticata, non è così?
Ma allora perché … perché la mia anima sta così male?

Se era vero che era stato creato per distruggere, perché la vista di se stesso in quello stato lo aveva spaventato? No, disgustato era la parola giusta.
Cercò rifugio nella razionalità, ma i pensieri gli sembravano un cesto di fili di lana le cui estremità si perdevano in un gigantesco groviglio. La mente aveva a stento le forze per combattere l’impulso distruttivo del suo corpo.
Si trascinò verso la porta della stanza e ne uscì, serrandola alle spalle e ritrovandosi nel corridoio umido che conduceva verso la superficie. Appoggiò la mano destra sul cuore, ascoltando il suo battito forsennato: la bestia dentro di lui smaniava per uscire, ma si morse il labbro e la tenne a freno. L’osservatore stellare gli aveva ordinato di divorare quelle uova per spingerlo a trasformarsi, ma non sarebbe tornato in quella stanza per tutte le ricchezze di Alexandria. Sapeva benissimo che al ritorno a Pandemonium la punizione sarebbe stata più dolorosa di qualunque altra, forse Garland gli avrebbe davvero portato via l’anima come minacciava da tempo … ma non poteva eseguire quella missione. Se davvero non poteva liberarsi dal controllo di Garland almeno non si sarebbe fatto mettere il collare.
“In nome del Re, ti dichiaro in arresto!”
Si girò e vide una lunga lancia puntata contro il suo petto.

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Note (per chi è interessato)

- ho deciso in questa fanfic ed in quelle a venire di utilizzare i termini italiani. FF IX ha diversi problemi dal punto di vista delle traduzioni dei nomi, ma visto che questa fanfic la leggeranno soltanto gli italiani ho deciso di mantenere l'adattamento del nostro paese. Non è poi così scandaloso, solo che quando vai a cercare degli approfondimenti sulla wikipedia diventi matto perché metà delle città e dei personaggi hanno il nome scritto in maniera diversa. Quindi Burmecia è diventata Burmesia, Bran Bal è diventata Branbal e se (e quando) ci arriverò, Zidane diventerà Gidan. Comunque avviserò delle differenze di traduzione ad ogni capitolo.

- questa fanfic ha preso tutt'altra piega di quella che volevo io. La storia si basava sull'incontro tra Kuja ed il personaggio che comparirà nel capitolo 3, e la scena di lui davanti alle uova doveva essere solo qualche riga giusto per spiegare cosa ci stava a fare quel pulitino di kuja in un posto schifoso come le caverne di Gizamaluke. Poi però la scena si è protratta .... ho pensato "ma perché, se possiede lo status Trance, non lo adopera sin dall'inizio del gioco?" e da lì sono passata ad inventarmi la scusa del perché si rifiuti di usarla. Sì, la versione "mostruosa" che ho descritto dovrebbe essere un penoso tentativo di descriverlo quando è in status Trance.
  
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