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Autore: TheMask    14/10/2013    0 recensioni
Questa storia è nata per un'amica, e solo in un secondo momento ho pensato di pubblicarla. Spero sarà di vostro gradimento.
Lupa Nera
Estratto dai prossimi capitoli:
Perché legarsi alle persone, quando sai che presto o tardi, o ti tradiranno o moriranno, o se ne andranno? In questo luogo l’amicizia non esiste, è impossibile. Convivenza, tolleranza, rassegnazione in stile “se non c’è niente di meglio mi accontento”, questo lo capirei. Ma … amicizia… è una parola che qui non si una neanche più… scomparsa dal vocabolario. Qui non ci sono amici.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beyond Birthday, Matt, Mello, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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“Forse tu mi avresti superato. Ma adesso sei tu che devi scappare e io che muovo la polizia mondiale. Riflettici. Ti sei distrutto da solo alla fine. ”
“Ti sbagli L. O forse te ne sei dimenticato? ”
“Allora ero molto diverso. Converrai con me che non ero neanche la metà di quello che sono ora, in tutti i sensi. L’adolescenza non è un periodo in cui si da il meglio di se, non pensi anche tu?”
“Questo non cambia le cose”
“Immagino di no, B”
“Hai perso tu, alla fine.”
C’erano due ragazzi in quella stanza  lussuosa. Uno dei due, il maggiore, stava sul bordo della finestra,  seduto in modo strano. Aveva il volto scavato dall’insonnia rivolto alla luna calante. Il minore, quasi uguale al primo, stava sdraiato su un letto al centro della stanza, senza dire una parola. Il primo fece viaggiare ancora un po’ lo sguardo nel vuoto, per poi voltarsi lentamente e chiedere:
“Le hai portate?”
“Si” rispose il secondo mettendo una mano nelle larghe tasche dei pantaloni e lanciando all’altro un pacchetto di sigarette.
Non era facile reperirle, all’interno dell’orfanotrofio e il primo ragazzo scoccò all’interlocutore un raro sguardo di approvazione, afferrando il pacchetto al volo ed estraendo subito una sigaretta.
“Ne vuoi una?”
“No, lo sai che non fumo”
“Bene, meglio per me. Se vuoi qualcos’altro, li c’è un carrello che ho richiesto poco fa a Watari.”
“Grazie, sono a posto. Stasera ho mangiato molto a mensa.”
“Perché? Ti eri forse dimenticato che saresti venuto qui?” chiese il primo.
“No. Avevo fame”
Si udì un sonoro sbuffo.
“Non riesco a capire perché ti comporti così, B.”
“Così come?” ribatté atono il ragazzo.
“Come uno snob. Sai che molti qua dentro ucciderebbero per essere al tuo posto?”
“Non ho scelto io di essere il tuo schiavetto personale,  L! Se non ti vado bene, visto che invece molti sarebbero felici di essere utilizzati a mo’ di giocattolo, scegli qualcun altro. ”
“Credevo che tu avessi imparato quanto sono possessivo. E quanto odio perdere.”
“In ogni tuo comportamento verso di me, me lo dimostri. E scusami, ma ti devo correggere: non sei semplicemente possessivo, sei peggio di un bambino viziato.”
“E visto che tu sei il gioco di un bambino viziato, faresti bene a mostrarti più bendisposto. O forse non sai che quando i bambini viziati non vogliono più un gioco, lo rompono?”
Ci fu silenzio, nel tempo in cui il primo ragazzo si accese una sigaretta sotto lo sguardo dell’altro, impassibile.
“Non potrò mai essere come te” disse infine il minore, quasi con una nota di disprezzo.
“Tu dovrai esserlo. Tu vuoi diventare il mio successore, lo so. Ma se davvero speri di esserlo, devi diventare esattamente come me.”
“Non voglio essere la tua copia, L.”
“E allora perché fai salti mortali per essere il numero uno e copi i miei comportamenti, come il modo di sedere e di parlare?”
“Perché io voglio superarti.”
“Ti sei dimenticato il significato del tuo soprannome, Bakup?”
“E’ un soprannome che mi hai messo, il mio vero nome è un altro e questo non lo puoi cambiare! Io sarò migliore di quanto tu possa solo sperare di essere.”
Il maggiore si alzò senza una parola, lasciando andare la sigaretta ancora accesa  a veleggiare fuori dalla finestra nella frescura notturna. Poi prese il minore per un braccio e lo costrinse ad alzarsi e a seguirlo. Bakup tentò di ribellarsi, ma era decisamente in svantaggio e non riusciva a liberarsi dalla presa ferrea di L.
L lo condusse fuori, fuori dalle mura dell’orfanotrofio e imboccò le strade di una città a lui sconosciuta, benché vi vivesse ogni giorno. Lo portò in poco tempo in periferia, trascinandolo in posti illuminati a malapena e lo infilò sbrigativamente in un locale che non seppe identificare. Lo fece sedere di fianco a lui, nel tavolo più appartato, vicino a una panca dove un uomo inquietante, pieno di piercing e tatuato dalla testa ai piedi parlava sommessamente con una ragazza. in capo a pochi minuti, lei si tolse la maglietta- il minore distolse lo sguardo e arrossì-  e girò le spalle all’uomo. Questo cominciò a farle un tatuaggio con strumenti che non vedevano una sterilizzazione da molto tempo, scintillanti alle luci basse del locale.  Nessuno guardava la scena a parte i due giovani. Bakup sperava di non capire quello che L voleva fare e tentava di divincolarsi e di andarsene, ma era intrappolato.
L’uomo finì di tatuare la ragazza e presto non ebbe più nessuno davanti a se.
Fu allora che L si fece avanti e gli parlò, sempre tenendo Bakup di fianco a se, a voce molto bassa. Fece sedere il minore davanti all’uomo di forza e gli prese il braccio sinistro, alzandone la manica.
In breve tempo il minore si ritrovò a trattenere gemiti di dolore, guardando impotente e inorridito l’uomo armeggiare intorno al suo braccio.
Quando uscirono da quel locale, Bakup non diceva una parola ed era infuriato. Venne in breve tempo risbattuto ai piedi del letto, mentre il maggiore estraeva una seconda sigaretta dal pacchetto lasciato sul davanzale.
Bakup guardò ancora una volta, schifato, la B gotica che avrebbe dovuto portare per sempre con se. Come aveva potuto il più grande detective del mondo, abbassarsi a una cosa così stupida e infantile?
“Tu sei di mia proprietà. E fai quello che voglio io.” dichiarò L.



Bakup era seduto sul suo letto singolo nella piccola cameretta e una ragazza lo guardava, la testa appoggiata alle sue gambe.
Era molto bella, con dei lunghi capelli del colore del sangue, gli occhi grandi e chiari, i lineamenti raffinati. Era un raro momento felice per i due. I due più bravi dell’orfanotrofio. Chiunque avrebbe pensato che avrebbero dovuto essere rivali, ma i due si amavano profondamente. Non c’era, in quel posto, un legame che fosse sincero e potente come il loro.
Erano molto sotto pressione in quel periodo, L era esigente, sempre di più. Tutti e due avevano delle occhiaie da panda e troppo sonno arretrato, ma non potevano mollare.
Si sorrisero, mentre chiacchieravano in quell’atmosfera di insolita pace. Dopo un po’ lei si tirò su di fianco a lui: doveva tornare in camera sua. Così si scambiarono un lungo bacio e poi si congedarono, chiedendosi quando sarebbero riusciti a eludere di nuovo la sorveglianza di L e a rivedersi. Le parole d’amore che si scambiarono, aleggiarono ancora nella stanza, intorno a Bakup, ma non l rallegrarono affatto. Non le aveva detto del tatuaggio che aveva, suo malgrado, impresso sul braccio. Odiava mentirle. E soprattutto lo disturbava vederla così stanca a causa di L.
Così quella sera, le parole con cui salutò di malavoglia al detective furono:
“Ci stai mettendo troppo sotto pressione. Non ce la facciamo. Devi diminuire il peso.”
“Da quando mi dai ordini Bakup?”
“Il mio consiglio è che devi diminuire il peso.”
“E’ Allied che non ce la fa, tu ce la fai benissimo.”
“Cosa?”
“Se per lei il peso è troppo non sono affari miei e certo non cambierò i miei programmi perché tu stai con lei.”
“Che io la ami  non c’entra nulla con quello che ti stavo dicendo, anche io ho delle difficoltà ultimamente!”
“Se oggi pomeriggio avessi studiato quell’ora in più… la stessa ora che hai passato con quella ragazza… è un hobby per te? ”
“Non dire così L!”
“Era pura curiosità. Se vuoi un passatempo però, ti conviene trovarti qualcosa che non ti ostacoli così. saresti un ottimo successore se solo lei non ci fosse… e naturalmente se accettassi di imparare da me. Ma immagino che tu sia troppo orgoglioso per farlo, giusto?”
Bakup  se ne andò trattenendosi dall’urlargli contro. Odiava essere costretto ad andare li ogni sera. E la B gotica era ancora troppo ben impressa nella sua mente e nel suo braccio.

Allied era in bagno a sciacquarsi la faccia dopo una lezione. Si sentiva rintronata dal sonno in quei giorni.
Entrò quello che sembrava Bakup, nel bagno.
“Ciao amore, arrivo subito, un attimo” gli sorrise.
“Non sono Bakup.”
“Cosa?” disse lei girandosi.
In effetti quello che aveva davanti era più alto, più curvo…
“Sono L.”disse lo sconosciuto, addentando un croissant.
“Mi stai prendendo in-”
“Non ti sto prendendo in giro. Lo sai che Bakup viene spesso da me, no? Non gli hai mai chiesto come sono?”
“Volevo scoprirlo da sola, guadagnarmi l’onore di incontrarla con le mie forze.”
“Se continui così non hai molte speranze, o sbaglio?”
“C-cosa intende? Io sono la prima, a pari merito con Bakup, io sono una possibile-”
“I miei possibili successori sono solo i migliori.  E tu non sei che una presuntuosa. Se vuoi permetterti di sperare di incontrarmi per i tuoi pregi, dovresti tentare di svegliarti . Il tuo impegno non è sufficiente. E se non puoi fare di più, non vedo perché tenti.”
Gli occhi di Allied si riempirono di lacrime, che riusciva a stento a trattenere.
“Ma L, ci sta facendo moltissima pressione, anche B-”
“Bakup ce la fa benissimo. Sei tu il problema.”
Questo era il dialogo che Allied aveva raccontato a Bakup, fra le lacrime, scusandosi per essere un peso per lui e dandosi della stupida. La sua autostima, che il fidanzato aveva sudato duramente, era svanita improvvisamente. La sua sicurezza idem.
La povera ragazza era distrutta, non riusciva a smettere di piangere contro la sua spalla.
“Non posso più avere speranze, allora? Dovrei rinunciare? Dovrei andarmene? Ma che scopo ha la mia vita se non posso rimanere qua e seguire il mio sogno? Perché sono così sciocca? Come mi è venuto in mente di poter solo sperare di arrivare al suo livello? La mia vita non avrebbe più un senso! Perché devo vivere se so che non sono sufficiente? Perché? Perché tu si e io no!? Dimmi perché!”
“Amore, calmati per favore, io non so perché ha detto quelle cose, io credo che fosse… il suo modo di incentivarci.. le ha dette anche a me” mentì spudoratamente.
“Lo vedi? Ha ragione lui! Tu sei più forte, non ti hanno neanche sfiorato le sue parole! Mentre io sono ridotta così! perché?” esclamò lei, staccandosi dal suo abbraccio e fissandolo con le lacrime che scendevano ancora.
“Allied ti prego, non dire così. ciascuno ha la sua sensibilità, ma questo non influisce sulla persona che sei. Tu sei perfetta così, non devi cambiare per raggiungerlo, non devi per forza essere una sua copia.”
“Possibile che non lo capisci? Io ho speso la mia vita,
tutta la mia vita, a studiare per essere come lui, per raggiungerlo, e ora che cazzo di senso ha dirmi che vado bene così? non è vero! Io non sono abbastanza così! io faccio schifo! E tu non sai che dirmi amore di qua, amore di la e intanto sbattermi in faccia che tu sei più forte! Vaffanculo!”
“Ma io non volevo dire questo! No, hai frainteso, aspetta!”
“Certo, ho frainteso, ovvio, sono io che non capisco mai un cazzo, vero?”
“Ti prego non prendertela con me… ”
“E piantala di fare l’accondiscendente, lo so che ti da fastidio che io dica le parolaccie! E mi chiedo perché quando le dico tu non mi ricordi di non farlo!”
“Non voglio mica costringerti a-”
“E non sopporto la tua indifferenza! Ti sto quasi urlando addosso per ragioni futili e lo so benissimo! E tu al posto che ribattere, incazzarti un po’, stai li a dire amore, oh no, sei perfetta!
Ma per favore! Tira fuori le palle per una volta!”
“Al non sai quello che dici, ti prego ascoltami-”
“Anche tu lo pensi? Pensi che se tu non mi proteggessi  non ce la farei? Che ti sarei seconda? Cos’è, forse mi dici che anche per te questo peso è troppo solo per non ferirmi? Io voglio essere prima a ogni costo e non cambierai le cose fingendoti meno intelligente di quanto non sei! Così mi fai solo male!”
“All  io ti amo come non ho mai amato nessuno. Non potrei mentirti.”
Guardò a lungo negli occhi celesti della giovane, pieni di lacrime, come laghetti di montagna in piena. Ne sostenne lo sguardo fino a che non cedettero e non ritrovò il calore della ragazza intorno a se in un lungo abbraccio.
La circondò con le braccia e lei appoggiò la testa nell’incavo del suo collo, sussultando di pianto.

“Stronzo!” esclamò entrando violentemente nella stanza di L.
“Buonasera anche a te, Bakup.”
“Cosa cazzo ti è saltato in mente stamattina, eh? Allied era disperata!”
“Io ho fatto solo il mio dovere. Io sono la Giustizia Bakup, non guardo ne sesso ne simpatia. Allied  ha avuto un calo e fa troppo affidamento su di te. Per me non è all’altezza dei suoi obbiettivi. Ho ritenuto opportuno avvertirla.”
“Bastardo, guarda che lo so che non è così! Allied si è sempre fatta un culo così per te e l’unico modo in cui si appoggia a me è quando mi ripete le lezioni!”
“Beh, scommetto che oggi però è venuta a farsi confortare dritta nelle tue braccia, o sbaglio?”
“Era disperata, scommetto che hai fatto lo stronzo!”
“Finiscila di dire parolaccie, sei ridicolo.”
SBAM!
La porta sbattè e Bakup scomparve.
L non fece una piega.

Allied era in piedi con lo sguardo fisso, davanti a quel maledetto foglio, affisso alla parete, circondata da altri studenti che non osavano scostarla.
Bakup le corse incontro e vide nel suo volto pallido di notti insonni solo rabbia. Alzò lo sguardo sulla classifica dell’ultimo test.
  1. Bakup
  2. Allied
“Al… ”
La ragazza si voltò e se ne andò in camera sua, dove lui la seguì solo per prendersi una porta sbattuta in faccia.
Sospirò  e si sedette sul muro di fronte alla sua porta. Dovette aspettare molto, almeno tre ore, prima che la ragazza uscisse. Andava a mensa, era ormai ora di cena, ma a vederlo li sussultò. Si fermò per un secondo.
“Al- disse lui alzandosi- non me ne frega niente di quegli stupidi risultati, non contano nulla! Noi possiamo fare molto meglio di L, insieme! Noi possiamo essere doppiamente L! senti, io ho pensato una cosa… noi potremmo… andare via… fuggire non sarebbe difficile. E poi sarebbe fantastico, Al, il mondo sarebbe nostro! Potremmo girarlo tutto, non vivere mai più rinchiusi fra quattro mura come cani al guinzaglio, potremmo diventare famosi, avremmo tutto ai nostri piedi, insieme possiamo farcela, siamo imbattibili. E potremmo vivere come vorremmo, se lo vorremmo. Potremmo superare L da fuori, finirla con le sue stupide graduatorie e le sue stupide regole! Al, potremmo fare a modo nostro!”
Lei lo guardò per qualche secondo, con gli occhi rossi dal pianto.
“Tu proprio non capisci… ”
“Spiegami. Forse ti sembra imprudente? Avventato? Ma con le nostre capacità potremmo tutto!”
“Non è questo, io partirei subito con te per non tornare mai più, ma… davvero non ci arrivi? Io sono cresciuta qui, mi hanno raccolta che ero ancora in fasce, per me questo posto è… tutto. E L è stato l’unico scopo che ho avuto mai, l’unica cosa che, quanto tu ancora non c’eri, mi ha spinto a lottare ancora, e ancora, e ancora. Era il mio obbiettivo. E ora non posso abbandonarlo così. E’ l’unico scopo di una vita altrimenti… inutile. Tu sei molto carino a dirmi queste cose, so che anche tu soffriresti ad abbandonare tutto questo. Ma io non posso farlo, capisci?”
“Certo… ma L non è giusto con te, lui ti ha-”
“L fa quello che deve fare Bakup, non puoi contestarlo.”
“Ma-”
“Quello che questo posto mi ha insegnato per prima cosa è che… L è la giustizia. Evidentemente devo studiare di più. Non è sufficiente tutto ciò.”

Erano passati sei mesi da quando Allied era diventata seconda. Si era allontanata un po’ sa Bakup e diventava sempre più bianca e irascibile. Non dormiva quasi, era tiratissima nello sforzo di superarlo di nuovo.
Quel giorno era il giorno in cui le classifiche del test decisivo, quello finale, sarebbero uscite. Erano tutti trepidanti e Allied per prima. Aveva studiato come non mai per quell’esame, non era uscita dalla sua stanza per giorni con il solo sussidio della compagna di stanza che le portava i vassoi per i pasti. Come se Allied mangiasse. Di solito, concentrata com’era, saltava il pranzo e mangiava appena l’indispensabile a cena, preoccupando Bakup per la velocità con cui dimagriva. E più dimagriva più era scontrosa. E più era scontrosa più non lo sopportava qualsiasi cosa facesse. E si allontanavano sempre di più.
 Ma Bakup aveva deciso di dare una svolta alla situazione, sbagliando apposta una delle domande del test. Doveva essere secondo, a rigor di logica.
Erano le sei di mattina quando Bakup si svegliò di malavoglia sentendo bussare alla porta.
“Chi è?”
“Sono Allied”
“Entra pure” biascicò ancora mezzo addormentato, infilandosi dei vestiti a caso.
“Fra quindici minuti affiggono la classifica. ”
“Uhu…”
“Vieni con me?”
“Aha…”
“Ti ho svegliato?”
“Mhm..”
“Scusami è che sono così in ansia! Devo essere prima, devo! Più di così non… non potevo!”
“Sarai la prima, vedrai! Hai studiato molto più di me per quel test!”
“Devo.”
Così, quindici minuti dopo erano li, e il cartello pure. Allied tirò un violento pugno alla parete, sbucciandosi le nocche e Bakup non riuscì a credere ai risultati. Era di nuovo primo. Com’era possibile? Non era assolutamente possibile!
“Al, dai, non è così importante, recupererai!” disse comunque, avvicinandosi ad Allied.
“STAI ZITTO, STRONZO!” urlò correndo via.
Bakup sospirò. Cosa poteva fare? Cosa doveva fare? Perché non poteva essere meno importante quella lista?
  
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